Plèbe

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plebe


plèbe s. f. [dal lat. plebs plebis]. – 1. Propriam., parte della popolazione dell’antica Roma, formata da piccoli proprietarî, artigiani, trafficanti, nullatenenti, ecc., che inizialmente non godeva di tutti i diritti politici (dei quali era invece investito il patriziato) e che durante gran parte della storia di Roma repubblicana sostenne lotte durissime con la nobiltà per conseguire la parità giuridica: la secessione della p.; il tribunato, i rappresentanti della plebe. 2. a. Nell’uso letter., più genericam., il popolo, contrapposto alla nobiltà: La spada di Medoro anco non ebe [non è debole, ottusa]; Ma si sdegna ferir l’ignobil plebe (Ariosto); un giorno è fama Che fur gli uomini eguali, e ignoti nomi Fur plebe e nobiltade (Parini). b. In tono spreg. o polemico, e in contesti ormai non più attuali, il termine indica la parte del popolo più arretrata dal punto di vista culturale, sociale ed economico: aizzare, sobillare la p.; cercare il favore della p.; Anime prodi, Ai tetti vostri inonorata, immonda Plebe successe (Leopardi). c. In senso fig., poet., moltitudine: Oh sovra tutte mal creata plebe (Dante, riferendosi alla moltitudine dei dannati); in partic., una moltitudine meno qualificata o più umile: con una ironia, un brio pieno di sale a scherno della stupida p. letterata (F. De Sanctis); dalla p. almanaccante e vociferante di certi critici (Soffici); anche di animali: l’inferma plebe Agiterà delle minori belve (Leopardi); e più raram. di piante: sopra minute plebi di arbusti salgono abeti a glorificarsi presso le nuvole (Fogazzaro). ◆ Pegg. plebàccia.