Volontariato

Libro dell'anno 2003

Volontariato

Reciprocità che supera la mera filantropia

La realtà del volontariato in Italia

di Valerio Melandri e Giorgio Vittadini

21 marzo

Il rapporto presentato dal CENSIS e dalla Fondazione Ozanam-De Paoli descrive gli italiani come un popolo altruista e solidale, pronto a mobilitarsi per cause etiche e umanitarie. Secondo i dati riportati, si impegna in attività di volontariato il 26,6% della popolazione e il volontariato rappresenta il soggetto organizzato che riscuote la quota più alta di fiducia (21% degli italiani, percentuale sostanzialmente omogenea nel corpo sociale e in tutto il territorio nazionale). Tuttavia gli operatori del settore non mostrano la stessa fiducia e avvertono, al contrario, segnali di crisi.

Il presente del volontariato

Sul numero di volontari italiani sono stati forniti negli ultimi anni dati molto discordanti, che però registravano tutti un'impetuosa crescita del settore. Secondo l'opinione generale l'impegno gratuito era vivo e vegeto e, soprattutto, numericamente impressionante. Nelle strade, nelle sedi delle associazioni dei volontari, nelle iniziative pubbliche non era tuttavia possibile trovare un riscontro a queste stime. Qualcosa è cambiato nel 2002, dopo che in maggio il settimanale Vita ha pubblicato una ricerca compiuta da Astra Demoskopea, suscitando polemiche protrattesi a lungo sui giornali di settore. I dati, che confermano la percezione degli operatori, indicano un forte calo del numero di volontari in Italia: in complesso una diminuzione del 15%. Altre fonti (Ansa 14 giugno 2002) mostrano come in quattro anni si sia passati da una media di 31 militanti per associazione a 26.

Quel fenomeno che, secondo una sentenza della Corte Costituzionale (nr. 75 del 28 febbraio 1992) è "la più diretta realizzazione del principio di solidarietà sociale, per il quale la persona è chiamata ad agire non per calcolo utilitaristico o per imposizione di un'autorità, ma per libera e spontanea espressione della profonda socialità che caratterizza la persona stessa" sta affievolendosi. Alcuni addirittura, come Stefano Zamagni (Vita, 22 maggio 2002) ne preconizzano la fine, affermando che "di qui a dieci anni, in mancanza di fatti nuovi, il mondo del volontariato scomparirà". Secondo la ricerca di Astra Demoskopea alla base di questa regressione stanno almeno tre ragioni. La prima è un certo logorio ideale: non occorre essere sociologi per accorgersi che in Italia lo slancio che ha sempre caratterizzato la militanza politico-sindacale sta attraversando una crisi sempre più grave; mentre rimane sostanzialmente stabile l'impegno volontario religioso, è calato infatti in modo significativo quello laico. Esiste poi un logorio psicologico, di due tipi: da una parte, la sensazione di non riuscire a cambiare le cose con le modalità classiche del volontariato (cioè impegnandosi poche ore la settimana); dall'altra la difficoltà psicologica, che diventa fisica, di operare in settori quali l'handicap, il disagio psichico o la malattia terminale. Un altro aspetto di cui tenere conto è l'acuirsi di egoismo e individualismo, già dominanti nella cultura e nei comportamenti in modo trasversale, e che trovano oggi quasi una legittimazione sociale: se qualche anno fa la persona che mostrava disinteresse per gli altri non sarebbe stata lodata pubblicamente, oggi viene addirittura esaltata perché dimostra di essere 'furba'. È un po' quello che accade per l'antisemitismo o per l'odio per le minoranze, che non sono in aumento in sé, ma non vengono più considerati opinioni di cui vergognarsi.

C'è infine un terzo aspetto rappresentato dalla convinzione derivata da una serie di scandali, che nel mondo della solidarietà non tutto sia trasparente e che non valga la pena impegnarsi in un settore che 'predica bene, ma razzola male'. La vicenda della Missione Arcobaleno, nel 1999, con le irregolarità rilevate nella distribuzione degli aiuti al Kosovo, ha aperto una ferita nella fiducia pubblica nel volontariato che ancora non si è rimarginata. Da allora l'idea dominante è che molti enti non profit utilizzino male i fondi, non sempre in cattiva fede, ma semplicemente per imperizia o per un eccessivo peso dei costi fissi e generali dell'organizzazione (Melandri 2000). Da queste premesse risulta per il volontariato in Italia, come in altri paesi dell'Europa, un quadro di crisi: sebbene si sia registrato un incremento nel numero di organizzazioni (secondo

i dati della Fondazione italiana del volontariato, nel periodo che va dal 1996 al 2000 tale aumento è stato pari al 14%, portando il totale dei gruppi attivi in Italia a circa 26.400), diminuisce il numero dei militanti (intorno a un milione i cittadini coinvolti ogni anno). Significativa in questo senso la mancanza di ricambio generazionale: i giovani che trovano ragioni sufficienti per dedicarsi a opere di solidarietà rappresentano un'esigua minoranza; il 38% dei volontari ha infatti tra i 45 e i 65 anni, mentre solo nell'8,3% delle organizzazioni di volontariato prevalgono gli under 30. D'altra parte è sintomatico che aumenti il personale retribuito. Le organizzazioni di volontariato riescono a remunerare oltre 31.000 persone: 11.600 dipendenti, 9000 collaboratori e 10.400 operatori che ricevono rimborsi forfetari. Si registrano anche altri cambiamenti importanti relativi alla fisionomia stessa del volontariato: sebbene la nascita e la proliferazione delle attività siano dovute all'impulso di organizzazioni cattoliche o confessionali, oggi circa quattro organizzazioni su dieci dichiarano di essere lontane da qualsiasi fede o ideologia. Vi è da aggiungere il fortissimo peso che assumono interventi di volontari in campi quali le attività culturali e la difesa dell'ambiente e del patrimonio artistico.

Per alcuni aspetti il volontariato si è sviluppato in questi anni per le stesse ragioni e parallelamente all'impresa sociale, rispetto alla quale svolge anche un ruolo complementare. Infatti, l'intervento strutturato non risponderà mai in modo esauriente al bisogno della persona e l'atto di carità e condivisione rivolto verso il singolo sarà sempre necessario per non dividere la società tra assistiti 'professionalmente' ed emarginati perché non meritevoli di un intervento 'aziendale'. Appare evidente che per non poche organizzazioni di volontariato si tratta di risolvere "il problema di coniugare l'anima associativa con l'efficienza gestionale (identità e servizio). Si può privilegiare la tenuta dei valori autofondativi, determinati dai volontari che hanno costituito l'organizzazione, o assecondare opportunità di crescita in complessità organizzativa e gestionale, con la necessità di segnare il passo di fronte alla preminente importanza di manager e operatori remunerati che dettano gli obiettivi dell'organizzazione, sempre più orientata verso l'efficienza tecnica e quindi verso il modello di impresa sociale" (Renato Frisanco, sul Corriere della Sera, 26 giugno 2002).

