VOLGATA

Enciclopedia Italiana (1937)

VOLGATA (o Vulgata)

Alberto Vaccari

Con questo aggettivo sostantivato è designata la versione latina della Bibbia in uso nella Chiesa cattolica. Per il nome, la formazione, le vicende, la tradizione manoscritta, e le edizioni, v. bibbia, VI, p. 897 segg. Qui si tratterà dei suoi rapporti con la cultura occidentale e la disciplina ecclesiastica sotto i tre titoli: latinità, diffusione, autenticità.

Latinità. - A parlarne con precisione bisognerebbe distinguere nella Volgata tre sorta di libri, secondo che S. Girolamo, il principale autore della Volgata, non vi pose affatto la mano, o vi sostenne la parte di revisore sul greco, ovvero tradusse direttamente dall'ebraico (v. bibbia, VI, p. 898); nei primi predomina il colorito semitico della prima fonte e la rusticità della lingua, negli ultimi la dicitura tocca il livello più alto. Però questa terza categoria, essendo circa tre volte più estesa che le altre due insieme riunite, dà il tono generale al latino della Volgata, ed essa avremo principalmente in vista.

S. Girolamo, valente letterato e stilista, aveva un concetto chiaro e preciso del dovere di traduttore: fedeltà al senso più che alla parola dell'originale, chiarezza e buona latinità sono le norme fondamentali da lui apertamente professate (v. specialmente le sue Lettere 57 e 106) e sono pure le doti che spiccano nelle sue traduzioni, specialmente nelle parti narrative. Con quali semplici mezzi egli le raggiungesse, si veda in un esempio concreto. I precedenti della celebre visione di Giacobbe, sono così narrati secondo lo stile ebraico alla lettera: "E Giacobbe partì da Bersabea e andò verso Haran, e giunse a un luogo e vi si fermò perché il sole era tramontato, e prese un sasso del luogo, e se lo pose per capezzale e si coricò in quel luogo". Di questi otto brevi incisi S. Girolamo, senza togliere né aggiungere, si può dire, una sillaba, forma il seguente periodo latino, cui nulla manca di chiarezza e di grazia: "Igitur egressus Jacob de Bersabee, pergebat Haran; cumque venisset ad quendam locum et vellet in eo requiescere post solis occubitum, tulit de lapidibus qui iacebant et subponens capiti suo dormivit in eodem loco". Per amor di chiarezza non temette di rendere le idee orientali coi vocaboli della mitologia e delle credenze popolari d'Occidente; quindi troviamo nella Volgata latina i fauni ficarii, le lamie, Priapo, l'acervus Mercurii, Cocytus, onocentauri, ecc. "I nomi ebrei (così dichiarava egli stesso) che presso di loro suonano altrimenti, li traduciamo coi vocaboli delle favole gentilesche, perché non possiamo capire ciò che ci si dice, se non per mezzo di quei vocaboli che imparammo con l'uso e succhiammo con l'errore" (in Amos 3,8-10). Per amor d'eleganza ama variare l'espressione, dando a un medesimo vocabolo o frase ebraica diversi corrispondenti latini. Ciò rompe la monotonia del rude originale, ma nuoce talora alla chiarezza, velando in qualche modo l'identità dell'oggetto. Per altro quando le due doti vengano in conflitto, S. Girolamo non dubita di sacrificare l'eleganza alla chiarezza. "So bene (scrive commentando la sua stessa versione) che in latino dovrebbe dirsi cubitum e cubita al neutro; ma sia detto una volta per tutte, che io per farmi meglio capire e adattarmi all'uso del volgo (pro simplicitate et facilitate intelligentiae vulgique consuetudine) uso anche il mascolino... per riguardo ai semplici e poco istruiti, che nella società della Chiesa sono la maggioranza" (Comm. in Ezechiele, 40 segg. e 47, 1 segg.). Quindi nei libri appunto tradotti da S. Girolamo vocaboli volgari, quali minare (it. menare), papilio (padiglione), burdo (mulo), dromedarius, pincerna, ecc. Letteralismo della versione e volgarismo della lingua sono caratteristiche soprattutto, benché in vario grado e con colorito diverso, delle versioni anteriori a S. Girolamo; perciò esse più fortemente risaltano nei pochi libri da lui lasciati nell'antico tenore dei primitivi traduttori. Ma anche S. Girolamo riconobbe e volle mantenere alla Bibbia il carattere di libro popolare, carattere che imponeva forti limiti ai suoi rari talenti di scrittore, come dall'altro carattere di libro sacro egli stesso accettava una restrizione a quella libertà del traduttore di fronte alla lettera, di cui si è detto sopra (Lettera 57, n. 5). In complesso la Volgata, quale monumento letterario, si presenta con una dignitosa semplicità, contemperata di nobiltà e popolarità, in un grado nell'antichità mai raggiunto e anche nei tempi moderni non superato dalle congeneri versioni bibliche. Ne convengono oggi anche i critici più maturi e sereni, superiori ai pregiudizi confessionali: quindi anche dotti protestanti, pur così fieri, e non senza ragione, delle versioni bibliche dei loro capi riformatori. "In complesso la Volgata dell'Antico Testamento è una traduzione anche più compita (finer translation) che la stessa nostra Authorized Version. Dove esse due concordano, la seconda deriva, direttamente o indirettamente, dalla prima; dove differiscono, la Volgata d'ordinario si trova dalla parte di una più matura e più piena maestria (later and fuller scholarship)". (W.E. Plater e H.J. White, A Grammar of the Vulgate, Oxford 1926, p. 7).

