ZEUS

Enciclopedia Italiana (1937)

ZEUS (Ζεύς)

Giulio GIANNELLI
Guido LIBERTINI

Il dio del cielo luminoso fu in Grecia il sommo degli dei; e, anche se nelle pratiche del culto e nella solennità e magnificenza dei riti fu superato da altri dei, restò tuttavia sempre il "dio padre" o, come è chiamato nell'epica, il "padre degli dei e degli uomini". Il culto si compiacque specialmente di venerarlo sulle più alte vette dei monti, dove lo si immaginava sedente in trono in mezzo a un nembo di luce, o anche rappresentato da semplici simboli. Tali vette, sacre al culto di Zeus, furono l'Olimpo, il Pelio e l'Eta in Tessaglia; il Liceo in Arcadia e il monte Itome in Messenia; il Parnete e l'Imetto nell'Attica; il Citerone, in Beozia; il Parnaso, nella Focide; il monte Ida presso Troia, l'altro Ida nell'isola di Creta, e altre ancora. Di questi monti, il più alto di quanti dominavano le regioni che furono le prime sedi del popolo greco (cioè la Macedonia e la Tessaglia) era l'Olimpo, il quale fu perciò riguardato come la sede più propria del dio e fu anche in seguito considerato dai Greci come la dimora degli dei.

Le alte vette dei monti addensano le nubi e provocano fenomeni meteorici e precipitazioni atmosferiche; ond'è naturale che Zeus, il quale dalle sue alte sedi regnava sulla terra e sulla vita degli uomini, fosse indicato come l'autore di quelle manifestazioni della natura. Egli è perciò "adunator di nembi e di tempeste" (νεϕεληγερέτα, κελαινεϕής) e dispensatore della pioggia benefica (ὄμβριος, νάιος); egli determina il succedersi, in cielo, della luce e dell'oscurità, egli suscita i venti benefici e prosperi e gli uragani: ma egli è anche il signore del fulmine (τερπικέραυνος, κεραύνιος), l'arma sua irresistibile, alla quale egli dovette la sua vittoria in cielo, sui Titani e sui Giganti, e che gli assicura il dominio dell'universo. Per questo, Zeus stesso era pensato in forma di fulmine, e si credeva che come fulmine egli scendesse sulla terra (καταιβάτης): in seguito, del fulmine di Zeus si fece un dio a sé, Efesto, il figlio di Zeus, che il padre, in un impeto d'ira, aveva scagliato sulla terra. Espressione di tale potenza meteorica di Zeus è l'egida: in origine, nient'altro che un manto di nubi, così fitto che neppure il fulmine poteva squarciarlo, e donde uscivano procelle e tempeste; arma, anch'essa, di Zeus (onde il suo epiteto di Egioco), scudo col quale atterrisce e disanima i nemici; più tardi si disse essere essa la pelle della capra Amaltea, di cui Zeus s'era servito come scudo nella lotta contro i Titani.

All'azione fisica che a Zeus si attribuiva sulla terra e sulla vita degli uomini, faceva riscontro il governo che si riteneva esercitasse su alcune delle principali manifestazioni della vita umana, specie su quelle dipendenti dai sentimenti di pietà e di giustizia.

Zeus, benché ultimo nato nella sua famiglia, era concordemente riconosciuto come "padre degli dei" e degno di esercitare su tutti la sua autorità, perché a lui eminentemente si doveva la vittoria sui Titani e i Giganti e l'instaurazione di un miglior ordine di cose nel cielo, come al suo messo e figlio Eracle (v. ercole) si doveva la stessa cosa in terra; perciò egli era considerato il modello del valore e della prestanza fisica (ἀρετή), e, insieme con Eracle, venerato come protettore dei giuochi ginnici (ἀγώνιος); a Zeus erano consacrati i giuochi nazionali di Olimpia, che Eracle aveva istituito in suo onore, e quelli Nemei. E da Z. vengono anche la vittoria e la decisione nelle battaglie: e come dio guerriero e padre di Ares, porta l'epiteto di ἄρειος. Sotto questo aspetto, veniva venerato in Caria con l'epiteto di "Labrandeo", derivatogli dall'identificazione con una divinità indigena guerriera.

