VOLUME

Enciclopedia Italiana (1937)

VOLUME

Giuseppe SCORZA DRAGONI

La nozione di volume è per i solidi, cioè per le porzioni di spazio delimitate da superficie (semplici, chiuse e regolari), l'analogo di quello che la nozione di area è per le superficie piane; e, al pari di questa (v. area), ha il suo fondamento nel confronto delle estensioni, il cui contenuto intuitivo è fornito da numerose esperienze pratiche, per es. confronti di capacità.

Nell'idea intuitiva di estensione di un solido (come di una superficie) è implicito che l'estensione stessa debba godere della proprietà additiva (v. additiva, proprietà) e che un solido debba avere estensione maggiore di ogni solido in esso contenuto. Perciò l'estensione di un solido è una grandezza (v. grandezza); e il volume ne è la misura rispetto a una unità che, secondo la convenzione universalmente adottata, è l'estensione di un cubo avente come lato il segmento prefissato come unità di misura per le lunghezze. Il volume dí un cubo qualunque si ottiene allora elevando alla terza potenza il numero che ci dà la lunghezza del lato del cubo.

Per confrontare (le estensioni di) due solidi, tolta una lieve divergenza, si procede in modo del tutto simile a quello tenuto nel caso di due superficie. Ecco anzitutto la divergenza. Per confrontare una superficie piana qualsiasi (per es., un cerchio) con il quadrato unità, si ricorre a un procedimento di passaggio al limite. Ma se la superficie, di cui si tratta è un poligono, questo confronto si può condurre a termine con un numero finito di operazioni, perché con un numero finito di operazioni elementari il poligono si può trasformare in un quadrato di area uguale. Invece nel caso del confronto di due poliedri, che sono le figure spaziali analoghe ai poligoni, il ricorso a metodi infinitesimali è, almeno in generale, una necessità. La ragione intima di questo fatto dipende da una circostanza, posta in luce da M. Dehn, secondo la quale, mentre due poligoni d'estensioni uguali si possono sempre dividere in un numero finito di parti poligonali a due a due ordinatamente uguali, la proprietà analoga non è generalmente vera per due poliedri (XXVII, p. 641).

Per calcolare il volume di un solido si procederà dunque nel modo che segue, anche se questo solido è un poliedro. Si fisserà nello spazio un sistema di coordinate cartesiane ortogonali x, y, z (v. coordinate), si dividerà lo spazio in tanti cubi mediante i piani

n essendo un numero intero e positivo; s'indicherà con vn la somma dei volumi dei cubi completamente contenuti nel solido e con Vn la somma dei volumi dei cubi, ciascuno dei quali contenga almeno un punto del solido; e questo lo si immagini fatto per ogni valore di n.

Allora i limiti (v. limite)

esistono entrambi, perché vn non decresce al crescere di n, mentre Vn non cresce; inoltre essi sono eguali e il loro valore comune è il valore del volume del solido, mentre Vn e vn ne sono, rispettivamente, un valore approssimato per eccesso e un valore approssimato per difetto.

Servendosi dei simboli e del linguaggio del calcolo integrale, si ha che il volume del solido è uguale a

l'integrale triplo essendo esteso al solido di cui si vuole calcolare il volume - così come l'area di una superficie contenuta nel piano xy è uguale a

l'integrale doppio essendo esteso alla superficie di cui si vuole calcolare l'area - oppure, che il volume del solido è uguale all'integrale, secondo Riemann, della funzione uguale a uno nei punti del solido e a zero altrove (funzione caratteristica dell'insieme di punti costituito dal solido).

L'espressione dx dy dz rappresenta l'elemento di volume del solido in coordinate cartesiane. In coordinate polari. (v. coordinate) l'elemento di volume è invece dato da

se ρ è raggio vettore, ϕ la colatitudine e ϑ la longitudine; vale a dire, se lo spazio è riferito a un sistema di coordinate polari, il volume di un solido è uguale a

l'integrale triplo essendo esteso all'insieme descritto dal punto Q (ρ, ϕ, ϑ), in uno spazio in cui si sia fissato un sistema di coordinate cartesiane ortogonali (ρ, ϕ, ϑ), mentre il punto P (ρ, ϕ, ϑ), nello spazio riferito a coordinate polari, descrive il solido dato.