L'importanza del volontariato nella società moderna

Per molto tempo si è ritenuto che la sola dicotomia Stato-mercato potesse essere in grado di garantire il perfetto funzionamento del sistema economico; il mercato come allocatore efficiente delle risorse e lo Stato come ridistributore del reddito attraverso la politica fiscale e come garante di servizi essenziali. L'impalcatura del welfare state è cresciuta sulle strategie perseguite per connettere mondo della produzione e mondo della riproduzione sociale, sviluppo economico e benessere sociale. L'intervento statale si è identificato anche come sostegno alla produzione attraverso le forme del contributo diretto alle unità di offerta private, del sostegno ai consumi o della regolamentazione dell'attività di produttori e consumatori (Vittadini 2002).

Due sono sempre state le forme di scambio economico privilegiato: il principio dei beni equivalenti, tipico delle imprese profit, e il principio della ridistribuzione, tipico degli enti pubblici.

Il principio dei beni equivalenti stabilisce che a un servizio o a un bene specifico prodotto da un'azienda corrisponda un valore monetario che configura la relazione di scambio; con lo scambio si attuano trasferimenti di beni privati a titolo oneroso e si originano le relazioni di credito di prestito e di assicurazione. Lo scambio di beni equivalenti ha intrinseca la 'pretesa' dell'attuazione, perché senza riscontro monetario a un bene o servizio prestato non esisterebbe scambio. Per es.: se A è proprietario di una casa che dà in affitto a B, pretenderà da B il pagamento a scadenze fisse dell'affitto pena lo sfratto. La moneta è espressione del valore del bene, ossia è unità numeraria e rappresenta il 'prezzo' di produzione generale. Il sistema si autoregola: è il mercato che regola il prezzo, che 'aggiusta il tiro' tra offerta e domanda. Rifacendosi all'esempio: l'affitto di un'abitazione di prestigio sarà maggiore rispetto a quello di una casa di minor prestigio, seguendo l'andamento del mercato.

Il secondo caso, quello dell'economia pubblica, si fonda sul principio della ridistribuzione. L'ente pubblico riceve attraverso un'adeguata politica fiscale da ciascun cittadino un contributo economico in tasse proporzionato al reddito imponibile di ciascuno, e lo ridistribuisce ai cittadini non in egual misura e non in funzione al valore versato, ma secondo le 'necessità' di ciascuno: al più povero, che ha pagato meno tasse, verrà data una percentuale maggiore rispetto a un ricco che pure ha versato una somma più elevata. La pubblica amministrazione delinea il quadro complessivo della fornitura di servizi sociali, di previdenza, sanitari e scolastici, e dirige questo quadro grazie al potere di spendere che le viene assegnato. Il sistema pubblico è regolato dal sistema elettorale, cioè sono i cittadini stessi che decidono come e in che modo devono essere ripartiti servizi e risorse pubbliche.

Tuttavia nelle civiltà moderne si va sempre più valorizzando una terza tipologia di scambi, costituita dall'insieme di attività economiche e sociali che si basano in generale sul principio di reciprocità. Ovviamente si tratta soltanto di una riscoperta del 'valore' del principio e non di una scoperta in senso assoluto: da sempre l'uomo si associa e si arricchisce in forza delle relazioni che riesce a costruire, anzi è proprio perché si associa volontariamente che genera gli altri due tipi di scambio. Il non profit e, al suo interno, il volontariato, che ne rappresenta la forma più 'pura' (non nel senso 'morale' del termine, ma nel senso di 'essenzialità della struttura'), vanno a proporsi come forze autonome e indipendenti rispetto sia all'economia privata sia all'economia pubblica, ribadendo il valore e l'importanza che le relazioni fra persone hanno a livello economico.

La relazione di reciprocità può essere espressa nei termini di un insieme di trasferimenti bidirezionali, ciascuno indipendente dall'altro, ma a questo collegato. La caratteristica di indipendenza implica che ogni trasferimento sia in sé volontario ovvero libero, nel senso che nessun trasferimento è condizione per il verificarsi dell'altro, dal momento che non vi è alcuna obbligazione esterna in capo al soggetto trasferente, ma semplicemente potrebbe sussistere un vincolo, una disposizione, presente già 'all'interno' della persona coinvolta nell'interazione. In questo senso, la relazione di reciprocità si differenzia dal tradizionale scambio di equivalenti che normalmente caratterizza invece le transazioni di mercato. Anche nello scambio tra equivalenti il trasferimento è volontario, ma la volontarietà si applica all'intero insieme di trasferimenti cosicché ognuno di essi diviene condizione per l'attuazione dell'altro, tanto che dall'esterno è sempre possibile intervenire, attraverso le leggi, in modo da far rispettare l'eventuale inadempienza di una delle due parti coinvolte in prima persona nello scambio. Diverso è il caso delle relazioni fra persone, dato che non è possibile ordinare per legge 'di essere amico'. Da un certo punto di vista quindi vi è più libertà nella relazione di reciprocità che non nello scambio di equivalenti. Semplifichiamo con un esempio: se una persona A invita a cena a casa propria la persona B, non si aspetta che B paghi la cena o sborsi l'equivalente in denaro di quello che ha mangiato, ma si aspetterà che B porti un fiore, una bottiglia di vino, un dolce, oppure più che altro si aspetterà di poter avere una qualche forma di 'relazione', per es. l'instaurarsi di un rapporto d'amicizia con B.

Si crea dunque una nuova dimensione della vita economica, quella relazionale, intendendo con questa espressione tutto ciò che in un'interazione economica le due parti apportano reciprocamente di non misurabile, di non contrattabile, ma di personale e non di meramente strumentale. Le relazioni rappresentano uno degli aspetti più importanti dell'economia, diventando un bene, 'prodotto' e 'consumato' secondo finalità civili.

