VOLPI DI MISURATA, Giuseppe

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 100 (2020)

VOLPI DI MISURATA, Giuseppe

Luciano Segreto

VOLPI DI MISURATA, Giuseppe. – Nacque a Venezia il 19 novembre 1877, quarto figlio di Ernesto (1845-1898) e di Luigia (chiamata Emilia) De Mitri (1850-1888).

La famiglia aveva lontane origine nel Bergamasco, ma il ramo da cui discendeva Ernesto (che a quindici anni partecipò alle guerre di indipendenza, poi lavorò come ingegnere civile ma scrisse anche di aspetti storico-artistici di Venezia) aveva le proprie radici a Fiume.

Giuseppe Volpi fece tutte le scuole a Venezia tranne nel 1883-84, quando, con tutta la famiglia, seguì il padre a Milano. Iscritto al ginnasio presso il convitto nazionale Marco Foscarini di Venezia, nel 1891 tentò, senza riuscirci, di entrare all’Accademia navale di Livorno. Terminò gli studi a Venezia, passando al liceo Marco Polo.

Nel 1896, quando il fratello maggiore, Giovanni, morì ad Adua, insieme a un socio, assunse la rappresentanza per parte del Veneto dell’assicurazione l’Urbaine di Parigi. Tra il 1896 e il 1897 non superò gli scritti del concorso per funzionario alla Corte dei conti. Abbandonò gli studi quando era iscritto al secondo anno di giurisprudenza a Padova (ateneo che nel 1926 gli concesse comunque la laurea honoris causa). Alla rappresentanza dell’Urbaine si aggiunse quella di La popolare, una mutua assicuratrice di Milano. Divenne inoltre collaboratore del quotidiano veneziano La Capitale e scrisse qualche articolo per il Corriere della sera. Creò una società per gestire la pubblicazione delle due guide commerciali avviate dal padre (Guida economico-commerciale di Venezia e Guida economico-commerciale del Veneto), divenendo anche il rappresentante della Magnolia Company, una ditta inglese che produceva metalli speciali per i costruttori di materiali ferroviari.

In quegli anni strinse amicizia con Michal Popović, ministro delle Finanze serbo, che lo invitò in Serbia nella primavera del 1899. Attraverso di lui conobbe l’allora ministro del Commercio Milovan Milovanović e Milenko Vesnić, ambasciatore serbo a Roma nel 1905 e più tardi ministro e infine primo ministro del neonato Regno di Iugoslavia nel 1920. Avviò così un’intensa attività d’importazione ed esportazione di prodotti agricoli e materie prime tra i due Paesi, attivandosi per la creazione di un’agenzia commerciale serba in Italia. Il veicolo di tali attività fu una ditta – la Volpi & C. – costituita nel 1899 con due soci. Gli affari si svilupparono bene. Volpi ottenne anche la rappresentanza esclusiva per il Veneto da parte della Società ungherese di commercio, sezione del Museo commerciale ungherese. La Volpi & C., mentre apriva due succursali in Serbia, a Niš e a Stalac, grazie anche a nuove risorse provenienti dal conte Amedeo Corinaldi (presidente della Camera di commercio di Padova), ottenne in Romania il monopolio per la fornitura di sale, che esportava da Porto Empedocle.

Nel 1900 creò con due soci la Società per lo sfruttamento delle miniere di antracite in precedenza gestite dalla Società veneta delle miniere, appartenuta a uno dei suoi partner. I capitali per sviluppare l’attività li apportò il senatore Nicolò Papadopoli (dal 1888 vicedirettore delle Generali).

Nel 1901 visitò la Macedonia. Tornato in Italia ottenne l’adesione del governo Zanardelli per creare un gruppo di investitori veneti interessati a occuparsi di attività minerarie. Lo affiancarono personalità molto in vista a Venezia e nel Veneto: oltre a Papadopoli, l’onorevole Roberto Paganini, Piero Foscari e Ruggero Revedin. Così prese corpo il Sindacato per le miniere d’Oriente, poi trasformato in Società per le miniere d’Oriente. A dirigere tali imprese fu l’ingegnere minerario Bernardino Nogara, fin da quegli anni uno dei più importanti collaboratori di Volpi, prima di diventare, nel 1929, il primo responsabile dell’Amministrazione speciale della S. Sede.

