Ragióne

Vocabolario on line

ragione


ragióne s. f. [lat. ratio -onis (der. di ratus, part. pass. di reri «fissare, stabilire»), col sign. originario di «conto, conteggio»]. – 1. a. La facoltà di pensare, mettendo in rapporto i concetti e le loro enunciazioni, e insieme la facoltà che guida a ben giudicare, a discernere cioè il vero e il falso, il giusto e l’ingiusto, il bene e il male, alla quale si attribuisce il governo o il controllo dell’istinto, delle passioni, degli impulsi, ecc.; può equivalere a giudizio, discernimento, logica, ma ha sign. più ampio e generico e intonazione più familiare: il possesso della r. distingue l’uomo dagli animali; parlare, pensare, agire, comportarsi secondo r., o conforme a r.; bisogna vincere l’ira con la r.; convincere, persuadere con la forza della r.; perdere il lume della r., nell’ira, nel furore, ecc.; avere l’uso della r.; smarrire, perdere, riacquistare l’uso della r., o, semplicem., la r.; essere nell’età della r., avere superato l’infanzia (anche ironicam., a chi dimostra di farne poco uso). In contrapposizioni: la fede arriva dove non può arrivare la r.; làsciati guidare dalla r. e non dall’istinto; i peccator carnali, Che la ragion sommettono al talento (Dante); Cauta in me parla la ragion: ma il core, Ricco di vizj e di virtù, delira (Foscolo). b. Nel linguaggio filosofico, il termine, provenendo dal lat. ratio come traduzione (Cicerone, Lucrezio) del greco lògos (v.), ne mantiene il duplice significato di ragione e discorso, determinandosi in vario modo come la facoltà di conoscere attraverso la parola e il discorso piuttosto che mediante l’intuizione; a tale proposito, nel pensiero medievale, e in partic. in san Tommaso, è l’attività argomentante in qualche modo sottordinata alla conoscenza intuitiva propria dell’intelletto. Nel pensiero moderno, e in partic. nel razionalismo (v.), si precisa come la facoltà suprema del conoscere, come calcolo, come deduzione compiuta su termini universali a partire dai dati dell’intuizione, una volta che si sia individuata la matematica come il modello più perfezionato di metodo filosofico; nel pensiero kantiano, il termine, designando l’organo della legge morale, non condizionato da contenuti, torna a contrapporsi all’intelletto, inteso come organo della conoscenza sensibile; nel pensiero hegeliano, la ragione è la vera artefice del sapere assoluto in quanto, ricomprendendo l’intelletto, ne supera le astrazioni per giungere all’universale concreto. In partic., r. pura, quella che, secondo Leibniz, non ammette nel ragionamento definizioni che non siano conosciute a priori: Critica della r. pura (Kritik der reinen Vernunft, 1781) e Critica della r. pratica (Kritik der praktischen Vernunft, 1786), titolo delle principali opere di Immanuel Kant (1724-1804) nelle quali il filosofo tedesco tratta dell’uso teoretico o speculativo e, rispettivamente, dell’uso pratico o morale della ragion pura, occupandosi la «ragion pura teoretica» degli oggetti della conoscenza e la «ragion pura pratica» dei moti che determinano la volontà e quindi l’agire. Principio di r. sufficiente, principio formulato da G. W. Leibniz (1646-1716) in opposizione al principio di contraddizione: mentre quest’ultimo esprime, con riferimento a una concatenazione logica, la necessità (logica) del suo manifestarsi (pena la contraddizione, appunto), la ragion sufficiente, relativamente a una successione di fatti contingenti, esprime l’esigenza che ciascuno sia giustificato razionalmente una volta che sia ricondotto alla sua causa (necessità causale). c. Personificata: ascoltare la voce della r.; la retta r. vorrebbe che ...; il culto della dea Ragione, durante la rivoluzione francese, il tentativo (promosso tra il 1793 e il 1794 dai rivoluzionarî più radicali e anticlericali, ma poi soffocato da Robespierre) di sostituire la religione cristiana con la fede illuministica nella ragione umana onorata nei suoi rappresentanti (filosofi, benefattori, eroi civili). 