ROSSI, Vittorio

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 88 (2017)

ROSSI, Vittorio

Guido Lucchini

– Nacque a Venezia il 3 settembre 1865 da Aloise e da Giuseppina Venturi.

Si iscrisse dapprima all’Università di Padova, ma si laureò in quella di Torino nel 1886, alla scuola di Arturo Graf e Rodolfo Renier (suo parente da parte materna), discutendo una tesi dal titolo Battista Guarini ed il “Pastor fido”.

Nella tesi, subito pubblicata nel 1886, si rivela già l’esperto ricercatore d’archivi e biblioteche. Il lavoro infatti è diviso in due parti, l’una biografica, l’altra dedicata alla storia del genere letterario, del dramma pastorale.

L’anno successivo iniziò il perfezionamento triennale presso l’istituto di studi superiori di Firenze, sotto la guida di Adolfo Bartoli, Pio Rajna e Domenico Comparetti.

Rossi si mosse dapprima nei due ambiti privilegiati dalla scuola storica, oltre la ricerca erudita: l’edizione dei testi e la storia della poesia popolare. L’edizione delle lettere di Andrea Calmo (Torino 1888), dedicata a Graf, costituisce il suo primo lavoro di notevole originalità, anzitutto per l’introduzione biografica sul commediografo e attore veneziano e per le nuove considerazioni sulla storia del teatro veneto nel Cinquecento.

Rossi ricostruisce la figura di Calmo come autore drammatico; delle lettere rileva il fine artistico, emendandone il testo sulla base delle stampe. Le note fonetiche si basano sui lavori di Adolfo Mussafia, di Adolf Tobler e soprattutto di Graziadio Isaia Ascoli, le cui Annotazioni dialettologiche alla Cronica degli imperadori (in Archivio glottologico italiano, 1878, vol. 3, pp. 244-284), rappresentano il suo modello. Nelle appendici pubblica fra l’altro balli e canzoni del XV secolo (pp. 411-445). Completa l’edizione un glossario fondato sul Dizionario del dialetto veneziano di Giuseppe Boerio (Venezia 18562).

Del 1891 sono le Pasquinate inedite di Pietro Aretino ed anonime pubblicate e illustrate (Palermo-Torino), scoperte alla Biblioteca nazionale centrale di Firenze in un codice Magliabechiano, documento significativo dell’interferenza fra la letteratura alta e la letteratura popolare. Qui stabiliva, fra l’altro, il carattere originariamente letterario della figura di Pasquino (del 1935 è la voce Pasquino e Pasquinate dell’Enciclopedia Italiana). L’interesse di Rossi per la poesia popolare è confermato dalla sua collaborazione all’Archivio per lo studio delle tradizioni popolari fondato da Giuseppe Pitrè, nel quale pubblicò testi settentrionali. Negli stessi anni collaborò al Giornale storico, occupandosi soprattutto di poeti veneti del Quattrocento. Basti qui ricordare gli studi su Niccolò Lelio Cosmico, poeta padovano del secolo XV, in Giornale storico della letteratura italiana, 1889, vol. 13, pp. 101-158; Un rimatore padovano del secolo XV, ibid., pp. 441-445.

Dopo aver insegnato per qualche anno nei licei di Sessa Aurunca e di Palermo, il 1° novembre 1891 divenne professore straordinario di letteratura italiana presso l’Università di Messina. Ottenne il trasferimento nell’Università di Pavia, dove insegnò dal 1893-94 sino al 1908, prima come straordinario e, trascorso il triennio, dal 1° dicembre 1896 da ordinario (la commissione era formata da Guido Mazzoni, Francesco Flamini che sostituì Alessandro D’Ancona, Graf, Vittorio Cian, al posto di Bonaventura Zumbini nominato in un primo tempo, e Giovanni Mestica, all’epoca deputato).

Nella relazione concorsuale, la cui stesura manoscritta si conserva nel fascicolo personale, dopo avere lodato «la larga e sicura erudizione», la commissione trovava che «la poesia d’arte e la poesia di popolo, le petrarcherie e le pasquinate [...] sono ugualmente famigliari al Rossi», e si soffermava infine sul volume vallardiano Il Quattrocento, non ancora finito di stampare (ne erano uscite 160 pagine), dandone un giudizio molto lusinghiero: «organica ed abilmente congegnata – salvo forse un po’ di sproporzione tra il numero delle pagine date all’umanesimo e il numero delle pagine date alla letteratura in volgare – essa desta ammirazione per la grande copia di notizie desunte da indagini e letture proprie, che invano si cercherebbero altrove».