Invitato in Montenegro nel 1903 dal ministro della Giustizia, Lujo Aloisio Voinovich, prese in mano il progetto, cui aveva lavorato Foscari, che prevedeva sfruttamento di boschi e miniere, costruzioni ferroviarie, creazione di una manifattura di tabacchi. Volpi modificò il piano, eliminando gli investimenti meno appetibili (boschi e miniere), lasciando la manifattura di tabacchi e aggiungendo la creazione di un porto ad Antivari, che sarebbe stato collegato per ferrovia al lago di Scutari e da lì verso la Serbia per congiungersi alla linea ferroviaria Vienna-Costantinopoli. Per sviluppare tali iniziative sorsero la Regia Cointeressenza dei tabacchi (di cui Volpi sottoscrisse poco più del 17% del capitale) e, nel 1906, la Compagnia di Antivari. Oltre che dalla Banca commerciale italiana (Comit), il capitale di questa venne sottoscritto da un vasto gruppo di banche e industriali di primissimo piano: la banca Zaccaria Pisa, la banca Vonwiller, Rinaldo Piaggio, le famiglie Orlando e Odero, Armando Raggio. Insieme a loro anche altri personaggi pubblici come Guglielmo Marconi, Vico Mantegazza, Rolandi Ricci, l’onorevole Carlo Cornaggia Medici. Volpi tenne per sé il ruolo di amministratore delegato. Il porto venne costruito in tempi rapidi, come pure la ferrovia da Antivari al lago di Scutari. I margini di guadagno restarono però inferiori alle spese. Fu necessario l’aiuto pubblico per pareggiare i conti. Lo strumento fu quello di una sovvenzione statale per un servizio postale da Bari ad Antivari, una soluzione cui si giunse dopo estenuanti trattative che coinvolsero l’ambasciata a Cettigne, il ministero degli Esteri e uomini politici legati alla Comit.

La vastità delle nuove iniziative di Volpi attirò la Comit, un attore ben più solido del gruppo di investitori che lo aveva accompagnato agli esordi. I contatti erano sorti nel 1900, a Napoli, dove Volpi ebbe l’opportunità di conoscere Giuseppe Toeplitz, che due anni prima aveva aperto la filiale della banca. Tali legami, divenuti anche di amicizia, si rafforzarono in particolare dal 1902, quando Toeplitz fu inviato a Venezia per aprire un’altra filiale. Negli anni successivi strinse rapporti intensi con Otto Joel, l’amministratore delegato della Comit, che si considerava una sorta di fratello maggiore di Volpi (tra i due correvano ventun anni), ma per quest’ultimo, ancora giovane e inesperto su diverse questioni bancarie e finanziarie, nonostante l’enorme talento e la rapidità con cui apprendeva, era una sorta di mentore.

In quegli anni si lanciò su un terreno totalmente diverso, quello dell’industria elettrica, di cui sarebbe diventato protagonista assoluto. Nel 1904 acquisì le installazioni elettriche di Palmanova, Cividale e successivamente di Belluno, che avrebbero rappresentato il nocciolo iniziale delle attività della Società adriatica di elettricità (SADE) costituita come società anonima nel 1905 con un capitale iniziale di 300.000 lire aumentato subito a 4,47 milioni. Al suo fianco, da quel momento, ci sarebbe stato Achille Gaggia, un ingegnere di due anni più vecchio laureatosi a Padova, nominato subito direttore e più avanti vicepresidente della SADE.

Nel 1904, Volpi acquistò villa Morosini-Gattenburg, a Marocco, nei pressi di Mogliano Veneto. Due anni dopo, l’8 ottobre 1906, a Firenze si unì in matrimonio con Albina (Nerina) Pisani (1875-1942), figlia di Luigi, il maggiore mercante d’arte fiorentino. Dalla loro unione nacquero Marina (1908-1977) e Anna Maria (1913-2004).

Nel 1907 partecipò alla costituzione della Società commerciale d’Oriente, che rappresentò il primo serio tentativo italiano di entrare nel cuore del sistema economico e politico dell’Impero ottomano. A dirigerla venne chiamato Nogara, ormai stabilmente collocato nell’area, punto di riferimento per Volpi per ogni iniziativa nel Levante.

Nel 1909 venne tentato dalla possibilità di entrare in Parlamento, correndo per i liberali nel collegio di Oderzo-Motta. L’elezione era sicura, perché non c’erano concorrenti in grado di batterlo. Tuttavia, a circa una settimana dal voto, si ritirò dopo che Luigi Luzzatti aveva fatto sapere di essere di nuovo disponibile per quel collegio. La decisione fece contento Joel, che aveva fatto di tutto per scongiurare l’entrata in politica di Volpi.

