ZINGARI

Enciclopedia Italiana (1937)

ZINGARI

Walter HIRSCHBERG
Angelo PERNICE
Carlo TAGLIAVINI
Egon Wellesz

. Gruppo etnico migrante che s'incontra disperso in numerosi paesi d'Europa, nella Turchia asiatica, in Persia, Turkestan, Afghānistān, Belūcistān, Siberia, Egitto, sulla costa settentrionale dell'Africa e sinanche nell'America Settentrionale e Meridionale; si distingue dai popoli vicini e da coloro che li ospitano per lingua, costumi e caratteri fisici.

Una serie svariata di nomi è usata a designare gli Zingari; essi stessi si chiamano rom o manush, cioè "uomo". Il nome con cui questi gruppi vaganti sono generalmente conosciuti è però quello di Atzigan o Atsigan (donde l'italiano: Zingari, nel passato: Cingari, Cingani; il tedesco: Zigeuner; l'ungherese: Czigány, ma sono anche detti Egiziani - dal loro presunto paese di origine - donde lo spagnolo: Gitanos e l'inglese: Gipsies) e, in Francia Boemi (Bohémiens).

Il loro numero è calcolato dai due ai cinque milioni. Nella sola Romania ci sarebbe circa 1 milione di Zingari; dati certi per altro mancano. Si distingue chiaramente nella razza zingara l'originario tipo indiano, anche se numerosi caratteri di altre razze vi si sono introdotti alla lunga. Generalmente hanno capelli scuri, talvolta corvini, occhi scuri e un colore di pelle che varia dall'olivastro al bruno scuro. Eccezionalmente si trovano capelli biondi e occhi azzurri; la statura media è di m. 1,63. Indagini linguistiche consentono di risalire alla culla degli Zingari e di seguirne le peregrinazioni. Oggi viene considerata patria originaria degli Zingari l'India anteriore settentrionale, da cui essi si dipartivano. Probabilmente l'emigrazione ebbe luogo in varie date. Certo è che le cronache bizantine riportano che nell'835 gruppi di Zingari si trovano nella città di Anazarbos in Cilicia. Dal territorio bizantino fra il sec. X e il XIV gruppi di Zingari si diffusero da un lato verso l'Egitto e l'Africa settentrionale, donde più tardi raggiunsero la Spagna; dall'altro verso l'Europa. La loro presenza è segnalata sporadicamente in Grecia e nell'isola di Corfù prima del 1326. Nel 1348 il re serbo Stefano Dusan dona degli Zingari a un monastero, ed essi debbono dare al monastero un certo numero annuo di ferri da cavallo; nel 1370 gli Zingari compaiono in Valacchia e nel 1387 Mircea il Grande dona al convento di Tismana 40 famiglie di Zingari. Alla fine del sec. XIV gli Zingari giunsero in Transilvania. Alberto Krantius nella sua opera Saxonia (XI, 2) riporta che nell'anno 1417 apparve in Germania un popolo strano: bruno di pelle, sudicio, barbaro, dedito alla truffa e al furto. Erano gli Zingari della così detta grande banda, i quali divisi in varî gruppi, fra il 1417 e il 1430, si diffusero attraverso la Germania e dalla Germania passarono in Italia, dove nel 1423 per Bologna e Forlì, sotto la guida di un leggendario duca Andrea, si spinsero sino a Roma, in Svizzera e nella Francia meridionale. In Inghilterra non sono segnalati se non dal sec. XVI. L'emigrazione si dirige attraverso l'Afghānistān e la Persia verso occidente. In Grecia si trattennero lungo tempo, come dimostra l'abbondanza di prestiti di vocaboli greci nella loro lingua. Nel corso del secolo XIX singoli Zingari si trasferirono pure in America.

In principio gli Zingari godettero di grandi favori presso i popoli che li ospitavano, dando ad intendere che erano poveri pellegrini egiziani e come tali ricevevano ricchi doni dietro promessa, quando fossero tornati di Gerusalemme, di pregare per la salvezza del donatore. Per accrescere l'illusione, portavano vesti da pellegrini e alla fine del sec. XV godevano pure la protezione papale. I capi delle bande di Zingari, muniti di varî privilegi, riuscivano a esercitare una grande influenza sulla vita politica.

