WikiLeaks squarcia il velo della diplomazia

Il Libro dell'Anno 2011

Stefano Silvestri

WikiLeaks squarcia il velo della diplomazia

Non è stata una vera rivoluzione, ma ha certamente avuto un impatto significativo sui modi della politica internazionale e sulla credibilità della diplomazia (in primo luogo di quella americana). L’episodio WikiLeaks è ricco di ambiguità. Tecnicamente si è trattato di puro e semplice ‘hackeraggio’ di notizie riservate (sulla scia di numerose operazioni simili), ma compiuto su larghissima scala e con una accortissima gestione mediatica, che ne ha moltiplicato sia l’impatto pubblico sia la credibilità. L’importanza di ciò che è stato rivelato può essere valutata da diversi punti di vista. Da quello della sicurezza nazionale, in primo luogo, sembra aver avuto conseguenze estremamente limitate.

Nulla o quasi di ciò che è apparso in rete ha realmente stupito i professionisti della politica internazionale. D’altro canto si trattava per lo più di informazioni con un livello basso di segretezza, che potevano circolare abbastanza liberamente all’interno di SIPRINet, la rete dedicata del Dipartimento di Stato americano che conta, a quanto si sa, circa due milioni e mezzo di utenti: nessuno può seriamente pensare di affidare segreti importanti a una tale platea di lettori. Dal punto di vista della funzionalità della diplomazia, invece, il danno c’è stato e molto grave. I diplomatici, per svolgere bene il loro lavoro, devono parlare con molte persone diverse e raccogliere ogni tipo di voce, parere o confidenza, anche imbarazzante e, se la ritengono utile, riferirla con la maggiore precisione possibile al loro governo. In tal modo non solo passano molti messaggi ‘ufficiosi’, che non sarebbe utile né prudente esprimere in pubblico, ma contribuiscono anche a creare una migliore comprensione di ciò che realmente avviene, e soprattutto di ciò che si pensa, nei paesi in cui si trovano in missione. Ma l’ovvia e necessaria contropartita di questa operazione di fiducia (spesso reciproca) è la più assoluta discrezione. Un diplomatico che decidesse di mettere in piazza le sue conversazioni dovrebbe al più presto cambiare mestiere: non raccoglierebbe più alcuna fiducia tra i suoi interlocutori e non sarebbe quindi più di grande utilità. La ‘cultura hacker’ pensa esattamente l’opposto: non ha la minima fiducia nei governi e considera una sfida qualsiasi tipo di segretezza o di riservatezza.

In questo caso essa ha collaborato strettamente con alcuni dei maggiori giornali indipendenti (New York Times, Le Monde, El País, The Guardian e Der Spiegel) che hanno svolto tutto il complesso lavoro di lettura, classificazione, controllo di veridicità e selezione delle notizie da pubblicare, rendendone molto più facile la fruizione da parte del grande pubblico, accrescendone la credibilità e moltiplicando la forza di impatto di rivelazioni che altrimenti, forse, sarebbero risultate difficilmente accessibili al grande pubblico, meno comprensibili, oltre che molto più vulnerabili a operazioni di smentita, intossicazione o persino cancellazione. Molti hanno paragonato questo episodio a quello della pubblicazione dei cosiddetti Pentagon Papers, sulla guerra in Vietnam, Cambogia e Laos, parzialmente pubblicati, a partire dal 1971, dal New York Times. Anche in quella occasione in realtà la sicurezza nazionale statunitense non venne messa in pericolo (i documenti coprivano decisioni prese sino al 1967), ma l’effetto politico delle rivelazioni fu molto maggiore, poiché colpì la credibilità di svariati presidenti (in particolare Lyndon Johnson) e andò ad accrescere la sfiducia popolare nei confronti del governo federale e specialmente della Casa Bianca, aggiungendo il loro impatto a quello, già di per sé devastante, dell’affare Watergate. Nulla di tutto questo si è avuto con i dispacci rivelati da WikiLeaks. Alcuni hanno voluto vedere nell’episodio un attacco politico sferrato contro l’amministrazione Obama poiché, anche se i dispacci per lo più erano precedenti alla sua elezione, essi hanno certo reso più difficile l’apertura politica tentata dal nuovo presidente nei confronti di molte aree ‘critiche’, a cominciare dal Medio Oriente.

In realtà gli effetti più significativi si vedranno solo col tempo e riguarderanno in primo luogo la diplomazia, americana e internazionale. L’uso del web aveva molto facilitato il lavoro dei diplomatici, accrescendo la mole delle notizie circolanti e la velocità delle comunicazioni: ora tutto ciò deve essere visto con maggiore sospetto e molta più prudenza.

Aumenterà il livello di segretezza dei dispacci, rendendo più complessa la loro gestione, e ritardandone i tempi.

Diminuirà la condivisione delle informazioni e forse anche la fiducia nella loro correttezza (se possono essere rubate, possono anche essere manipolate).

Gli interlocutori saranno molto più circospetti. Insomma, invece di diventare più aperta, la diplomazia diverrà più segreta e forse anche un po’ meno utile. WikiLeaks ha creato imbarazzo e qualche problema.

La vera rivoluzione sul web è avvenuta altrove, nelle piazze egiziane, tunisine e degli altri paesi arabi, dove non vi è stato alcun hackeraggio bensì la più ampia e aperta condivisione di opinioni e informazioni, e la nascita di nuovi soggetti politici. Sono costoro, e non gli hacker, che potranno cambiare il mondo.