Nel 1911 l’Italia approfittò della situazione per dare corpo alle proprie ambizioni coloniali in Nord Africa, attraverso un conflitto militare con la Turchia. In vista delle trattative di pace, Volpi, contattato da Giovanni Giolitti attraverso il ministro delle Finanze Luigi Facta, venne inserito nel gruppo dei negoziatori insieme a Pietro Bertolini (deputato e più volte ministro con Giolitti) e Guido Fusinato (deputato e docente di diritto costituzionale a Torino). Nel giugno del 1912 si recò per alcuni giorni a Costantinopoli, non come inviato italiano, ma con un passaporto diplomatico serbo. Il viaggio-lampo gli consentì, grazie a numerosi contatti nel mondo politico, diplomatico e finanziario locale, di acquisire informazioni riservate che mettevano in rilievo le diversità di opinioni nelle alte sfere politiche turche. Dopo l’estate la trattativa accelerò grazie ai costanti contatti con Nogara, autentico quarto negoziatore dietro le fila, a Costantinopoli, e alla nomina di un nuovo governo che aveva come ministro degli Esteri Gabriel Efendi Noradunkyan, con cui Volpi aveva trattato l’acquisto di alcune concessioni al confine con la Bulgaria ai tempi della Società per le miniere d’Oriente. La firma degli accordi – la cosiddetta Pace di Ouchy – fece di Volpi un personaggio pubblico, acclamato come un eroe al suo rientro a Milano. Come ricompensa, il 17 dicembre 1912 divenne ministro plenipotenziario, mentre nel maggio del 1913 ottenne il titolo di nobile. Lo stesso anno fu scelto come vicepresidente della conferenza finanziaria a Parigi per la sistemazione economica conseguente alle guerre balcaniche.

Prima dell’entrata dell’Italia nel conflitto mondiale, sottotenente del genio della milizia territoriale, si arruolò come volontario nell’aprile del 1915. Da imprenditore elettrico fu inviato presso i comandi dei corpi d’armata dell’Italia centro-settentrionale per definire gli esoneri dei dipendenti delle imprese del settore. Il 4 agosto 1915 ottenne di essere inviato al fronte nei pressi di Monfalcone. Nei giorni successivi effettuò missioni di controllo di infrastrutture sotto il fuoco nemico prima di essere trasferito per un mese al comando del VI corpo d’armata per studiare provvedimenti per l’alimentazione idrica dello stesso. Passò poi alla direzione del genio militare di Venezia in modo da poter lavorare anche per le sue aziende, quando fosse stato libero dal servizio.

Nel 1917 a Venezia comprò un palazzo sul Canal Grande (conosciuto come palazzo D’Anna Viaro Martinengo) e a Roma il palazzo d’angolo tra via del Quirinale e via delle Quattro Fontane (noto allora come palazzo Santovatti), che sarebbe divenuto il suo domicilio durante i numerosi incarichi che ebbe fino al 1943. Una grande operazione in campo economico interessò invece Venezia e in particolare Marghera. Dall’inizio del secolo si discuteva della necessità di migliorare le infrastrutture portuali. Molti progetti erano stati esaminati. Tuttavia, le divergenze tra le diverse componenti (l’amministrazione comunale, il mondo economico, tecnici e ingegneri) avevano finito per bloccare qualsiasi iniziativa. Dopo anni di pausa, nel febbraio del 1917 Volpi diede vita al Sindacato di studi per imprese elettro-metallurgiche e navali, subito accolto con favore a Venezia e a Roma. Il Sindacato incaricò Enrico Coen Cagli, costruttore del porto di Antivari, di preparare un progetto. I contatti romani di Volpi e la presenza di Foscari al governo come sottosegretario alle Colonie consentirono un rapido approdo del progetto al ministero dei Lavori pubblici. Il piano prevedeva la creazione di un porto commerciale con annesso un porto per i petroli, diverse zone industriali e un quartiere urbano. Nonostante la sua complessità, il Consiglio superiore dei lavori pubblici approvò il progetto in soli cinque giorni. Fu così possibile passare rapidamente alla fase operativa, mentre Volpi costituiva la Società porto industriale di Venezia con gli stessi soci che avevano dato vita al Sindacato, divenendone anche il presidente.

Porto Marghera richiese anni di lavori. Alla rapidità, quasi sospetta, dei primi mesi, seguirono procedure amministrative molto più lente. La situazione politica non aiutò con i numerosi cambi di governo e di ministri. Tuttavia, nel 1922 nella zona industriale sorgevano gli impianti di 16 imprese, salite a 27 nel 1928; sarebbero state 98 nel 1945. L’operazione cambiò l’immagine di Venezia a livello nazionale e internazionale: non più solo una città semiaddormentata sul proprio passato, ma un centro economico, commerciale e industriale aperto alle sfide e alle nuove opportunità del mercato.

In quegli stessi anni, però, Volpi fu impegnato in diverse altre iniziative. Dapprima, nel 1918, fu il mediatore tra la Comit e i fratelli Perrone, proprietari dell’Ansaldo, che durante la cosiddetta scalata alle banche avevano acquistato un cospicuo pacchetto di azioni della banca per modificarne gli orientamenti creditizi e la governance.