Non sembra che in quel tempo gli Zingari, almeno quelli che si propagarono nell'Europa centrale e occidentale, esercitassero i mestieri di calderaio, ramaio, stagnaio, maniscalco, che divennero più tardi loro abituali. Erano indovini e chiromanti, specialmente le donne; manipolavano polveri e decotti per ogni sorta di mali: per le partorienti, per le mestruenti, per vincere l'impotenza maschile; spacciavano filtri d'amore e ricette e amuleti contro il malocchio e la iettatura o per avere figlioli; facevano scongiuri per liberare gl'indemoniati, ecc. Tutte queste pratiche, che in generale, perché riuscissero ad abbindolare meglio gl'ingenui, gli Zingari circondavano di mistero, il loro aspetto, il loro modo di vivere e, senza dubbio, qualche loro misfatto, fecero sorgere sospetti e misero in circolazione la voce che essi fossero in comunicazione col demonio e in segreto consumassero riti tremendi. Si accusarono di rapire dei bimbi per sacrificarli in certe loro ricorrenze, di cibarsi di carne umana. E allora si cominciò a dare loro la caccia come a "razza maledetta". In quasi tutti i paesi di Europa a partire dalla fine del sec. XVI e sino al secolo XVIII si emanarono leggi severissime che davano loro lo sfratto sotto pena di morte. Non pochi furono in quei tempi i processi intentati contro Zingari e nei quali furono coinvolti degli Zingari sotto l'accusa di magia o di satanismo o di cannibalismo. E non di rado tali processi finivano con condanne all'impiccagione e al rogo.

La situazione degli Zingari si venne migliorando dalla fine del sec. XVIII. Nei paesi dove molti di essi avevano perduto la libertà personale ed erano stati vincolati al suolo, come l'Ungheria, la Transilvania, la Moldavia, l'abolizione della servitù della gleba restituì loro la libertà; e quasi dovunque venne loro concessa, sotto certe condizioni, la facoltà di muoversi liberamente e di esercitare i loro mestieri, purché, naturalmente, non violassero le leggi.

Fra quelli che ora si dicono o sono ritenuti Zingari, pochi sono i discendenti del popolo emigrato dall'India; la maggior parte è costituita d'incroci di germogli zingari e di genti dei varî paesi che essi hanno attraversato o dove vivono, e di persone completamente estranee alla razza zingara le quali hanno adottato gli usi e i costumi degli Zingari. Questi pseudozingari, viventi more cinganorum accanto ai veri Zingari, nel passato in Italia erano chiamati: bianti, accatori, morghingheri o diritti; in Francia: maitois, mercelots, gueux.

Oggi, come si è accennato, la regione più popolata di Zingari è l'Europa sud-orientale, particolarmente la Romania.

Secondo il loro modo di vivere gli Zingari si possono dividere in due gruppi: sedentarî e girovaghi; questi ultimi hanno conservato più pure le primitive condizioni di vita, mentre i primi hanno perduto numerose caratteristiche originarie. I gruppi girovaghi sono ben noti come fabbricanti di oggetti di rame, rappezzatori di paioli, ottimi intenditori e mercanti di cavalli. Di rado hanno buon nome: accattonaggio, predizione dell'avvenire e commercio ambulante sono pure tra le occupazioni di questi nomadi. Gli Zingari residenti in accampamenti ai margini delle città e dei villaggi sono dediti a semplici opere artigiane: cuocere mattoni, intrecciare panieri, intagliare cucchiai, ecc. Tra loro si trovano musicisti straordinariamente dotati, specialmente in Ungheria e in Romania; le orchestre di Zingari sono celebri. Nota anche l'arte, propria degli zingari, di far le carte e di predire l'avvenire dalle linee della mano. La forma più semplice di colonia zingara è il campo volante degli Zingari girovaghi. Alcune stanghe atte a reggere le pareti in stoffa o della tenda costituiscono l'intero materiale dell'abitazione, portato da cavalli o caricato sui carri. Nell'Europa occidentale, centrale e settentrionale sono usati per abitazioni, oltre alla tenda, anche il carro coperto. Ove la costituzione del terreno lo consenta, caverne naturali vengono usate, specie per abitazioni invernali, o scavate nell'argilla di scoscesi pendii cavità ampliate e calafatate poi da semplici tavole. Primitive capanne di argilla e di terra costituiscono l'abitazione degli Zingari sedentarî.

