ZANFUR

Enciclopedia dell' Arte Antica (1997)

ZANFŪR (Assuras)

F. Ceci

Città romana dell'Africa Pro- consularis, nel governatorato di el-Kef, nell'Alto Tell tunisino, regione a vocazione cerealicola di media altitudine situata al centro del paese e delimitata dalla valle della Megerda a Ν e dalle basse steppe a S e SE. Questa zona conobbe in età preromana un'intensa urbanizzazione, sebbene non vi siano documentati monumenti delle fasi punica e numidica.

La città, ascritta alla tribù Horatia, era chiamata colonia Iulia Assuras (CIL, vin, 1798), nome ricordato nell'Itinerarium Antonini (49, 51) e nella Tabula Peutingeriana-, Plinio (Nat. hist., V, 29: Absuritanum) la annovera fra gli oppida civium Romanorum situati all'interno della provincia.

L'abitato romano si trova in un'area attualmente a destinazione agricola, ed è attraversato dallo wādī Zanfūr e dalle profonde gole scavate dal suo corso. Sebbene la città fosse già stata individuata da viaggiatori della fine dell'800, mancano scavi che permettano una precisa delineazione della topografia urbana e dell'estensione dell'area abitata dalla quale si dipartiva l'importante asse stradale N-S Assuras-Sufetula (Salama, 1951). I monumenti in vista e identificabili con certezza sono: tre archi trionfali, un teatro, un tempio e due mausolei, tutti eretti all'interno del tessuto urbano e inquadrabili cronologicamente tra la prima età augustea e il III sec. d.C. Gli edifici, compresi quelli non riconoscibili, sono costruiti in pietra calcarea a grana fine locale, in buona parte proveniente da una vicina cava, situata a NO dell'area urbana. Sul terreno mancano completamente tracce riferibili alla presenza di laterizi (mattoni e tegole), mentre abbondantissima è la ceramica a vernice nera.

Un muro di cinta, attualmente non rilevabile e di età incerta - forse bizantina - viene ricordato da Guerin (1862) e da Esperandieu (1883), il quale traccia anche uno schizzo approssimativo dell'area urbana, in cui il muro è caratterizzato da una successione di' angoli salienti e rientranti.

All'interno della città si collocano tre archi a un solo fornice. Quello meglio conservato, databile al 215 d.C., si situa a NE ed è largo 11 m, con un'arcata di 5,60 m circa. L'altezza del fornice è di 7 m, ma l'arco intero, parte del quale si trova crollato a terra, doveva superare i 10 m. I piedritti sono decorati su entrambi i lati da lesene scanalate con capitello corinzio. L'attico, coronato da una cornice cassettonata, conserva parte dell'iscrizione dedicatoria, rivolta a NE verso l'esterno della città, fatta dalla colonia Iulia Assuras a Settimio Severo, Caracalla e Giulia Domna (CIL, vin, 1798). È possibile che un'iscrizione analoga si trovasse sul lato dell'attico che guarda verso l'interno dell'area urbana (Guerin, 1862). Un secondo arco, anonimo, si trova a N, nei pressi del teatro, e si estende per 10,90 m circa (arcata di 5,40 m, altezza alla chiave di volta 6,60 m). I piedritti sono decorati dallo stesso tipo di lesena con capitello corinzio dell'arco precedente. Dell'ultimo arco, che si trova a SO (lunghezza 11,30 m, arcata 5,54 m), rimangono soltanto i piedritti con la decorazione a lesena rivolta a S, verso l'esterno della città.

I tre archi presentano tutti le stesse caratteristiche architettoniche (con eccezione del primo che ha le lesene anche sul lato che guarda verso l'interno della città) e misure pressoché uguali; è probabile che anche i due anonimi avessero nell'attico un'epigrafe dedicatoria, di cui non si conserva traccia, sebbene l'arco a Ν sia stato attribuito a Marco Aurelio o a Commodo (Ferchiou, 1987, p. 784).

Il teatro era situato nelle immediate vicinanze del secondo arco. Si conserva, in parte interrato, il primo filare di arcate con le scale d'accesso al secondo ordine e la scenae frons con due arcate ai lati; il complesso è orientato, secondo le prescrizioni vitruviane, a NO, orientamento seguito dalla maggior parte dei teatri nord-africani. Il diametro complessivo è di circa 60 m, misura standard dei teatri tunisini (Bulla Regia: 60 m; Thugga: 63,60) e doveva avere una capacità di 4.000 spettatori circa.

A SO si colloca un tempio a pianta quasi quadrata (esterno 9,30 m, interno 8,60 X 8,40 circa), di cui rimangono

le pareti Í e O; l'ingresso doveva trovarsi a S. Le due pareti conservate si compongono di una muratura a blocchi rettangolari decorata da quattro lesene lisce poggianti su basi scanalate e coronate da un capitello corinzio; a tre quarti dell'altezza corre, tra le lesene, un fregio scolpito composto da festoni sorretti da bucrani e candelabri (tre fregi per ogni lato del tempio).