Presidente dell’Associazione fra le società italiane per azioni (Assonime) dal 1919 al 1921, entrò nel Consiglio supremo economico, voluto dalla Conferenza di Versailles. Nel frattempo, nel febbraio del 1920 acquistò dagli eredi Stefani e dal giornalista e politico triestino Teodoro Mayer la totalità delle azioni della Stefani, la più antica agenzia giornalistica italiana. Lo fece tramite un prestanome, l’avvocato romano Giovanni Cappelletto. Volpi mantenne il controllo dell’Agenzia fino al 1924, quando, dietro pressioni di Benito Mussolini, cedette la maggioranza delle azioni al giornalista sansepolcrista Manlio Morgagni, che trasformò la Stefani in uno dei più potenti strumenti del regime.

Nel dicembre del 1920 venne nominato conte per i servigi resi al Paese. Nel 1921, durante la Conferenza di Rapallo, convocata per risolvere i problemi in sospeso dopo la Conferenza di Versailles a proposito della Iugoslavia, svolse una missione analoga a quella del 1912. Andò a Belgrado a trattare con il governo, sebbene il suo viaggio fosse ufficialmente legato al suo ruolo di presidente di Assonime. Tale intervento eterodosso consentì il rapido superamento di diversi scogli politico-diplomatici, anche se gli provocò qualche risentimento in Montenegro e negli ambienti nazionalisti e fascisti.

Pochi mesi dopo, nel giugno del 1921, venne nominato governatore di Libia, che negli anni precedenti era sempre stato difficile sottomettere completamente e integrare sul piano politico-amministrativo ed economico. Prima di partire si dimise da tutte le cariche societarie (29 secondo una fonte pubblica, 45 secondo documenti del suo archivio). Passava alcuni mesi l’anno in Libia, a Tripoli e a Misurata, tornando in Italia nei periodi più caldi dell’anno. Mantenne la carica fino all’estate del 1925. La sua azione fu contraddistinta dal completamento della struttura politico-amministrativa, da una serie di riforme in campo economico, da alcuni importanti successi militari (tra tutti la conquista di Misurata con un attacco dal mare, che volle guidare personalmente), da alcune misure che interessarono le diverse comunità religiose.

Il 10 ottobre 1922 fu nominato senatore. Nei giorni della marcia su Roma era apparso molto preoccupato per «le imprevedibili difficoltà che possono intervenire in questi giorni da una situazione torbida e che costituisce una svolta pericolosa per la vita nazionale», come scrisse a Giorgio Cavallini, segretario generale della Tripolitania (Venezia, Archivio della famiglia Volpi, Corrispondenza Volpi-Cavallini, Volpi a Cavallini, 28 ottobre 1922).). Eppure ebbe un comportamento da grand comis de l’état nei confronti del primo governo Mussolini. Convinto che il nuovo esecutivo avrebbe appoggiato ancora più di quello precedente la sua politica in Libia, accettò la tessera del Partito nazionale fascista, assegnatagli durante una cerimonia avvenuta a Tripoli nell’estate del 1923. Anni dopo fece retrodatare la data di iscrizione al giorno della presa di Misurata, il 26 gennaio 1922. Nel settembre del 1923 venne insignito del titolo di ministro di Stato. Dal 1924 al 1929 fu presidente del Rotary veneziano e nel 1925 aggiunse al suo cognome il predicato di Misurata.

Negli anni in cui fu governatore fece capire più volte di voler interrompere l’esperienza. Già convinto nel 1922 e di nuovo nel 1924 di essere in corsa per un posto da ministro, si mosse con cautela per preparare un’eventuale chiamata. L’opportunità arrivò infine nel 1925 in una situazione politicamente molto tesa (erano i giorni successivi al delitto Matteotti) ed economicamente difficile nonostante le misure di contenimento della spesa introdotte dal ministro delle Finanze Alberto De Stefani. I rapporti tra quest’ultimo e Mussolini erano divenuti più tesi e lo stesso si può dire per il direttore generale della Banca d’Italia Bonaldo Stringher, che stava imponendo una linea di politica monetaria sempre più lontana da quella del ministro. De Stefani si dimise ai primi di luglio. Mussolini, che aveva bisogno di ritrovare un’intesa con le diverse categorie economiche, dopo avere sondato Alberto Pirelli, chiamò Volpi, sebbene sembra che questi preferisse il ministero dell’Economia. La sua nomina venne accolta positivamente tanto negli ambienti economici quanto in insospettabili settori politici: il giornale del Partito socialista, l’Avanti!, sottolineò la sua formazione strettamente economica e l’esperienza internazionale.

