WTO

Enciclopedia Italiana - VII Appendice (2007)

WTO

Claudio Dordi

La struttura istituzionale

La WTO (World Trade Organization) è un'organizzazione internazionale, che ha sede a Ginevra, dotata di organi ai quali gli Stati membri hanno conferito precisi poteri decisionali. La sua struttura prevede una Conferenza ministeriale, un Consiglio generale e tre organi che hanno il compito di dover gestire gli accordi relativi ai 3 settori principali di intervento dell'organizzazione: il Consiglio per gli scambi di merci, il Consiglio per gli scambi di servizi e il Consiglio per gli aspetti dei diritti di proprietà intellettuale legati al commercio (TRIPs, Trade-Related Aspects of Intellectual Property Rights). La Conferenza ministeriale, organo principale della WTO, si riunisce almeno una volta ogni due anni. Fino a ora si è riunita sei volte (Singapore, 1996; Ginevra, 1998; Seattle, 1999; Doha, 2001; Cancún, 2003 e Hong Kong, 2005). Oltre a prendere decisioni su tutti gli aspetti contemplati dagli accordi commerciali, comprese le possibilità di adottare interpretazioni autoritative degli accordi stessi (art. ix.2), di concedere deroghe agli Stati in presenza di circostanze eccezionali (art. ix.3) e di apportare emendamenti delle disposizioni dell'accordo istitutivo e dei trattati allegati (art. x), la Conferenza ministeriale definisce gli obiettivi negoziali futuri dell'organizzazione. Il Consiglio generale presenta la stessa composizione e svolge le medesime funzioni della Conferenza negli intervalli di tempo nei quali questa non si riunisce. I tre Consigli settoriali, invece, svolgono le competenze a loro assegnate dai singoli accordi gestiti e quelle a loro ulteriormente conferite dal Consiglio generale (art. iv.5). Inoltre, sono stati istituiti organismi sussidiari (Comitati) che si occupano di questioni specifiche relative al commercio (per es., il Comitato per il commercio e lo sviluppo o il Comitato su commercio e ambiente).

Struttura e contenuto degli accordi WTO

La WTO gestisce 26 accordi multilaterali. Tali accordi, oltre a precisare il contenuto di alcuni degli articoli del GATT (General Agreement on Tariffs and Trade), si applicano a settori precedentemente esclusi dalla disciplina del GATT, quali il tessile e abbigliamento, l'agricoltura, i servizi e alcuni aspetti della proprietà intellettuale legati al commercio. Gli accordi multilaterali della WTO sono parte di uno strumento giuridico unico: lo Stato membro non potrà astenersi dall'applicare anche uno soltanto di questi accordi. Ve ne sono due (gli accordi 'plurilaterali'), che, pur rientrando nell'ambito delle materie coperte dalla WTO, sono vincolanti solo per gli Stati che li hanno espressamente accettati: l'accordo sugli aeromobili civili e quello sugli appalti pubblici.

La normativa del commercio mondiale

La clausola della nazione più favorita e le eccezioni. Se è vero che il GATT concluso nel 1947 si è estinto, va precisato che il medesimo accordo, integrato con tutte le modifiche maturate dalla sua entrata in vigore (apr. 1948) alla data della sua estinzione (31 dic. 1994), è inserito fra i 26 accordi gestiti dalla WTO, il cosiddetto GATT 1994 (per distinguerlo da quello precedente, cosiddetto GATT 1947). Di seguito, verranno descritti i principi fondamentali che, già contenuti nel GATT, caratterizzano anche gran parte degli altri accordi facenti parte del sistema WTO.

Il principio cardine cui si fonda la regolamentazione commerciale della WTO è il principio di 'non discriminazione', reso concretamente operativo attraverso la clausola della nazione più favorita e la clausola del trattamento nazionale. Con la clausola della nazione più favorita, a seconda del settore di riferimento (merci, servizi o TRIPs), "tutti i vantaggi, benefici, privilegi oppure immunità accordati da una parte contraente" a un prodotto, un servizio o un cittadino di uno Stato membro devono essere estesi ai prodotti, servizi o cittadini degli altri Stati "immediatamente e senza condizioni". Tale disposizione crea una situazione in base alla quale è proibito agli Stati membri di differenziare il trattamento fra prodotti (o servizi o cittadini) stranieri in base alla loro origine (o cittadinanza, nel caso delle persone).

