PISANI, Vittore

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 84 (2015)

PISANI, Vittore

Giuseppe Gullino

PISANI, Vittore. – Nacque a Venezia, nella parrocchia di S. Fantin, da Pietro di Giovanni e da Valviria Alberti, nel 1324.

Talune fonti (quali la Cronicha Dolfin, II, 2009, p. 61) lo ritengono nipote di Nicolò Pisani, che fu parimenti capitano da Mar e imprigionato dopo aver riportato un grave insuccesso contro i genovesi.

Pisani ebbe almeno tre fratelli e due sorelle e trascorse la gioventù dedicandosi alla mercatura, come prova l’acquisto di alcuni schiavi effettuato a Costantinopoli il 7 ottobre 1350. La prima notizia sulla sua carriera politica è dell’11 gennaio 1353 e riguarda l’elezione a sopracomito in armata, ovvero comandante di galera. La nomina avvenne nello stesso giorno in cui fu eletto capitano generale da Mar, ossia comandante in capo della flotta veneta, quel Nicolò Pisani ricordato poc’anzi, ai cui ordini Vittore Pisani – che quantomeno era suo parente – avrebbe militato per due anni. Era in corso la terza guerra veneto-genovese, fatta di duri scontri e devastazioni in un’area che spaziava dal Tirreno all’Adriatico, all’Egeo. Pisani ebbe modo di distinguersi con l’attacco portato a una galera genovese nelle acque di Samo, nell’estate 1354, ma qualche mese dopo, il 4 novembre, risultò coinvolto nella sconfitta patita dai veneziani presso l’isola di Sapienza, nella costa occidentale del Peloponneso, a opera di Pagano Doria. Il comandante della flotta veneta venne processato e dovette pagare una forte ammenda; anche i suoi ufficiali furono inquisiti, mentre il 3 settembre 1355 Vittore Pisani fu assolto.

Appena due giorni dopo partecipò all’incanto di una galera per il convoglio di Romania e ancora nella mercatura risulta presente il 5 maggio 1356, giorno in cui ottenne l’appalto di una galera diretta a Costantinopoli. In seguito, fra il 1357 e il 1360, fu rettore a Negroponte, l’attuale Eubea (il 16 ottobre 1363 in una deposizione processuale è definito olim consigliere a Negroponte); l’8 giugno 1361 fu nominato capitano delle galere dirette alla Tana, in Crimea. Intanto era scoppiata la rivolta di Creta, impegnativa per la determinazione degli insorti capeggiati proprio dai «feudati» di origine veneziana. Pisani non aveva ancora assunto il comando della «muda» del Mar Nero, ma le buone prove ch’egli aveva fornito sino allora indussero il Senato ad assegnargli la carica di capitano in Golfo, ove subentrò a Lorenzo Celsi, eletto doge il 16 luglio 1361. Pisani operò soprattutto in Sicilia contro gli aragonesi nel corso dell’estate 1362, dopo di che il 23 maggio 1363 fu eletto rettore alla Canea, nell’isola di Creta, proprio nella fase più virulenta dell’insurrezione antiveneziana. Al termine del rettorato, egli assunse subito un altro incarico, quello di console alla Tana, cui fu eletto il 26 gennaio 1365.

La presenza veneziana nel Mar Nero fu sempre precaria, a causa della minaccia rappresentata dalla forte colonia genovese di Caffa; non sorprende pertanto che, alla vigilia della partenza da Venezia (27 luglio), Pisani abbia rivolto una supplica al Senato perché gli fosse corrisposta qualche sovvenzione economica.

Tornato a Venezia, il 14 marzo 1368 fu eletto, assieme a Pietro Marcello e Pantalone Barbo, provveditore in Istria; si trattava di rinforzare l’apparato difensivo in previsione della discesa in Italia dell’imperatore Carlo IV che intendeva ripristinare l’autorità imperiale nella penisola, grazie all’appoggio di Urbano V, che da Avignone si era portato a Roma in un generoso quanto infruttuoso tentativo di ristabilirvi la sede pontificia. La commissione concluse rapidamente il suo compito, anche perché l’Istria non fu direttamente toccata dalla spedizione imperiale, a differenza della terraferma veneta (dove Venezia possedeva il Trevigiano, oltre alla fascia costiera altoadriatica). Pertanto Pisani fu eletto (12 giugno 1368), assieme a Marco Avonal e Andrea Morosini, nel novero dei tre savi incaricati di individuare la sede idonea alla costruzione di un ridotto dove ricoverare persone e animali, nel timore della discesa di soldatesche dalla Germania; la località prescelta fu l’isoletta di Sant’Andrea sul Sioncello, nei pressi di Altino. Questo incarico veniva in qualche modo a sommarsi ad altro cui Pisani (salvo restando trattarsi di un omonimo, come si dirà più avanti) era stato chiamato pochi giorni prima: il 27 maggio entrò a far parte di un’altra commissione di tre savi, successivamente ampliata a dodici, deputata a tutelare la laguna dagli imbonimenti provocati dal Piave. Il fenomeno della salvaguardia lagunare fu sempre di grande attualità, ma allora la situazione appariva gravissima e tale sarebbe rimasta per almeno due secoli, nonostante i molti e importanti provvedimenti posti in atto dal governo marciano. La permanenza a Venezia fu comunque di breve durata, perché secondo una ducale del 16 novembre 1368 Pisani era già castellano a Corone e Modone, sulla punta estrema del Peloponneso.