Gl'insiemi di punti per cui la funzione caratteristica è integrabile secondo Riemann sono anche detti insiemi misurabili secondo Jordan: a ciascuno di essi si può associare il numero uguale all'integrale della funzione caratteristica, numero che riceve anche il nome di misura secondo Jordan, e interpretare questo numero come un volume.

Se poi si fa uso della nozione di integrale di Lebesgue (v. integrale, calcolo, n. 22), allora gl'insiemi di punti per cui la funzione caratteristica è integrabile (sommabile) sono insiemi misurabili secondo Lebesgue, e come loro volume si assume il valore (misura secondo Lebesgue dell'insieme) dell'integrale di questa funzione.

Poiché il calcolo integrale è sorto, principalmente, per soddisfare all'esigenza di determinare (le aree ed) i volumi di figure geometriche non del tutto elementari e poiché il calcolo di un volume si può sempre effettivamente ricondurre al calcolo di un integrale, la storia della nozione di volume e delle difficoltà incontrate per darle un assetto logico deve pur essere la storia delle origini del calcolo integrale.

Possiamo quindi rimandare senz'altro alla voce integrale, calcolo, limitandoci qui a ricordare come Archimede sia riuscito a calcolare il volume di una sfera, ricorrendo a un metodo in cui è da ravvisare quella Geometria degli indivisibili che, ideata più tardi da Bonaventura Cavalieri, permise a E. Torricelli di spingersi oltre, giungendo al calcolo dei centri di gravità, alla rettificazione delle curve e alla scoperta di una figura spaziale estendentesi illimitatamente all'infinito e avente volume finito, alla scoperta cioè degl'integrali definiti improprî.

Diamo ora un elenco delle formule per il calcolo dei volumi dei solidi che si incontrano nella geometria elementare: il volume di un prisma è uguale al prodotto A • h dell'area A della base per la misura h dell'altezza; il volume di una piramide è dato invece da 1/3 A • h, se A e h hanno un significato analogo al precedente; il volume di un cilindro circolare è uguale a πr2 h, se h è la misura dell'altezza del cilindro, r quella del raggio della base e π = 3,14189..., di guisa che πr2 è l'area della base del cilindro; il volume di un cono circolare è invece dato da 1/3 πr2, se h, r, π hanno un significato analogo al precedente; il volume di una sfera, di cui r sia la misura del raggio, è uguale a 4/3 πr3, mentre quello di un ellissoide di semiassi a, b, c è dato da 4/3 πabc.

Volume in uno spazio di Riemann. - Nel caso delle superficie, accanto alla determinazione dell'area di un pezzo di piano vi è anche luogo a considerare quella dell'area di una superficie curva.

Nel caso dei solidi non si presenta nulla di equivalente, almeno fino a tanto che si considerano solidi di uno spazio euclideo a tre dimensîoni. Ma naturalmente, non appena aumenti il numero delle dimensioni dello spazio ambiente, vi è luogo a considerare varietà curve a tre dimensioni immerse in esso e a porsi il problema della determinazione del loro volume.

Più generalmente, data una Vn metrica ad n dimensioni (vedi, a es., T. Levi-Civita, Calcolo differenziale assoluto, Roma 1925, pp. 137-138), ci si può proporre di definire per un dato campo della Vn una quantità, V, analoga all'area di una superficie, o al volume di un solido.

Se

è il quadrato del differenziale dell'arco nella metrica che vige sulla Vn, e se (v. determinanti)

il problema si risolve ponendo (Levi-Civita, loc. cit., p. 183)

una volta noto il valore dV dell'elemento di V, il valore di V si deduce mediante il calcolo di un integrale n-plo.

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