Ma in lui risiedono, nel più alto grado, sapienza e senso di giustizia. Solo fra gli dei che sia onnipotente, non avendo altro limite alla sua volontà e alla sua potenza che l'infrangibile legge del fato, egli è il custode supremo dell'ordine e dell'armonia del mondo: egli è per eccellenza il re, né mai lo si rappresentava senza il simbolo della dignità di re e di giudice, senza quello scettro, che i re terreni avevano ricevuto da lui, per esercitare in suo nome il potere e la giustizia. Quindi Zeus era venerato come il dio dei re e dei governanti: in Sparta, i due re erano al tempo stesso sacerdoti di Zeus Οὐράνιος e di Zeus Λακεδαίμων. E anche là dove la potestà dei re era cessata, per lasciare posto alle democrazie e alle repubbliche, Zeus resta il protettore e il difensore del popolo, delle sue città, (πολιεύς), delle sue adunanze (Βουλαῖος, ἀγοραῖος), il sommo custode della giustizia e della lealtà, della fede data e dei giuramenti (ὅρκιος, πίστιος), il terribile punitore degli spergiuri. Del popolo egli è il salvatore (σωτήρ) in ogni difficile contingenza, egli è l'autore e il conservatore della libertà nazionale e popolare: quale ἐλευϑέριος, veniva appunto onorato nell'agorà di Atene, dopo la gloriosa vittoria di Platea. Egli è anche il protettore delle alleanze e delle confederazioni di popoli; così Zeus ‛Ομάριος era il patrono della Lega Achea.

Come dello stato, così Zeus era considerato anche protettore della famiglia. Nell'interno della casa, il capo di famiglia offriva sacrifici all'invisibile ma sempre presente patrono (Z. ἑρκεῖος o εϕεστιος); come ζύγιος e γαμήλιος, egli è, insieme con Era, il protettore delle nozze; come πλούσιος, veglia sulle ricchezze della casa: le genti e le fratrie lo onoravano come patrono della loro perpetuità e prosperità. E anche il sacro dovere, che ogni famiglia aveva, di accogliere e proteggere gli ospiti, era pure tutelato da Zeus (denominato quindi ξένιος): in suo nome si presentano i mendicanti e i forestieri, ed egli punisce chi rifiuta loro ospizio e benigna accoglienza.

Ma anche un altro ordine di fatti cadeva sotto l'azione di Zeus. Poiché i fenomeni celesti erano ritenuti segni con i quali la divinità si rivelava agli uomini, così Zeus, dal quale tali fenomeni precipuamente dipendevano, si pensava che manifestasse la sua volontà agli uomini per mezzo di essi (indicati appunto con la parola διοσημίαι). E non soltanto col tuono e col lampo si manifestava la volontà di Zeus, ma anche per mezzo del volo degli uccelli, dei sogni, delle visioni, delle apparizioni. Egli era per tanto riguardato, a lato di Apollo, come dispensatore e patrono delle virtù e delle arti profetiche, e profeta egli stesso; vi furono perciò oracoli di Zeus famosi al pari di quelli di Apollo: tali gli oracoli di Dodona e di Olimpia e quello (d'origine egiziana) di Ammone nell'oasi di Sīwa.

Invece Z. fu anche un dio della purificazione, non solo in senso fisico, ma soprattutto in senso morale: non solo, cioè, egli fu il dio che purifica l'aria e le acque dai morbi e dalle pestilenze, ma egli fu in primo luogo il purificatore dell'animo macchiato dalle colpe e dai delitti (Zeus καϑάρσιος), e quindi anche il vendicatore, il punitore di ogni malvagità, di ogni empietà.

Su tutta la vita dell'umanità veglia e regna dunque Zeus; egli dispensa il bene e il male, ma specialmente il bene; le buone e le cattive passioni, ma specialmente le buone; egli è il principio e la fine di tutte le cose: e poiché da lui discende tutto ciò che è buono, nobile, valente, così le qualifiche di δῖοι, διογενεῖς, διοτρεϕεῖς si diedero a coloro (specialmente ai nobili) che, anche per la loro nascita, erano dotati di quelle virtù.