I beni relazionali, di cui le organizzazioni di volontariato sono i principali propulsori, sono quei beni in grado di produrre quel qualcosa che rende più umano e più interpersonale il rapporto tra chi è utente e chi è invece, per es., operatore di un servizio sociale ed educativo. I beni relazionali sono beni che presentano la caratteristica di fornire utilità a chi li consuma in funzione della particolare relazione che si instaura tra chi domanda e chi offre il bene. Nel bene relazionale conta il modo in cui il bene viene fornito e il modo in cui esso viene consumato ai fini della creazione di utilità. Sono quelle 'risorse' che nascono dalle interazioni tra agenti, per il fatto che le parti nell'azione sono spinte da nuove motivazioni psicologiche, rivolte all'altra persona, ai suoi comportamenti oltre che a manifestazioni 'affettive'.

Esempi di beni relazionali sono l'abitudine a ritrovarsi in certe occasioni e la familiarità esistente all'interno di gruppi di amici o di parenti, la comunanza di esperienze, la conoscenza reciproca, la fiducia che si instaura tra persone, e lo scambio generato dalle organizzazioni di non profit. All'interno di queste il volontario devolve il suo lavoro e l'organizzazione non restituisce un bene equivalente (retribuzione), ma un bene relazionale (ringraziamento, amicizia, appartenenza), unito, a volte, a un bene economico materiale di valore simbolico come una tessera di socio, una notazione, una qualche forma di pubblicità indiretta.

In questi anni la cultura liberal-individualista, con la sua interpretazione del concetto di persona che nega proprio ciò che è essenziale alla persona riguardo ai beni relazionali, ossia l'interazione con i suoi simili e il rapporto con l'altro come valore in sé, ha distrutto buona parte della tradizione cristiana italiana (che era portatrice naturale dell'importanza dei beni relazionali), ma con gli anni anche i fervidi sostenitori di un'economia liberal-individualista si sono dovuti in parte ricredere e hanno rivolto la loro attenzione alle specificità di una cultura liberal-personalista, propria del mondo del volontariato, che si identifica nelle particolari relazioni di fiducia e di cooperazione che si vengono a instaurare tra soggetti, per es. in un'organizzazione di volontariato tra utenti e fornitori.

In un'economia civile i soggetti economici rappresentati dalle organizzazioni di volontariato da una parte generano rapporti interpersonali, dall'altra ne usufruiscono in una logica di reciprocità.

I rapporti interpersonali possono portare a un equilibrio e a condizioni di efficienza, anche nei casi in cui si basino su fiducia e cooperazione reciproca o il loro obiettivo ultimo sia la solidarietà. Questo insieme di 'condizioni' genera 'beni' e anche 'benefici'; infatti, poiché il bene consiste anche nella qualità della relazione interpersonale, una motivazione strumentale non basta; condizione necessaria perché questo bene si generi è una capacità di genuina apertura all'altro, per la creazione di relazioni di dialogo e di condivisione, sia con e tra gli utenti, sia tra gli operatori, ossia una relazione capace di formare 'capitale sociale'.

Il futuro del volontariato

Ci troviamo oggi, in Italia, a un punto di svolta: se il mondo del volontariato non riuscirà ad affermare una sua vera identità e a realizzare la sua autentica vocazione, si trasformerà in filantropia, sul modello di quanto avviene negli Stati Uniti, ovvero si istituzionalizzerà diventando una sorta di parastato, il braccio civile della Pubblica Amministrazione, come in parte sta già succedendo. A quest'ultimo riguardo, si tenga presente una sentenza del TAR-Lombardia del febbraio 2000: su denuncia di una cooperativa sociale, il Tribunale amministrativo ha condannato un'organizzazione di volontariato che era risultata vincitrice di una gara d'appalto indetta da un ente locale per l'aggiudicazione di un certo servizio sociale, perché grazie all'attività gratuita dei suoi soci era riuscita a offrire il prezzo minore (Melandri-Zamagni 2001).

A proposito di filantropia, è bene chiarire con un esempio in che cosa essa si differenzia profondamente dalle organizzazioni di volontariato: se un certo numero di persone benestanti e altruiste decide di dare vita a una organizzazione che, gratuitamente, si adopera per i bisognosi, costituirà un'associazione filantropica, certamente benemerita e utile; ciò che qualifica invece una organizzazione di volontariato non è semplicemente il 'far del bene', ma la costruzione di nessi di relazionalità fra le persone e quindi la produzione di socialità. L'organizzazione filantropica agisce 'per' gli altri, mentre l'organizzazione di volontariato agisce 'con' gli altri. La filantropia genera quasi sempre una dipendenza in chi riceve l'outcome dell'azione filantropica; il volontariato genera invece reciprocità nel senso analizzato in precedenza e quindi libera colui che riceve l'outcome dell'azione volontaria dalla 'vergogna', nel senso espresso da Seneca in una lettera a Lucilio: "La gratitudine costa molto. Noi, quando chiediamo un favore, lo valutiamo moltissimo, e quando poi l'abbiamo ottenuto lo disprezziamo. Vuoi sapere che cosa ci fa dimenticare i benefici ricevuti? […] noi a volte ricambiamo benefici con offese e la causa principale dell'ingratitudine è il non aver potuto mostrare abbastanza gratitudine. La pazzia umana è arrivata al punto che fare grandi favori a qualcuno diventa pericolosissimo. Costui, infatti, poiché ritiene vergognoso non ricambiare, vorrebbe togliere di mezzo il suo creditore [...] Non c'è odio più funesto di quello che nasce dalla vergogna di aver tradito un beneficio" (Lettere a Lucilio X, 81).

Si può dunque affermare che il volontariato nel nostro paese dovrà stimolare l'idea della reciprocità, che superi la mera filantropia. Chi pratica la reciprocità non si accontenta di dare, ma opera affinché chi ha ricevuto sia posto nella condizione di 'reciprocare', così da annullare in lui quel sentimento di vergogna che può condurre 'all'odio più funesto'. In sostanza, mentre la reciprocità include, quale sua componente, l'altruismo, non è vero il contrario: il filantropo, di per sé, è incapace di cogliere il ruolo giocato dalla dimensione interpersonale, se non come richiesta, o pretesa, di gratitudine.