Diversi livelli di riservatezza

Un’adeguata comprensione dell’importanza dei dispacci diplomatici filtrati all’esterno attraverso WikiLeaks implica la conoscenza del sistema di tutela del segreto di Stato adoperato dal governo degli Stati Uniti che, riprendendo il sistema britannico, distingue diversi ‘livelli di segretezza’. Si parla dunque di documenti top secret, la cui pubblicazione potrebbe causare danni «di eccezionale gravità» alla sicurezza nazionale del paese interessato; secret, la cui diffusione implica danni «gravi» alla sicurezza nazionale; infine di documenti confidential, restricted e unclassified, in ordine decrescente di riservatezza. Tale classificazione è in uso anche in molti altri paesi; i documenti pubblicati su WikiLeaks appartengono a quelli con minori livelli di riservatezza, per cui la loro rilevanza dev’essere valutata alla luce di quest’importante dato di fatto.

Dalla segretezza alla pubblicità

Fino a poco meno di un secolo fa, la diplomazia era per definizione ‘segreta’, e accordi internazionali anche di vasta portata potevano essere conclusi o disconosciuti senza che venissero nemmeno portati a conoscenza dei parlamenti degli Stati coinvolti. Per esempio, il Trattato di Londra del 26 aprile 1915, che portò all’ingresso dell’Italia nella Prima guerra mondiale al fianco dell’Intesa e di conseguenza al rinnegamento degli impegni assunti con Germania e Austria-Ungheria nell’ambito della Triplice Alleanza, fu reso pubblico solo nel 1917 in seguito alla rivoluzione bolscevica.

Un primo importante, e in qualche modo rivoluzionario, cambiamento di questa situazione si ebbe solo con i Quattordici punti proposti dal presidente degli Stati Uniti Woodrow Wilson nel gennaio 1918. Il primo di essi consisteva appunto nell’abbandono della diplomazia segreta e nella richiesta di «pubblici trattati di pace, stabiliti pubblicamente… e di una diplomazia che proceda sempre nella franchezza e sotto lo sguardo del pubblico». Tale principio si è in gran parte affermato nei decenni successivi, sia pure con delle limitazioni, non essendo inusuale che trattati ‘pubblici’ comprendano clausole segrete anche di notevole importanza. Per esempio, il patto di non-aggressione tedesco-sovietico dell’agosto 1939 conteneva un protocollo segreto sulla spartizione degli Stati situati tra Germania e URSS, che fu reso pubblico solo dopo la caduta del nazismo e la cui autenticità venne pervicacemente negata dai sovietici: perfino gli stessi dirigenti del PCUS non ne erano a conoscenza, come testimoniato da uno stretto collaboratore di Michail Gorbacëv.

Il caso WikiLeaks può dunque essere considerato come una nuova tappa verso una sempre maggiore trasparenza della diplomazia e dei meccanismi che governano le relazioni internazionali, che però con tutta probabilità non sarà mai completamente raggiunta, così come non lo è nel caso dei rapporti politici interni ai singoli paesi.

Non solo dispacci diplomatici

Oltre ai dispacci diplomatici pubblicati nel novembre 2010, WikiLeaks ha messo on-line una quantità di documenti di altro genere, anch’essi per la maggior parte di fonte statunitense: tra di essi, l’Afghan War Diary, una raccolta di circa 77.000 scritti sulla guerra in Afghanistan ‘postati’ nel luglio 2010; i cosiddetti Iraq War Logs, circa 400.000 documenti relativi alle operazioni militari in Iraq resi pubblici nell’ottobre 2010; infine, alcune centinaia di rapporti sul carcere speciale di Guantanamo Bay, messi on-line nell’aprile 2011. Oltre quelli prodotti dal governo americano, WikiLeaks ha anche pubblicato documenti provenienti da altre organizzazioni, tra cui un rapporto sulla corruzione in Kenya, commissionato dal governo di quel paese nel 2004 e reso pubblico nel 2007; informazioni su un incidente verificatosi nella centrale nucleare iraniana di Natanz nel 2009; la documentazione prodotta dalla principale banca internazionale islandese durante la crisi finanziaria del 2008-10 e un dossier dell’amministrazione municipale di Duisburg (Germania) in occasione della Love Parade finita in tragedia nel 2010.

La trasparenza può nuocere?

I pericoli insiti nella diffusione di dispacci diplomatici riservati sono emersi con maggiore chiarezza dopo che, sia pure accidentalmente, sono divenute disponibili in rete le versioni complete degli stessi. Inizialmente, infatti, i dispacci in questione erano stati resi pubblici in forma modificata, per non compromettere la sicurezza di informatori residenti in paesi in stato di guerra e/o controllati da regimi autoritari. L’incolumità e la libertà di costoro sono state però messe a rischio da un’ulteriore fuga di notizie: quando infatti il portavoce tedesco di WikiLeaks ha lasciato il suo incarico ha portato con sé i contenuti di un server informatico, che sono divenuti pubblici in maniera accidentale dopo che un collaboratore di Assange ha diffuso la parola-chiave che consentiva l’accesso ai file criptati. In tal modo, la versione completa dei dispacci è stata purtroppo resa disponibile anche agli agenti di polizie segrete e ai servizi informativi di tutto il mondo.

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