Se questi sono gli aspetti essenziali e più diffusi della figura di Zeus, come fu rappresentato dall'epica in poi, negl'inni che intonarono a lui i lirici (Terpandro, Alcmane, Simonide, Pindaro), per i quali Z. è principio di ogni canto, e nelle invocazioni dei tragici, dai quali (e specie da Eschilo) egli fu sempre proclamato il più potente, il più saggio, il più benigno degli dei, non è men vero che l'alto concetto che i Greci ebbero sempre della loro divinità suprema, non impedì affatto che anche Z. venisse incluso nei comuni motivi della loro ricca mitologia, ove egli fa mostra, oltre che della sua forza, anche delle più meschine tra le umane debolezze. Figlio di Crono e di Rea - cantava di lui il mito (v. anche cibele) - fu allevato in un antro segreto dalla ninfa Adrastea, col latte della capra Amaltea, di nascosto al padre, che l'avrebhe altrimenti ucciso (v. crono); e i Cureti (v.) col frastuono delle loro danze armate, coprivano i tenui vagiti. Fatto adulto, non sdegnò i brevi e facili amori di dee e di donne mortali, destando così la gelosia e la collera di Era, che Esiodo nomina come la prima sua moglie, i mitografi più tardi, invece, come l'ultima, ma che, in ogni modo, è concordemente designata come l'unica legittima. Fra le dee, ebbe rapporti con l'Oceanide Metis, che egli ingoiò per generare dal suo capo Atena; da Temi ebbe le Ore e le Parche, da Dione, Afrodite; Maia gli generò Ermete, Demetra Persefone; l'Oceanide Eurinome gli diede le Cariti, e Mnemosine le Muse; da Latona ebbe Apollo e Artemide. Dalla sua unione legittima con la sorella Era non aveva avuto che due figli, Efesto e Ares, e una figlia, Ebe. Delle numerose donne mortali da lui amate, basterà ricordare Semele, figlia del tebano Cadmo, che gli generò Dioniso; Alcmena, madre di Eracle; Leda, madre dei Dioscuri e di Elena; Danae, che gli generò Perseo.

Zeus fu il dio panellenico per eccellenza, e fu pertanto venerato in ogni angolo della Grecia: ciò nondimeno, alcuni culti locali di questa divinità rivestirono particolare importanza e meritano di essere segnalati. Importantissimo fu quello di Zeus Olimpio, al confine della Tessaglia e della Macedonia, il cui significato locale fu ben presto oscurato da quello nazionale, assunto da questo culto, che ebbe filiali dappertutto, ma specialmente in Atene e in Olimpia. Ancora nella Grecia settentrionale, fu celebre il culto dello Z. Dodoneo, che ebbe sua sede nella città di Dodona, in Epiro: ivi Z. era venerato come dio della vegetazione e della pastorizia, gli era sacra la querce; al santuario era annesso un famoso oracolo, i cui responsi venivano interpretati da speciali indovini (Σελλοί) e da sacerdotesse; del culto di Dodona era partecipe la dea Dione, venerata qui come la corrispondente femminile di Z. Dei culti peloponnesiaci di Zeus, di gran lunga il più celebre era quello arcade, di Z. Liceo, che aveva sede sul monte omonimo, considerato un secondo Olimpo: sulla cima di esso era un recinto sacro, inaccessibile a tutti e nel quale si diceva che gli oggetti non gettavano mai ombra; ivi Licaone, figlio dell'autoctono Pelasgo e capostipite della gente arcade, avrebbe istituito offerte di vittime umane a Zeus Liceo e i giuochi Licei in suo onore. Nell'Attica, il culto di Z. ebbe la sua sede principale sull'Acropoli, dove Z. fu venerato, oltre che come divinità poliade (con l'epiteto di πολιεύς), anche nel duplice aspetto di dio benigno (μειλίχιος) e di dio iracondo (μαιμάκτης): al primo erano dedicate le feste Diasie del 23 Antesterione, al secondo le Memecterie del mese di Memecterione. Un altro gruppo importante era rappresentato dai culti cretesi, principalmente da quello del monte Ida (Z. Ideo), dove, come abbiamo ricordato, venne localizzata la saga della sua nascita. Tra i culti anatolici ricorderemo soprattutto quello dell'altro monte Ida, presso la città di Troia, col quale una versione più tarda del mito collegò la nascita di Zeus; avvenimento che d'altra parte fu collegato anche con i monti Tmolo e Sipilo (v. anche cibele); inoltre, nella Caria, il già citato culto di Zeus Labrandeo e quello di Zeus Panamaro, cui erano dedicate le feste Panamaree (v.).