Nell'abbigliamento gli Zingari si adattano agli usi locali; le donne prediligono però colori accesi, e tra questi il rosso fuoco. Non di rado le zingare sono cariche di ornamenti vistosi e di monete d'oro e d'argento, mentre le vesti sono lacere. Specie gli Zingari girovaghi, che guardano con disprezzo i fratelli sedentarî, possiedono spesso preziosi monili, cosa che non si supporrebbe mai dalla loro apparenza. Portano i capelli lunghi per differenziarsi dagli Zingari sedentarî, i quali si confanno anche nell'acconciatura dei capelli agli usi del luogo dove vivono. La posizione giuridica degli Zingari è molto imbrogliata. Gli Zingari nomadi sono sottoposti ad alcune prescrizioni di spostamento e anche gli Zingari sedentarî urtano contro numerosi ostacoli dovuti a preconcetti sociali: di regola passano per una razza spregevole

Gli Zingari nomadi vivono in gruppi guidati da un capo. Le tribù già potenti sono spezzettate oggi in piccoli gruppi, i cui membri sono più volte imparentati fra loro. Il capo eletto da questi raggruppamenti familiari funge da giudice, sacerdote e rappresentante della tribù di fronte alle autorità. Decide della direzione da seguire e indica ai singoli gruppi familiari un ben delimitato campo di spostamento. Colpiscono le forme matriarcali degli Zingari girovaghi: l'uomo, appena sposato, deve unirsi alla famiglia o alla banda della moglie, a cui apparterranno anche i figli nati da questo matrimonio. Lo sposo riceve dalla moglie l'intero arredamento per una casa di Zingari: tenda, carro, cavallo, strumenti da lavoro, ecc., e i parenti della moglie vigilano affinché il patrimonio non venga dissipato. Una parte speciale incombe alle vecchie zingare, specie alla più vecchia della stirpe, la "madre zingara", guardiana dei costumi, i cui consigli hanno grave peso. La massima pena che possa colpire uno zingaro è la sua esclusione dalla schiatta, pena che è comminata in caso d'adulterio. Non di rado si credono gli Zingari dotati di forze occulte: innumerevoli pratiche magiche, specie in caso di malattie, sono consuete. Gli Zingari sanno anche sfruttare i pregiudizî delle popolazioni che li ospitano. In numerose località dei Balcani avviene ancora oggi, che durante una persistente siccità si versi dell'acqua su una fanciulla zingara ignuda nell'intento di richiamare la pioggia. Generalmente gli Zingari rivelano nei loro usi numerosi elementi proprî del luogo dove risiedono, peraltro in forma assai più primitiva; la loro vita religiosa, sebbene comprenda forme religiose superiori, rivela più di un particolare proveniente dall'età pagana. Quali elementi poi siano puramente zingareschi e quali siano stati assorbiti dagli Slavi, Ungheresi, Greci, Romeni e Tedeschi, è difficile a dirsi. Ad es., la festa del "verde Giorgio" degli Zingari vaganti della Transilvania è identica all'inglese "Jack in the green" e affine alle feste per l'entrata della primavera dell'Europa occidentale, nelle quali è pur sempre una figura rivestita di fogliame a sostenere la parte principale. Qualcosa di simile avviene nel culto degli alberi proprio degli Zingari tedeschi. La differenza principale tra la vita religiosa degli Zingari e delle altre popolazioni sta nel fatto che gli Zingari conservano più degli altri usi pagani, già diffusi nel passato in tutta l'Europa. Perciò si ritrova tra gli Zingari la credenza nelle fate e negli spiriti, che infondono loro spavento e terrore, specie di notte. Diversi gli amuleti contro il malocchio. Tutte queste credenze sonnecchiano sotto una confessione religiosa, presa a prestito dagli abitanti del luogo ove risiedono, per esempio il cristianesimo o l'islamismo.

Bibl.: H. M. G. Grellmann, Die Zigeuner, Dessau e Lipsia 1783; F. Predari, Origine e vicende degli Zingari, Milano 1841; A. F. Pott, Die Zigeuner in Europa und Asien, Halle 1844-45; C. Hopf, Die Einwanderung der Zigeuner in Europa, Gotha 1870; F. Miklosich, Über die Mundarten und die Wanderungen der Zigeuner Europas, Vienna 1872-80; P. Bataillard, Sur les origines des Bohémiens ou Tsiganes, Parigi 1876; Journal of the Gypsy Lore Society, 1ª s. 1888-1892; n. s. 1907-16, s. 3ª, 1922 segg.; A. Colocci, Gli Zingari, storia di un popolo errante, Torino 1889; id., Sullo studio della Tsiganologia in Italia, in atti del I Congresso di etnografia italiana, Perugia 1912; C. G. Leland, Gipsy sorcery and fortune-telling, Londra 1891; Hr. v. Wlislocki, Vom wandernden Zigeunervolke, Amburgo 1890; id., Aus dem inneren Leben der Zigeuner, Berlino 1892; L. Fökövi, Die Zigeunermusik in Ungarn, in Monatshefte für Musikgeschichte, XXX (1898); F. N. Finck, Lehrbuch des Dialektes der deutschen Zigeuner, 1903; G. F. Black, A Gypsy bibliography, 1914 (bibl. quasi completa sino al 1914); V. Lebzelter, Anthropologische Untersuchungen an serbischen Zigeunern, in Mitteilungen der anthropologischen Gesellschaft in Wien, LII (1922); Aichele e Block, Zigeunermärchen, 1926; E. Pittard, Les Tsiganes ou Bohémiens, in Le Globe, Ginevra 1931.