Il 25 settembre 1897 sposò Pia Teiss, nata a Trento il 31 maggio 1867, da cui non ebbe figli.

Dopo un decennio di ricerche sul XV secolo, pubblicò il pionieristico Quattrocento per la seconda serie della collezione Vallardi della Storia letteraria d’Italia (Milano 1898).

L’opera ben rappresenta, nei pregi e nei difetti, l’ideale storiografico della scuola storica. Non si segnalava per grande originalità di pensiero, soprattutto nell’affrontare il nodo problematico costituito dall’umanesimo e dal Rinascimento (nell’introduzione, fra l’altro, criticava la nota interpretazione di Jacob Burckhardt, incentrata sulla scoperta dell’individuo), ma in compenso dava prova di una poderosa erudizione grazie alla quale molti autori minori o quasi ignoti venivano per la prima volta illuminati in una storia dagli intenti anche divulgativi. Più discutibile era il criterio usato per organizzare il materiale: ora geografico, ora per generi letterari. L’impostazione dell’opera non subì apprezzabili modifiche nella seconda edizione rifatta (1933), influenzata dal neoidealismo, soprattutto di Giovanni Gentile, suo collega all’Università di Roma. Rossi, in altre parole, non mutò radicalmente l’impianto ancora positivistico dell’opera, osservando che la suddivisione per generi riguardava soltanto la letteratura e non la poesia, per usare una celebre e di poco successiva dicotomia crociana.

D’altronde, all’inizio del secolo lo studioso aveva tradotto il secondo volume (la prima parte, la sola uscita) della Storia della letteratura italiana dell’italianista tedesco Adolf Gaspary (Torino 1900-1901), assai vicino alla scuola storica, anche se allievo di Francesco De Sanctis, alla quale, quando era apparsa in originale, aveva dedicato una recensione approfondita nel Giornale storico della letteratura italiana (1888, vol. 12, pp. 237-246). Egli stesso pubblicò un fortunato manuale per uso dei licei, Storia della letteratura italiana, in 3 volumi (Milano 1900-1902), più volte ristampato: in particolare sono importanti l’ottava edizione (1924-1925), rinnovata, e la quattordicesima postuma, aggiornata e completata da Umberto Bosco (1942).

Dal 1904 fece parte della commissione petrarchesca per l’Edizione nazionale, di cui, dopo la morte di Rajna, divenne presidente.

Dal 1908 al 1913 fu professore nell’Università di Padova, di cui fu anche rettore dal 1910-11. Concluse la sua carriera a Roma, dove insegnò dal 1913, essendo stato chiamato senza avere fatto ufficialmente domanda. Come risulta dal verbale del 2 maggio 1913, conservato nel suo fascicolo personale, la decisione non fu unanime e anzi fu piuttosto combattuta: il linguista Luigi Ceci avrebbe voluto Francesco D’Ovidio, che però a Napoli insegnava storia comparata delle lingue e letterature neolatine; il filosofo Giacomo Barzellotti gli avrebbe preferito Giovanni Alfredo Cesareo, docente di letteratura italiana all’Università di Palermo. Alla fine Rossi ottenne dieci voti, Cesareo e D’Ovidio tre ciascuno (per il trasferimento ne sarebbero occorsi undici). Grande elettore di Rossi fu Cesare De Lollis, che riuscì a imporre la sua chiamata. Nel 1922 subentrò a Ernesto Monaci, da poco scomparso (1918), nella direzione della rivista Studi romanzi, che diresse fino al 1937. Fu inoltre direttore della sezione di letteratura italiana dell’Enciclopedia Italiana.