Iconografia. - Prescindendo dalle rappresentazioni aniconiche sotto le quali, secondo alcune testimonianze, Zeus sarebbe stato venerato in Grecia in epoca assai remota, possiamo dire che i più vetusti simulacri che si ricordano di lui sono alcuni xoana, menzionati da Pausania (II, 24, 3). Uno di questi si trovam a Larissa e il suo volto era provvisto di tre occhi, particolare che il Periegeta spiegava col triplice dominio del dio sulla terra, sul cielo e sul mare, mentre altri vi scorsero le caratteristiche delle figure mitiche del lampo e del tuono, o un'allusione alla possibilità di conoscere il passato, il presente e il futuro.

Al sec. VI a. C. probabilmente, e alla tecnica dello sphyrelaton, ci riporta l'altro simulacro di Zeus Hypatos, che Pausania (III, 17, 6) osservò a Sparta e attribuì a Clearco da Reggio.

Il rapido sviluppo della statuaria dovette ben presto far dare a queste immagini del sommo degli dei attributi e caratteri ben definiti, ma non è facile stabilire quali essi siano stati per i diversi culti corrispondenti ai numerosi epiteti del dio, sebbene talora il velo o l'egida di cui è ricoperto, o la qualità della corona che gli recinge il capo ci aiuti a distinguere lo Zeus Dodoneo redimito di quercia dallo Zeus Olimpio coronato di alloro e così via. Talora è invece l'espressione del volto che ci permette di riconoscere la rappresentazione di un culto particolare; ma, in generale, possiamo dire che Zeus è per i Greci soprattutto l'adunatore di nembi e il dominatore della folgore, oppure il mite e venerando signore degli dei e degli uomini. Queste due concezioni fondamentali, e soprattutto la seconda, ci spiegano perché il dio solo eccezionalmente fosse rappresentato giovanile e imberbe (come nei simulaeri eseguiti dagli scultori Agelada e Dionisio), mentre per solito è di età matura, chiomato e barbato, come in due teste arcaiche, una di bronzo e l'altra di terracotta, ritrovate ad Olimpia.

Nell'ulteriore sviluppo dell'arte greca i tipi principali della rappresentazione di Zeus sostanzialmente si possono ridurre ai seguenti:

A) Il tipo stante. - In esso bisogna distinguere principalmente i seguenti tre schemi:

1. Il dio è rappresentato nel momento in cui lancia la folgore: egli è completamente nudo e in atteggiamento aggressivo, con il braccio destro alzato che impugna l'arma. Così ce lo mostrano alcuni bronzetti arcaici trovati nel santuario di Olimpia e forse anche un rilievo del frontone del tempio di Garitsa a Corfù. Questo schema fu prediletto dagli scultori prefidiaci, e infatti così pretendono alcuni che lo scultore Agelada avesse raffigurato il dio in una statua che esisteva ad Itome (Paus., IV, 33, 2), e di cui si è voluta vedere la riproduzione in un tetradramma di Messene; questo era l'atteggiamento dello Zeus Polieo venerato sull'Acropoli di Atene e riprodotto forse in alcune monete di questa città; questa la posa che riconosciamo nella bella statua bronzea della prima metà del sec. V, rinvenuta nel 1929 presso il Capo Artemisio e oggi al musen di Atene (v. bronzo, tav. CCVII). Né differiva forse dai precedenti, nello schema, lo Zeus eseguito da Aristonoto da Egina e che, avendo la testa coronata di fiori, teneva in una mano la folgore e nell'altra l'aquila (Paus., V, 22, 5).

2. Il dio è rappresentato pure nudo, ma in atteggiamento più calmo, con la folgore impugnata nella mano destra abbassata e con la sinistra appoggiata allo scettro. Così dovette essere raffiggurato in qualche pregevole statua della metà del sec. V a. C., della quale ci dànno un'idea alcuni piccoli bronzi e il cui originale taluni vorrebbero far risalire addirittura a Mirone. In questo tipo, sebbene con caratteri stilistici proprî dell'arte della seconda metà del secolo V, rientrano un bel bronzo esistente a Firenze, quello della casa di Goethe, quello di una statuetta di Palermo e di una di Châlons-sur-Marne, il cui originale è stato attribuito ora a Policleto, ora a Fidia. Non sappiamo se questo tipo sia stato elaborato anche più tardi dalla scultura greca, come da Lisippo che, avendo eseguito alcune statue di Zeus, creò forse, in una di queste, un contrapposto all'Alessandro con la lancia, rappresentando Zeus stante che brandiva lo scettro.