Se in una società si facesse dipendere il benessere della gente dalla filantropia, secondo modi di fare sostanzialmente assistenzialistici, o emotivi, o paternalistici, i beneficiati prima o poi si ribellerebbero, poiché nessuno alla lunga accetterebbe di vivere solo in funzione della bontà di un suo pari. Ma il discorso sul volontariato è solo la punta dell'iceberg di un confronto che sta avvenendo oggi in Italia e che riguarda, più in generale, due concezioni del cosiddetto mondo non profit. Da un lato, quella di stampo neo-funzionalista, privilegiata nell'ambiente anglosassone, che vede la sfera del non profit come compensatrice delle carenze o delle storture degli altri due settori, vale a dire dello Stato e del mercato. Si pensi, per fare un solo esempio, alla ormai celebre tesi di Jeremy Rifkin (1999), secondo cui al non profit spetterebbe il compito di 'settore spugna' per assorbire le eccedenze occupazionali degli altri settori. Senonché la concezione anglosassone di non profit va incontro a non poche difficoltà concettuali. Essa comporta per es. la collocazione di tale realtà in una sorta di limbo istituzionale: né dentro lo Stato - il che è ovvio - né dentro il mercato, giacché quest'ultimo sarebbe solamente il luogo ideal-tipico delle imprese for profit. Dall'altro lato, c'è la concezione, ancora minoritaria, ma in forte espansione nel nostro paese, che invece attribuisce alle organizzazioni non profit in generale, e a quelle del volontariato in particolare, il compito primario di generare reti di reciprocità nella società e di veicolare quei valori capaci di alzare il livello della qualità della vita. In breve, la concezione dell'economia civile. Proporre per il variegato ed esuberante mondo del volontariato italiano la via dell'economia civile significa allora attribuirgli due compiti, fondamentali e urgenti a un tempo. Da un lato, quello di concorrere a umanizzare l'economia. Invero, la difesa delle ragioni della libertà esige che il pluralismo venga difeso non solo nella sfera del politico, ma anche in quella dell'economico. Pluralista, e dunque democratica, è l'economia nella quale trovano posto più principi di organizzazione economica - da quello della ricerca del profitto (aziende profit) a quello di reciprocità (aziende non profit), a quello di ridistribuzione (aziende pubbliche) - senza che l'assetto istituzionale prevalente nel paese privilegi l'uno o l'altro. In una società autenticamente liberale è la competizione effettiva - non quella solo virtuale - tra soggetti diversi di offerta, vale a dire tra tipologie diverse di impresa, a stabilire i modi di fornitura delle diverse categorie di beni e servizi. In altri termini, la competizione di cui tanto si mena vanto, oggi, non può limitarsi ai soli prodotti finiti oppure ai risultati finali dei processi di impresa, ma deve estendersi anche ai modi in cui quei prodotti o quei risultati sono ottenuti. E ciò per la elementare ragione che sempre più i cittadini delle nostre società avanzate sono interessati non solo alle caratteristiche oggettive dei beni e servizi di cui fanno domanda, ma anche ai modi di produzione degli stessi. Non è solo la qualità dei prodotti che viene apprezzata, ma anche la qualità dei processi produttivi. Ecco perché non vale l'assunto secondo cui 'i beni sono beni'. Concretamente, questo significa dare 'ali' a quei cittadini, in numero crescente nel nostro paese, che in vario modo vanno manifestando il disagio di vivere in una società sempre più capace di subissarci di merci ma sempre meno adatta a costruire relazionalità.

Il Terzo settore

Negli ultimi decenni del 20° secolo, all'intensificarsi dei processi di globalizzazione ha fatto riscontro, nel seno della società civile di numerosi paesi, lo sviluppo di una molteplicità di soggetti e di iniziative ispirati a principi di solidarietà e partecipazione. Associazioni per la difesa dei diritti umani, gruppi di volontariato, comunità religiose, organizzazioni sindacali e professionali, associazioni contadine, movimenti femministi, gruppi ambientalisti, associazioni per la tutela dei consumatori ecc., spesso riconosciuti come ONG (Organizzazioni non governative), hanno dato vita anche in sede internazionale a una rete sempre più diffusa di rapporti di scambio e collaborazione reciproca. A questo complesso di attività e di movimenti è stato dato il nome di Terzo settore.

Accanto al Primo settore, rappresentato dallo Stato e dai servizi pubblici, e al Secondo settore, costituito dal mercato e dai servizi profit, il Terzo settore, o Terzo sistema (accezione preferita nell'ambito dell'Unione Europea), è costituito da tutte quelle organizzazioni private (enti, associazioni di volontariato, fondazioni, cooperative) che svolgono attività in campo sociale e civile senza scopo di lucro. Si tratta di un settore che, combinando la logica dell'azione pubblica con l'efficienza e l'efficacia dell'organizzazione privata, produce beni e servizi secondo principi di solidarietà, utilità collettiva, democrazia interna e attenzione alle varie forme di esclusione sociale. Secondo una visione meramente tecnica, è anche detto Settore non profit, proprio per la sua caratteristica operativa più tipica, l'assenza dello scopo di lucro. Per le loro finalità le organizzazioni del Terzo settore godono di un regime fiscale di favore e possono assumere lo statuto di ONLUS (Organizzazioni non lucrative di utilità sociale).

Le organizzazioni facenti capo al Terzo settore operano in generale nel quadro dello sviluppo dell'economia sociale, nell'area dei servizi alla persona (servizi di assistenza e sociosanitari), per l'ambiente e il territorio, culturali, ricreativi, dello sport e del tempo libero, di promozione delle comunità locali.

Principali tipologie del Terzo settore

ONLUS. Le Organizzazioni non lucrative di utilità sociale sono enti di carattere privato che, in base allo statuto o all'atto costitutivo, svolgono la loro attività per finalità esclusive di solidarietà e senza fini di profitto. Le ONLUS (associazioni, comitati, fondazioni, società cooperative o altri enti di carattere privato con o senza personalità giuridica) devono esplicare la loro opera in uno o più settori riconosciuti di interesse sociale, specificatamente indicati nel d. lgs. 4 dicembre 1997, nr. 460: assistenza sociale e sociosanitaria; assistenza sanitaria; beneficenza; istruzione; formazione; sport dilettantistico; tutela, promozione e valorizzazione dei beni di interesse storico e artistico; tutela e valorizzazione della natura e dell'ambiente (esclusa l'attività abituale di raccolta e riciclaggio di rifiuti); promozione della cultura e dell'arte; tutela dei diritti civili; ricerca scientifica di particolare interesse sociale. Le ONLUS non possono svolgere attività diverse da quelle sopra indicate, a eccezione di quelle che siano direttamente connesse a esse. Gli utili e gli avanzi di gestione delle ONLUS devono essere impiegati per la realizzazione di tali attività e non possono essere distribuiti ai soggetti che ne fanno parte. Le ONLUS, che hanno l'obbligo di redigere il bilancio o rendiconto annuale, sono soggette a un regime fiscale agevolato (per es., ai fini delle imposte sui redditi lo svolgimento delle attività istituzionali per esclusive finalità di solidarietà sociale non si configura come esercizio di attività commerciale e gli eventuali proventi che derivano da attività direttamente connesse non concorrono alla formazione del reddito imponibile) e semplificato per quanto riguarda l'obbligo di tenuta delle scritture contabili. È prevista l'istituzione di un albo legale. La normativa italiana sulle ONLUS è contenuta nella circolare del Ministero delle Finanze 127/E del 19 maggio 1998. Possono essere ONLUS tutte le organizzazioni del Terzo settore.

