Umóre

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umore


umóre (ant. omóre) s. m. [dal lat. humor o umor -oris, der. di (h)umere «essere umido»]. – 1. a. Sostanza liquida, acqua: il calor del sol che si fa vino, Giunto a l’omor che de la vite cola (Dante); Dalle cui labra [del fonte] un grato umor distilla (Poliziano); e scuote Lungo il picciol sentier da’ curvi rami Il rugiadoso umor che, quasi gemma, I nascenti del sol raggi rifrange (Parini). In questo senso è voce d’uso letter. o elevata, riferita di preferenza a liquido che stilla o si raccoglie in piccole gocce: sulle foglie si ferma l’u. della rugiada; trasudava dal tronco un u. rossiccio. b. Con partic. riferimento alla linfa delle piante: gli u. che le radici traggono dal terreno; o ai liquidi biologici presenti nel corpo di animali e soprattutto dell’uomo: i benedetti carboni spenti dall’omor di quel santissimo corpo (Boccaccio), del corpo di s. Lorenzo; un organismo in cui abbondano gli umori. Con quest’ultimo sign. il termine è piuttosto antiquato, tranne in alcune espressioni tecniche della medicina, designanti particolari sostanze liquide o semiliquide: u. acqueo, il liquido incolore che riempie le due «camere dell’occhio»; u. vitreo, la sostanza trasparente e gelatinosa contenuta nel corpo vitreo. 2. Nella dottrina medica fatta risalire a Ippocrate (5°-4° sec. a. C.), ma definita dalla scuola ippocratica soltanto nello scritto La natura dell’uomo (del 400 circa a. C.), di incerta attribuzione, e poi modificata da Galeno (2° sec. d. C.), ciascuno dei quattro fondamentali fluidi organici (sangue, flemma, bile gialla e bile nera, quest’ultima chiamata anche atrabile o umor nero) dai quali è retto l’organismo dell’uomo: nel loro equilibrio consiste la salute, e dal loro vario rapporto è determinato il temperamento (sanguigno, flemmatico, collerico, atrabiliare o malinconico), mentre dal prevalere eccessivo dell’uno sull’altro hanno origine gli stati morbosi. Di qui gli usi fig. del termine per indicare: a. L’indole, il carattere di una persona, sia come qualità costante (essere normalmente di u. allegro, lieto, scherzoso) sia, più spesso, come atteggiamento transitorio, soprattutto con riferimento a una particolare disposizione dell’animo: essere di buon u., di mal u. (v. anche buonumore e malumore), o di cattivo u., di pessimo u., di umor nero (in origine con riferimento preciso alla bile nera o atrabile); cose che fanno venire il cattivo u.; sentirsi di eccellente u.; avere improvvisi sbalzi o cambiamenti d’u.; quando perde al gioco, diventa di un u. terribile, impossibile; l’ha detto in un momento di buon u., di cattivo u.; un bell’u., persona faceta, un po’ bizzarra; ma fare il bell’umore, fare il gradasso, alzare la cresta: se Vagliensteino vorrà fare il bell’u., saprà ben lui farlo rigar diritto (Manzoni). b. Disposizione d’animo, tendenza, atteggiamento soggettivo e anche capriccioso o mutevole, nei confronti di determinati fatti: non sarebbe male, prima di fare la richiesta, conoscere l’u. o gli u. del direttore; capire gli u. del pubblico, della folla, dell’assemblea; e’ sono in ogni republica due u. diversi, quello del popolo e quello de’ grandi (Machiavelli). c. ant. o raro. Disposizione ostile, animosità, inimicizia: si dà onde sfogare a quegli omori che crescono nelle cittadi, in qualunque modo, contro a qualunque cittadino (Machiavelli). 3. non com. Per influsso dell’ingl. humour, quel particolare modo di cogliere il lato ridicolo, comico o anche soltanto divertente o assurdo della realtà e delle cose e di rilevarlo, che è proprio dell’umorismo: una commedia ricca o povera di umore; avere il senso dell’umore. ◆ Dim. umorétto, umorino, spec. per indicare un carattere difficile, un’indole bisbetica: ha un umoretto che te lo raccomando, la direttrice; che umorino!; pegg. umoràccio.