3. Il tipo stante, infine, ci si presenta qualche volta non più nudo, ma parzialmente avvolto nell'imatio che, risalendo con un lembo sulla spalla sinistra, lascia vedere le forme del torso. Questo tipo di Zeus drappeggiato si riscontra anche nelle rappresentazioni vascolari: nella ceramica a figure nere il dio indossa spesso chitone ed imatio, più raramente una clamide; nella ceramica a figure rosse predomina il tipo col torso denudato e, meno frequentemente, quello completamente nudo. Nelle opere di scultura il tipo parzialmente ammantato si riconosce nello Zeus che, invisibile alle figure ehe lo circondano, sta fra Enomao e Pelope nel frontone orientale del tempio di Zeus ad Olimpia; in questo schema rientra anche il cosiddetto Zeus di Dresda, certo opera della scuola fidiaca, nel quale, tuttavia, qualcuno volle ravvisare una figura di Asclepio. Vi rientrava forse anche lo Zeus eseguito da Dedalsa nel sec. III a. C. e che, come nelle monete dei re di Bitinia, nella mano destra teneva una corona; e così pure lo Zeus Urios (Οὔριος) di Tindari, statua romana del museo di Palermo, che certamente riproduce un tipo ellenistico venerato a Siracusa, dove è ricordato da Cicerone (Verr., IV, 57, 128) e riprodotto in alcune monete. Del resto, anche il cosiddetto Zeus Egioco di Cirene, che risale all'epoca adrianea, si riconnette al tipo descritto: esso riproduceva forse un esemplare di epoca classica, probabilmente del sec. IV a. C.

B) Il tipo seduto. - Non sappiamo se e di quanto posteriore al primo sia l'origine di questo secondo tipo, che tanto si prestava a rappresentare la regalità e la maestà del dio come padre e signore degli dei e degli uomini. Tuttavia in una delle più antiche rappresentazioni che rientrano in questo schema troviamo ancora un'allusione allo Zeus folgoratore: infatti nel rarissimo tetradramma di Bruxelles che ci mostra Zeus Etneo, il dio, seduto su un trono coperto di una pelle ferina, si appoggia con la destra a un bastone o a uno scettro, mentre con la sinistra regge il fulmine stilizzato. Nella figura rappresentata sul conio di questa antica moneta siceliota qualcuno ha voluto vedere la riproduzione di un antico simulacro bronzeo dei primi decennî del sec. V a. C. Seduto sembra fosse anche lo Zeus μειλίχιος di Policleto il Vecchio ad Argo, sebbene l'accenno di Pausania al riguardo sia quanto mai fuggevole. Ma l'artista che, elaborando questo schema, creò la più nobile rappresentazione del dio fu certamente Fidia nel famoso colosso crisoelefantino di Olimpia (v. fidia). Dal punto di vista iconografico bisogna rilevare che il torso della statua fidiaca era quasi completamente nudo, e che se il dio impugnava con la destra lo scettro sormontato dall'aquila, nella sinistra protesa recava una Nike, la quale doveva avere un particolare riferimento ai celebri agoni. La maestà del viso, oltre che dai monumenti che sembrano meglio rifletterla, è confermata dalla tradizione, che diceva essersi Fidia ispirato ai noti versi dell'Iliade (I, 528 seg.), mentre la calma e la mitezza dell'espressione è attestata da un passo di Dione Crisostomo (Orat., XII, 74, p. 248 ed. Emperius). In sostanza, sembra che quanto al volto del dio Fidia abbia accettato i tratti iconografici delle creazioni antecedenti, ma ancora più nobilitandoli e dando una grande bellezza ed euritmia alla fronte alta e spaziosa, alle sopracciglia, al naso, alla bocca, una particolare morbidezza alla barba e alle chiome ondeggianti cinte di quercia. Riflessi di questa nobiltà vediamo in alcune opere più tarde, come il famoso Zeus di Otricoli, che per qualche tempo fu erroneamente creduto riproduzione del fidiaco. Del resto la statua di Olimpia fu più o meno liberamente imitata da diversi artisti dal sec. IV a. C. sino all'età adrianea, e infatti ad essa si ricollegavano alcune statue di età ellenistica, come l'acrolito che Euclide di Atene eseguì per gli abitanti di Egira nel Peloponneso, e di cui ci è pervenuta la testa marmorea, lo Zeus aetoforo, di cui vediamo una riproduzione nelle monete di Alessandro il Macedone, lo Zeus niceforo che si osserva su alcune monete della Siria. L'eco della maestà dello Zeus fidiaco si nota anche nella pittura vascolare coeva o di poco posteriore, come pure nella pittura murale, sebbene in qualche affresco sino a noi pervenuto gli attributi siano diversi, e alla Nike sia sostituito talora il fulmine.