Non profit. Il non profit è un sistema di iniziative della cittadinanza attiva che organizza un'offerta di beni e di servizi sotto forma di impresa sociale per contribuire allo sviluppo civile della società. Si definiscono organizzazioni non profit quegli organismi che hanno natura giuridica privata, non possono distribuire l'utile d'esercizio, direttamente e non, a soci, membri o dipendenti, sono caratterizzati dalla presenza di prestazioni di lavoro volontario e sono espressione della comunità locale. All'interno dell'organizzazione non profit soci e prestatori d'opera sono retribuiti; l'utenza paga il servizio direttamente o indirettamente tramite convenzioni con enti pubblici, accede a trattamenti fiscali agevolati (riduzione IVA, periodi di imposta, tasso di reddito ridotto sui proventi commerciali), non persegue profitto, ovvero non ha utile di impresa a fine anno. Un'associazione non profit può avere lo statuto di ONLUS. Cooperative sociali. Le cooperative sociali sono associazioni di persone che si riuniscono per il soddisfacimento di un bisogno comune, con la caratteristica della mutualità e dell'assenza di finalità speculative. Istituite dalla l. 8 novembre 1991, nr. 381, hanno lo scopo di "perseguire l'interesse generale della comunità alla promozione umana e all'integrazione sociale dei cittadini attraverso la gestione dei servizi socio-sanitari ed educativi e lo svolgimento di attività diverse (agricole, industriali, commerciali o di servizi) finalizzate all'inserimento lavorativo di persone svantaggiate" (art. 1). Al fine di svolgere compiti socio-sanitari ed educativi (cooperative di tipo A) o di reinserimento lavorativo per le fasce deboli (cooperative di tipo B) le cooperative sociali stipulano normalmente convenzioni con le pubbliche amministrazioni. La loro particolarità consiste nel fatto che ne possono fare parte volontari - in numero non superiore alla metà dei soci - che prestano la propria attività gratuitamente e possono percepire soltanto un rimborso delle spese documentate. Per favorire la creazione di cooperative sociali, nonché il consolidamento e lo sviluppo di quelle già esistenti, l'art. 51 della l. 23 dicembre 1998, nr. 448, prevede l'attribuzione di incentivi a quelle che perseguono l'inserimento lavorativo di soggetti svantaggiati. Si considerano tali gli invalidi fisici, psichici e sensoriali, i soggetti in trattamento psichiatrico, i tossicodipendenti e gli alcolisti, i minori in età lavorativa in situazione di difficoltà familiare, i condannati ammessi alle misure alternative alla detenzione.

ONG. Le Organizzazioni non governative sono enti privati di vario genere, che operano nel campo della cooperazione allo sviluppo e della solidarietà internazionale. Il loro operato in Italia è regolato dalla l. 26 febbraio 1987, nr. 49; solo un riconoscimento da parte del Ministero degli Affari Esteri permette alle ONG di accedere ai finanziamenti governativi stanziati per progetti di cooperazione con i paesi del Terzo mondo e altre attività. Le ONG si possono classificare secondo cinque tipologie, a volte interconnesse: le organizzazioni di volontariato classiche, dove è predominante l'aspetto dell'impegno personale, finalizzato alla solidarietà e alla crescita morale; quelle impegnate in progetti di cooperazione a breve-medio termine, formate da personale selezionato e qualificato; quelle che sostengono tecnicamente e finanziariamente progetti in paesi in via di sviluppo, senza inviare volontari sul posto ma attraverso referenti locali; quelle specializzate in studi, ricerche e formazione di personale italiano o proveniente da paesi del Terzo mondo; quelle operanti, soprattutto in Italia, nel campo dell'informazione e dell'educazione sui temi dello sviluppo, della cooperazione e della solidarietà. Alcune ONG, anche senza il riconoscimento del Ministero degli Affari Esteri, riescono ad accedere a fondi dell'Unione Europea, stanziati per programmi di cooperazione in paesi in via di sviluppo o in Italia.

L'attività di volontariato in Italia

Aspetti legislativi

La disciplina legislativa in materia di volontariato è stata carente fino alla fine degli anni Ottanta: accanto a singole disposizioni contenute in leggi statali (come quelle riguardanti la cooperazione internazionale allo sviluppo, la protezione civile, il servizio civile sostitutivo e l'assistenza ai tossicodipendenti), esistevano solo leggi regionali, non omogenee e spesso contraddittorie. Nel 1984 fu depositata in Parlamento, a firma di Niccolò Lipari, una prima proposta di regolamentazione globale, seguita poi da altre, finché nel 1991, con votazione quasi unanime, fu varata la legge-quadro sul volontariato (l. 11 agosto 1991, nr. 266). La l. 266/91 riconosce il valore sociale e la funzione delle attività di volontariato come espressione di partecipazione, solidarietà e pluralismo, e ne promuove lo sviluppo, salvaguardandone l'autonomia e favorendone l'apporto originale per il conseguimento delle finalità di carattere sociale, civile e culturale individuate da Stato, Regioni, Province autonome ed Enti locali. Secondo tale legge, per attività di volontariato deve intendersi quella prestata in modo personale, spontaneo e gratuito, tramite l'organizzazione di cui il volontario fa parte, senza fini di lucro anche indiretto ed esclusivamente a scopo di solidarietà; organizzazione di volontariato è definito ogni organismo liberamente costituito al fine di svolgere tale attività, che si avvalga in modo determinante e prevalente delle prestazioni personali, volontarie e gratuite dei propri aderenti.