Quando nel 1933 il governo decise il commissariamento dell’Accademia nazionale dei Lincei, Rossi, iscritto al Partito nazionale fascista (PNF) fin dal 10 aprile 1925, accettò l’incarico, che comportava fra l’altro di imporre ai soci il giuramento di fedeltà al regime fascista; dal 1935 fino alla morte fu presidente dell’Accademia. Fra le varie onorificenze si ricordano: cavaliere della Corona d’Italia (6 febbraio 1908) e dell’Ordine Mauriziano (30 dicembre 1917); ufficiale degli stessi (9 giugno 1910 e 3 luglio 1921).

Uno dei contributi maggiori al quale Rossi lavorò sino alla fine fu l’edizione critica delle Epistole familiari di Petrarca, di cui avrebbe visto soltanto i primi tre volumi (il quarto sarebbe uscito postumo nel 1942).

Egli dedicò alcuni studi fondamentali alla storia del testo: Il codice latino 8568 della Biblioteca Nazionale di Parigi e il testo delle “Familiari” del Petrarca, in Atti della R. Accademia Nazionale dei Lincei. Memorie. Classe di scienze morali, storiche e filologiche, s. 5, CCCXIX (1922), 16, pp. 181-218; La data della dedicatoria delle “Familiari” petrarchesche, in Studi romanzi, XIX (1928), pp. 163-169; Un archetipo abbandonato di epistole del Petrarca, in Studi petrarcheschi, Arezzo 1928, pp. 175-193; La prima stesura d’una “Senile” di Petrarca, in Miscellanea di studi in onore di Attilio Hortis, Trieste 1910, pp. 259-273; Il testo originario di due epistole del Petrarca, in Studi letterari e linguistici dedicati a Pio Rajna nel quarantesimo del suo insegnamento, Firenze 1911, pp. 195-210; tutti riediti nel secondo volume degli Scritti di critica letteraria. Studi sul Petrarca e sul Rinascimento, Firenze 1930.

Nello studio apparso nella Miscellanea Hortis Rossi si pose per la prima volta il problema delle redazioni plurime. L’aspetto più nuovo e interessante è costituito dalla dimostrazione dell’esistenza di più redazioni, appartenenti a periodi diversi e con significative varianti d’autore. Si afferma così un principio di metodo fecondo di sviluppi, non solo per stabilire quale delle due famiglie di codici (α e β) delle Familiari rappresenti la forma definitiva della raccolta, ma anche per giustificare a pieno titolo la filologia d’autore accanto alla critica testuale. Dopo un ampio e approfondito esame della tradizione manoscritta e a stampa, Rossi perveniva alla conclusione che «delle Familiari si hanno due redazioni: la definitiva (del 1366) serbata dalla maggior parte dei codici, alla quale appartiene il Parigino; e una più antica, che per i primi otto libri è conservata dai codici d’una minor famiglia e da tutte le stampe» (Il codice latino 8568 della Biblioteca Nazionale di Parigi e il testo delle “Familiari” del Petrarca, in Scritti di critica letteraria, cit., II, p. 167). Petrarca, scrive Rossi, «si comportava, anche con le sue epistole latine, come meglio gli tornava, [...] purché una copia gliene rimanesse [...] in casa! Su questa copia l’incontentabile artista continuava a lavorare di lima, e [...] compiva quell’opera di conguagliamento, di adattamento [...] di arricchimento o di abbreviamento, [...] onde nacque l’unità organica della raccolta» (Un archetipo abbandonato di epistole del Petrarca, cit., pp. 175 s.). Ma la documentazione delle varianti d’autore riveste un’importanza più generale: non a caso Giorgio Pasquali, nel suo fondamentale Storia della tradizione e critica del testo (Firenze 1934), nel cap. VII, Edizioni originali e varianti d’autore, rese omaggio a Rossi utilizzando a titolo esemplificativo i risultati cui era giunto nell’esame della tradizione manoscritta delle epistole petrarchesche.

Rispetto ai contributi dedicati a Petrarca, quelli danteschi appaiono meno decisivi: Rossi interpretò Dante come «creatore dal nulla della volontà italiana» (Dante poeta della nazione e dell’umanità, in Scritti di critica letteraria, I, Saggi e discorsi su Dante, Firenze 1930, p. 3) sia nel capitolo della Storia della letteratura italiana, sia in alcune letture non scevre di una certa retorica nazionalistica. Fra i lavori più significativi occorre ricordare almeno Maometto, Pier da Medicina e compagni nell’Inferno dantesco, in Nuova Antologia, s. 6, 1918, vol. 197, pp. 20-31 (poi in Scritti di critica letteraria, cit., I, pp. 157-175), analisi, nel solco dell’interpretazione desanctisiana, dei quattro personaggi che emergono nella nona bolgia, e La Tolomea e la Giudecca nell’Inferno dantesco (1918), ibid., pp. 177-204, dove è edita per la prima volta.

