Hate speech

Neologismi (2018)

hate speech


loc. s.le m. Espressione di odio rivolta, in presenza o tramite mezzi di comunicazione, contro individui o intere fasce di popolazione (stranieri e immigrati, donne, persone di colore, omosessuali, credenti di altre religioni, disabili, ecc.). ♦ C’è un libro che chiunque abbia a cuore il dibattito su hate speech, bullismo e gli altri problemi nella vita dei giovani relativi al digitale deve assolutamente leggere. È uscito in queste ore negli Stati Uniti, e lo ha scritto la ricercatrice dell’Università di Harvard danah boyd: ‘It’s complicated. The Social Lives of Networked Teens‘, il titolo. «Un tentativo di descrivere e spiegare le vite connesse dei ragazzi a persone che si preoccupano per loro – genitori, insegnanti, decisori, giornalisti, a volte perfino ai ragazzi stessi», scrive Boyd, che per raccogliere il materiale su cui basare le sue conclusioni ha girato gli Stati Uniti dal 2005 al 2012, attraversando 18 Stati e intervistando 166 ragazzi – oltre ad osservarne le dinamiche online sui loro blog e social network. (Fabio Chiusi, Wired.it, 25 febbraio 2014, Social Network) • [tit.] Hate speech, come contrastare l’odio con nuovi / linguaggi e social network. (cartadiroma.org, 22 marzo 2016, Editoriale) • Quello dell'hate speech, ovvero la spirale di insulti che si autoalimentano e infestano Internet, è diventato un fenomeno poco governabile. Peggio: un'abitudine che ha a che fare non solo con il mondo dei ragazzi, vedi i casi di cyberbullismo, ma anche con quello degli adulti. E secondo le mappe redatte da Vox insieme all'Università La Sapienza di Roma, principale bersaglio dell'odio via web sono le donne, vittime del 63% dei tweet negativi analizzati, seguite dagli omosessuali, 10,8%, dai migranti, 10%, e poi da diversamente abili (6,4%) ed ebrei (2,2%). E infatti gli esempi che vi portiamo sono tutti al femminile. (Carlotta Sisti, Gioia.it, 31 agosto 2016) • Nove giovani su dieci ritengono che i discorsi d’odio (hate speech) siano un fatto molto o abbastanza grave, ma uno su dieci (il valore sale nei giovani con bassa scolarità) lo ritiene normale. Il 73,2 per cento degli intervistati dichiara di non aver mai postato contenuti che potrebbero essere ritenuti hate speech, il resto lo ha fatto almeno una volta. Le vittime principali, secondo gli intervistati, sono immigrati, singole persone pubbliche, omosessuali, musulmani, donne. Secondo gli intervistati, per contrastare questi episodi è necessaria una segnalazione alle piattaforme o ai siti (78,4 per cento), far eliminare da parte delle autorità l’hate speech (73,3 per cento), applicare censure da parte delle piattaforme e dei siti (70,1 per cento). Il messaggio è: c’è una maggioranza silenziosa, e un po’ stufa (il 58 per cento) che crede possibile un web migliore. A loro è dedicato il manifesto [Manifesto della comunicazione non ostile, ndr]. C’è un’area grigia, che va sensibilizzata ed educata, e vale il 32 per cento. E c’è un 10 per cento di irriducibili, nei confronti dei quali bisogna lavorare solo in termini di contenimento del danno. Coi numeri, sembra tutto più chiaro. (Annamaria Testa, Internazionale.it, 20 febbraio 2017, Italia) • [...] potrebbe capitare che un omosessuale che usa scherzosamente il termine “frocio” per autodefinirsi venga bloccato da Facebook per “hate speech”, perché il sistema, o chi controlla, non è in grado di comprendere l’uso ironico del termine. Insomma, dobbiamo considerare anche il settore delle parole che sarebbero offensive, ma che se usate in un certo modo possono anche non esserlo: nigger, se usato da un’azienda nel nome di uno smalto di colore nero (Thick as a nigger, per l’esattezza), risulta estremamente offensivo; se impiegato da una persona di colore, ad esempio un rapper, diventa invece una rivendicazione di orgoglio razziale. Insomma, non conta solo il contesto, ma anche l’atteggiamento. (Vera Gheno, agendadigitale.eu, 3 maggio 2018, Cultura Digitale).

Espressione ingl. composta dai s. hate (‘odio’) e speech (‘discorso’).

Già attestato, nella forma hate-speech, nella Repubblica dell’8 gennaio 2007, p. 35, Cultura (Giancarlo Bosetti).