negativo agg. [dal lat. tardo negativus, der. di negare «negare, dire di no»]. – 1. a. Che nega, che serve a negare, che esprime una negazione (è, in questo senso, il contr. di affermativo), spec. nella locuz. risposta n., di chi risponde di no a una domanda, o di chi non consente a una richiesta: dare, opporre una risposta n., e analogam. essere di parere, o esprimere un parere, n.; anche come s. f.: restare, tenersi sulla n. (v. negativa, nel sign. 1 a); raramente riferito a persona: mantenersi negativo, tenersi sulla negativa. In grammatica, particella n., la particella no; avverbî n., gli avverbî non, né; proposizione n., quella il cui verbo è accompagnato da una negazione. b. Nella logica, giudizio n., quello che si esprime con una proposizione negativa, sia universale (per es.: «nessun uomo è immortale»), sia particolare (per es.: «c’è qualche uomo che non è giusto»); argomento n., quello che si fonda non sulla prova diretta della verità che si vuole dimostrare, ma sulla negazione di ciò che è ad essa contrario. c. Teologia n. (o apofatica), la teologia che, insistendo sul carattere assolutamente diverso e trascendente del primo principio (l’Uno o Dio), posto al di là dell’essere e del conoscere, costruisce il suo discorso su Dio secondo la progressiva negazione di tutti gli attributi del finito, di ogni determinazione dell’essere e quindi anche di tutte le categorie logiche: in tale prospettiva l’Uno o Dio si può definire piuttosto come non essere, sottratto a ogni positiva predicazione, inconoscibile e indicibile, e – al di là dello stesso principio di non contraddizione – sarà oggetto di un rapporto unitivo con il quale la mente supera il finito e le distinzioni cogliendo piuttosto l’Uno o Dio come coincidenza degli opposti in una «tenebra luminosa» o «dotta ignoranza». La teologia negativa, di origine neoplatonica, si afferma pienamente nella riflessione cristiana con lo Pseudo-Dionigi l’Areopagita (5°-6° sec. d.C.). 2. Contrapposto a positivo, con accezioni varie: a. Che nega il valore, la validità (o più genericam. la bontà, l’utilità, la possibilità di riuscita, ecc.) di qualche cosa: dare, esprimere un giudizio n. (su una prova, un’opera, un lavoro fatto, un’iniziativa o un progetto, ecc.), una critica n. (ma, una critica esclusivamente n., non costruttiva, che non reca contributi per un cambiamento in meglio). b. Che ha azione contraria a quella che si potrebbe desiderare, non utile quindi, anzi dannosa allo scopo: queste sono tutte qualità n. per l’attività che dovrà svolgere; ha visto soltanto i lati n. della faccenda, gli svantaggi; agire in senso n., sfavorevolmente. c. Più semplicem., di cosa che non ha l’effetto desiderato o previsto: esito, risultato n.; anche di vaccinazione o sim. che non produce la prevista reazione. Con sign. analogo, nel linguaggio medico, di responso diagnostico che non conferma il sospetto formulato, e va quindi inteso in senso benigno, favorevole cioè al soggetto esaminato: le analisi hanno dato esito n.; esame radiologico, batteriologico, sierologico n.; reazione di Wassermann n. (e com. Wassermann negativa), nella diagnosi della sifilide. Per estens., siero-negativo, riferito a soggetto che, a un particolare esame sierologico, ottiene responso negativo. 3. Sempre contrapp. a positivo, in locuz. specifiche: a. In batteriologia, di specie batterica, detta gram-negativa, che non trattiene la colorazione di Gram (per es., salmonelle, protei, ecc.): v. gram-. b. In chimica: catalizzatore n., quello che ritarda l’effettuarsi di una reazione; elementi n., denominazione data in passato a quegli elementi che tendono a formare facilmente idracidi, e sono quindi capaci di dare poi ioni negativi (cloro, iodio, fluoro, bromo, ecc.); elettrodo n., il catodo; ione n., uno ione che porta una o più cariche negative, cioè l’anione; radicale n., che porta una o più cariche negative, detto anche radicale acido perché può derivare da un acido per perdita di uno o più protoni. c. In elettrologia, fin dall’antico si riconobbe come elettricità n. quella propria dell’ambra e di altre resine strofinate (per cui si parlò anche di elettricità resinosa), nettamente diversa da quella tipica del vetro e di altre sostanze affini strofinate (elettricità positiva o vitrea); molto più tardi (verso la fine del 19° sec.) l’elettricità negativa fu riconosciuta come propria degli elettroni dell’atomo (l’elettricità negativa dell’elettrone è stata anzi assunta come carica elettrica elementare, di cui ogni altra carica è multipla intera), mentre quella positiva fu riconosciuta come propria dei nuclei degli atomi (o più esattamente, dei protoni in essi presenti); oltre che cariche elettriche n. e positive (in partic.,