Lingue.

Gli Zingari, nelle loro migrazioni attraverso l'Asia e l'Europa, hanno, in buona parte, mantenuta la loro lingua (romanī čib da rom "zingaro", "uomo"), la quale anzi ci conserva le principali testimonianze di queste migrazioni, attraverso le numerose voci mutuate dai popoli coi quali gli Zingari vennero in contatto. Gli elementi iranici e greci che si trovano in tutti i dialetti zingari d'Europa documentano un passaggio e una sosta più o meno lunga nell'Iran e nelle regioni dell'Impero bizantino. Naturalmente i fenomeni linguistici sono soggetti a interpretazioni varie; così, per es., F. Miklosich affermava che gli Zingari d'Europa devono aver sostato alcun tempo in Armenia, e sosteneva questa sua affermazione con l'indicazione di alcuni elementi armeni nei dialetti zingari di Europa; J. Sampson però riduce di molto gli elementi armeni indicati dal Miklosich e ne spiega la maggior parte partendo da voci ariane; mentre R. Pischel insiste sulla presenza di voci armene. In ogni modo, ammessa l'esistenza di parecchie voci iraniche e constatata l'assenza di elementi arabi, è più probabile ammettere che nel loro passaggio dall'Iran all'Europa gli Zingari siano passati per l'Armenia, piuttosto che per i territorî linguisticamente arabi posti più al sud.

Il Miklosich sostiene giustamente che non vi è una bipartizione degli Zingari europei, come avevano pensato alcuni studiosi fra cui il Bataillard, ma che anche gli Zingari di Spagna siano passati attraverso tutta l'Europa e quindi non siano giunti in Spagna dalla costa africana dopo aver soggiornato in Egitto, ma attraverso i Pirenei.

I varî dialetti zingari parlati in Europa, in Asia, in Africa (e parzialmente in America da immigrati) risalgono tutti a un'unica fonte dalla quale non si sono distaccati in epoca troppo remota. La differenza considerevole che esiste fra i singoli dialetti consiste specialmente nel grado di adattamento alle varie lingue dei popoli presso i quali gli Zingari si sono stabiliti. Negli elementi originarî conservati, le differenze fra le singole varietà zingare non sono molto notevoli.