Iniziò un commento della Commedia, avverso alla lettura crociana per frammenti, che si arrestò al canto XXII del Purgatorio e fu completato da Salvatore Frascino. Riguardo ai tempi di composizione delle tre cantiche Rossi aderiva del tutto alle opinioni dell’amico Ernesto Parodi, conosciuto alla fine del 1886 durante il perfezionamento a Firenze e commemorato nel necrologio apparso nella Nuova Antologia (1923, vol. 222, pp. 345-349, poi nel terzo volume degli Scritti, Dal Rinascimento al Risorgimento, Firenze 1930, pp. 466-474): l’Inferno sarebbe stato compiuto prima della spedizione di Arrigo VII, il Purgatorio durante la sua discesa in Italia, il Paradiso dopo la sua morte.

Al di fuori dell’ambito medievale e umanistico, meritano una segnalazione particolare i contributi foscoliani: Sull’“Ortis” del Foscolo, in Giornale storico della letteratura italiana, 1917, vol. 69, pp. 35-85, quindi nel terzo volume degli Scritti, Dal Rinascimento al Risorgimento, cit. (pp. 293-349), e La formazione e il valore estetico dell’“Ortis”, ibid., pp. 351-358, ma uscito per la prima volta in Studi su Ugo Foscolo editi a cura della R. Università di Pavia nel primo centenario della morte del poeta, Torino 1927, pp. 425-432.

Notevole il primo, per l’attenzione prestata all’evoluzione psicologica del protagonista dal primo al secondo Ortis: Rossi, pur condividendo il giudizio negativo di De Sanctis sul libro, voleva dimostrare che la prima redazione dell’opera era più coerente. In particolare, egli compì ampi confronti fra le edizioni bolognese, milanese e zurighese del romanzo, ipotizzando un Proto-Ortis, suscettibile di essere identificato in quel romanzo epistolare su Laura, a suo avviso probabilmente finito nell’autunno 1796, che Foscolo menzionò nel Piano di studi. Lo studioso, convinto che in origine il romanzo dipendesse più dalla Nouvelle Héloïse che dal Werther, ebbe il merito di rivalutare la lunga e importante Notizia bibliografica in appendice all’edizione zurighese del 1816, spesso considerata fino ad allora dalla critica soltanto un cumulo di menzogne intese a rivendicare l’originalità dell’Ortis rispetto al Werther.

Professore emerito nel 1936, morì a Roma il 18 gennaio 1938.

Fonti e Bibl.: Roma, Archivio centrale dello Stato, MPI, Div. istruz. superiore, II vers., II serie, b. 137, Fascicoli dei Professori Ordinari, f. R. V.

N. Zingarelli, in Studi danteschi, 1924, vol. 9, pp. 161-172 (recensione a La Divina Commedia, commentata da V. R., I, L’Inferno, Napoli 1923); G. Toffanin, V. R., in La Cultura, n.s., IX (1930), 3, pp. 196-202 (recensione agli Scritti di critica letteraria, Firenze 1930); G. Pasquali, in Leonardo, IV (1933), pp. 457-465 (quindi in Pagine stravaganti, I, Firenze 1973, pp. 360-376); N. Sapegno, Le lettere del Petrarca, in La Nuova Italia, VII (1936), 1, pp. 1-11; 2, pp. 33-42; Id., La scuola di V. R., in Nuova Antologia, s. 8, 1937, vol. 314, n. 1567, pp. 76-83; L’opera di un maestro. Bibliografia ragionata degli scritti di V. R., a cura di S.A. Chimenz, Firenze 1938; A. Accame Bobbio, V. R., in I critici, III, Milano 1969, pp. 1717-1736; G. Pasquali, Storia della tradizione e critica del testo, Milano 1974, pp. 457-465.

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