YOGA

Enciclopedia Italiana (1937)

YOGA

Ambrogio Ballini

. Esposizione sistematica dei mezzi ascetici atti a far raggiungere la liberazione finale (l'emancipazione, cioè, dal ciclo delle esistenze e quindi dal dolore) e il conseguimento di poteri sovrannaturali da parte di colui. che di tali mezzi s'è reso padrone (yogin).

Compreso dalla tradizione fra i sei sistemi filosofici ortodossi dell'India antica, lo Yoga va considerato complemento pratico del Sāṃkhya, sistema filosofico vero e proprio, al quale appunto lo Yoga strettamente si connette, ponendo come quello a fondamento proprio l'identica concezione dualistica dell'anima (puruṣa) e della materia (prakṛti). Ne differisce, tuttavia, per sostituire ai mezzi razionali del Sāṃkhya le accennate pratiche ascetiche, dirette a procurare l'unione mistica beatifica dell'uomo con la divinità. L'insieme delle quali ("ardore ascetico", tapas, dalla radice tap "essere caldo, bruciare": cfr. lat. tepor) fu denominato complessivamente yoga "unione, sforzo" (dalla rad. yuj: cfr. lat. iungere). Tale ardore ascetico ebbe due diverse manifestazioni, secondo i poteri che l'asceta (yogin o muni "il silenzioso") si proponeva di conseguire per il fine sperato: rāja-yoga "yoga reale, di maniera dolce, meditativo" (Oltramare), comprendente una quantità di pratiche minuziose e progressive, che, attuate, avrebbero dovuto far raggiungere al penitente ogni possibile perfezione spirituale; haṭha-yoga "yoga dello sforzo, impetuoso, violento, sperimentale", che con elaborate e pur crudeli esercitazioni si supponeva essere fruttuoso all'asceta di poteri mistici e magici. Immobilità, particolare atteggiamento del corpo, posizioni diverse a sedere; regolazione del respiro, ritiro dei sensi, fissazione del pensiero, meditazione, concentrazione; strani e dolorosi mezzi atti a produrre "purificazioni" dalle varie parti del corpo; esposizione dinnanzi ai "cinque fuochi" (il sole e quattro fuochi terrestri), nudità, fissità dello sguardo, ecc., furono i mezzi di queste due specie di yoga, fra i quali tutti ottimo per i suoi effetti si stimò essere il dhyāna "contemplazione, meditazione" (dalla radice dhyā "pensare").

La prima esposizione sistematica dello Yoga che ci sia giunta - la quale, del resto, rispecchia una dottrina con finalità diverse dall'originale - è costituita dallo Yoga-sūtra "Regole dello yoga" di Patanjali, posteriore forse al sec. V d. C., ma risalente certo ad antichità assai maggiore. I quattro capitoli di cui esso si compone concernono rispettivamente la concentrazione (samādhi), i mezzi per ottenerla (sādhanā), i poteri meravigliosi che ne conseguono (vibhūti), l'isolamento dell'anima dalla materia (kaivalya). Il più antico commento allo Yoga-sūtra che ci sia noto è il Sāṃkhya-pravacana (sec. VII) "Esauriente esposizione del Sāṃkhya", (titolo questo che indica la stretta relazione del Yoga col Sāṃkhya). Ma se il sistema di Patañjali è tutto diretto a realizzare con mezzi pratici quanto il Sāṃkhya aveva proclamato, si trova invece in pieno contrasto con esso nell'ammettere un Dio personale, Īśvara, anima distinta dagli altri puruṣa, perché superiore ad essi, se pur essenzialmente eguale, e distinta altresì dalla materia: essere immutabile, eterno, onnisciente, scevro di ogni male del mondo, quale odio, amore, attaccamento alla vita; fuori dalla possibilità di ritornare nel ciclo delle esistenze, libero dalla materia; il solo pronto ad uscire dal suo isolamento per il bene di tutte le creature. Egli non è, tuttavia, creatore né delle anime (puruṣa), che sono senza principio e senza fine, né della materia (prakṛti); non è causa dell'associarsi delle anime con essa; non è reggitore dell'universo, governato questo sempre dalla ferrea legge del karman che impone il ciclo delle esistenze, dal quale appunto l'Īśvara non può emancipare gli esseri: non è perciò meta (liberazione finale) di essi. Ma è tale, nondimeno, che con la devozione a lui, oltre che con la concentrazione (samādhi) si rende possibile il raggiungimento della salute suprema.

Bibl.: P. Tuxen, Yoga, en Oversigt over den systematiske Yoga-filosofi, Copenaghen 1911; S. N. Dasgupta, Yoga Philosophy, Calcutta 1930.

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