Nonostante le apparenze, un filo rosso lega l’amore carnale cantato nel Fiore (riscrittura del Roman de la Rose) e l’amore stilnovistico che domina nella Vita nova: entrambi nascono attraverso lo sguardo e la successiva formazione di un’immagine mentale dell’amata, oggetto di «immoderata cogitatio» (‘eccessiva contemplazione’), come insegna Andrea Cappellano nel trattato De amore. La nobiltà del sentimento si associa a una graziosa disposizione del corpo e dell’anima sensitiva, non senza il contributo delle influenze astrali, in particolare del cielo di Venere. Ma se nel Fiore si celebra l’unione carnale e la conseguente generazione («che molta di buon’erba n’è po’ nata» [230.14]), nella Vita nova, per scacciare ogni «vizioso pensiero» (10.31 [numerazione Gorni]) il poeta passa dal riflettere sulla propria afflizione di amante all’esaltare le virtù della donna: è la poesia della loda, con cui si cerca di compensare la perdita del saluto di Beatrice e al contempo sublimare l’istinto naturale, secondo il processo inverso rispetto alla lussuria. 

Tuttavia non pochi indizi (a cominciare dalla canzone extravagante Lo doloroso amor, in cui il nome pregnante della donna è quasi antifrastico) lasciano intendere che il mito dantesco di Beatrice nacque solo attraverso una rilettura a posteriori dei sette anni compresi tra la primavera del 1283 (sonetto A ciascun’alma presa) e l’8 giugno 1290 (scomparsa della figlia di Folco Portinari, a ventiquattro anni): il lutto, infatti, anzi la sua mancata elaborazione caratterizza la seconda parte del prosimetro, con anticipazioni nella prima (la morte di una giovane amica di Beatrice e del padre Folco [31 dicembre 1289]). Nel Medioevo, com’è noto, l’aspettativa di vita era bassa, e la stessa madre di Dante, Bella (degli Abati?), morì quando il figlio era piccolo (forse tra i cinque e i sette anni). 

Il rifiuto della mortalità, o meglio l’insopprimibile bisogno di credere, giustifica l’epistemofilia di Dante, la sua passione per la filosofia e l’aristotelismo: tramite un’attenta rielaborazione del pensiero di Alberto Magno, più che di Tommaso d’Aquino, prima nel Convivio (4.21) e poi nella Comedìa si ribadisce l’individualità e l’immortalità dell’intelletto possibile, aggiunto all’anima sensitiva da Dio stesso, «sì tosto come al feto / l’articular del cerebro è perfetto» (Pg 25.68-69). Gli averroisti, incluso Guido Cavalcanti, concepiscono l’intelletto possibile come unico per l’intera specie umana, infinita perché inserita in un mondo eterno (tale è nella dottrina aristotelica), non perché i suoi singoli membri possano vincere la morte. 

Significativa, nell’economia spirituale dell’oltretomba dantesco, è l’idea della seconda morte (If 1.117), conseguente al Giudizio universale, con il castigo dell’anima e del corpo, che i dannati bramano in base alla loro logica perversa, diametralmente opposta alla ricerca terrena del piacere e del bene.

La lista che segue propone le 10 parole di amore e di morte più rappresentative dell'universo lessicale dantesco. Buona lettura!