Da ministro delle Finanze negoziò in Gran Bretagna e Stati Uniti la questione del debito di guerra, ottenendo importanti concessioni sul suo ammontare, sui tassi di interesse e sui tempi di restituzione. Più difficile fu invece il rapporto con Mussolini quando si trattò di definire le linee guida per la stabilizzazione monetaria. Egli riuscì a influenzare il capo del governo solo fino all’estate del 1926. Con il discorso di Pesaro su quota 90 Mussolini virò decisamente su un terreno più politico. L’opera di mediazione di Volpi non riuscì a bloccare una rivalutazione della lira molto pesante per diversi settori economici. Pur avendo il sostegno di ambienti economici e finanziari (su tutti la Comit), volle mantenersi equidistante, finendo tuttavia per seguire le direttive di Mussolini, vista l’impossibilità di trovare una mediazione soddisfacente sul nuovo tasso di cambio della lira. Da ministro gestì anche alcune delicate questioni concernenti il patrimonio della Banca d’Italia e il suo nuovo ruolo di unica banca d’emissione. Diede inoltre il suo appoggio per la nascita, nel 1926, della prima azienda pubblica per il settore petrolifero, l’AGIP (Agenzia Generale Italiana Petroli), alla testa della quale, nonostante le proteste degli ambienti fascisti più intransigenti, volle Ettore Conti.

Mussolini chiese le sue dimissioni nel luglio del 1928. Nel corso della cerimonia del passaggio delle consegne al suo successore, il senatore Antonio Mosconi, Volpi lo definì «grande servitore dello Stato» (un indiretto accenno alla propria esperienza di ministro), eliminando dal suo discorso ogni elemento di retorica fascista, mentre Mussolini volle gratificarlo nella lettera di congedo da ministro, ringraziandolo per essere stato «affezionato collaboratore non solo nel campo tecnico, ma anche in quello politico» (Roma, Archivio centrale dello Stato, Carte Volpi, b. 2, Mussolini a Volpi, 7 luglio 1928). Lasciato il ministero si dedicò alle attività del suo gruppo, riprendendo incarichi in 14 delle 45 società da cui si era dimesso, sviluppando – caso unico tra i gruppi elettrici italiani – una strategia di penetrazione nei mercati stranieri (Grecia, Romania, Spagna e Gran Bretagna) attraverso diverse holding create in Belgio e in Canada. Nel contempo si dedicò a valorizzare la tenuta agricola vicino alla villa che aveva fatto costruire in Libia, a Misurata.

Nel 1929 divenne primo procuratore della basilica di S. Marco a Venezia. Per conto del governo svolse missioni in Grecia, Turchia ed Egitto. Alla fine dell’anno fu nominato presidente del nuovo ente di gestione della Biennale di Venezia. Negli anni successivi l’ente sviluppò notevolmente le sue attività in diverse direzioni (musica, teatro, danza). La decisione più importante fu quella di dare vita alla prima Mostra internazionale d’arte cinematografica, un evento che attirò a Venezia le maggiori case produttrici, anche dall’estero, e fece da volano – insieme alle altre attività dell’ente – a un grande sviluppo delle attività turistiche (Volpi, tra l’altro, aveva una posizione di controllo nella Compagnia italiana grandi alberghi, proprietaria dell’hotel Excelsior al Lido di Venezia, mentre di sua iniziativa nel 1930 aveva fatto costruire, sempre al Lido, un campo da golf). Inizialmente tollerata dal regime, salvo poi cercare di impossessarsene per usarla come strumento propagandistico fuori d’Italia, la Mostra fu in realtà a lungo una sorta di zona franca, che Volpi seppe gestire con equilibrio nei confronti del governo senza rinunciare a rimarcare il messaggio modernizzatore, ma anche di apertura politica e culturale, del cinema. L’immagine che aveva a Venezia fece progressivamente di Volpi una sorta di punto di riferimento, d’incontro e di smistamento di svariati interessi che vedevano in lui un potente mediatore tra istituzioni politiche nazionali e locali, organi di regime e di partito.

Nel 1932 divenne vicepresidente della Compagnie internationale des wagons-lits (CIWL) a seguito di una vasta operazione finanziaria che riequilibrò gli assetti proprietari, riconoscendo una preminenza relativa agli interessi francesi e valorizzando quelli italiani. In quegli anni diede impulso alla nascita del quartiere urbano di Marghera, contribuendo alla realizzazione dell’asilo intitolato a sua moglie, Nerina Volpi, che dal 1932-33 iniziò a soffrire di un tumore che l’avrebbe portata alla morte nel 1942.

Nel 1934 conobbe Natalie (Lily) El Kanouli (1899-1989), sposata con Jacques Léopold Lacloche (con cui aveva avuto due figli), con la quale iniziò un’intensa relazione sentimentale. Nel 1938 con Lily ebbe un figlio, Giovanni. La sposò a Roma nel marzo del 1943.

