Mètodo

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metodo


mètodo s. m. [dal lat. methŏdus f., gr. μέϑοδος f., «ricerca, indagine, investigazione», e anche «il modo della ricerca», comp. di μετα- che include qui l’idea del perseguire, del tener dietro, e ὁδός «via», quindi, letteralmente «l’andar dietro; via per giungere a un determinato luogo o scopo»]. – 1. In genere, il modo, la via, il procedimento seguito nel perseguire uno scopo, nello svolgere una qualsiasi attività, secondo un ordine e un piano prestabiliti in vista del fine che s’intende raggiungere: m. d’indagine, di studio, di lavorazione, di coltivazione; applicare, seguire un m.; formarsi un m. proprio; un buon m., un cattivo m.; un m. giusto, sbagliato. Talora indica più esplicitamente l’ordine, e anche la regolarità costante con cui si procede: lavorare, studiare, operare con m.; avere, non avere metodo; oppure, quando non si faccia riferimento a specifici settori culturali o di ricerca (m. filosofico, matematico, storico, ecc.), precisa regole e tecniche particolari che presiedono a certi procedimenti (così, per es., in filosofia, m. analitico, sintetico, sillogistico, deduttivo, o ancora m. dialettico, m. fenomenologico, ecc. (per i quali si deve necessariamente rinviare alle diverse concezioni filosofiche cui ciascun metodo è legato: dialettica, fenomenologia, ecc.). Con sign. più particolari: a. Nella storia del pensiero filosofico e scientifico, ogni procedimento inteso a raggiungere una conoscenza certa, dotata comunque di significato, e, soprattutto nel caso della filosofia, vera: m. dialogico (o socratico, o maieutico), il metodo che, avvalendosi dell’incalzare di domande, spinge l’interlocutore a chiarificare quanto più è possibile il significato dei concetti usati e, soprattutto, ad evitare l’errore consistente nell’accettazione inconsapevole di pregiudizî; m. geometrico, quello che, a partire dal modello offerto dalla geometria di Euclide, procede da assiomi e definizioni alla costruzione e dimostrazione di teoremi, cui possono far seguito varî corollarî; m. ipotetico-deduttivo, quello che, partendo da affermazioni razionali (assiomi), ne ricava conseguenze più specifiche e non contraddittorie (e se queste sono confrontabili con l’esperienza, si parla di m. sperimentale, che comprende anche l’attività di costruzione delle apparecchiature e di progettazione delle modalità di sperimentazione); m. cartesiano, esposto da R. Cartesio nel Discorso sul metodo (1637), il quale, avendo come presupposto il dubbio, che induce a rifiutare ogni conoscenza presentatasi come controvertibile (dubbio metodico: v. metodico), assume come regole «per ben condurre la propria ragione a cercare la verità nelle scienze» l’evidenza (accogliere solo le conoscenze chiare e distinte), la scomposizione (per giungere agli elementi semplici e primi nell’ordine del conoscere), l’ordine (dal semplice al complesso), l’enumerazione completa. b. Nella scienza contemporanea s’intende correntemente per m. scientifico l’insieme di norme, direttive e convenzioni seguite nell’impostazione e nella conduzione della ricerca, in base a criterî generali di razionalità e obiettività che garantiscano non solo la significatività e la comunicabilità dei processi di acquisizione teorica, ma anche la riproducibilità e la verificabilità delle osservazioni su cui tali processi si basano. Tra i metodi scientifici si possono distinguere: m. descrittivi, tipici del naturalismo antico e medievale, ma riproposti in diverse discipline in tempi successivi, che si limitano a fornire una descrizione dettagliata dell’oggetto d’indagine in base all’osservazione, diretta o indiretta, delle sue proprietà empiriche in condizioni naturali; un m. razionale, tipico per es. della matematica, che si propone come mezzo per consentire alla ragione umana la conoscenza, la definizione e la trattazione di enti e principî universali con le loro implicazioni logiche e teoretiche; un m. sperimentale, che si basa su interventi intesi a riprodurre, in modo opportunamente semplificato e mediante l’uso di apparati appositamente progettati e realizzati, le condizioni in cui si verificano determinati fenomeni al fine di sottoporre a controllo (confermandole o confutandole) le previsioni teoriche: esempî di metodo sperimentale sono i m. di osservazione e misura, cioè le procedure di elaborazione (per lo più statistica) dei dati raccolti nella misurazione di determinate grandezze al fine di stabilirne il valore più probabile con il relativo intervallo di indeterminazione (o errore di misura). Sono metodi descrittivi: il m. morfologico, consistente nella semplice rilevazione e registrazione delle forme degli oggetti esaminati; il m. classificatorio, che può includere il precedente e che ha lo scopo di riunire in categorie (specie, generi, famiglie, ecc.) più individui che rivelano caratteristiche simili (morfologiche, strutturali, o, nel caso della botanica e della zoologia, anche genetiche) per giungere alla determinazione di un ordine gerarchico costituito da una successione di categorie sempre più ampie e generali; i m. statistici, che presuppongono la misurazione di aspetti quantitativi degli elementi analizzati e che, mediante opportuni strumenti matematici (statistica e calcolo delle probabilità), si propongono di rilevare regolarità e leggi in fenomeni di massa apparentemente caotici. Con riferimento