Negli accordi degli aderenti, nell'atto costitutivo o nello statuto, oltre a quanto stabilito dal Codice Civile per le diverse forme che l'organizzazione può assumere (salvo il limite di compatibilità con lo scopo solidaristico), devono essere espressamente previsti: l'assenza di un fine di lucro; la democraticità della struttura; l'elettività e la gratuità delle cariche associative; la gratuità delle prestazioni fornite dagli aderenti; i criteri di ammissione e di esclusione degli stessi; i loro obblighi e diritti; l'obbligo di formazione del bilancio. La legge detta inoltre norme specifiche in tema di risorse economiche, di convenzioni con lo Stato e con altri enti pubblici, di agevolazioni fiscali. In particolare, in base all'art. 8 della l. 266/91 (modificato dall'art. 18 del d.l. 29 apr. 1994, nr. 260, convertito nella l. 27 giugno 1994, nr. 413), i proventi derivanti da attività commerciali e produttive marginali (i criteri per l'individuazione di queste sono stati fissati con d.m. 25 maggio 1995) non costituiscono redditi imponibili ai fini dell'imposta sul reddito delle persone giuridiche (IRPEG) qualora sia documentato il loro totale impiego per fini istituzionali dell'organizzazione di volontariato. Le Regioni e le Province autonome devono disciplinare l'istituzione e la tenuta dei registri generali delle organizzazioni di volontariato (l'iscrizione è condizione necessaria per accedere ai contributi pubblici, per stipulare convenzioni con enti e per beneficiare delle agevolazioni fiscali). Sono stati inoltre istituiti l'Osservatorio nazionale per il volontariato, presieduto dal ministro per gli Affari Sociali o da un suo delegato, e, presso la presidenza del Consiglio dei ministri, il Fondo per il volontariato, finalizzato a sostenere finanziariamente i progetti sperimentali elaborati per far fronte a emergenze sociali e per favorire l'applicazione di metodologie di intervento particolarmente avanzate.

La crescita delle iniziative

A partire dagli anni Settanta e fino alla fine del secolo scorso è cresciuta in Italia la presenza sociale di singoli e gruppi di varia estrazione che prestano gratuitamente attività e interventi finalizzati alla solidarietà, in strutture proprie o già esistenti in ambito pubblico e privato, per rispondere a bisogni diversi e, possibilmente, agire sulle loro cause. Lo sviluppo del volontariato si è innestato sulle tre grandi tradizioni (cattolica, socialista, liberale) presenti nella cultura italiana, presentandosi d'altra parte come una realtà culturalmente innovativa. In particolare, a partire dalla seconda metà degli anni Settanta, tale sviluppo è apparso connesso con la crisi del welfare state e con la tendenza alla riduzione della spesa sociale da parte dello Stato. In questo contesto il volontariato ha cercato di proporsi come esperienza di autorganizzazione dei servizi e di affermazione di un'etica della responsabilità verso l'altro. La Fondazione italiana per il volontariato (FIVOL) ha costituito nel 1992 la prima Banca dati del volontariato sociale italiano, che è divenuta uno strumento atto a rilevare nel tempo la consistenza e la dinamica del fenomeno. Dalla terza edizione della Banca dati, aggiornata attraverso una capillare rilevazione sul territorio nazionale e presentata nel giugno 2002, risulta che il volontario 'tipo' italiano è di sesso femminile, di età compresa tra 45 e 65 anni, laico. Il rapporto mette in evidenza come, sebbene la maggioranza delle organizzazioni di volontariato si collochi al Nord (53,3% delle unità censite, a fronte del 47,9% della popolazione), dal 1996 al 2000 il loro numero sia cresciuto più al Sud (+22,3%) che al Nord (+17,7%). Le organizzazioni di volontariato operano prevalentemente nei settori delle attività socioassistenziali e sanitarie (62 organizzazioni su 100). Tuttavia dal 1996 al 2000 si è registrato un significativo aumento (+7%) delle organizzazioni attive in altri campi, in particolare nei settori della protezione civile, dell'educazione (soprattutto permanente) e della promozione sportiva e ricreativa (nei settori tradizionali opera l'81,2% delle organizzazioni sorte prima della metà degli anni Settanta e il 50% di quelle nate nella seconda metà degli anni Novanta).

FIVOL

La Fondazione italiana per il volontariato fu promossa dall'Ente Cassa di Risparmio di Roma nel 1990 ed eretta in ente morale il 23 maggio 1991, con la finalità di promuovere la cultura della solidarietà e di fornire al mondo del volontariato servizi di consulenza e supporto nello svolgimento del suo impegno socioeducativo, indipendente e autonomo da ogni condizionamento istituzionale, sociale, economico, partitico. Tra gli scopi della Fondazione vi è inoltre quello di stimolare e rafforzare, con iniziative adeguate, il superamento della persistente frammentazione delle realtà del volontariato, perché le varie organizzazioni si colleghino perseguendo obiettivi comuni, nonché di sviluppare relazioni, rapporti, scambi con il governo, il Parlamento, le amministrazioni dello Stato, le forze sociali e imprenditoriali, i sindacati, il mondo del non profit, stipulando intese, convenzioni, collaborazioni. La FIVOL mira anche a garantire un supporto alle Organizzazioni non governative dei paesi in via di sviluppo, sostenendole nel far fronte alle complesse esigenze delle realtà in cui operano, e a potenziare i rapporti fra le organizzazioni internazionali e i paesi europei, in vista di una integrazione dei loro piani di intervento e del reciproco arricchimento culturale e informativo. La FIVOL, infine, promuove attività di convegni, tavole rotonde, conferenze stampa sui temi del volontariato e del Terzo Settore, per favorire lo sviluppo e la diffusione della cultura della solidarietà; offre opportunità di formazione, qualificazione e aggiornamento agli operatori del sociale e del volontariato attraverso corsi e seminari; è impegnata, a livello nazionale e internazionale, nella promozione di iniziative volte a favorire lo sviluppo e la crescita del volontariato.

FOCSIV

La Federazione organismi cristiani servizio internazionale volontario fu istituita a Roma nel 1972 con lo scopo di promuovere la cooperazione con i popoli del Terzo e Quarto mondo, lottare contro ogni forma di povertà ed esclusione, affermare la dignità e i diritti di ogni uomo. A tal fine la Federazione invia volontari nei paesi in via di sviluppo; cura la crescita degli organismi a essa aderenti attraverso momenti di riflessione, confronto e verifica delle strategie operative individuate nella gestione delle attività di cooperazione a favore degli Stati poveri; fornisce un servizio di consulenza e di assistenza agli organismi di volontariato e alle loro specifiche iniziative.

Caritas

Il volontariato di matrice cattolica ha un referente fondamentale nella Caritas, organismo pastorale istituito dalla Conferenza episcopale italiana nel 1971 per promuovere "la testimonianza della carità della comunità ecclesiale, in forme consone ai tempi e ai bisogni" (art. 1 dello Statuto della Caritas italiana). La Caritas ha tra i suoi obblighi statutari quello di promuovere il volontariato e favorire la formazione del personale di ispirazione cristiana, sia professionale sia volontario, impegnato nei servizi sociali, pubblici e privati, e nelle attività di promozione umana. Tra i suoi obiettivi: il passaggio dalla carità come elemosina alla carità come condivisione attraverso un'esperienza di vita; la valorizzazione nella comunità cristiana della promozione umana, della giustizia sociale e della pace, di cui il volontariato è portatore privilegiato; l'attenzione agli emarginati e il coinvolgimento di tutta la comunità cristiana nella presa di coscienza delle proprie responsabilità; il rapporto di servizio, collaborazione e stimolo alla giustizia nei confronti delle istituzioni pubbliche.