2. a. ant. Discorso condotto secondo ragione; ragionamento, esposizione ragionata: Maestro, assai chiara procede La tua r., e assai ben distingue Questo baràtro (Dante). Talora, anche, discorso in genere: Ma tosto ruppe le dolci ragioni un alber che trovammo in mezza strada (Dante). Più particolarm. (dal provenz. razo), tema di un componimento poetico: Canzon, chi tua ragion chiamasse obscura ... (Petrarca); e anche l’esposizione prosastica che può precedere una poesia: propuosi di dire uno sonetto, ne lo quale io parlasse a lei, e conchiudesse in esso tutto ciò che narrato è in questa r. (Dante). Ragionamento significa anche nella locuz. pigra r., con cui si traduce talora il lat. ignava ratio, meglio noto come pigro sofisma (v. pigro). b. Argomentazione o dimostrazione, prova o argomento, di cui ci si vale in un ragionamento per persuadere, difendersi o difendere, confutare: lascia che dica le mie r. e ti persuaderai; prima di decidere, devi ascoltare le sue r.; le r. che porta non sono convincenti; prima con vere r. difender la fama mia e poi con fatti (Boccaccio); esporre, proclamare (fam. cantare) le proprie r.; r. chiare, lampanti, insussistenti, magre, futili, sciocche, avventate, infondate; è inutile discutere con lui, non sente, non intende ragione (o ragioni), non vuole ascoltare consigli, preghiere, argomenti, prove, tanto è ostinato nella sua idea o nel suo sentimento; e in frasi fig.: il cuore, lo stomaco non intende ragioni. Frequente la locuz. a ragion veduta, considerati tutti i punti di vista, gli aspetti della questione, dopo esauriente riflessione: mi son deciso a ragion veduta; per estens., di proposito, intenzionalmente, con piena consapevolezza: l’ho fatto a ragion veduta. 3. a. Il fondamento oggettivo e intelligibile di qualche cosa, ciò per cui una cosa è o per cui una cosa si fa; e quindi causa, motivo legittimo, che spiega o giustifica un fatto: avevo le mie buone r. per agire così; se ti è antipatico, non è una buona r. per parlarne male; non mi pare una r. sufficiente; questa non è una r. seria; nessuno ha capito la vera r. del suo rifiuto; avevo dunque r. di stare in guardia; i tuoi timori non hanno ragion d’essere, non sono giustificati; addurre, portare delle buone r., delle r. valide, ottime; ha chiesto un congedo per ragioni di famiglia, di salute; parlare, agire per ragioni di opportunità; cambia idea da un momento all’altro senza una r. al mondo; sono stato indotto a rinunciare da r. strettamente personali; per l’identica r., per il medesimo motivo. In frasi fam.: non ci vado per la semplice (o più efficacem. per la semplicissima) r. che non ne ho voglia; interrogando sul motivo di un comportamento: e la r.?; e la r., se è lecito?, se ne può saper la r.?; frequente la locuz. ragion per cui, con valore di congiunzione conclusiva («e perciò»): sei uno sciocco, ragion per cui non voglio discutere con te. Farsi una r. di qualche cosa, dolorosa o spiacevole, rassegnarsi ad accettarla come un fatto, dominando il dolore o il disappunto con la riflessione, riconoscendone l’inevitabilità: ha pianto per molto tempo il marito morto, ma ormai se ne è fatta una r.; con sign. simile, darsi r., convincersi, persuadersi: datevi r. che le cose sono così e non possono mutare. Talvolta al senso di causa si mescola quello di origine: vorrei saper la r. del suo risentimento; non è facile capire le r. di certi fatti economici; più esplicitamente, le r. ultime delle cose, le cause prime, i principî originarî; ultima r. (cfr. lat. ultima ratio), anche nel senso di ultima soluzione, estrema risorsa. b. In alcune locuz. significa, più particolarm., giusto motivo, giusta causa: a r., con r., per un giusto motivo, quindi giustamente, opportunamente: fu rimproverato a r.; a r. lo hanno cacciato dall’impiego; è con r., con piena r., che abbiamo opposto un rifiuto; a maggior r., a più forte r. (calco dell’espressione fr. à plus forte raison), tanto più: se è vero che tuo padre è malato, a più forte r. dovresti comportarti bene per non affliggerlo; meno com., nello stesso senso, di r., che compare oggi quasi esclusivam. nella locuz. avv. di santa r., propriam. com’è o com’era giusto, ma intesa di solito col senso di assai, grandemente, abbondantemente: lo picchiarono di santa r.; piove di santa ragione. Al contrario, senza r., senza alcun motivo giusto o plausibile: se l’è presa con me senza r. (più efficacem., senza una r. al mondo). Più com. in altre frasi: se taccio ho le mie r.; avrà le sue buone r. di non volerlo vedere; se ti ha fatto chiamare, ci sarà la sua r.; non c’è r., non vedo r. (anche, non c’è o non vedo nessuna r.) di prendersela tanto. Ormai ant. le locuz. è ragione, è di ragione, è giusto (con proposizione soggettiva o come inciso): Ragion è ben ch’alcuna volta io canti (Petrarca); sarìa di r. che tu provvedessi in modo che eglino fossero felici per necessità (Leopardi). 