VITTORIO AMEDEO III, re di Sardegna

Enciclopedia Italiana (1937)

VITTORIO AMEDEO III, re di Sardegna

Carlo Morandi

Nato a Torino il 26 giugno 1726 da Carlo Emanuele III e da Polissena di Hesse-Rhinfels, morto nel castello di Moncalieri il 16 ottobre 1795. Ricevette una buona educazione umanistica per opera di maestri italiani e francesi sotto la guida del marchese G. Vicardel di Fleury. Ma il padre lo tenne lontano dalla vita pubblica e dalle questioni di stato; forse perché nel carattere poco austero e per nulla parsimonioso del principe vedeva un indice di scarsa maturità politica. Certo è che V. A. fu tratto, per reazione, a considerare i più intimi collaboratori del sovrano (massime G. L. Bogino) come nemici, o almeno estranei, e a cercarsi i confidenti e gl'informatori altrove. Uno di questi fu Giuseppe Baretti. Ciò spiega come V. A., salito al trono in seguito alla morte di Carlo Emanuele III (19 febbraio 1773), abbia subito operato una notevole trasformazione nei quadri dei ministri e dei diplomatici, licenziando per primo il Bogino.

Ammiratore di Federico II di Prussia, dedicò le prime cure all'esercito, alla fortificazione dei confini, al miglioramento del porto di Nizza.

Negli altri settori l'opera riformatrice fu più modesta, troppo legata ai concetti tradizionali, troppo timorosa di offendere le suscettibilità delle classi privilegiate. Lo si vide soprattutto nel campo culturale, dove qualche buona iniziativa vi fu: creazione di un osservatorio astronomico, ripristino delle scuole di pittura e scultura (1778), dotazione dell'accademia delle scienze; ma erano provvidenze esteriori, cui non si accompagnava un'intelligente comprensione delle nuove correnti ideali che agitavano i paesi vicini e che pure avevano un'eco anche nel vecchio Piemonte.

V. A. III, immobilizzato dall'alleanza franco-austriaca, non poteva svolgere una politica estera molto attiva. Ma le sue preferenze erano senza dubbio rivolte verso la Francia, e si mutarono in legami molto intimi in virtù dei vincoli matrimoniali. Due principesse sabaude sposarono i conti di Provenza e d'Artois, fratelli di Luigi XVI e, il 5 settembre 1775, furono celebrate le nozze tra il principe di Piemonte e Clotilde di Francia, sorella del re, non senza aver prima stipulato (20 gennaio 1775) un patto politico segreto di garanzia difensiva per lo stato sabaudo. V. A. III stabilì rapporti più frequenti con la Prussia e riannodò, ma ormai troppo tardi (1781), le relazioni diplomatiche con Venezia. L'Austria era invece considerata con diffidenza, come una pericolosa vicina.

Ma la rivoluzione francese mutò in modo radiale la posizione dello stato sabaudo e interruppe bruscamante un lungo periodo di pace. Fin dall'autunno del 1789 il Piemonte divenne il rifugio preferito di molti fuorusciti francesi guidati dal conte d'Artois; ma, in pari tempo, il riverbero delle agitazioni d'oltralpe cominciava a destare i timori di V.A. III. Accanto all'immigrazione bianca, si delineò una emigrazione rossa, massime dalla Savoia verso Parigi. Il re, per convinzione ostile ad ogni novità rivoluzionaria, si trovò stimolato e spinto sulla via del più rigido legittimismo dai vincoli famigliari con Luigi XVI, dalle pressioni degli emigrati francesi, dalle insistenze dei ministri britannici, dalle influenze ecclesiastiche. Raddoppiò la vigilanza sugli scrittori, chiuse la loggia massonica di Chambéry, e ritirò (1790) l'ambasciatore sabaudo a Parigi, marchese di Cordon.

Fallito il tentativo di dare vita a una lega federativa tra gli stati italiani, secondo il progetto del conte G. F. Galeani Napione (1791), V. A. III dovette accostarsi sempre più alle iniziative politiche dell'Austria e della Prussia. In realtà, la diplomazia di V. A. III fu poco abile: non seppe mettere a frutto le proposte del Dumouriez per un'alleanza franco-sarda contro l'Austria, anzi lasciò che i rapporti con la Francia peggiorassero fino a dover chiedere urgenti aiuti militari all'imperatore. Ciò significava perdere ogni libertà di movimento e di scelta, e quindi rinunciare a trarre profitto dal prezioso contributo che lo stato sabaudo, guardiano delle Alpi, poteva offrire alla coalizione europea.

Il 21 settembre 1792 gli eserciti francesi invasero la Savoia, e il 9 entrarono anche in Nizza; poco dopo la Convenzione proclamava l'annessione di quelle terre alla Francia. Le prime prove militari delle forze sarde non erano state felici. Ricevuti gli aiuti austriaci (circa otto mila uomini), V. A. III prese animosamente l'offensiva ma, nonostante qualche successo locale (Authion, 12 giugno 1793), la campagna fu sterile di risultati. Nella primavera del 1794 i Francesi occuparono il Colle di Tenda, la vallata del Tanaro e il Piccolo San Bernardo. L'anno seguente, gli Austro-Sardi furono sconfitti a Loano (novembre '95). Fallito un tentativo di pace, nonostante la situazione grave del Piemonte e quella non meno preoccupante della Sardegna, dov'era scoppiata la rivolta di G. M. Angioj (1794), V. A. III decise di proseguire la lotta, impegnando anche i gioielli della corona, e durante l'inverno del 1795 ottenne dall'Austria un esercito comandato dal Beaulieu. Questi e il Colli prepararono un piano che mirava a tagliare le vie di comunicazione del nemico. Ma il Bonaparte, che aveva allora assunto il comando dell'armata d'Italia, rovesciò i disegni degli Austro-Sardi e nella campagna del '96, con le vittorie di Montenotte, Dego, Millesimo, spezzò ogni resistenza, prese Cherasco e minacciò Torino. Lo stesso Beaulieu abbandonò il Piemonte, e V. A. III, vistosi solo, chiese (20 aprile 1796) una sospensione d'armi. Il 28 l'ottenne (armistizio di Cherasco) e il 15 maggio sottoscrisse la pace di Parigi, riconoscendo Nizza e Savoia alla Francia e impegnandosi ad accogliere guarnigioni francesi in Piemonte. V. A. III non resse a tanta rovina: ammalatosi; cinque mesi dopo si spense.

Su di lui e sul suo regno furono espressi giudizî severi. Certo V. A. III non fu, né come politico né come guerriero, della stoffa di un Emanuele Filiberto o di un Vittorio Amedeo II; ma ebbe profondo il senso dell'onore e della devozione al proprio paese. Per meglio comprendere i pregi e i limiti dell'opera sua, conviene ricordare che proprio in quel ventennio di regno maturò la prima crisi del vecchio Piemonte come stato regionale.

V. A. III, morendo, lasciò cinque figli di cui tre regnarono successivamente dopo di lui: Carlo Emanuele IV, Vittorio Emanuele I, Carlo Felice.

Bibl.: R. Malines, Memorie, a cura di P. Robbone, Torino 1932; N. Bianchi, Storia della monarchia piemontese dal 1733 sino al 1861, ivi 1877-85, I e II; D. Carutti, Storia della Corte di Savoia durante la Rivoluzione e l'Impero francese, I, ivi 1892; per la campagna del '96 e l'armistizio di Cherasco: G. Ferrero, Aventure, Parigi 1936.