agli strumenti matematici usati nella ricerca scientifica: m. analitico, quello che si traduce in un procedimento di calcolo; m. sintetico, quello che si basa su una catena di deduzioni logiche a partire dalle proprietà caratteristiche degli enti in esame; m. costruttivo, quello che offre un procedimento atto non solo ad affermare l’esistenza di una o più soluzioni di un problema, ma a determinarle attraverso successivi passaggi (calcoli, costruzioni geometriche). c. Specificato da attributi, o da complementi, il termine indica un procedimento generale atto a risolvere una classe di problemi particolari (m. dei minimi quadrati, m. di sostituzione in algebra; m. di compensazione in metrologia, ecc.) o anche un procedimento particolare per la risoluzione di un determinato problema (m. di Cramer per la risoluzione di un sistema di equazioni lineari; m. di Foucault per la misurazione della velocità della luce, ecc.). Esistono inoltre metodi applicabili a una classe definita di questioni: per es., nella teoria dei sistemi di equazioni lineari, il m. di sostituzione, di eliminazione e di confronto. Nel calcolo numerico, m. iterativo, particolare metodo di approssimazione successiva (v. approssimazione) basato sulla ripetuta applicazione di un algoritmo che, a partire da una soluzione approssimata del problema, dia come risultato finale una migliore approssimazione. Nel calcolo delle probabilità, m. Monte Carlo (dal nome della città monegasca, sede di un casinò famoso per il gioco della roulette), metodo per l’analisi di un processo stocastico mediante la sua simulazione, affermatosi con lo sviluppo dei calcolatori elettronici e basato sulla possibilità di generare sequenze di numeri pseudo-casuali con le quali riprodurre opportunamente la successione casuale degli eventi elementari che costituiscono il processo in questione; m. Delfi (dal nome della località della Focide, celebre per l’oracolo di Apollo), metodo basato su successive opzioni tra un’ipotesi positiva e una negativa. d. In contabilità, procedimento seguito per l’esecuzione di un calcolo o per la tenuta di un conto: metodi di appuramento di un conto corrente, i procedimenti seguiti per il calcolo degli interessi da capitalizzare periodicamente a debito o a credito del titolare del conto; m. di scrittura, procedimento di compilazione delle scritture, secondo date modalità, quali sono il m. a partita semplice e il m. a partita doppia. e. Particolare sistema di norme per l’insegnamento; tecnica del modo d’insegnare e di educare: m. fröbeliano; m. Montessori o montessoriano; m. pratico; m. globale; insegnante che ha o non ha metodo. Scuole di metodo, nell’ordinamento dell’istruzione elementare dato al Lombardo-Veneto dall’Austria, scuole annesse ad alcune delle maggiori scuole elementari allo scopo di preparare i maestri; scuole di m. per l’educazione materna, o scuole di m. per le educatrici dell’infanzia, di durata triennale, istituite in Italia con la riforma Gentile (1923), per l’addestramento delle maestre del grado preparatorio. Anche con riferimento a determinate discipline, come per es. il m. Berlitz, per l’apprendimento delle lingue straniere, che prende nome dal pedagogista amer. M. D. Berlitz (1852-1921). Analogam., nell’educazione fisica, m. svedese, pratica della ginnastica sulla base di esercizî a corpo libero o sugli attrezzi leggeri, secondo i principî della scuola svedese di P. H. Ling (1776-1839). f. Talora equivale a metodologia: questioni, problemi di metodo. 2. Libro in cui gli elementi per lo studio di un’arte, di una scienza, di una lingua, ecc., sono esposti, soprattutto sotto forma di esercizî, graduando le difficoltà in modo da renderne facile l’apprendimento: m. di solfeggio, di canto, di fisarmonica (o per fisarmonica), di disegno, di calligrafia. Anche come titolo dell’opera: M. di pianoforte; Nuovo m. di lingua inglese. 3. Per estens., in molti casi la parola indica più semplicem. il procedimento, il modo con cui si cerca di raggiungere uno scopo, senza l’idea d’un ordine e d’una correlazione tra più atti o fasi o momenti; così in espressioni come m. di cura o curativo o terapeutico; m. di misurazione, di pulitura, ecc.; ho un ottimo m. per convincerlo, per farlo star buono; conosco un m. infallibile per non essere disturbato; un buon m. per far quattrini; m. fiscali, polizieschi. Più genericam., modo d’agire, di comportarsi: che m. sono questi?; il tuo m. mi piace poco; soprattutto se abituale in una persona: conosco i suoi m.; è il suo solito metodo. M. di vita, il modo con cui è regolata da ciascuno la propria vita pratica, con riguardo alla distribuzione delle varie attività nella giornata, alle occupazioni preferite, alle abitudini nel cibo, nel riposo, ecc. (si dice anche sistema di vita, e sistema è usato spesso invece di metodo anche in altre frasi citate precedentemente, senza sostanziale diversità di significato). 4. Nel gioco del calcio, disposizione tattica dei giocatori in campo, attuata a scopi prevalentemente difensivi, detta anche «a W» poiché prevedeva i due terzini davanti al portiere, liberi da rigidi compiti di marcatura, i due mediani sulle ali avversarie, un centromediano con funzioni di interdizione e raccordo, le due mezzeali a centrocampo e tre punte fisse. Diffusa negli anni Venti e Trenta e praticata dalla nazionale italiana campione del mondo nel 1934, venne gradatamente soppiantata dal sistema.