Diffusione. - La Volgata che fu la Bibbia di tutta Europa per circa un millennio, durante il quale tutta la vita umana s'imperniava sulla religione, raggiunse con ciò una diffusione quale niun altro libro al mondo. I manoscritti che ce ne restano, con un calcolo necessariamente molto imperfetto, si fanno ascendere a non meno di ottomila, e probabilmente quella cifra è ancora inferiore alla realtà. Inventata poi l'arte della stampa, la Volgata fu ancora il primo libro che uscisse dai torchi di Gutenberg (la precedettero solo pochi saggi; v. bibbia, VI,.p. 925), e prima del 1500 se n'erano già tirate, in Italia, in Germania e in Francia, quasi 100 edizioni (94 ne registra il Gesammtkatalog der Wiegendrucke). Col sec. XVI, se da una parte il sorgere delle letterature nazionali con le loro versioni vernacole, e più ancora il protestantesimo, avverso per sistema alla Volgata, sottrassero a questa gran parte del suo alimento, in compenso l'aumentata istruzione, e anche un poco le restrizioni poste alle versioni moderne in paesi cattolici, assicurarono alla Bibbia latina una grandissima diffusione fino ai giorni nostri.

Con tale diffusione, la Volgata, come nel Medioevo nutriva, direttamente o indirettamente, tutte le menti, così informò tutta la letteratura medievale, prima la latina, poi anche le volgari nascenti. I due sommi poeti italiani ne sono in particolar modo imbevuti. Il "pane degli angeli", per esempio, con che Dante designa la sapienza (Par., 2, 11; Conv.,1,1), è locuzione caratteristica della Volgata (Salmo LXXVII, 25). Nei rari casi, in cui il Petrarca cita una lezione diversa dalla V., egli la toglie dalle opere di S. Agostino. Tutte le versioni della Bibbia fatte in quei secoli nelle nuove lingue d'Europa, anche quelle che uscirono da sette dissidenti, come quelle di Wycliffe, dei Valdesi, dei Boemi, derivano dalla Volgata. Ne risentì anche l'arte, che in miniature, tele, sculture innumerevoli, ritrasse soggetti biblici con quelle particolari movenze che loro impresse la Volgata. Ne è TT;il più evidente e più celebre esempio il Mosè di Michelangelo, con le due prominenze cornute sulla fronte; la Volgata rende con "cornuta erat facies Moysi" la frase ebraica, che, tradotta alla lettera, sonerebbe: "raggiava (qāran) la pelle della faccia" i lui (Esodo, XXXIV, 29, 19).

Autenticità. - Col nascere della critica letteraria all'epoca del Rinascimento fu da molti (tra cui il grande Erasmo) messo in dubbio, se la versione latina, appunto allora cominciata a chiamarsi Vulgata, avesse veramente per autore S. Girolamo. Il più valente sostenitore dell'affermativa fu il dotto bibliotecario della Vaticana, Agostino Steuco da Gubbio (Eugubinus). Dopo la sua stringente dimostrazione, la verità si fece strada e non ne fu più questione, se non recentemente per l'ultima parte del Nuovo Testamento (v. bibbia, VI, pp. 893, 898). Ma non è in questo senso, di autenticità letteraria, che suole ancora e se ne ha qui da trattare, bensì di autenticità giuridica per il decreto che emanò in proposito il Concilio di Trento nella sessione IV, l'8 aprile 1546.

Posto tra due bisogni ugualmente urgenti, consolidamento della fede e riforma dei costumi, il Concilio, dopo qualche esitazione intorno all'ordine da tenere, decise di menar parallelamente le due cose, in ogni materia facendo seguire ai decreti dogmatici i relativi provvedimenti disciplinari. Cominciando dai fondamenti della religione, nella citata sessione, per il dogma promulgò il canone dei Libri sacri (decreto Sacrosancta); per la disciplina, "contro gli abusi introdotti", col decreto Insuper stabilì, in primo luogo, che "questa vecchia e volgata versione, provata con l'uso di tanti secoli nella Chiesa, nelle pubbliche lezioni, dispute, prediche, ritengasi per autentica e nessuno ardisca o presuma per qualunque pretesto di rigettarla".