Nei pressi del tempio, a O, si trovano due mausolei (Ferchiou, 1987): il primo, destinato a ospitare la famiglia di T. Helvacius Papia, come ricorda l'iscrizione, di cui si conservano soltanto le assise inferiori della cella sotterranea, l'urna funeraria e parte del corredo. Del secondo edificio funebre, anonimo, si conserva ancora l'alzato: si compone di una cella ipogea rettangolare sormontata da una cappella funeraria pressoché cubica decorata da pilastri con capitelli figurati, di difficile lettura a causa dello stato di conservazione, ma che sembrerebbero collocarsi nell'ambito della tradizione decorativa e architettonica neopunica. Entrambi sono databili, in base allo stile architettonico e al materiale rinvenuto, alla prima età augustea (fine I a.C.-inizî I sec. d.C.). Nei pressi dei due mausolei, all'interno dell'area urbana, sono state rinvenute cinque iscrizioni funerarie (Guerin, 1862).

In tutta l'area compresa tra i monumenti menzionati si rileva la presenza di numerosi edifici, quasi tutti a pianta rettangolare: in particolare, alle spalle del teatro, sul punto attualmente più alto della città, si trova un grande edificio di cui si conservano in alzato gli angoli NO e SO.

Sul lato meridionale della strada moderna la recente realizzazione di un canale ha messo in luce strutture murarie (elevati e fondazioni), in pietra calcarea, che si estendono sino alle alte pareti create dallo wādī Zanfūr. Imponenti murature poggianti sulla pietra di banco si dislocano su entrambe le rive del fiume; due grosse sostruzioni a blocchi sono, con buona possibilità, da interpretarsi come piloni di ponti, la cui presenza era già stata rilevata (Guerin, 1862; Esperandieu, 1883). La città doveva evidentemente estendersi anche sul lato meridionale dello wādī Zanfūr.

La parte occidentale della città domina a strapiombo lo wādī che la costeggia scorrendo in una gola profondamente incassata. In questa zona, soggetta a fenomeni di dilavamento causato dagli agenti atmosferici, i canali scavati dalle acque e digradanti verso il fiume hanno messo in luce strati archeologici ricchi di materiale architettonico e ceramico.

La data di fondazione della città e la sua condizione giuridica hanno dato luogo a differenti ricostruzioni storiche; in particolare è controversa la data della deduzione coloniale, in quanto Plinio la denomina, come detto, oppidum nella sua lista: la paternità viene attribuita, quindi, a Cesare o a Ottaviano. Sempre secondo il testo pliniano, la città che, in quanto oppidum, già godeva del diritto di cittadinanza, ottenne l'elevazione al rango di colonia durante il regno di Augusto (Romanelli, 1959, pp. 199- 200), così come i non lontani centri di Sicca Veneria (el- Kef), Zama, Simitthu (Šemtū).

Un frammento di tessera hospitalis conservata in collezione privata e di probabile provenienza molisana (Marchetti, 1912), ricorda il vincolo di patronato tra la colonia Iulia Assuritana e il proconsole d'Africa A. Vibius Habitus, noto sinora soltanto grazie a questa e un'altra attestazione, e che dovette rivestire la carica in età tiberiana, intorno al 17 o dopo il 24 d.C.: sono numerosi i documenti di patronato rinvenuti in Africa Pro-consolaris, dove le città si affidavano ad alti magistrati romani che avevano rivestito una carica di rilievo nella provincia (Romanelli, 1959, P- 230, I).

Ad Assuras doveva esserci una presenza cristiana attestata all'epoca del sinodo di Cartagine del 256; della città e dei suoi vescovi parlano San Cipriano (Epistulae, 68) e Sant'Agostino (Bapt., V, 5,6). È ancora ricordata nell'VIII sec. (Me- snage, 1912), e il vescovo della città, S. Epitteto, veniva venerato come martire il 9 Gennaio.

Bibl.: V. Guérin, Voyage archéologique dans la Régence de Tunis, II, Parigi 1862, pp. 88-95; E. Esperandieu, Notes sur quelques mines romaines de la subdivision du Kef (Tunisie), Parigi 1883, pp. 8-11; H. Dessau, in RE, II, 1886, cc. 1749-1751, s.v. Assuras; M. Marchetti, Tessera ospitale, in BullCom, XL, 1912, pp. 113-151; J. Mesnage, L'Afrique chrétienne, Parigi 1912, pp. 168-169; F. van der Meer, Ch. Mohrmann, Atlas de l'antiquité chrétienne, Parigi-Bruxelles i960, taw. m, XXII; P. Salama, Les voies romaines de l'Afrique du Nord, Algeri 1951 (carta della viabilità); P. Romanelli, Storia delle Provincie romane dell'Africa, Roma 1959, sub indice; id., Topografia e archeologia dell'Africa romana (Enciclopedia classica. Sezione III, 10, Archeologia, 7), Torino 1970, passim; N. Ferchiou, Architecture romaine de Tunisie, Tunisi 1975, passim; ead., Les mausolées augus- téens d'Assuras (Zanfour; Tunisie), in MEFRA, XCI, 2, 1987, pp. 767-821.

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