4. a. Diritto (soggettivo), in senso generico e non tecnico: far valere le proprie r., obbligare altri a riconoscere i nostri diritti, con la persuasione, con la forza, o ricorrendo alla giustizia: farò valere le mie r. in tribunale. In alcuni casi, ha sign. più vicino a esigenza: le r. della scienza, dell’arte, della critica; per r. metriche; le r. del cuore contano più che gli interessi pratici; in partic., ragion di stato, espressione affermatasi, verso la metà del Cinquecento, nella teoria e nella prassi politica per designare l’interesse dello stato (soprattutto in quanto rivolto alla propria conservazione), considerato come unico criterio di valutazione e azione politica, e al quale pertanto andrebbero sacrificati o almeno subordinati, perché estranei, i principî della morale. In altri casi (non com.), si avvicina a spettanza, competenza: è di sua r. interessarsi a questi problemi; non chiamarmi in discussione, non sono cose di mia ragione. Ant., avere r. in (o sopra) una persona o cosa, avere su essa qualche autorità, avere il diritto di dominio, di proprietà: che il primo signore niuna r. avesse più nel suo servidore (Boccaccio); quindi, cedere le proprie r. su una cosa, i proprî diritti. In senso estens., sono com. le locuzioni a chi di r., a chi ha il diritto di saperlo (e il dovere di provvedere in merito): riferirò io il fatto a chi di r.; aver r. di qualcuno, propriam. far valere il proprio diritto su di lui, e quindi vincerlo, imporsi a lui (anche con la forza): la battaglia fu dura, ma alla fine i nostri ebbero r. dei nemici; con la sua robustezza e agilità, ebbe presto r. dell’avversario; con la pazienza avrò r. della sua ostinazione; fare, rendere di pubblica r. libri, scritti, notizie, divulgarli fra chi ha il diritto di conoscerli, giudicarli, criticarli, e quindi, in genere, diffondere, far conoscere; analogam., il fatto è ormai di pubblica r., è noto a tutti, non è più un segreto. b. In contrapp. a torto, il buon diritto, cioè il giusto nell’agire, il vero o il giusto nel pensare, nell’affermare, nel discutere, nel giudicare: la r. e il torto non si possono dividere con un taglio netto; essere dalla parte della r., o, più com., aver r. (contrapposti a essere dalla parte del torto, aver torto), essere nel proprio buon diritto, o, secondo i casi, dire il vero o il giusto, agire giustamente, comportarsi secondo le regole, ecc.: quasi a una voce tutti gridarono la donna aver r. e dir bene (Boccaccio); in quella questione avevo r. io; è difficile stabilire chi ha r.; gli hai risposto male, ma aveva r. lui; è così prepotente che vuole sempre aver r.; avere cento, mille ragioni, mille volte ragione, ragioni da vendere; chi più urla, ha più r., prov., è più facile farsi valere con le maniere forti. Molto frequente anche la locuz. dar r. (in contrapposizione a dar torto), riconoscere il buon diritto di qualcuno, riconoscere che ha detto la verità o che si è comportato bene: dopo tante discussioni hanno finito per darmi r.; non sempre vien data r. a chi la merita; se non gli si dà sempre r., si arrabbia; i fatti mi hanno dato r., hanno confermato le mie previsioni; ora nessuno gli crede, ma il tempo gli darà r., proverà la giustezza delle sue affermazioni. c. Nel linguaggio giur. ant., diritto, nel senso oggettivo di complesso di norme giuridiche: ragion civile, canonica, criminale, diritto civile, canonico, criminale; r. delle genti, diritto delle genti. Anche, la giustizia resa dai tribunali o da altri organi giudicanti: amministrare la r., tenere r., amministrare la giustizia: un giudice ... che ..., sedendo al banco, teneva r. (Boccaccio); sala, banco della r. (anche assol. la r.), del luogo dove si amministrava la giustizia; andare alla r., in tribunale, dal giudice: El messer se ne voleva Pure andare alla r. (Poliziano). Palazzo della R., in varie città, il palazzo dove nel medioevo si rendeva giustizia (celebre tra gli altri il palazzo, o sala, della Ragione di Padova, iniziato nel 1219, e quello di Vicenza, rifatto nel 1549, mantenendo la preesistente sala gotica, su progetto di Andrea Palladio). L’antico sign. si conserva nelle locuz. far r. a qualcuno, rendergli giustizia, e, più com., farsi r. da sé, farsi giustizia da solo, senza ricorrere alla legge, all’autorità giudiziaria (concetto espresso anche con la frase, più tecnica, esercizio arbitrario delle proprie ragioni). Nel linguaggio giur. (anche moderno, soprattutto in storia del diritto), ragion fàttasi, espressione usata per indicare ogni forma di difesa privata dei proprî diritti, e cioè il farsi giustizia da sé senza ricorrere all’autorità pubblica. 