D'altra parte, sebbene lo Zeus di Fidia sia rimasto per molto tempo il tipo canonico nella rappresentazione del dio, dobbiamo ritenere che in epoca posteriore questo tipo abbia subito notevoli modificazioni, sopra tutto per opera degli artisti più personali, come per es. Cefisodoto il Vecchio e particolarmente Lisippo.

Rappresentazioni riferentisi a miti diversi. - Intorno alla fanciullezza del dio, Pausania (VIII, 27, 3; 31, 4) ricorda alcune rappresentazioni, che egli avrebbe visto a Tegea, di Zeus infante portato dalle Ninfe. Della leggenda cretese, secondo la quale il dio sarebbe stato allevato in quell'isola dalla capra Amaltea, vediamo un riflesso in uno dei lati di un altare marmoreo del Museo capitolino. Zeus fanciullo in braccio a una Ninfa si riscontra pure in un rilievo fittile e in un gruppo marmoreo del Museo Vaticano. Zeus infante, circondato da coribanti, è rappresentato nei rilievi Campana, mentre su monete imperiali cretesi e asiatiche lo vediamo ora sulla cima di un monte, ora a cavallo di una capra o su un globo.

Alle relazioni con Era alludeva, oltre ai diversi gruppi ricordati dalle fonti letterarie, il famoso rilievo selinuntino del tempio E, nel quale si è voluto vedere l'accenno a un famoso episodio del XIV libro dell'Iliade rappresentazione dalla quale non si discosta molto, se l'interpretazione è esatta, quella di un noto dipinto pompeiano. Con la sposa, del resto, Zeus figura spesso nelle adunate di divinità, sia in rilievi (a cominciare da quello del Partenone), sia in dipinti vascolari, nei quali vediamo spesso, come coppieri, Ganimede, Iride ed Ebe.

Un altro gruppo di rappresentazioni si riferisce alla nascita di Atena che ritroviamo anche nella pittura vascolare, ma soprattutto nel frontone orientale del Partenone, che possiamo idealmente ricomporre nei suoi particolari mediante il rilievo che si osserva su un puteale di Madrid. In questa rappresentazione vediamo il dio, seduto su un trono, di profilo, e dietro di lui Efesto che con un colpo di scure fa uscire dal suo capo la dea completamente armata.

Tacendo di altre scene, nelle quali Zeus ha parte di minore importanza, veniamo alle rappresentazioni della vera impresa eroica di lui: cioè della battaglia con i Giganti. Qualche scultura arcaica ci mostra la lotta singola del dio contro Tifeo. Il tema della gigantomachia si ritrova più volte nella pittura vascolare: negli esemplari più arcaici Zeus è armato di corazza come un comune guerriero, mentre talvolta è rappresentato sul carro guidato da una Nike e in atto di lanciare la folgore; il soggetto torna nella bella gemma di Atenione, la quale forse riproduceva un'altra opera d'arte. Ma la rappresentazione più grandiosa della gigantomachia è quella del rilievo di Pergamo.

Finalmente rimane da fare un rapido accenno alle rappresentazioni che si riferiscono alle varie avventure amorose di Zeus e alle metamorfosi cui ricorse per rapire Ganimede o per conquistare Europa, Io, Danae, Leda, ecc.

