Dàzio

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dazio


dàzio s. m. [lat. mediev. datio (-onis), femm., propr. «il dare, il consegnare» (in questo sign. già nel lat. class.), più tardi datium -ii]. – 1. a. Imposta indiretta sui consumi, di riscossione mediata, che colpisce la circolazione dei beni da uno stato all’altro (d. esterno o doganale) o anche, in passato, da un comune all’altro (d. interno): d. d’importazione e d’esportazione, d. d’entrata e d’uscita, d. di transito; d. (di) consumo, che si riscuoteva sia al passaggio della cinta daziaria (comuni chiusi), sia all’atto dell’introduzione dei beni nelle botteghe di vendita al minuto (comuni aperti); imporre un d., gravare una merce di d.; pagare, frodare il d.; fare lo scemo per non pagare il d., modo prov. scherz., fare il finto tonto nel proprio interesse. In economia si distinguono inoltre: d. fiscali, che mirano esclusivamente a fornire un’entrata allo stato; d. economici, protettivi, industriali, diretti principalmente a proteggere rami della produzione nazionale; d. specifici, commisurati al peso (lordo, netto legale, cioè il lordo meno la tara ufficiale, o netto reale, cioè quello della merce senza involucri o recipienti), al numero o ad altra misura della merce; dazî ad valorem, fissati in percentuali del valore denunciato, o stabilito in tabelle ufficiali o determinato direttamente dalla dogana. b. L’ufficio del dazio, il luogo dove si riscuote l’imposta del dazio, e più spesso quello dove si riscuotevano i dazî di consumo: fermarsi al dazio. 2. Anticam., nome di altri tributi diretti e indiretti, e anche del luogo ove il tributo si riscuoteva: gabella del d., antico tributo napoletano sulla vendita al minuto di generi alimentari; d. delle bollette, tributo napoletano (sec. 18°) sugli stranieri che transitavano per il territorio delle diverse città o vi si trattenevano qualche giorno.

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