Ministèro

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ministero


ministèro (ant. ministèrio) s. m. [dal lat. ministerium «servizio, ufficio, carica, impiego» (der. di minister: v. ministro); cfr. mestiere]. – 1. Anticamente (con i sign. che la parola aveva già in latino), servizio, prestazione di servizio (nella condizione di servitore o di subalterno in genere); incarico o funzione particolare; impiego, mestiere. Anche, ufficio, incarico in genere: poi che ’l gran Padre del cielo A tanto ministerio ti prepose Di correggere i venti e turbar l’onde (Caro); o l’incombenza, il compito, l’attività che sono inerenti all’ufficio, alla carica di cui una persona è investita: avreste prestato a quegli innocenti infelici il ministero che avevan ragione di chieder da voi? (Manzoni: parole che il cardinal Federigo rivolge a don Abbondio); o, infine, l’attività di sovrintendere al buon andamento: Maria, ... a’ piedi di Cristo sedendo, nulla cura del ministerio de la casa mostrava (Dante). Di qui anche il sign. originario di m. pubblico (propr. «ufficio pubblico»), passato poi a indicare, nella forma pubblico ministero, il rappresentante del potere esecutivo presso l’autorità giudiziaria, che esercita l’azione penale (v. oltre). 2. letter. Ufficio alto e nobile, assunto per vocazione e inteso come dovere, come apostolato, come missione: il m. dell’educazione dei giovani; compiere un m. di pace, di civiltà; il m. dell’arte, della poesia. In partic., con riferimento al sacerdozio, alla cura spirituale delle anime: il sacro m., il m. sacerdotale, ecclesiastico, apostolico; il m. dell’altare; il m. episcopale; anche assol.: le fatiche del m.; adempiere ai doveri del m.; esercitare santamente il proprio m., ecc.; quando vi siete presentato alla Chiesa ... per addossarvi codesto ministero, v’ha essa fatto sicurtà della vita? (Manzoni). Con sign. più specifico, nell’attuale gerarchia ecclesiastica, denominazione con cui vengono indicati, dopo la riforma del 1972, i due gradi inferiori dell’ordine sacro, precedentemente inclusi tra gli ordini minori, cioè l’accolitato e il lettorato. 3. a. In senso lato, il complesso degli organi di governo di una nazione, che si diceva anche, comunem., gabinetto: era composto del presidente del Consiglio (da cui spesso prende nome; per es., il m. Crispi, il m. Giolitti, il m. De Gasperi, ecc.) e dei ministri, che costituivano insieme il Consiglio dei ministri: comporre, sciogliere il m.; crisi di m.; la formazione del nuovo m.; m. forte, debole. Con riferimento alla particolare costituzione, alla formula adottata, all’orientamento politico-sociale: m. monocolore, costituito con rappresentanti di un solo partito; m. quadripartito, pentapartito; m. socialista, liberale, democristiano, radicale, progressista, reazionario; m. d’affari, senza una precisa colorazione politica, con il prevalente compito della normale amministrazione della cosa pubblica. b. In senso stretto, ciascuno dei settori fondamentali (detto anche, in determinate frasi, dicastero o portafoglio) nei quali è suddivisa in Italia l’amministrazione dello stato e ai quali sono singolarmente preposti i ministri: il m. degli Interni (propr. dell’Interno), degli Esteri (propr. degli Affari Esteri), della Pubblica Istruzione, della Giustizia, del Tesoro (in pass. anche delle Finanze e del Bilancio), della Famiglia, delle Pari Opportunità, dei Lavori Pubblici, ecc.; ministeri-chiave, quelli ritenuti di maggiore peso politico ed economico; la direzione generale, le divisioni, le sezioni di un ministero. Anche, l’ufficio, la dignità di ministro: assumere, deporre il m.; rinunciare al ministero. Oppure il complesso degli uffici che esplicano le varie attività burocratiche e amministrative del dicastero: gli impiegati, gli uscieri del m.; far domanda al ministero. Con sign. concr., l’edificio in cui hanno sede tali uffici: andare al ministero. 4. Pubblico ministero: storicamente il rappresentante del potere esecutivo davanti all’autorità giudiziaria; nell’ordinamento italiano è invece un magistrato facente parte dell’ordine giudiziario che, in posizione autonoma e indipendente da ogni altro potere (anche se in parte differenziata da quella del giudice) è il rappresentante dell’interesse pubblico davanti all’autorità giudiziaria, con attribuzioni in materia civile (cause matrimoniali, stato e capacità delle persone, diritto minorile) e, particolarmente importanti, in materia penale: ha l’obbligo, quando viene a conoscenza di un reato, di iniziare l’azione penale e di esercitarla e rappresenta la pubblica accusa nel giudizio.