DECKER, Willy

Enciclopedia Italiana - IX Appendice (2015)

DECKER, Willy

Elvio Giudici

Regista di opera lirica tedesco, nato a Pulheim (Renania Settentrionale, Vestfalia) l’8 settembre 1950. Esponente del cosiddetto Regietheater, caratterizzato da performance all’insegna della sperimentazione e della provocazione, realizza i suoi spettacoli – sempre in collaborazione con lo scenografo Wolfgang Gussman – perseguendo la chiarezza nel raccontare la storia del libretto e mettendo a nudo la struttura drammaturgica attraverso un’esegesi psicologica e una distanza critica non priva di ironia nel delineare i rapporti tra i personaggi.

Dopo aver studiato violino a Colonia alla Rheinischen Musikschule e in seguito filosofia, teatro, musica e canto all’Università e alla Scuola superiore di musica e di danza, ha svolto la sua attività prevalentemente come regista d’opera, cominciando come assistente prima a Essen e poi all’Opera di Stato di Colonia, dove aveva potuto lavorare a fianco di registi quali Hans Neugebauer, Harry Kupfer, Jean-Pierre Ponnelle e Michael Hampe. Tra i suoi primi impegni si ricordano le prime assolute di Pollicino di Hans Werner Henze (Montepulciano, 1980), Macbeth di Antonio Bibalo (Oslo, 1990) e Il castello di Aribert Reimann (Berlino, 1992). Il regista ha diretto quasi tutti i titoli di Benjamin Britten per un’affinità con la sua sensibilità artistica, a partire dal Peter Grimes di Bruxelles del 1994 fino a Death in Venice a Barcellona nel 2008. Nel Peter Grimes l’impianto scenico marcatamente espressionista (pavimento in forte pendenza, pareti sghembe che si stringono verso un fondo dipinto con tempestosi vortici marini) evidenzia alcuni simboli forti: Grimes che compare solo, in disparte, abbracciato alla bara dell’apprendista morto, con tutto il villaggio compatto dalla parte opposta. Nel Werther (Amsterdam, 1996) di Jules Émile-Frédéric Massenet, tra i suoi spettacoli più significativi, il simbolo centrale è il grande ritratto della madre di Charlotte che simboleggia la società rigidamente borghese che rende impossibile il trionfo dell’amore ‘giusto’, ovvero quello dei sensi che la figlia invece desidera e prova, unica in bianco rispetto a una folla in nero. A Parigi D. ha poi messo in scena Eugenio Onegin di Pëtr I. Čajkovskij, La clemenza di Tito di Wolfgang Amadeus Mozart, L’olandese volante di Richard Wagner e, nel 1998, Lulu di Alban Berg, in cui la scena circolare circondata da un emiciclo digradante di panche su cui siedono tanti uomini vestiti come Humphrey Bogart in impermeabile nero, allude al circo cui pensava Berg, ma anche al voyerismo di una società maschilista sempre immobile e impassibile a scrutare sia l’azione sia la donna-oggetto, simboleggiata dal celebre divano rosso Bocca dello Studio 65. Dopo la Tosca di Giacomo Puccini a Stoccarda (1998) e l’allestimento dell’intera Tetralogia wagneriana a Dresda (2001-03), punto di arrivo della sua carriera è stato il Festival di Salisburgo, dove nel 2004 ha diretto La città morta di Erich Korngold, che ha destato interesse per l’asciutto realismo del contesto, in contrasto con l’atmosfera decadente che le si riteneva connaturata, ma soprattutto nel 2005 La traviata di Giuseppe Verdi, protagonisti Anna Netrebko (v.) e Rolando Villazon, spettacolo divenuto una sorta di icona del teatro musicale del 21° sec.: in essa un vecchio appare sin dal preludio sotto un enorme orologio di cui Violetta prova a bloccare le lancette, rimesse inesorabilmente in moto nel secondo atto dall’arrivo di Germont; mentre il vecchio, che nel terzo atto canta la parte del medico Granville, impersona la Morte.

Nel 2005 è stato nominato professore onorario di regia di teatro musicale alla Hochschule für Musik Hanns Eisler a Berlino. Dopo aver diretto nel 2007 Le vin herbé di Frank Martin al Festival Ruhrtriennale, nel 2009-11 ne è stato direttore artistico, mettendo in scena il Moses und Aron di Arnold Schönberg (2009), la prima mondiale di Layla and Majnun di Samir Odeh-Tamimi (2010) e il Tristano e Isotta di Wagner (2011). Nel 2014 ha diretto Il ritorno di Ulisse in patria di Claudio Monteverdi a Zurigo.

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