Nel 1934 assunse la presidenza della Confindustria. L’organizzazione era stata commissariata (la guidò in quella fase Pirelli) e la sua attività era fortemente limitata dalle iniziative del ministero delle Corporazioni, che tendeva a cumulare molte prerogative. Grazie alle sue doti di mediatore, Volpi riuscì a ridarle spazi di autonomia, spesso in competizione diretta con organi statali fascisti. Nel contempo non venne meno alle esigenze di contatti internazionali. Specie nel caso della Germania la progressiva difficoltà a mantenere un certo equilibrio fra interessi contrastanti mise Volpi di fronte alla difficile alternativa tra le esigenze di seguire le direttive politiche del regime e la necessità di salvaguardare gli interessi italiani.

In quegli anni sviluppò anche altre iniziative. Nel 1934 acquistò villa Barbaro, a Maser (Treviso), una delle opere più interessanti di Palladio, affidandone la cura alla figlia Marina. Dal 1935, nei mesi invernali, le cucine della sua abitazione a Venezia distribuivano 200-250 pasti al giorno agli indigenti della città. Qui nel 1937 acquistò palazzo Vendramin per installarvi la sede del Centro Volpi di elettrologia, un istituto per lo sviluppo delle conoscenze in campo elettrico aperto a studiosi italiani e stranieri. Lo stesso anno a Farfa finanziò il restauro dell’abbazia benedettina del XIII secolo e la ricostruzione di un antico borgo, trapiantandovi numerose famiglie di artigiani veneziani. Nel 1938, l’anno in cui nacque Giovanni, acquistò da un aristocratico spagnolo una villa alla Giudecca, dove andarono ad abitare Lily e il figlio. Nel 1940 acquisì una tenuta ad Acquaviva, nei pressi di Montepulciano, e contribuì ai restauri della chiesa parrocchiale.

Sempre nel 1938 divenne presidente delle Assicurazioni generali, dopo l’entrata in vigore delle leggi razziali che avevano obbligato alle dimissioni il gruppo dirigente di origine ebraica della compagnia. Rimase in carica fino all’ottobre del 1943, confermando le linee strategiche della società, ma rafforzando quelle che la proiettavano sui mercati internazionali, sia in Europa sia nel Nordamerica. Soprattutto nei Paesi dell’Europa centrorientale, tradizionale area di espansione delle Generali, ma anche di crescente concorrenza da parte tedesca, Volpi si avvalse dei cavilli delle leggi razziali per tenere ai loro posti i dirigenti locali della compagnia di religione ebraica.

Nel dicembre del 1939 ricevette dall’ambasciatore britannico a Roma la Knight grand cross (honorary) of the most excellent order of the British Empire per i servigi resi all’industria e alla cultura britanniche, una delle ventinove onorificenze ricevute nella vita da governi stranieri (cui vanno aggiunte le quattro italiane).

Nel 1942 venne nominato vicepresidente della commissione economica permanente italo-croata, l’organo incaricato di coordinare l’integrazione dell’economia croata in quella italiana. Pur fedele alle direttive governative, in privato esprimeva opinioni simili a quelle di altri importanti imprenditori relative all’inevitabile sconfitta militare e alle conseguenze politiche che ne sarebbero derivate. Era considerato spesso da personaggi in vista del regime come filobritannico (nel Regno Unito nel 1936 si pensava che potesse essere l’uomo più adatto a sostituire Mussolini nel caso di una crisi del regime), ma anche come francofilo (lasciato il ministero delle Finanze, all’estero erano corse le voci di una sua nomina ad ambasciatore a Parigi). Nel 1942 negoziò con i partner francesi della CIWL un accordo in base al quale, in caso di intervento tedesco per assumerne il controllo, le loro azioni sarebbero passate agli italiani.

Conversando nel novembre del 1942 con il diplomatico Luca Pietromarchi, da una parte affermò che occorreva «preparare i mutamenti che la situazione impone con un governo presieduto dal duce, ma con larga partecipazione di personalità scelte dai più diversi settori e procedere alle deliberazioni che l’opinione pubblica esige»; dall’altra, però, rispondendo a una sollecitazione di Pietromarchi che gli diceva che in realtà il re avrebbe dovuto incaricare lui di formare un nuovo governo, confermò che «molti gli hanno dichiarato che data l’autorità di cui gode all’interno e più all’estero egli deve assumere il governo. Ad Aquarone che gli chiedeva giorni fa se avesse qualche cosa da riferire al re aveva risposto: Ho due parole da fargli ripetere, ma tu non avrai il coraggio di riferirgliele: Usque tandem. Il re conosce bene il latino» (Torino, Archivio della Fondazione Luigi Einaudi, Diari di Luca Pietromarchi, vol. 1, 27 novembre 1942).