Pochi rilievi a illustrazione di questo tanto discusso decreto.

1. Con quell'atto il Concilio non toccò punto il valore e l'uso dei testi originali e delle altre versioni non latine. Infatti il decreto stesso restringe espressamente il suo oggetto alle versioni latine, e i portavoce ufficiali del Concilio (legati pontifici e teologi deputati) nel Concilio stesso dichiararono che non si voleva né vietare di ricorrere ai testi originali né detrarre alla versione dei LXX o ad altre. 2. Quanto alle versioni latine fuori della Volgata, il decreto è negativo, cioè non conferisce a esse il privilegio riservato alla Volgata. Ciò risulta dal tenore del decreto e dagli atti del Concilio. I legati pontifici espressamente dichiararono che con l'approvar la Volgata non si condannavano le altre versioni. Quanto alle versioni di eretici, che taluni volevano espressamente rigettate, il Concilio decise "di non farne menzione" (Concil. Trident., V, 65); esse saranno condannabili per altre ragioni, non per questo decreto. Quanto alle cattoliehe, i legati pontifici dichiararono, che "ciascuna si lasciava nella sua prima disposizione" cioè nel suo valore intrinseco (ivi, X, 471). 3. Il privilegio della Volgata consiste in essere dichiarata autentica, di un'autenticità giuridica, secondo la definizione attribuita al giureconsulto Giuliano de fide instrumentorum: "authenticum est scriptum aliquod, quod ex se fidem facit in iudicio et supremae est auctoritatis, ut a nullo reici vel in quaestionem vocari debeat". Sono, quasi, le stesse parole adoperate nel decreto conciliare, il quale ha due parti; una positiva: nell'uso pubblico si adoperi qual testo biblico la Volgata; l'altra negativa: addotta qual prova nelle controversie religiose nessuno possa ricusarne il valore; essa deve bastare a dirimere la lite. L'autenticità critica, cioè la conformità sostanziale col testo originale, è supposta, non propriamente affermata dal decreto. 4. La ragione di tale preferenza è che quella vecchia versione, approvata dalla Chiesa con l'uso di tanti secoli, non fu mai Sospetta di eresia, o di errore nella fede, ciò che non potrebbe assicurarsi delle altre, soprattutto moderne (Concil. Trident., X, 470, 519). Questa ragione contiene pure la limitazione dell'autenticità e dell'uso preseritto a senso del Concilio, a ciò che riguarda la fede e la morale.

Dagli atti del Concilio e dal tenore stesso del decreto si rende manifesto, che questo, benché abbia fra i suoi presupposti un fatto dogmatico, cioè l'infallibilità della Chiesa, pure non è punto un decreto dogmatico, che definisca una verità di fede, ma disciplinare, che detta una pratica, e perciò di sua natura è revocabile. Esso è tuttavia in pieno vigore nella Chiesa cattolica, e se n'ebbe recentemente una conferma in un decreto della Pontificia Commissione Biblica del 30 aprile 1934: le traduzioni in lingua moderna delle Epistole e Vangeli, che si leggono o si dànno a leggere nelle Chiese, devono essere fatte non dai testi originali, ma dalla Volgata. Tutta questa disciplina però vale solo, s'intende, per l'Occidente latino e per le cristianità da esso nate. Per le vetuste chiese di Oriente unite con Roma, sebbene abbiano in qualche parte sentito l'influenza della Volgata, pure conservano il loro valore fondamentale le antiche versioni indigene.

Bibl.: Oltre le opere citate alle voci bibbia e girolamo, santo, v. per le edizioni: J. Lelong, Bibliotheca sacra... continuata ab A. G. Masch, Halle 1783, parte 2ª, III, pp. 52-417. Per le influenze letterarie: L. Negri, Dante e il testo della "Vulgata", in Giornale storico della letteratura italiana, LXXXV (1925), pp. 288-307; G. Maugeri, Sui codici antichi della Bibbia citati dal Petrarca, Catania 1905; in studi critici offerti... a C. Pascal, ivi 1913, pp. 221-232. Per l'autenticità: Agostino Eugubino, Vulgata editio an sit D. Hieronymi, in appendice alla Cosmopeia dello stesso autore, Lione 1535; C. Vercellone, Dissertazioni accademiche, Roma 1864, Diss. 4; G. Bonaccorsi, Questioni bibliche, Bologna 1904, pp. 5-74; A. Maichle, Das Dekret de editione et usu s. librorum, Friburgo in B. 1914; A. Picconi, in Scuola cattolica, LIII (1925), pp. 81-99.

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