CIPSI

Costituito nel 1982, il Coordinamento di iniziative popolari di solidarietà internazionale è un ente morale e svolge il ruolo di strumento di coordinamento e di promozione delle iniziative culturali e di solidarietà delle ONG associate sul piano italiano ed europeo. La rete nazionale comprende 30 organismi (presenti sull'intero territorio nazionale con 200 gruppi periferici, 30.000 soci e oltre 150.000 sostenitori) e opera in 57 paesi dell'Africa, Asia e America Latina, con progetti a sostegno di iniziative locali di sviluppo. Il CIPSI, che svolge inoltre campagne di sensibilizzazione in Italia e in Europa, è una ONLUS ed è riconosciuto come ONG di sviluppo dal Ministero degli Affari Esteri e dalla Commissione Europea, dai quali riceve parte dei suoi fondi.

COCIS

Il Coordinamento delle ONG per la cooperazione internazionale allo sviluppo è una federazione di organizzazioni non governative che operano in diversi settori della cooperazione allo sviluppo, condividendo un'etica basata sulla promozione dell'autosviluppo, la solidarietà tra i popoli e la centralità della persona. Promuove la proposta politica delle ONG associate, costituendo per esse il luogo di confronto, elaborazione, collaborazione e rappresentanza congiunta. La visione politica comune, che è esplicitata nella Carta dei principi, si basa sui valori morali e culturali della cooperazione solidale tra i popoli e si pone come finalità il superamento delle iniquità prodotte dall'attuale sistema dei rapporti internazionali e dai meccanismi economici che lo sostengono, attraverso: la promozione di rapporti equi tra i popoli, i generi e le culture, nella valorizzazione delle differenze; la promozione di processi di sviluppo endogeni e autocentrati; l'indipendenza e l'autonomia sociopolitica, economica e culturale. In Italia il COCIS collabora organicamente con le altre federazioni di ONG, con le associazioni del settore sociale, con amministrazioni locali, con i sindacati e con le forze politiche sensibili alle ragioni della solidarietà. In Europa il COCIS partecipa attivamente al Comité de Liaison, in cui le ONG sono rappresentate presso gli organismi comunitari. Inoltre il COCIS è parte attiva delle rete europea SOLIDAR e ha rapporti di collaborazione con reti e federazioni di altri paesi. A livello internazionale, le ONG del COCIS collaborano con la maggior parte delle agenzie, fondi e programmi di sviluppo delle Nazioni Unite. Il COCIS è finanziato dalle quote annuali pagate dalle ONG associate e osservatrici. I singoli progetti di sviluppo sono finanziati parzialmente dalla Commissione dell'Unione Europea, dal Ministero degli Affari Esteri italiano, da organismi delle Nazioni Unite e da enti locali.

La Carta dei valori del volontariato

Nel 2001, in occasione dell'Anno internazionale del volontariato, fu elaborato un documento, redatto inizialmente su una traccia proposta dalla FIVOL e dal Gruppo Abele, e successivamente integrato, discusso e condiviso dall'apporto di diverse organizzazioni di volontariato, singoli volontari e studiosi. Ne è scaturita la Carta dei valori del volontariato che pone in rilievo il duplice ruolo del volontariato: la dimensione attiva, attraverso la gratuita presenza nel quotidiano, e la dimensione politica, svolta nel partecipare alla rimozione degli ostacoli che generano svantaggio, esclusione, degrado e perdita di coesione sociale. Per questo motivo il documento si compone di due parti: una dedicata ai principi fondanti e l'altra agli atteggiamenti e ruoli, suddivisa a sua volta in due sottosezioni (i volontari e le organizzazioni di volontariato).

L'articolo 1 contiene la definizione di volontario: "la persona che, adempiuti i doveri di ogni cittadino, mette a disposizione il proprio tempo e le proprie capacità per gli altri, per la comunità di appartenenza o per l'umanità intera. Egli opera in modo libero e gratuito promuovendo risposte creative ed efficaci ai bisogni dei destinatari della propria azione o contribuendo alla realizzazione dei beni comuni". Viene poi specificato che i volontari esplicano la loro azione in forma individuale, in aggregazioni informali, in organizzazioni strutturate. La gratuità è l'elemento distintivo dell'agire volontario, che lo rende cioè originale rispetto ad altre componenti del Terzo settore e ad altre forme di impegno civile. L'articolo 3 pone in rilievo l'aspetto relazionale e di condivisione del volontariato, che mette al centro del suo agire le persone considerate nella loro dignità umana, nella loro integrità e nel contesto delle relazioni familiari, sociali e culturali in cui vivono. Pertanto considera ogni persona titolare di diritti di cittadinanza, promuove la conoscenza degli stessi e ne tutela l'esercizio concreto e consapevole, favorendo la partecipazione di tutti allo sviluppo civile della società.

Le principali organizzazionin internazionali

UNV

Il programma UNV (United Nations Volunteers), con sede a Bonn, fu creato dall'Assemblea Generale nel 1970 per agire come partner operativo nelle attività di cooperazione allo sviluppo su richiesta degli Stati membri delle Nazioni Unite. L'UNV è amministrato e finanziato in maggioranza dall'UNDP (United Nations development programme) e opera in collaborazione con i governi, le Agenzie delle Nazioni Unite, le Banche per lo sviluppo, le organizzazioni non governative e soprattutto le organizzazioni locali. Le attività svolte dai volontari delle Nazioni Unite sono molteplici: dalle missioni umanitarie e di soccorso, ai programmi per l'agricoltura, la sanità e l'educazione, seguite dalle scienze sociali, lo sviluppo comunitario, la formazione del personale, l'industria, i trasporti, e la popolazione. Nel corso degli anni, volontari dell'UNV hanno prestato servizio in circa 140 paesi, soprattutto in Africa e in Asia, nonché nei Caraibi, in Centro e Sud America e in Europa centrale e orientale. Quasi tre quarti dei volontari prestano servizio nei paesi più poveri del mondo; metà del lavoro viene svolto fuori dalle grandi città, spesso in villaggi sperduti.