Concezioni barbariche di Zeus. - Aspetti speciali, che talora vengono contrassegnati da speciali epiteti, furono assunti da Zeus fuori di Grecia. In uno scudo ritrovato nell'antro Ideo, a Creta, è forse il dio stesso che in mezzo a dei coribanti solleva un leone, avendo caratteri e attributi perfettamente assiri. In alcune monete di Milasa, nella Caria, vediamo una figura stante, modiata, munita di scure: lo Zeus Labrandeo; il dio armato col tridente e con la testa circondata di raggi, lo Zeus Osogos (Paus., VIII, 10, 4) si osserva in un'altra moneta di Milasa. Una divinità siriaca è lo Zeus Dolicheno che ebbe culto nell'età imperiale e che è di solito rappresentato ritto sul dorso di un toro. Pertanto queste concezioni originariamente barbariche spesso assunsero forme perfettamente elleniche, perché elaborate da taluni noti scultori greci. Così dello Zeus Ammone, venerato soprattutto nell'oasi di Sīwa, esisteva a Tebe un'immagine dedicata da Pindaro, eseguita nel sec. V a. C. dallo scultore ateniese Calamide (Paus., IX, 26, 1): a prescindere dalle corna di ariete avvolgentisi attorno alla fronte, egli aveva forse quel volto barbato e venerando che si osserva in talune probabili repliche di questo tipo pervenute sino a noi. Così pure uno dei principali scultori greci del sec. IV a. C., Briasside, aveva eseguito un'immagine dello Zeus Serapide, vestito di chitone e di mantello, col capo sormontato da un modio e la cui espressione cupa indicava la natura infernale.

In queste divinità di origine barbarica si erano trasfusi i caratteri iconografici dello Zeus greco, come, del resto, essi erano passati ad altre divinità del vero e proprio pantheon ellenico, quali Asclepio, Ade-Plutone e lo stesso Poseidone.

Vedi anche giove.

Bibl.: L. Preller-C. Robert, Griechische Mythologie, I, 4ª ed., Berlino 1887, p. 115 segg.; O. Gruppe, Griechische Mythologie u. Religionsgeschichte, Monaco 1906, p. 1100 segg.; Th. Zielinski, La religion de la Grèce ancienne, Parigi 1926; W. F. Otto, Die Götter Griechenlands, Bonn 1929; U. Wilamowitz-Moellendorff, Der Glaube der Hellenen, I-II, Berlino 1931-32, passim; A. B. Cook, Zeus, vol. 2, Cambridge 1914-25; Gruppe-Fehrle, K. Ziegter, O. Waser, art. Zeus, in Roscher, Lexikon der gr. u. röm. Mythol., VI (1936). - Trattazioni generali sull'iconografia di Z., sebbene antiquate, sono quelle di J. Overbeck, in Gr. Kunst-mythol., I, Lipsia 1871; di A. Baumeister nei Denkmäler (s. v. Zeus); di Aust, in Roscher, Lexikon d. Mythologie (s. v. Iuppiter); ma v. ora O. Waser, in Roscher, art. Zeus cit. Per le statue e i rilievi più noti via via ricordati, v. le più importanti storie dell'arte greca e, in particolare, della scultura: W. Klein, Gr. Kunstgesch., Lipsia 1904-07; M. Collignon, Hist. de la sculpt. gr., Parigi 1892-1897; Ch. Picard, La sculp. antique, ivi 1926. Per il grande bronzo del Capo Artemisio, v. in Jahrbuch d. arch. Inst., 1930. Per il bronzo fiorentino e per i tipi affini: L. Curtius, in Röm. Mittheil., I suppl., Monaco 1931, Per lo Z. di Tindari: B. Pace, Arti ed artisti della Sicilia antica, in Memorie Lincei, s. 5ª, XV (1907). Per la moneta di Z. Etneo v. A. Holm, Catania antica, trad. ital. di G. Libertini, Catania 1925. Per lo Z. fidiaco v., oltre alla bibliogr. alla voce fidia; l'art. di G. E. Rizzo, in Dedalo, VII (1926-27), p. 273 segg. Per le varie rappresentazioni nella ceramica greca: E. Pfuhl, Die gr. Malerei, Monaco 1923, passim. Per lo Z. sugli scudi dell'antro Ideo: P. Orsi, in Museo di antichità classica, II, col. 769 segg.