VITTORIATO

Enciclopedia Italiana (1937)

VITTORIATO (victoriatus sc. nummus)

S. ¿. G.

È la moneta di argento che i Romani coniarono insieme col denaro, il quinario e il sesterzio, ma indipendentemente da questi, col tipo costante della testa laureata di Giove e della Vittoria incoronante il trofeo, donde il suo nome. Insieme col vittoriato fu coniato il mezzo vittoriato e il doppio vittoriato, con gli stessi tipi, e la stessa leggenda roma, ma in quantità infinitamente minore. I tre nominali non portano il segno del valore.

Come per il primitivo denaro, anche per il vittoriato si distinguono tre serie di pezzi: la serie anonima, quella con simboli e quella con monogrammi. Nessun vittoriato porta il nome spiegato di un monetario. Ed ancora due gruppi di emissioni: la emissione a peso pieno, cioè di tre scrupuli o 3/4 di denaro a 1/72 di libra (gr. 3,41); e l'emissione a peso ridotto contemporanea alla riduzione del denaro a 1/84 di libra, e cioè del valore di 2 e 3/7 di scrupulo ed egualmente 3/4 del denaro ridotto (gr. 2,92).

La più antica menzione del vittoriato risale a Catone il Censore, console del 195 a. C.; poi essa ricorre: in Livio, per il trionfo del 177 di C. Claudio Pulcro sui Liguri e gl'Istriani; in un'epigrafe del 117, che riporta la celebre sentenza di Minucio sui confini tra i Genuati ed i Veturî; lo ricordano ancora Cicerone, Varrone, e, nell'età imperiale, Plinio, Meciano, Quintiliano, Tertulliano, ecc.

Su una frase di Plinio (Nat. Hist., 33, 3, 46) è stata fondata la teoria, per la quale si vuole riconoscere nel vittoriato una moneta romana che imita la dramma illirica circolante in buon numero sulle coste orientali dell'Adriatico prima dell'avvento dei Romani. La sua coniazione avrebbe quindi preso inizio circa il 228 a. C. La teoria risale a B. Borghesi e la adottarono di poi C. Cavedoni, T. Mommsen, il conte de Salis e, odiernamente, H. A. Grueber. Ma buon numero di fatti la contraddicono e fra l'altro: il ritrovamento del doppio vittoriato e dei vittoriati a leggenda incusa in Spagna; l'identificazione del tipo della vittoria con quello di alquanti bronzi campani e anche di Taranto; il riconoscimento delle lettere e dei monogrammi che appariscono nel campo del rovescio quali iniziali del nome delle città di Lucera, Crotone, Vibo Valentia, Canosa, ecc., sedi delle zecche succursali della zecca di Roma, che coniarono i vittoriati stessi; i numerosi ritrovamenti di gruzzoli di puri vittoriati nella Penisola Italica, a Taranto, Pisa, Caltrano Vicentino, Battipaglia, Foggia, Canosa di Puglia, Caleso e Ancona, e fuori, nella Penisola Iberica, a Numanzia; infine i ritrovamenti ancora più numerosi, ma più tardi, di ripostigli misti di vittoriati e di denari e quinari, in Italia e fuori. Così il Bahrfeldt, come di poi il Mommsen e infine J. Haeberlin, riconobbero anzitutto che la data della prima emissione doveva protrarsi molto più su del 228, e che si poteva considerare all'incirca contemporanea a quella del primo denaro di Roma; che questa moneta non era già una imitazione della dramma illirica ma tutto il contrario; che infine nel vittoriato si doveva riconoscere una moneta romana nei tipi, nell'arte, nello stile e nella tecnica, e una moneta che si ricollegava intimamente con il didramma quadrigato al quale succedeva dal momento dell'introduzione del denaro a Roma. I Romani crearono infatti questa moneta per il commercio esterno, onde venne accolta a Roma solo mercis loco (come dice Plinio), per sostituirla al quadrigato ormai soppresso; e le diedero un peso che fosse in rappnrtn diretto col denaro, cioè 3/4 di questo, e nello stesso tempo si eguagliasse al peso della moneta esterna più vastamente conosciuta e usata sui mercati ínternazionali dei popoli mediterranei attornianti il mondo latino, cioè la dramma focese.

A conferma dell'alta antichità cui risale la prima emissione del vittoriato dobbiamo ancora annotare che questa moneta segue le stesse leggi che regolano l'emissione del primitivo denaro; i vittoriati a leggenda incusa sono almeno tanto antichi quanto i denari a leggenda incusa, e sono poco più rari di questi; i vittoriati anonimi sono molto più numerosi di quelli con simboli e con lettere come per il denaro; il peso legale, sia pieno sia ridotto, rappresenta per il vittoriato, come per il denaro, un massimo poche volte raggiunto.

La tradizione antica fu all'incontro concorde ed esatta nell'affermare che da un determinato momento il vittoriato venne coniato col valore del mezzo denaro o quinario, col quale venne a identificarsi. Questa variazione di corso fu determinata, secondo gli antichi, dalla lex Clodia che già il Borghesi fissava giustamente a circa il 104 a. C., identificando il personaggio con M. Claudio Marcello il padre dell'Esernino, tribuno della plebe e poi legato di Mario. Lo stesso Borghesi riconosceva quindi i primi vittoriani uguali ai quinarî, emessi lege Clodi, nei pezzi coniati dai monetarî C. Egnatuleio, T. Clulio, Cn. Lentulo, C. Fundanio e P. Vettio Sabino tra il 104 e l'86 a. C.; i quali pezzi sono infatti vittoriati per il tipo della Vittoria ma sono quinarî per il loro peso e valore, onde all'esergo del rovescio portano la lettera Q(uinarias). Da questo momento e per tutto l'impero il mezzo denaro o quinario e il vittoriato costituiscono un'unica categoria di pezzi, o meglio la parola "vittoriato" si usò come sinonimo di quinario e in sua vece.

È pure stato riconosciuto concordemente che la sospensione della coniazione del vittoriato vero e proprio precede di molti decennî questa data, pure rimanendo i pezzi in corso.

Infatti risulta relativamente scarso il numero delle emissioni individuate dai simboli e dai monogrammi e nessun vittoriato porta il nome di un monetario, onde breve appare essere stato il periodo della coniazione di questa moneta, che dovette venire sospesa ai primi decennî del sec. II a. C.

Bibl.: G. B. Borghesi, Øuvres compl., II, Parigi 1862, p. 299 segg.; C. Cavedoni, Ragguaglio... de' precipui ripostigli, ecc., Modena 1854, pp. 156, 176; Th. Mommsen-Blacas, Histoire Monn. Rom., II, Parigi 1870, p. 85 segg.; E. Babelon, Monn. Rep. Rom., I, ivi 1885, p. xxiv; id., Traité, I, Parigi 1901, p. 553 segg.; J. Haeberlin, in Riv. ital. Num., 1906, p. 633 segg.; H. A. Grueber, Br. Mus. Cat. Rom. Rep. Coins, I, passim; II, p. 116 segg.; S. L. Cesano, Victoriati Nummi, in Riv. ital. Num., 1912, fasc. 3.