I dialetti zingari sono indubbiamente neo-ariani: rappresentano dunque un'evoluzione dell'indoario, uno dei grandi rami della famiglia indoeuropea (v. india, XIX, p. 52). L'origine indiana dei dialetti zingari fu scoperta nel 1777 da J. C. C. Rüdiger e qualche anno dopo, indipendentemente, da M. H. M. G. Grellmann (Die Zigeuner, Lipsia 1782). Il primo ampio studio linguistico che poneva una volta per sempre fuor di dubbio l'appartenenza dello zingaro all'indoario fu la monumentale opera di A. F. Pott (v.), Die Zigeuner in Europa und Asien (Halle 1844-45). Il Pott stabilì, in modo indubbio, che tutte le varietà zingare d'Europa e Asia risalgono a un unico idioma e che questo è in stretto rapporto con le lingue neoariane dell'India settentrionale. Purtroppo il Pott ebbe scarse informazioni del dialetto zingaro meglio conservato: quello di Grecia. Esso non fu noto agli studiosi che alcuni anni dopo attraverso i lavori di Alessandro G. Paspati. Prendendo le mosse dal Memoir on the Language of the Gypsies, as now used in the Turkish Empire pubblicato nel Journal of the American Oriental Society, VII (1862), G. I. Ascoli (v.), nel suo volumetto Zigeunerisches (Halle 1865) diede un prezioso supplemento all'opera del Pott, pieno d'idee originali e di acute indagini etimologiche. Quanto alla precisa origine degli Zingari, l'Ascoli ammette, se pur con esitazione, che si tratti di Sindhi, i quali, prima di giungere in Europa, avrebbero soggiornato lungo tempo nell'Afghānistān. Il rapporto fra lo zingaro e la lingua neoariana Sindhī (che apparterrebbe al sottogruppo occidentale delle lingue neoariane, v. india, XIX, p. 52) è affermato anche dal Beames, Comparative Grammar of the Modern Aryan Languages of India, (Londra 1872-79, III, p. 169). F. Miklosich, che si rese benemerito degli studî zingari con i dodici fascicoli della sua opera Über die Mundarten und Wanderungen der Zigeuner Europas (Vienna 1872-81) e con le sue Beiträge zur Kenntnis der Zigeunermundarten (ivi 1874-78), riuscì a stabilire che gli Zingari europei, oltre a provenire tutti dal medesimo ceppo indiano, come già aveva dimostrato il Pott, debbono aver vissuto un lasso di tempo considerevole in Grecia e nei paesi slavi (Slavonia), prima di raggiungere le loro rispettive sedi attuali, giacché tutti i dialetti zingari europei contengono numerosi elementi greci e slavi. Per quanto il Miklosich abbia esagerato l'influsso greco e slavo (alcune delle parole da lui considerate come prestiti sono invece voci ariane che appartengono al primitivo patrimonio linguistico, come p. es. them "regione" che non può derivare dal gr. ϑέμα, ma sta col sanscr. dhāman, cfr. zing. thūv, sanscr. dhūma, come del resto riconobbe più tardi il Miklosich stesso), è certo che l'influsso greco è importante su tutti i dialetti zingari di Europa. Così, p. es., i numerali da 7 a 9 sono nei dialetti zingari europei mutuati dalle forme neogreche εϕτά, ὀχτώ, ἑννέα, laddove nello zingaro di Siria e di Armenia abbiamo dei prestiti dalle forme persiane haft, haèt e nuh. Quanto al luogo di origine degli Zingari e alla posizione dello zingaro fra le lingue neoariane, il Miklosich, nei Beiträge, IV (1878), p. 45 segg., giunge alla conclusione che lo zingaro presenta maggiori contatti con i dialetti dardici e col kāfir del Hindukush del gruppo himālayano (v. india, XIX, p. 52).

Nel 1875 dapprima, e con maggiori argomenti nel 1903, l'orientalista olandese M. J. de Goeje riprendeva e sosteneva una vecchia teoria del col. Herriot e di Sir R. F. Burton secondo cui lo zingaro sarebbe da identificarsi nella lingua dei Jats, giacché gli Zingari sarebbero i discendenti di 12.000 menestrelli Jat d'ambo i sessi che, secondo Firdūsī, sarebbero stati importati in Persia nel 420; ma le obiezioni a tale teoria sono molto forti: prima di tutto le lingue jatakī che dovrebbe essere la continuazione della lingua dei Jat in India, è molto diversa dallo zingaro.

Nonostante che l'origine indiana degli Zingari sia certa, la posizione dello zingaro fra le parlate neoindiane è ancora tutt'altro che pacifica; nel 1927 R.L. Turner pubblicava un opuscolo The position of romanī in Indo-aryan, in cui sosteneva un'affinità coi dialetti centrali neoindiani; ma le sue conclusioni sono state in gran parte respinte dal Sampson (Journal of the Gypsy Lore Society, s. 3ª, VI, pp. 57-68).

Senza entrare in troppi dettagli tecnici, potremo esaminare alcune caratteristiche dello zingaro in confronto alle altre parlate neoariane e all'indoario comune.

ṣt, ṣṭ, ṣṭ (h) dell'antico indiano si conservano nello zingaro (come nei dialetti dardici), mentre nelle altre lingue neoarie, e già nei pracriti, si sono generalmente semplificati in tth (th), ṭṭh (ṭh): p. es., sanscr. hasta, zing. di Siria hăst, zing. europ. vast "mano" (cfr. invece pracr. hattha, indost. hāth, ma kāfir hāst). È notevole che lo zingaro d'Armenia concordi con le altre lingue neoariane presentando l'assimilazione [hath], ma è impossibile dedurre col Finck, da questo solo esempio, una diversità di origine degli Zingari d'Armenia; sanscr. miṣṭă, zing. sir. míètă, zing. eur. miètü "bene" (cfr. invece pracr. miṭṭha, indost. mīṭhā); sanscr. oṣṭha, zing. sir. ŏèt, zing. eur. uèt "labbro" (cfr. invece pracr. oṭṭha, indost. oṭh, ma dard. kāfir uèt).

tr iniziale e medio e dr, pr, bhr iniziali dell'antico indiano si conservano intatti nello zingaro (come nei dialetti dardici): p. es., sanscr. trīṇi, zing. sir. trün, tărăn, zing. arm. tərin, zing. eur. trin "tre" (cfr. invece pracr. tiṇṇi, indost. tīn, ma dard. kāf. trē); sanscr. putra, zing. sir. pótrā "figlio" (cfr. invece pracr. putta, indost. put, ma kāf. pūtr); sanscrito bhraṭr, zing. eur. pral, pal (cfr. invece pracr. bhāda, indost. bhāī, ma kāf. brā, brār).