La clausola della nazione più favorita, tuttavia, è assistita da due deroghe fondamentali: la prima, prevista dall'art. xxiv del GATT 1994 (per le merci) e dall'art. v del GATS (General Agreement on Trade in Services: per i servizi), consente agli Stati di eliminare gli ostacoli al commercio all'interno di una determinata area senza, per questo, in applicazione della clausola della nazione più favorita, dover estendere il medesimo trattamento a tutti gli altri Stati membri. Si tratta della deroga a favore delle zone di integrazione regionale (che, nel caso del commercio di prodotti, possono assumere la configurazione di zone di libero scambio o di unioni doganali), sfruttata in primo luogo dalla Comunità europea e successivamente da numerosi altri Stati membri del GATT prima, e della WTO successivamente (circa 330 accordi di integrazione regionale sono stati, a tutto il 2005, notificati alla WTO). La seconda importante deroga riguarda il commercio con i Paesi in via di sviluppo: ai sensi di una decisione del 1979 delle parti contraenti del GATT, gli Stati industrializzati hanno la facoltà, ma non l'obbligo, di dover sottoporre le merci originarie dei Paesi in via di sviluppo a un trattamento preferenziale, senza doverlo estendere agli altri membri della WTO. I Paesi industrializzati possono decidere di escludere determinati Paesi e/o settori dal trattamento preferenziale.

In seno all'UNCTAD (United Nations Conference on Trade and Development), organo sussidiario delle Nazioni Unite, è stato raggiunto un accordo riguardante alcuni principi generali applicabili a tutti gli schemi di trattamento preferenziale utilizzati dai Paesi industrializzati: si tratta del Sistema generalizzato delle preferenze (SGP). La non discriminazione è uno dei principi fondamentali del SGP: le merci di un Paese che è inserito nella lista dei Paesi beneficiari non potranno ricevere un trattamento differente rispetto a quelle che sono originarie degli altri beneficiari.

La clausola del trattamento nazionale. - La clausola del trattamento nazionale, invece, prevede il divieto di discriminare fra prodotti, servizi e cittadini di uno Stato terzo (parte della WTO) e prodotti, servizi e cittadini dello Stato nazionale. Nei servizi, diversamente da quanto accade per le merci, il trattamento nazionale è applicabile solo nei confronti di quei settori che uno Stato si è impegnato a liberalizzare. L'impegno viene manifestato dallo Stato attraverso l'indicazione del settore (per es., settore dei servizi professionali) in una lista allegata all'accordo (lista di concessione): ciò comporta l'obbligo per lo Stato di applicare il trattamento nazionale nel settore inserito.

Si ricorda, tuttavia, che il GATS prevede la possibilità di limitare, nell'ambito di un settore, l'applicazione del trattamento nazionale a singole, specifiche modalità di fornitura del servizio (il GATS ne individua quattro: la fornitura transfrontaliera, senza spostamento di persone; il consumo all'estero; la presenza commerciale di un'impresa; il movimento temporaneo di persone fisiche). L'impegno ad applicare il trattamento nazionale, una volta assunto, non può essere oggetto di ritrattazione: ciò vale non solo per i servizi ma anche per le merci, e in particolare per i dazi doganali applicati dagli Stati sui prodotti importati, il cui livello è il risultato degli accordi che sono stati conclusi dagli Stati nel corso dei vari rounds negoziali.

Il divieto di applicare misure restrittive all'importazione. - La WTO si fonda, altresì, sull'abolizione delle misure restrittive all'importazione: nel settore delle merci essa si traduce nel divieto di applicare restrizioni quantitative (art. xi del GATT 1994), mentre nei servizi essa impone agli Stati di non limitare l'ingresso di fornitori stranieri sul mercato nazionale (accesso al mercato). La clausola dell'accesso al mercato nei servizi, tuttavia, è limitata, come il trattamento nazionale, ai soli settori elencati nelle liste di concessione. Il divieto di restrizioni quantitative è accompagnato, nel settore delle merci (ma, parzialmente, anche nel settore dei servizi), da alcune deroghe generali, quali quelle relative alla tutela della bilancia dei pagamenti (art. xii del GATT 1994), quelle che consentono l'applicazione di misure di salvaguardia (art. xix del GATT e specifico accordo concluso nell'ambito dell'Uruguay Round, 1986-1994), quelle generali (dovute, per es., alla protezione della salute, dell'ambiente, delle risorse esauribili, art. xx del GATT e xiv del GATS) e quelle relative alla sicurezza nazionale (art. xxi del GATT e xiv-bis del GATS).

L'accordo sull'agricoltura e quello sui tessili e abbigliamento. - Fra gli altri accordi gestiti dalla WTO, un particolare rilievo meritano l'accordo sull'agricoltura e quello sui tessili e abbigliamento, che sottopongono a regolamentazione due settori che, sostanzialmente, erano stati esclusi dalle regole del GATT. Gli obiettivi dell'accordo sull'agricoltura sono molteplici: oltre alla riduzione delle barriere all'importazione di prodotti agricoli (attraverso la procedura della cosiddetta tarifficazione, la trasformazione, cioè, delle barriere non tariffarie in dazi doganali e la loro successiva riduzione), esso prevede una riduzione sostanziale dei sussidi alla produzione e all'esportazione erogati dagli Stati membri alle imprese nazionali.

