Veléno

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veleno


veléno (poet. venéno) s. m. [lat. venēnum, prob. affine a Venus «Venere», e quindi con il senso originario di «filtro amoroso»]. – 1. a. Sostanza di origine esogena che, introdotta per qualsiasi via, anche in dosi relativamente piccole, in un organismo, ne compromette l’integrità strutturale o la funzionalità, con effetto generale o elettivo (agendo, per es., sul sistema nervoso, cardiocircolatorio, ecc.), immediato o tardivo, reversibile o irreversibile, fino alla morte dell’organismo stesso (l’azione tossica dei veleni, alcuni dei quali possono essere adoperati, in dosi minime, come farmaci, dipende, a parità di peso corporeo, oltre che dalla dose, dalla capacità di assorbimento, dalle condizioni fisiologiche dell’organismo, ecc.): v. d’origine animale, vegetale, minerale, di sintesi; il v. della vipera; lo scorpione inietta il v. col pungiglione della coda; un potente v., un terribile v.; bere, ingerire il v.; somministrare, propinare, inoculare il v.; versare il v. nel vino; uccidere, sopprimere col veleno. Da tossico, sinon. di veleno, viene detta tossicologia la scienza che studia i veleni. b. Nell’uso ant., filtro, pozione magica: aperta la mia tasca, ne trarrò veleni potentissimi, coi quali a mia posta soglio io transformarmi in lupo (Sannazzaro); e in senso fig., amorosi v., venerei v., la forza dell’amore, le pene d’amore: sentendo il puro cuore già tutto degli amorosi veleni lungamente fuggiti contaminato (Boccaccio). 2. estens. a. In similitudini, per indicare un sapore amarissimo o comunque cattivo: è v., pare v., è amaro come il v.; storse la bocca, come avesse ingerito veleno. Di cosa assai dannosa per la salute: il caffè, il tabacco sarebbe v. per lui; andare in v., in tanto v., riferito al cibo che si ingerisce, fare mal pro, riuscire amaro: a Renzo quel poco mangiare era andato in tanto veleno (Manzoni). b. non com. Odore pestifero, fetore: ogni passo che fanno nell’andito, senton crescere un tanfo, un veleno, una peste, che li respinge indietro (Manzoni). c. Nella tecnologia chimica, sostanza che in una reazione catalitica deprime, temporaneamente o permanentemente, fino anche a sopprimerla, l’attività del catalizzatore; i veleni, in quanto sostanze che accompagnano i reagenti, si differenziano dagli inibitori, che invece sono contenuti nei catalizzatori. Analogam., nella tecnologia nucleare, sono dette veleni le sostanze non fissionabili, generalm. costituite da prodotti della fissione, capaci di assorbire in forte misura neutroni termici, rallentando così la reazione a catena a cui è affidato il funzionamento del reattore nucleare. d. In fisiopatologia, v. della fatica, lo stesso che ponogeno. 3. fig. a. Sentimento che cova internamente rodendo l’animo di chi ne soffre, o che tende insidiosamente a danneggiare chi ne è l’oggetto: il v. dell’odio, dell’invidia; il v. della gelosia; talora, il tormento della passione amorosa: Mentre al cor scendeva Quella dolcezza mista D’un secreto veleno (T. Tasso). Con accezione partic., non com., il v. dell’argomento, l’insidia o l’amara allusione nascosta in un’espressione, dal noto verso di Dante (Purg. XXXI, 75) Ben conobbi il velen de l’argomento. b. Più comunem., sentimento di livore e di forte avversione, astio, malanimo: è pieno di v. contro di noi; c’era del v. nelle sue parole; un articolo pieno di v.; penna intinta nel v., di scrittori malevoli; avere il v. in corpo, essere pieno di astio; sputare veleno, dire parole che esprimono profondo rancore; schizzare v. da tutti i pori; mangiare, masticare v., rodersi internamente per rabbia repressa o impotente.

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