Nel marzo del 1943 si recò a Torino per capire la portata delle proteste operaie scoppiate nel capoluogo piemontese, una mossa che fu probabilmente causa di dissapori con il capo del governo. Alla fine di aprile si dimise da presidente della Confindustria, sostituito dal direttore generale Giovanni Balella. Nei giorni che portarono al 25 luglio Volpi era in Svizzera per incontrare i rappresentanti tedeschi di alcune imprese elettriche e cercare di appianare dei contrasti esistenti in Grecia in imprese controllate del gruppo Sade. Tornato in Italia, proprio quella sera, ebbe la notizia della caduta di Mussolini una volta giunto a Venezia, ma sembra che Giuseppe Bottai e Dino Grandi l’avessero tenuto al corrente facendogli anche leggere il famoso ‘ordine del giorno’ (Venezia, Archivio della famiglia Volpi, O. Mosca, Volpi di Misurata, dattiloscritto, 1961, p. 407). Il giorno dopo ci furono dei tumulti attorno al suo palazzo, mentre quello di Roma fu messo a soqquadro da decine di persone. La moglie propose di partire subito per la Svizzera, ma lui si rifiutò. Secondo il suo segretario, Fausto Grisi, «nutriva qualche segreta speranza di essere chiamato al governo. Dimenticando il suo ventennio fascista [...] credeva nel suo prestigio, nelle larghissime amicizie e nelle sue specifiche qualità che, all’infuori dei precedenti politici, lo avrebbero dovuto far chiamare ai posti di comando. Si intuiva questo suo stato d’animo ma deve ammettersi, per la verità, che non aveva fatto un solo passo, né avvicinato alcun uomo politico di quei giorni, né il re, per almeno far trasparire i suoi intendimenti» (Venezia, Archivio della famiglia Volpi, f. Grisi, Le vicende del conte Volpi dal 26 luglio 1943 al 29 luglio 1946, pp. 7 s.).

Da Venezia si spostò a Roma e da lì a Farfa e poi a Vallombrosa, spesso accompagnato da segni di insofferenza e insulti da parte della popolazione locale e dei villeggianti.

Tornato a Roma, venne prelevato in casa dalla Gestapo la sera del 24 settembre per motivi che non gli furono comunicati.

Medesima sorte era capitata la mattina a Vittorio Cini, amico e partner finanziario in diverse attività economiche. Oltre un mese dopo si venne a sapere che l’iniziativa dell’arresto era tedesca e non di Mussolini. Alessandro Tarabini, console generale della Milizia, a quell’epoca in Germania, aveva denunciato Cini ai tedeschi quale corresponsabile del defenestramento di Mussolini. Sempre su richiesta tedesca aveva predisposto anche una lista delle persone secondo lui sospette.

La sera stessa dell’arresto, dopo un breve passaggio alla sede della Gestapo di via Tasso, Volpi venne rinchiuso a Regina Coeli. L’8 ottobre fu trasferito in una clinica romana sotto sorveglianza italiana. Nel frattempo, sulla stampa della Repubblica sociale italiana iniziarono gli attacchi contro Volpi per i suoi legami con gli ambienti finanziari e per il cosiddetto Premio della libertà destinato ai lavoratori della SADE. A definirlo così fu il Gazzettino di Venezia; in realtà si trattava della vecchia consuetudine di concedere un prestito senza interessi pari a una mensilità di stipendio, prestito che veniva poi annullato come inesigibile, trasformandosi così in una regalia. Altri attacchi tirarono in ballo un’operazione delle Generali su terreni a villa Savoia a Roma appartenenti alla famiglia reale. In novembre il maresciallo Rodolfo Graziani, amico di Volpi, riuscì a sventare il pericolo di un suo trasferimento a Berlino. In quei giorni si venne a sapere che all’origine dell’arresto poteva esserci una lettera della figlia Marina, intercettata dalla censura, nella quale essa affermava che il padre era sempre stato di sentimenti contrari al fascismo. Il 1° dicembre, pur restando in stato d’arresto, rientrò nella sua casa romana. Tra gennaio e febbraio del 1944 negli ambienti politici e giudiziari della Repubblica sociale si valutò la possibilità di istruire un processo contro Volpi.

Ritornò formalmente un uomo libero solo il 23 febbraio. Da allora si mise in moto il programma di espatriare in Svizzera. Volpi, provato da malanni dell’età e da problemi di salute sempre più gravi, aveva poca parte in tutto ciò. Il 24 aprile ci fu un primo tentativo. Le guardie svizzere di frontiera lasciarono passare solo la moglie e il figlio. A Berna il governo aveva deciso di bloccare il flusso di ex gerarchi e di personaggi notoriamente coinvolti a vari livelli nel regime. I tre mesi successivi furono molto difficili per Volpi che, sempre insieme a Grisi, cercava una seconda possibilità, ma nel frattempo doveva guardarsi dai propositi di Mussolini di farlo nuovamente arrestare. Determinante fu sempre la mediazione di Graziani, al quale in maggio scrisse una lettera disperata con la quale gli chiedeva di «fare sapere che il Volpi di oggi, qui o anche in Svizzera, non porta nocumento ad alcuno. Se sono ridotto a questo puoi valutare quali possono essere le aspirazioni che ho per il resto della mia vita» (Venezia, Archivio della famiglia Volpi, Dossier riservato, Volpi a Graziani, 16 maggio 1944).