L'accordo sui tessili e sull'abbigliamento ha provocato una profonda modifica delle regole vigenti nel settore. Precedentemente, infatti, il commercio di tessili e abbigliamento non era ispirato alle regole del libero scambio, ma era soggetto a contingentamento mediante accordi bilaterali fra gli Stati coordinati nel quadro di un accordo multilaterale (accordo multifibre). Con l'entrata in vigore della WTO, l'accordo sui tessili ha progressivamente smantellato le numerose restrizioni esistenti nel settore e ha obbligato gli Stati a ridurre anche le barriere tariffarie all'importazione. Se per l'accordo riguardante tessili e abbigliamento i risultati sono stati tangibili (il settore, in effetti, è disciplinato dalle regole generali del GATT 1994 che è in vigore per quasi tutti i settori merceologici), l'accordo sull'agricoltura, già non particolarmente severo per quanto concerne gli obblighi di liberalizzazione, non ha contribuito sostanzialmente all'apertura dei mercati, tanto è vero che la 'questione agricola' rimane uno dei problemi più dibattuti sin dalla creazione dell'Organizzazione.

Meritano di essere ricordati, infine, gli accordi che consentono agli Stati di applicare standard sanitari e tecnici sui prodotti commercializzati nel territorio nazionale: gli accordi SPS (Sanitary and Phytosanitary Measures) e TBT (Technical Barriers to Trade). Nel settore delle norme sanitarie, in particolare, esistono degli standard internazionali che sono elaborati da apposite organizzazioni (per es., la Codex Alimentarius Commission, istituita dall'OMS - Organizzazione Mondiale della Sanità - e dalla FAO - Food and Agriculture Organization) congiuntamente. L'applicazione di questi standard, tuttavia, non è vincolante: gli Stati membri della WTO potranno applicare standard più severi se saranno in grado di giustificarli scientificamente.

Le misure di difesa commerciale

La WTO consente agli Stati l'applicazione, in certe circostanze, di misure di difesa commerciale per fronteggiare le pratiche sleali degli esportatori stranieri. Si tratta, in particolare, delle disposizioni relative all'antidumping e quelle destinate a proteggere i produttori nazionali contro i beni importati che hanno goduto, nel Paese di origine, di aiuti statali. Il dumping (che, perl'accordo specifico allegato alla WTO, consiste nell'esportazione di un prodotto a un prezzo inferiore rispetto a un valore normale, che si identifica, di norma, con il prezzo del bene nel mercato di origine) non è vietato dalla WTO; esso è, invece, considerato scorretto da parte degli Stati nazionali, che, quando ne verificano l'esistenza, hanno la possibilità di applicare dazi aggiuntivi nei confronti dei prodotti per i quali un'inchiesta ha stabilito l'esistenza del dumping e il danno per l'industria nazionale. L'accordo antidumping, dunque, sottopone a regolamentazione il comportamento dello Stato importatore al fine di evitare che la pratica dell'antidumping si trasformi da misura di difesa commerciale in vera e propria pratica di natura protezionistica. L'accordo sulle sovvenzioni regola sia gli aiuti pubblici degli Stati a favore delle imprese, sia le misure difensive applicabili dagli Stati importatori nei confronti di beni che hanno fruito, nello Stato di origine, di sovvenzioni pubbliche. L'accordo distingue i sussidi in tre categorie: i sussidi proibiti (quelli all'esportazione e quelli vincolati all'impiego di componenti di origine nazionale); i sussidi passibili di azione legale (tutti quelli che sono suscettibili, fra l'altro, di provocare danni all'industria importatrice); i sussidi consentiti (che, tuttavia, in seguito al mancato accordo fra gli Stati della WTO, sono compresi nella seconda categoria citata).

La risoluzione delle controversie commerciali

L'Allegato 2 all'accordo istitutivo contiene l'Intesa sulle norme e le procedure che regolamentano la risoluzione delle controversie (DSU, Dispute Settlement Understanding) tra membri per quanto riguarda diritti e obblighi derivanti dalle disposizioni degli accordi WTO (art. 1.1 della DSU). Il sistema di soluzione delle controversie persegue obiettivi definiti, quali la certezza del diritto come pure la stabilità delle relazioni commerciali, e, inoltre, garantisce la sicura esperibilità dei procedimenti contenziosi e l'esecuzione dei giudizi. L'amministrazione dell'iter contenzioso è devoluta all'Organo di soluzione delle controversie (DSB, Dispute Settlement Body), che è la veste giurisdizionale del Consiglio generale. Lo scopo primario del meccanismo contenzioso è individuato nella soluzione reciprocamente accettabile per le parti della disputa (art. 3.7), scopo che, peraltro, deve essere perseguito alla luce dell'altro obiettivo fondamentale, la tutela del diritto codificato negli accordi WTO (art. 3.5). A tale fine, le interpretazioni giuridiche rese in sede contenziosa non possono comportare né un ampliamento né una riduzione degli obblighi e dei diritti degli Stati membri, tenuto conto, soprattutto, del fatto che tali interpretazioni non hanno effetti vincolanti di portata generale.