-t- e spesso anche -d- e -th- intervocalici che sono caduti nel neoindiano si conservano nello zingaro (generalmente > zing. eur. -l-, zing. sir. -r-): p. es., sanscr. mṛta, zing. eur. mulo "morte" (cfr. indost. muā).

Nel trattamento delle sibilanti non tutti i dialetti zingari concordano; fra le tre sibilanti dell'antico indiano (ś, s, ) lo zingaro europeo e quello siriaco conservano la distinzione di due sibilanti, ma le raggruppano differentemente: zingaro eur. s s; èś, ; invece zingaro siriaco: s s, s e è; p. es., sanscr. as-ti "è", zingaro eur. īs- "essere"; sanscr. śata, zing. eur. èel "cento"; sanscr. ṣaṣ "sei", zing. eur. èov, sov.

Accanto a questi fenomeni di conservazione ricorderemo alcuni fenomeni d'innovazione, tenendo presenti le concordanze con le varie parlate neoariane:

> i e più raramente u (come nei dial. neoindiani centrali; nel nord-ovest ri, nel sud-sud-est e est a): p. es., zing. eur. èil "burro", cfr. sanscrito ghṛta; èin "corno", sanscr. śṛñga; mulo "morte", sanscr. mṛta. Lo zingaro dunque viene per questo separato nettamente dai dialetti in cui r. > a (maratto, singalese, ecc.). L'esempio di èil (khil), zing. sir. gir "burro", è interessante perché ci mostra il trattamento di ṛt (> zingaro eur. e arm. il, ul, sir. ir, ur); quando t è preceduio da , ha dunque lo stesso trattamento di -t- intervocalico.

Notevole anche il trattamento del nesso kṣ che, nella maggior parte delle lingue neoindiane, passa a ch, cch o c (cfr. Ascoli, Studj, II, 321) mentre qui passa a è (kh): p. es., yaè "occhio", cfr. sanscr. akṣi, pracr. akkhi, acchi.

Nei nessi śm, ṣm e sm cade la sibilante: p. es., zing. eur. tume, sir. ătme "voi" (〈 *tuṣme, cfr. sanscr. yuṣmān, indost. tum; ma Sindhī tusī, Panjabī tusī).

Lo studio della fonetica comparata delle parlate zingare ci permette di vedere quali sono i mutamenti fonetici avvenuti dopo la separazione dei singoli gruppi, oppure prima della separazione ma già fuori dell'India. Alcuni spostamenti fonetici debbono essere avvenuti durante la permanenza degli Zingari in Persia, Armenia e Siria. Il Sampson attribuisce all'influsso dell'armeno l'assordimento delle sonore aspirate in sorde aspirate e a influsso iranico il passaggio di , t e ÿ, d in r e l.

I mutamenti fonetici comuni allo zingaro europeo, ma sconosciuti alle varietà dell'Asia, saranno avvenuti dopo la penetrazione in Europa e probabilmente sotto influsso greco (perdita di h iniziale, ecc.).

Nella morfologia noteremo la riduzione dei generi a due (maschile e femminile; come nell'indostano, Sindhī, Panjabī), e dei numeri a due, come nelle altre lingue neoindiane. La declinazione del sostantivo ha otto casi, ma solo il nom. acc. e voc. singolare e plurale e in alcuni casi il locativo singolare (cristallizzato in alcune formule) risalgono al medio e antico indiano. Gli altri casi sono anche qui, come nelle lingue neoariane, delle formazioni recenti formate dal tema dei casi obliqui con posposizioni (per es., dat. -, cfr. Paiśācī -kem, -ka, -ke).

