Laménto

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lamento


laménto s. m. [dal lat. lamentum]. – 1. a. Voce, parola di dolore, spesso mista al pianto: fare, mandare un l.; emettere lamenti, rompere in lamenti, levare alti l.; l. pietoso, straziante. Anche, séguito di voci o parole di dolore, un lamentarsi prolungato: cominciò a fare il più doloroso l. che mai facesse femina (Boccaccio); Era preghiera, e mi parea lamento (Giusti). In partic., il pianto che si fa per la morte di una persona (cfr. compianto2, corrotto2); l. funebre, rito diffuso in tutte le parti del mondo, consistente nel dare espressione al dolore per la morte di una persona in forme tradizionalmente stabilite (pianti, grida, nenie, canti, ecc.); con quest’ultimo sign., anche assol.: feciono il l., vestendosi tutta sua gente in nero (G. Villani); Maddalena e l’altre donne Fean lamento sull’Ucciso (Manzoni). Per estens., il l. di un cane, il flebile l. di un violino, ecc. b. Espressione di rammarico, di insoddisfazione o di risentimento; lagnanza, rimostranza: non si sentono che lamenti sul cattivo funzionamento del servizio; essere sordo ai l. dei proprî dipendenti; ho sentito molti l. sul conto tuo, sulla tua condotta. 2. Componimento di carattere religioso o profano, per lo più in versi, scritto in occasione di un fatto doloroso; è presente nella letteratura antica, spec. medievale, sia in Italia (dove era detto anche pianto) sia in Francia: il l. della Vergine; il l. di Guittone d’Arezzo per la sconfitta di Montaperti. 3. Pagina musicale, soprattutto vocale, su testo di carattere doloroso, in forma di compianto; per es., Il l. d’Arianna musicato da C. Monteverdi (1609), e Il l. di Federico, nell’opera Arlesiana di F. Cilea (1897).