Amnesty International

Amnesty International è un'associazione di cittadini di diversi paesi, indipendente dai governi, che si occupa della tutela in tutto il mondo dei diritti dell'uomo, soprattutto di quello alla vita e alla libertà personale. Fondata a Londra il 28 maggio 1961 dall'avvocato Peter Benson, Amnesty si adopera in particolare per la liberazione dei detenuti per motivi di opinione, per il miglioramento delle condizioni carcerarie, per l'abolizione della pena di morte e contro le violazioni dei diritti umani (genocidi, torture, violenze sui bambini e sulle donne, schiavitù). È strutturata in sezioni nazionali distribuite nei vari continenti: quella italiana opera dal 1973. Per la sua azione ad Amnesty International sono stati conferiti il premio Nobel per la Pace (1977) e il premio delle Nazioni Unite per i Diritti dell'Uomo (1978).

Emergency

Emergency è un'associazione umanitaria italiana nata a Milano nel 1994 su iniziativa di medici, infermieri e personale specializzato con esperienza di lavoro in zone di guerra, per portare aiuto alle popolazioni colpite da conflitti. Attività centrali sono interventi chirurgici su feriti in combattimento o da mine, riabilitazione degli amputati, ricostruzione di strutture sanitarie, con particolare attenzione all'infanzia. Al suo finanziamento Emergency provvede grazie alle donazioni di privati ed enti pubblici. In particolare l'intervento in favore delle vittime della guerra in Iraq è stato finanziato dall'Ufficio umanitario dell'Unione Europea, mentre l'ospedale aperto a Battambang, in Cambogia, nel 1998, è operativo grazie alla sola solidarietà di sostenitori privati.

Medici senza frontiere

Creata nel 1971 da un gruppo di medici francesi, Medici senza frontiere è un'organizzazione internazionale privata, il cui scopo è portare aiuto sanitario alle popolazioni colpite da guerre, catastrofi, disastri di origine naturale o umana, senza alcuna discriminazione. Basata sul volontariato, è indipendente da qualsiasi Stato o istituzione e da ogni influenza politica, economica o religiosa. La filosofia della sua attività è descritta in una Carta che sottoscrivono tutti i membri. La rete internazionale dell'associazione, finanziata in larga misura da privati, raggruppa sezioni in 19 paesi, fra cui l'Italia dal 1993. Il Consiglio Internazionale è costituito da queste sezioni e rappresenta l'insieme del movimento. Nel 1999 a Medici senza frontiere è stato assegnato il Nobel per la pace.

Il movimento internazionale della Croce Rossa

È la più grande rete umanitaria mondiale, con una forza di 120 milioni di persone animate dalla stessa vocazione volontaristica, che operano sia in tempo di pace sia in tempo di guerra. Nel primo caso la Croce Rossa fornisce assistenza socio-sanitaria per calamità ed emergenze nazionali e internazionali; nel secondo contribuisce con mezzi e personale allo sgombero e alla cura dei feriti mediante l'allestimento di ospedali militari da campo, posti di pronto soccorso, ambulanze e si occupa, in alcuni casi, dello scambio di prigionieri e di corrispondenza, nonché della ricerca dei dispersi. Come organizzazione internazionle non governativa si articola su scala mondiale in numerosi membri: il Comitato Internazionale della Croce Rossa (un intermediario neutrale in caso di conflitto armato e di disordini); la Federazione Internazionale della Croce Rossa e della Mezzaluna Rossa (quest'ultima operante nei paesi arabi), che coordinano le azioni d'emergenza in caso di catastrofi naturali, realizzano progetti di cooperazione nei paesi in via di sviluppo e partecipano allo sviluppo delle Croci Rosse dei paesi più poveri. Ai membri internazionali si affiancano le Croci Rosse nazionali. La Croce Rossa fu fondata il 22 agosto 1864 per opera del banchiere svizzero Henri Dunant il quale - rimasto impressionato dall'opera di assistenza ai feriti prestata da alcune donne durante la battaglia di Solferino (1859), senza tenere conto di divise o bandiere - convinse gli Stati partecipanti alla Conferenza Internazionale di Ginevra a proclamare la neutralità dei malati e dei feriti in guerra, sostenendo la fondazione di Società di Soccorso che sui campi di battaglia agissero sotto l'insegna di una croce rossa in campo bianco. Poco tempo prima, il 15 giugno dello stesso anno, si era costituito il Comitato milanese dell'Associazione italiana per il soccorso dei feriti e i malati di guerra, che può essere considerato il primo nucleo della Croce Rossa italiana.

I principi sanciti dalla Conferenza Internazionale della Croce Rossa e della Mezzaluna Rossa sono: umanità (reciproca comprensione e cooperazione fra i popoli); neutralità (per conservare la fiducia di tutti, il movimento si astiene dal prendere parte sia alle ostilità in tempo di guerra, sia alle controversie di qualsiasi genere in tempo di pace); imparzialità (il movimento non fa alcuna distinzione di razza, nazionalità, religione, ceto sociale o appartenenza politica); indipendenza (nonostante debba rispettare le leggi in vigore nei paesi dove è operativo, il movimento deve conservare l'autonomia dei propri principi); volontariato (la Croce Rossa è un movimento di soccorso volontario e disinteressato); unità (in un paese deve esserci un'unica Società di Croce Rossa o di Mezzaluna Rossa); universalità (il movimento internazionale della Croce Rossa e della Mezzaluna Rossa è universale, e all'interno di esso tutte le Società hanno uguali diritti e il dovere di aiutarsi reciprocamente). Il Comitato internazionale della Croce Rossa è stato premiato per tre volte (1917, 1944, 1963) con il Nobel per la pace.

riferimenti bibliografici

B. Gui, Il ruolo del Terzo settore: aspetti etici ed economici, in Id., Il Terzo settore tra economicità e valori, Padova, Gregoriana, 1997, pp. 25-47; Id., Teoria economica e motivazioni ideali, in L'economia di comunione, a cura di L. Bruni e V. Moramarco, Milano, Vita e Pensiero, 2000; V. Melandri, Costi del fund raising, Milano, Il Sole 24 Ore, 2000; V. Melandri, S. Zamagni, La via italiana al fund raising: fra intervento pubblico, filantropia e reciprocità, "Economia e Management", 4, 2001; J. Rifkin, La fine del lavoro, Milano, Baldini e Castoldi, 1999; G. Vittadini, Liberi di scegliere. Dal Welfare State alla Welfare Society, Milano, Etas, 2002; S. Zamagni, Per un'economia relazionale, intervista a cura di L. Bruni, "Nuova Umanità", 1996, 103; Id., Non profit come economia civile per una fondazione economica delle organizzazioni non profit, Bologna, Il Mulino, 1998.

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