La coniugazione, accanto ad alcune preziose conservazioni, si è molto semplificata, come del resto anche nelle altre lingue neoindiane. Il lessico degl'idiomi zingari è quello che più ha sofferto. Nei singoli paesi dove gli Zingari si sono stabiliti, essi sono stati costretti ad apprendere le lingue dei popoli presso i quali venivano a vivere; questo fatto ha portato con sé talvolta la sparizione dello zingaro a vantaggio di queste altre lingue. Gli Zingari stabilitisi a Costantinopoli avevano già alcuni decennî fa perduto l'uso di parlare zingaro e usavano fra loro solo il turco; anche i cosiddetti "zingari turchi " che vivono in città della Iugoslavia sono dei musulmani che parlano unicamente serbo. In Italia, dove lo zingaro era parlato ancora alcuni anni fa dalle poche migliaia di zingari, generalmente ambulanti, l'uso dello zingaro si restringe sempre più. È naturale che questo bilinguismo vada a detrimento della lingua materna; a distanza di alcuni decennî si possono constatare, nello stesso dialetto, i progressi di assimilazione. Il Pischel citava, in un suo articolo del 1883 (ripubblicato nel Journal of the Gypsy Lore Society, n. s., II, 1909), una frase nell'antico zingaro inglese "komóva te jam adré mi Suvelésko kēri kana meróva "I wish to go to Heaven (= God's house) when I die", e nel moderno zingaro inglese "l'd kom to jal adré mi Duvel's kēr when mandi mers" e nota "qui le antiche terminazioni sono state abbandonate in favore delle costruzioni inglesi".

È naturale quindi trovare nel lessico delle singole parlate zingare differenti elementi, secondo le regioni; ed è naturale trovare sovente la sintassi e perfino la morfologia completamente alterate. F. N. Finck, Die Grundzüge des armenisch-zigeunerischen Sprachbaus (nel Journal of the Gypsy Lore Society, n. s., I [1907], p. 37), nota che l'influsso dell'armeno sullo zingaro di Armenia è enorme e ha modificato tutta la sintassi e parte della morfologia. L'influsso del romeno sullo zingaro di Romania è anch'esso fortissimo; in una frase come dui palaríes de č'awrēkí "two boys' hats" non sono solo le parole pălărie e de che sono passate nello zingaro, ma è l'intera frase che è calcata sul romeno.

Ben diverso è l'influsso esercitato dallo zingaro sulle lingue dei popoli presso i quali gli Zingari sono venuti a vivere; tali influssi sono limitatissimi se si considera la lingua comune, appunto perché gli Zingari non hanno mai avuto un "prestigio" tale da imporre loro parole. Considerevole è invece l'influsso dello zingaro se si esce dalle lingue comuni e si considerano le lingue speciali e particolarmente i gerghi dei malfattori, ladri, ecc., e di altre categorie (mercanti di cavalli, ambulanti, ecc.). Anche nei gerghi italiani sono frequenti e diffusi dei termini zingareschi, per es., cerino "coltello", gergo piem. ciurin, prob. anche gergo bolognese čullen da zing. čuri "coltello" (sanscr. kṣurī); gergo bol. gāõo "contadino" 〈 zing. gåæo "chi non è zingaro, straniero; uomo", ecc.

Bibl.: La bibl. sulle lingue zingare è enorme; ci limiteremo, prescindendo dalle opere già citate nel testo, a quelle fondamentali e più recenti dove si trova l'ulteriore bibliografia: A. G. Paspati, Études sur les Tchinghianés, Costantinopoli 1870; M. J. de Goeje, Mémoire sur les migrations des Tsiganes à travers l'Asie, Leida 1903; Jözsef Föherceg (arciduca Giuseppe), Czigány nyelvtan, Budapest 1888 (eccellente bibl.); J. Sampson, The dialect of the Gyspies of Wales, Oxford 1926 (opera fondamentale, comparativa di tutte le parlate zingare); C. J. Popp Serboianu, Les Tsiganes. Histoire, ethnographie, linguistique, grammaire, dictionnaire, Parigi 1930. Sulle singole varietà dello zingaro esistono parecchie monografie: per lo zingaro d'Asia, cfr. G. G. Everest, Syrian Gypsy vocabulary, Edimburgo 1891 (in Journal of the Gypsy Lore Society, vecchia serie, II); F. N. Dinck, Die Sprache der armenischen Zigeuner, Pietroburgo 1907; R. A. Stewart, Macalister, Language of the Nowar or Zutt, the Nomad Smiths of Palestine, Londra 1914; W. Ouseley, Persian Gypsy vocabulary, JGLS., vecchia s. II, 22 segg. Per lo zingaro europeo: per la Germania, cfr. F. N. Finck, Lehrbuch des Dialekts der deutschen Zigeuner, Marburgo 1903; R. Pischel, Beiträge zur Kenntnis der deutschen Zigeuner, Halle 1894; R. v. Sowa, Wörterbuch der Dialekts der deutschen Zigeuner, Lipsia 1898. Per i Balcani v. la citata opera del Paspati e per la Romania, M. Koǧalniceanu, Schiôă despre Ôigani, Iasi 1900; B. Constatinescu, Probe de limba òi literatura Ôiganilor din România, Bucarest 1878; per la Transilvania, H. von Wlislocki, Die Sprache der transsylvanischen Zigeuner, Lipsia 1884. Per l'Ungheria, v. la citata grammatica dell'arciduca Giuseppe e la bibl. ivi citata; inoltre: Nagy-Idai Sztojka Ferencz, Ó császári és magyar királyi fensége József föhrceg magyar és czigány nyelv Gyök-szotara, Kalocsa 1886. Per la Cecoslovacchia cfr. A. J. Puchmayer, Romáïi čib čili cikánskì jazyk, Praga 1880; R. von Sowa, Die Mundart der slovakischen Zigeuner, Gottinga 1887; Vocabulary of the Slovak-Gypsy dialect, in Journal of the Gypsy Lore Society, vecchia serie, I-III. Per l'Inghilterra, C. G. Leland, The English Gypsies and their language, Londra 1873; C. Bath, Smarth, Dialect of English Gypsies, ivi 1875, e la citata opera del Sampson. Per gli Zingari in Italia, A. Colocci, Gli Zingari, Torino 1889. Per gli Zingari in Spagna e la loro lingua, G. Borrow, The Zincali, Londra 1843 (invecchiato, ma sempre utile). Per lo zingaro in Egitto, T. J. Newbold, The Gypsies of Egypt, Londra 1856. Per lo zingaro d'America, A. T. Sinclair, American-Romani vocabulary, ed. G. F. Black, Journal of the Gypsy Lore Society, n. s., IX (1916).