Infine passò la frontiera il 29 luglio. Venne subito ricoverato in una clinica in Ticino. Pochi giorni dopo arrivò a Losanna, dove si erano rifugiati moglie e figlio, che avevano raggiunto la figlia di Lily e quelle di Volpi, riparate in Svizzera da alcuni mesi. A Losanna rimase quasi sempre in clinica, salvo qualche rara e breve uscita.

All’indomani della fine del conflitto i suoi beni vennero posti sotto sequestro dall’Intendenza di finanza e venne avviata la procedura giudiziaria dell’Alto Commissariato per le sanzioni contro il fascismo. Il suo caso venne esaminato anche dal Comitato di liberazione nazionale (CLN) regionale Veneto. In questa istruttoria vennero predisposte delle memorie difensive a cura di Grisi. Si appurò che tra il 1943 e il 1945 Volpi aveva finanziato il CLN locale per circa 18 milioni di lire. La procedura non si concluse con un verdetto a causa di dissensi interni e sul ruolo dei comitati di liberazione. Tuttavia, alcuni commissari ebbero parole di apprezzamento per Volpi. Ben più importante fu la sentenza emessa nel gennaio del 1947 dal Tribunale di Roma: venne assolto dall’accusa di «Attiva cooperazione col governo fascista» e amnistiato per quella di «avere contribuito a mantenere in vigore il regime fascista con atti rilevanti». In entrambi i casi Grisi e gli avvocati riuscirono anche a dimostrare che nel ventennio fascista non si era arricchito, avendo accumulato tutte le sue fortune prima del 1922.

Gli ultimi mesi di vita furono costellati da altri tipi di dispiaceri. Le figlie di primo letto fecero modificare il testamento, facendo leva sul fatto che la moglie di Volpi era di origine ebraica e aveva dichiarato il falso, secondo le leggi razziali, al momento del matrimonio, affermando di essere ariana. Nell’incertezza della giurisprudenza, temendo il rischio di rendere nullo il matrimonio e privare Lily e il figlio Giovanni dei loro diritti, Volpi cedette, provvedendo altresì a liquidare già in parte le figlie. Poi i suoi avvocati convinsero la moglie dell’inconsistenza della minaccia e il testamento venne di nuovo rivisto, lasciando tuttavia una scia di recriminazioni e risentimenti reciproci.

Le condizioni di salute di Volpi si aggravarono lentamente. Rientrò in Italia, a Roma, nell’ottobre del 1947. Morì nella clinica Villa Bianca il 16 novembre.

I funerali si svolsero a Venezia. Un gruppo di gondolieri trasportò il feretro all’arrivo e un folto corteo di imbarcazioni accompagnò Volpi fino al cimitero.

Nel 1954, grazie anche a numerosi contatti con il patriarca di Venezia Angelo Roncalli e a generose offerte effettuate dalla famiglia, fu traslato nella chiesa dei Frari.

Fonti e Bibl.: Venezia, Archivio famiglia Volpi, Archivio Ernesto Volpi, Carte di famiglia ing. Cav. Ernesto Volpi, bb. 1, 2 e 4; Archivio Volpi, ff. Biografie; O. Mosca, Volpi di Misurata, dattiloscritto [1961]; Torino, Archivio della Fondazione Luigi Einaudi, Diari di Luca Pietromarchi.

Vista la vastità della letteratura, si limitano le citazioni ai soli testi dedicati espressamente e unicamente a Volpi: O. Mosca, V. di M., Roma 1928; Giuseppe Volpi. Ricordi e testimonianze, Venezia 1959; F. Sarazani, L’ultimo doge. Vita di G. V. di M., Milano 1972; S. Romano, Giuseppe Volpi. Industria e finanza tra Giolitti e Mussolini, Milano 1979; L. Segreto, Giuseppe Volpi grand commis de l’état e uomo d’affari. Note per una nuova biografia, in Ateneo veneto, CCIII (2016), pp. 71-88; B. Poulet, Volpi, Prince de la Venise moderne, Paris 2017; L. Segreto, G. V. di M. al ministero delle Finanze. Tecnocrate o politico?, in Intellettuali e uomini di regime nell’Italia fascista, a cura di P. Barucci - P. Bini - L. Conigliello, Firenze 2019, pp. 13-40; L. Segreto, Giuseppe Volpi. Il grande mediatore tra istituzioni, politica ed economia, in Studi storici, LXI (2020), 4, in corso di stampa.

TAG

Alto commissariato per le sanzioni contro il fascismo

Comitato di liberazione nazionale

Ministero delle corporazioni

Repubblica sociale italiana

Partito nazionale fascista