5. ant. Calcolo, conto: far la r., fare una r., fare i conti, un conto: la commendò meglio saper ... leggere e scrivere e fare una r. che se un mercatante fosse (Boccaccio); fig., fare r., fare conto, stimare, pensare: E fa ragion ch’io ti sia sempre allato (Dante). In altre locuz.: rivedere la r., rivedere i conti; domandare r., chiedere conto; rendere r., rendere conto: Quivi mi misi a far baratteria, Di ch’io rendo r. in questo caldo (Dante); le due ultime locuz. sono comuni anche oggi: domandare o chiedere r. a qualcuno di qualche cosa, domandargli spiegazione o chiedergli soddisfazione (d’un suo comportamento, di un’offesa, ecc.); render r., rispondere personalmente, giustificare: dovrai render r. della tua amministrazione, del tuo operato (con altro senso, rendersi r. di qualche cosa, riuscire a capirne il processo o il motivo, spiegarsi un fatto, capacitarsene: non mi rendo r. di come sia successo; cerco di rendermi r. del suo comportaniento). Con uso scherz., chiedere conto e ragione, chiedere spiegazioni sull’operato altrui. Anticam., anche partita (in senso contabile); quindi, dannare la r., cancellare una partita: li dugento fiorin d’oro che l’altrier mi prestasti, non m’ebber luogo ... e per ciò dannerai la mia r. (Boccaccio). 6. a. In matematica, il termine è usato soprattutto nelle espressioni r. di una progressione aritmetica e r. di una progressione geometrica, numero esprimente la differenza e, rispettivamente, il rapporto costante tra ciascun termine e il precedente. Appartengono alla matematica anche le locuz. in r. diretta, in r. inversa, con riferimento a variazioni direttamente o inversamente proporzionali; frequenti anche nel linguaggio com., con sign. analogo: spesso, l’enfasi oratoria è in r. diretta alla povertà delle idee (quanto maggiore è la seconda, tanto cresce la prima); talvolta, il valore di un oggetto è in r. inversa alla sua reale utilità. In economia, r. di scambio, il rapporto secondo il quale due beni si scambiano tra loro, il numero delle unità o frazioni di unità di un bene che si cedono per ottenere un’unità di un altro bene e quindi il prezzo relativo dei due beni; r. di scambio internazionale, il rapporto tra la domanda di prodotti nazionali di un paese da parte dell’estero e la domanda di prodotti esteri da parte dello stesso paese, le cui variazioni risultano dalle variazioni dei prezzi dei beni esportati e di quelli importati misurate da numeri indici. b. Nel linguaggio economico-finanz., sinon. di saggio o tasso d’interesse e di sconto: capitale impiegato alla r. del 6%. In partic., in finanza, r. di una rendita perpetua dello stato, la proporzione tra la rendita stessa e il capitale nominale. c. Nell’uso com., in ragione di, sulla base di, nel rapporto di: il compenso per la collaborazione è stabilito in r. di quaranta euro a cartella; la mole della polenta era in r. dell’annata, e non del numero e della buona voglia dei commensali (Manzoni). 7. ant. a. Specie, qualità: Quivi vivande è di molte ragioni (Pulci). Rimane nella locuz. pop. tosc. d’ogni r., d’ogni specie, d’ogni genere: animali d’ogni r.; ha dovuto sopportare sofferenze d’ogni ragione. b. Modo, maniera, o via per raggiungere uno scopo (cfr. i sign. ant. di argomento): vederete ... in che modi si multiplichi la famiglia, con che arti diventi fortunata e beata, con che ragioni s’aquisti grazia (L. B. Alberti). 8. R. sociale (dal fr. raison sociale), il nome commerciale sotto il quale agisce una società in accomandita semplice o in nome collettivo: è costituito dal nome di uno o più soci (anche receduti dal vincolo contrattuale oppure defunti, purché vi sia il loro consenso nel primo caso, o rispettivam. quello degli eredi del defunto) e dall’indicazione del rapporto sociale vigente tra essi: si distingue dalla ditta, che corrisponde al nome sotto il quale l’imprenditore (come soggetto singolo) esercita la sua attività e dalla denominazione sociale, che è il nome delle società per azioni (e che non deve necessariamente contenere l’indicazione del nome di uno dei soci). L’uso esclusivo della r. sociale è tutelato dalla legge, se debitamente registrato.

CATEGORIE