Una rivista dedicata agli studî sugli Zingari e piena di preziose notizie è il Journal of the Gypsy Lore Society (abbreviato JGLS; vecchia serie, Edimburgo 1888-92; nuova serie, ivi 1907-16; terza serie, ivi 1922 segg.). Per gli elementi zingari nei gerghi esiste una estesa bibl. per l'italiano segnaliamo P. S. Pasquali, Romani words in Italian slangs, in Journalè of the Gypsy Lore Society, 3ª s., XIV (1935), pp. 44-51; M. L. Wagner, Ûbersicht über neuere Veröffentlichungen über italienische Sondersprachen. Deren zigeunerische Bestandteile, in Vox Romanica, I (1936), pp. 264-317; C. Tagliavini-A. Menarini, Voci zingare nel gergo bolognese, in Archivum Romanicum, XX (1937).

Musica.

Fino a ieri, si può dire, si fece tutt'uno della musica zingara e della magiara. L'equivoco contenuto in siffatta identificazione è oggi scomparso, grazie alle ricerche svolte ai nostri giorni dai musicologi ungheresi, e specialmente a quelle di Z. Kodály e di B. Bartók. Gli Zingari, per quel che concerne la musica magiara, non fecero che modificarne alcuni aspetti nella loro particolare pratica interpretativa: quella musica era, in altre parole, eseguita "alla zingaresca" (cfr. la didascalia apposta da J. Brahm a una pagina ben nota). In questa pratica, gl'interpreti zingari - eccellenti soprattutto nell'arte violinistica e in quella del zimbalon (v.) - improvvisano fioriture, introducono accelerandi e ritardandi assai caratteristici; tutte improvvisazioni, queste, in cui le orchestre zingare mostrano arte singolare.

La scala in uso rivela, ancora oggi, le lontane origini orientali donde l'arte zingara ci giunge, e ci riconduce all'Arabia e all'India.

Questa scala, loro tradizionale,

accoglie d'altra parte gran numero di possibili modificazioni, tra le quali, per esempio:

Oltre a ciò, nell'esecuzione vengono introdotte tutte le sorta di fioriture, passaggi cromatici, ecc.

Gli Zingari godono di universale fama di musicisti nati, e ciò non si dice solo degli Zingari ungheresi: anche quelli viventi in Turchia e in Romania sono apprezzati, quali musicisti, non meno oggi di quando li si cosideravano esponenti dell'arte magiara.

Il fibro di F. Liszt, Die Zigeunern und ihre Musik in Ungarn, non ha oggi più che un valore storico; ma in passato invogliò molti compositori a interessarsi della musicalità zingara: influssi di questa, oltre che nelle pagine pianistiche dello stesso Liszt, si notano, per es., in quelle di Brahms e di altri. Oggi tale musicalità esercita un'azione importante piuttosto nella musica operettistica e nella cinematografica.

Quanto a studî e ricerche, bisogna dire che finora tale musica manca di una sufficiente illustrazione musicologica.