Malattìa

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malattia


malattìa s. f. [der. di malato1]. – 1. a. Condizione abnorme e insolita di un organismo vivente, animale o vegetale, caratterizzata da disturbi funzionali, da alterazioni o lesioni – osservabili o presumibili, locali o generali – e, nel caso di animali a elevata organizzazione nervosa, da comportamenti inconsueti riconducibili a sofferenza psicofisica (nel caso specifico dell’uomo si considera la mutata percezione dello stato del proprio corpo, o cenestesi, che può assumere l’intensità dell’allarme da pericolo per la sopravvivenza); in senso più strettamente fisiopatologico, si intende per malattia un’alterazione transitoria e reversibile (almeno entro limiti che consentono di sopravvivere a soggetti non più capaci di guarire, quali anziani, lungodegenti, affetti da malattie terminali) concernente quei processi fisico-chimici, detti omeostatici, attraverso i quali l’organismo preserva la propria individualità in equilibrio dinamico con l’ambiente, e il cui fattore scatenante può essere occasionale, ambientale o interno all’organismo, nonché di natura fisica, chimica, organica, ereditaria o psicosomatica (la reversibilità, almeno parziale, e la transitorietà della malattia si precisano in contrapp. allo stato patologico che risulta invece irreversibile). Fraseologia più comune: prendersi, buscarsi una m.; curare, combattere, vincere la m.; guarire da una m.; la m. si manifesta, raggiunge l’acme, si risolve; essere assente, in congedo, in aspettativa per m.; m. grave, incurabile, mortale; la m. del secolo, locuz. con la quale si sono enfaticamente designate malattie che, per i loro effetti, per la loro diffusione e per la loro gravità, amplificati talvolta dalla letteratura e dalla pubblicistica, sono state ritenute caratteristiche di una data epoca, come la tisi nell’Ottocento e, nel Novecento, il cancro e, più recentemente, l’AIDS. In partic., in relazione alle cause e alle caratteristiche cliniche: m. infettive (da batterî, da rickettsie, da virus), parassitarie (da agenti chimici, da agenti fisici); m. acute, croniche; m. acquisite, ereditarie, congenite, connatali; m. terminale, quella che, attraverso un lungo decorso, con alternanze di remissioni e di aggravamenti, è destinata a concludersi con la morte del paziente. In relazione agli organi e alle funzioni che ne sono colpiti: m. della pelle, degli occhi, del sistema nervoso, dell’apparato digerente; m. mentali (v. mentale1, n. 1 a); e dal punto di vista sociale: m. del lavoro, professionali, contratte nell’esercizio del proprio lavoro e a causa di determinate lavorazioni tassativamente indicate dalla legge. Il termine è talvolta seguito da determinazioni indicanti gli effetti che la malattia produce (m. del sonno, m. azzurra o morbo blu: v. blu, n. 2), o le persone che ne sono abitualmente colpite (m. degli anatomisti, m. dei palombari, m. emolitica del neonato), il tempo di durata (m. dei tre giorni o febbre dei pappataci: v. pappataci); oppure il medico o lo scienziato che scoprirono o studiarono la malattia stessa (m., o morbo, di Basedow; m., o morbo, di Hodgkin), o il luogo dove fu osservata o descritta per la prima volta o dove era diffusa (m. di Bornholm, m. di Newcastle, m. dello Haff), o, più raramente, il nome del paziente o della famiglia su cui venne inizialmente studiata (m. di Christmas); denominazioni più generiche sono infine quelle di quarta m., quinta m., sesta m. (v. le singole voci). b. Con speciali determinazioni che escono dal campo strettamente medico: m. diplomatica, addotta da uomini di stato e agenti diplomatici come giustificazione per astenersi dal partecipare a una riunione internazionale o a una cerimonia alla quale, per particolari motivi, non stimino opportuno prendere parte (anche in senso estens., per lo più scherz. o iron., stato di malattia o d’indisposizione non reale, addotto a pretesto per giustificare un’assenza, sottrarsi a un obbligo, e sim.); m. dissimulata, quella reale che si cerca di occultare al medico nel corso di una visita d’accertamento dell’idoneità fisica necessaria per entrare in un posto di lavoro, per emigrare in terra straniera, o nella visita che precede la stipulazione di un contratto d’assicurazione, ecc.; m. simulata per ottenere una pensione d’invalidità, un risarcimento per danni fisici subìti, per non fare il servizio militare, per essere esonerati da determinati lavori, ecc. 2. Per estens.: a. Stato di sofferenza delle piante o di loro parti, dovuto a fattori nutrizionali o ambientali, o a parassiti vegetali, virus, ecc. b. Qualunque alterazione fisica o chimica di sostanze o materiali varî: le malattie del vino, del legno, del marmo. 3. In senso fig., condizione che altera il benessere psichico di una persona apportandovi turbamento, angoscia, sofferenza: m. dello spirito; la gelosia e l’invidia sono due brutte malattie. Nell’uso fam., fare, farne, farsi una m. per qualcosa, risentirne dolorosamente, provarne un’acuta sofferenza: lui l’ha lasciata, e lei ci ha fatto una malattia; spesso in frasi iron.: puoi anche non venire: non crederai che ci faccia una malattia!; ti prego, non farne una malattia. ◆ Spreg. malattïùccia; pegg. malattïàccia.

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