Il procedimento contenzioso si articola in quattro fasi principali: la fase preliminare delle consultazioni dirette tra le parti; la fase giurisdizionale di primo grado davanti al panel (artt. 6-16); la fase di secondo grado davanti all'Organo di appello; la fase esecutiva. Ai sensi dell'art. 4 della DSU, le consultazioni bilaterali, le quali sono volte a favorire la composizione amichevole della vertenza, si attivano mediante presentazione alla controparte e notifica al DSB e ai consigli e comitati competenti per materia dei motivi della richiesta (con precisa indicazione della richiesta e della base giuridica del reclamo).

È importante sottolineare che, solamente in caso di fallimento delle consultazioni, è possibile aprire la procedura davanti al panel. La legittimazione attiva di uno Stato membro ad agire nei confronti di un altro Stato membro è sottoposta alla sussistenza di una duplice condizione. Infatti, in primo luogo, oggetto della controversia deve essere un annullamento o un pregiudizio di un vantaggio risultante da un accordo contemplato; inoltre, deve essere di ostacolo alla realizzazione degli obiettivi che sono perseguiti da un accordo (rari nella prassi). Il procedimento decisionale in seno al DSB si perfeziona attraverso la regola generale del consensus. Eccezione a tale assunto riguarda l'istituzione dei panels: ciò infatti avviene solo ove il DSB non decida per consensus negativo (art. 6.1), circostanza difficile a determinarsi a causa dell'ovvio dissenso della parte ricorrente. Il panel è formato da tre oppure cinque soggetti che operano a titolo individuale e si occupa essenzialmente dell'istruzione della causa. La relazione finale che viene predisposta dal panel è sottoposta all'approvazione del DSB.

Le parti della controversia hanno tuttavia la facoltà di impedire l'adozione del rapporto del panel in seno al DSB, facendo ricorso al giudice di secondo grado, l'Organo di appello (art. 16.4). Quest'ultimo, nel proprio rapporto, che è soggetto ad approvazione da parte del DSB, può confermare, annullare oppure modificare, in tutto o in parte, le conclusioni del panel.

L'adozione del rapporto del panel, contestualmente a quello dell'Organo di appello, laddove sia stato avviato anche il secondo grado di giudizio, determina la fine della fase giurisdizionale. Quindi, qualora un panel o l'Organo di appello giunga alla conclusione che una misura è incompatibile con un accordo contemplato, esso raccomanda che il membro interessato renda tale misura conforme all'accordo, ed eventualmente suggerisce come quest'ultimo potrebbe ottemperare a tali raccomandazioni (art. 19.1). Durante la fase esecutiva, il DSB ha il sostanziale ruolo di supervisionare che le decisioni e raccomandazioni contenute nei rapporti adottati (dal panel ed eventualmente dall'Organo di appello, qualora sia stato adito quale giudice di secondo grado) siano applicate in maniera corretta dallo Stato soccombente (art. 21.6). Quest'ultimo è tenuto a modificare oppure ad annullare la misura contestata immediatamente o, nel caso in cui questo non sia possibile, entro un termine ragionevole. Di conseguenza, lo Stato interessato deve informare il DSB, il più celermente possibile, relativamente alle modalità del proprio adempimento. Il mancato oppure inadeguato adempimento delle raccomandazioni e decisioni al decorrere del periodo fissato fa scattare un meccanismo di esecuzione coattiva.

Tale meccanismo prevede la possibilità per la parte ricorrente di adottare misure di compensazione, negoziate di concerto con la parte soccombente e, perciò, reciprocamente accettabili. Tuttavia, qualora non intervenga, tra gli Stati parte della controversia, un accordo in tal senso, lo Stato attore potrà richiedere al DSB l'autorizzazione a sospendere l'applicazione di concessioni o altri obblighi derivanti dagli accordi contemplati nei confronti dello Stato inadempiente (art 22.2). La natura di tali misure è descritta dall'art. 22.1 del DSU. Esso stabilisce, infatti, che la compensazione e la sospensione di concessioni o di altri obblighi devono essere compatibili con gli accordi contemplati ed essere considerate quali provvedimenti provvisori, cui è possibile fare ricorso solo ove le raccomandazioni e le decisioni non siano state applicate entro un periodo ragionevole, determinato secondo una procedura dettagliatamente descritta dal DSU stesso.

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