Poiché egli sarebbe rimasto a lungo in quei luoghi, si deve ipotizzare la presenza di un omonimo a Venezia, benché i repertori genealogici ne ignorino l’esistenza: il 6 febbraio 1369, infatti, un Vettor Pisani era eletto provveditore a Creta, dove si sarebbe fermato per alcuni anni, dal momento che solo il 23 febbraio 1374 il Senato gli avrebbe concesso il rimpatrio (Archivio di Stato di Venezia, Senato, Deliberazioni miste, Reg. XXXIIII, c. 81r). Le fonti, tuttavia, omettono il nome del padre di questi omonimi.

La permanenza di Pisani nel Peloponneso è invece ampiamente documentata: il 12 aprile 1370 il Senato gli ordinò di astenersi dal toccare le proprietà del vescovo di Modone, Francesco Falier, rivendicate dal governo marciano: ordine confermato con delibera dell’11 giugno 1372; il 4 luglio 1372, infine, il Senato gli concesse licenza di rimpatrio.

La più autentica vocazione di Pisani era però costituita dal servizio nell’armata marittima e ben presto riprese a percorrere il Mediterraneo: l’8 aprile 1373, in veste di capitano in Golfo, ricevette l’ordine di imbarcarsi per proteggere il naviglio veneziano; qualche mese dopo, il 25 luglio, sua moglie otteneva l’autorizzazione del Senato per recarsi a Modone, valendosi della «muda» di Romània. Evidentemente Pisani doveva intrattenere rapporti commerciali con mercanti operanti nel Peloponneso, come del resto provano le disposizioni impartitegli dal Senato il 3 settembre 1373, relative al rientro a Venezia delle mercanzie rimaste a Modone. E proprio in quest’ultima località Pisani tornò in veste di castellano dal 1375 all’inizio del 1378; dopo di che, il 22 aprile 1378, fu nominato capitano generale da Mar e, al comando di quattordici galere, si portò nel Tirreno con l’obiettivo di affrontare la flotta genovese.

Era scoppiata infatti la quarta guerra tra le due Repubbliche marinare, a motivo del contrastato possesso dell’isola di Tenedo, che permetteva di controllare la navigazione degli stretti. Gli esordi del conflitto furono positivi per Venezia, dal momento che Pisani sconfisse la squadra di Luigi Fieschi presso Anzio, alle foci del Tevere (30 maggio 1378); lo stesso comandante genovese cadde prigioniero e fu condotto a Venezia. Se Pisani avesse potuto contare su una flotta più consistente, forse si sarebbe potuto spingere sulle coste liguri, invece ripiegò a Modone in attesa di rinforzi. Il progetto era di dirigersi a Costantinopoli nel ricorrente tentativo di cacciarne i genovesi, ma neppure stavolta il piano trovò realizzazione, poiché ricevette l’ordine di tornare a Venezia per imbarcarvi Valentina Visconti e scortarla a Cipro, il cui re, Pietro Lusignano, l’aveva sposata per procura l’anno precedente; inoltre, una volta giunto nell’isola, avrebbe dovuto attaccare la roccaforte genovese di Famagosta. L’impresa non riuscì e, intanto, sin dal 24 giugno gli ungheresi erano penetrati nella terraferma veneta e avevano oltrepassato il Piave, con l’appoggio dei carraresi loro alleati, mentre nell’Adriatico i genovesi taglieggiavano i mercantili veneziani. Pertanto Pisani ricevette l’ordine di portarsi in Dalmazia per punire le città controllate dagli ungheresi: in agosto toccò a Cattaro, Zara e Traù, quindi nel mese di ottobre venne saccheggiata Sebenico.

La stagione inoltrata pose termine alle operazioni, ma a Pisani non fu consentito di tornare a Venezia e dovette svernare a Pola. Confermato nel comando il 23 febbraio 1379, gli furono assegnati come provveditori Michele Steno e Carlo Zeno e ottenne un rinforzo di undici galere; con l’aprirsi della nuova campagna ricevette l’ordine di scortare in Puglia le navi di alcuni mercanti che andavano a caricare del grano. Nel viaggio di ritorno, la squadra di Pisani fu danneggiata da una violenta burrasca, per cui dovette riparare a Pola; qui, davanti al porto, il 5 maggio si presentò la flotta di Luciano Doria, forte di venticinque galere, schierata in formazione di battaglia. Pisani, consapevole dell’inferiorità numerica dei suoi legni e delle cattive condizioni degli equipaggi, espresse parere di non uscire dal porto in attesa che arrivasse la squadra di Carlo Zeno, che si trovava nel Tirreno, ma i suoi ufficiali lo persuasero ad accettare battaglia. Lo scontro avvenne il 7 maggio 1379 presso le isole Brioni e si risolse in una disfatta dei veneziani, benché il comandante dei liguri, Luciano Doria, fosse rimasto ucciso sin dalle prime fasi del combattimento. Riparato dapprima a Parenzo e poi a Venezia con sole quattro galere, il 7 luglio Pisani fu imprigionato e condannato a sei mesi di prigione, oltre all’esclusione da ogni carica pubblica per cinque anni.

Mai Venezia era stata così prossima a sparire: caduta Chioggia il 16 agosto, una squadra genovese penetrò entro la stessa laguna, a poche ore di voga da palazzo ducale; la città subì il blocco da parte di carraresi, friulani e ungheresi in terraferma, e fu privata persino dei rifornimenti d’acqua dolce che le giungevano dal Sile e dal Brenta. La situazione appariva disperata. Tuttavia in questo frangente Venezia rivelò la solidità delle sue istituzioni: il 19 agosto fu liberato dal carcere Pisani, la cui popolarità era grandissima fra la gente di mare per il suo comportamento privo di alterigia, ben diverso da quello abituale nei nobili; pertanto fu reintegrato nel comando delle poche galere superstiti, benché il Senato avesse in animo di destinarvi Taddeo Giustinian, esponente delle vecchie famiglie patrizie. Per prima cosa il nuovo capitano provvide a rinforzare le difese del Lido, quindi mise in atto un piano di guerra che non prevedeva attacchi frontali alle navi liguri, ma il loro imprigionamento nella laguna, chiudendo ogni accesso al mare dalla parte sia di Chioggia sia di Brondolo. L’assedio della città si sarebbe protratto per molti mesi e le operazioni ebbero inizio nella notte più lunga dell’anno, quella fra il 21 e il 22 dicembre 1379; al comando del doge Andrea Contarini, un gran numero di barche lasciò il bacino di S. Marco avviandosi alla volta di Chioggia, davanti al cui porto vennero affondate imbarcazioni cariche di sassi. Ebbero inizio allora una serie di manovre, di assalti, di contrattacchi con alterna fortuna, ma alla fine i veneziani riuscirono a isolare la città e a chiudere da ogni parte la flotta genovese. La svolta definitiva si verificò il 1° gennaio 1380, allorquando comparvero all’orizzonte le diciotto vele di Carlo Zeno, che dopo aver arricchito se stesso e i suoi equipaggi depredando navi genovesi dal Tirreno all’Egeo, si era infine indotto a prestar soccorso alla patria.

Il conflitto si riaccese sotto Brondolo, che venne presa dalle truppe di Pisani alla fine di febbraio, dopo un duro assedio nel quale trovò la morte il comandante dei genovesi, Pietro Doria. Da assedianti questi erano ormai divenuti assediati e le loro residue speranze di rovesciare le sorti del conflitto risiedevano nell’arrivo di soccorsi dalla patria. Questi si concretizzarono nell’invio di una squadra comandata da Matteo Maruffo, che giunse davanti al Lido il 14 maggio 1380, ma senza riuscire a penetrare in laguna; qualche giorno dopo, il 26 maggio, le forze congiunte di Pisani e di Zeno la costrinsero a ripiegare su Marano.

Stremati e ormai privi di viveri, il 21 giugno alcuni reparti genovesi si arresero; l’indomani, sulla galera ammiraglia, il doge, con accanto Pisani, promise paga doppia alle truppe in vista dell’assalto finale; due giorni dopo Chioggia capitolava. Pisani, con il grado di capitano generale, proseguì le operazioni di recupero delle località occupate dai genovesi, a cominciare da Capodistria, ma non riuscì a conquistare Trieste, che preferì darsi al patriarca di Aquileia. L’8 agosto ordinò di bombardare Zara, quindi si recò in Puglia inseguendo una squadra genovese, ma qualche giorno dopo, il 13 agosto 1380, morì di febbre a Manfredonia.

Il suo corpo, portato a Venezia, ricevette esequie solenni e fu sepolto nella chiesa di S. Antonio a Castello. Poiché tale chiesa fu demolita in età napoleonica, un discendente di Pisani, Pietro, ottenne di trasportarne le ceneri in un suo oratorio sito a Montagnana.

Il testamento, stilato l’11 aprile 1380 nella sua abitazione a S. Fantin, lo mostra ricco, con proprietà anche alla Tana; in esso sono ricordate la moglie Anna Pisani, la sorella Fantina, le figlie Cristina, sposata a Pietro Duodo, e Lucia, maritata a Bernardo Da Mula.

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