Vita

Universo del Corpo (2000)

Vita

Raffaella Elli

La vita può essere vista come un flusso continuo che si estende dagli organismi più primitivi attraverso i vari rami filogenetici fino alla grande varietà delle forme presenti oggi. La storia geologica della Terra è inseparabile da quella delle forme di vita che in essa si sono sviluppate. Per es., la formazione e la successiva frammentazione della Pangea influenzarono marcatamente la varietà della vita, così come l'evoluzione degli organismi fotosintetici che liberano ossigeno ha modificato l'atmosfera terrestre e, molto più recentemente, l'emergere della specie Homo sapiens ha cambiato radicalmente la terra, l'acqua e l'aria con una rapidità senza precedenti per una singola specie. Sia la storia della Terra sia quella della vita che si è evoluta su di essa hanno avuto carattere episodico e sono state marcate da eventi che costituirono vere e proprie rivoluzioni.

Le testimonianze dell'origine della vita

Come tutte le ricerche storiche, quella sull'origine della vita dipende dalla conservazione, dall'affidabilità e dall'interpretazione delle tracce del passato, in questo caso costituite essenzialmente dalle stromatoliti, dai microfossili contenuti nelle rocce, dagli isotopi stabili, in particolare quelli del carbonio e dello zolfo, dai fossili chimici, quali gli idrocarburi, e da alcuni indicatori biologici (biomarkers). L'interpretazione di tutte queste testimonianze è comunque estremamente difficile dato che esse sono tanto più incomplete quanto più si risale indietro nel tempo. Ciascun organismo attuale, tuttavia, porta nelle sue molecole, nel metabolismo e nell'anatomia tracce della sua storia evolutiva e può essere pertanto considerato un 'fossile molecolare', conoscendo il quale si può giungere alla comprensione di alcune tappe dell'evoluzione della vita sulla Terra. Il problema dell'origine della vita consiste infatti essenzialmente nel capire come, e in quali condizioni, un sistema fisico complesso possa assumere l'ordine spaziotemporale caratteristico di una cellula che si accresce e si riproduce. Nella cellula primordiale come nelle cellule attuali di ogni essere vivente vi sono essenzialmente due tipi di processi interni, che si svolgono al contempo, condizionandosi a vicenda, e che si devono essere evoluti contemporaneamente: da un lato una complessa rete di vie metaboliche (biosintetiche e degradative), costituite da una successione di trasformazioni chimiche, obbedisce alle leggi della termodinamica e ciascuna coinvolge allo stesso tempo un elevato numero di molecole; dall'altro un gran numero di processi si svolge per singoli atti reattivi, coinvolgendo una sola o poche molecole per volta, in una successione rigorosamente ordinata nello spazio e nel tempo. Le stromatoliti sono strati laminati di roccia sedimentaria che formano scogliere, anche di grandi dimensioni, molto simili alle formazioni costruite da colonie batteriche e dai cianobatteri che ora vivono in paludi molto salate. In alcune stromatoliti i depositi batterici fossili assomigliano alle strutture stratificate formate dalle colonie batteriche attualmente viventi e sono disposti in modo tale da indicare che essi siano i responsabili della costruzione delle lamine. Gli strati sono infatti formati da sedimenti che aderiscono ai rivestimenti gelatinosi dei microrganismi mobili che migrano in continuazione al di fuori dello strato del sedimento, formando un nuovo strato e producendo il caratteristico aspetto a bande. I microfossili si sono formati per precipitazione di minerali incrostanti sulla superficie di microrganismi oppure per sostituzione del materiale cellulare da parte di minerali, cosa che di frequente rende difficile la distinzione dei microfossili dagli artefatti minerali. I criteri di riconoscimento sono costituiti dalla presenza di forme cave, da indicazioni di divisioni cellulari oppure dalle tracce di materiali organici che persistono anche dopo che i minerali sono penetrati nella cellula. È inoltre necessario verificare, mediante criteri petrografici, che l'età dei presunti microfossili di un determinato giacimento sia la stessa di quella della roccia ospite. Gli isotopi stabili derivano da varie reazioni metaboliche che provocano il frazionamento degli isotopi del carbonio e dello zolfo e possono quindi essere registrate nella composizione della materia organica. L'insieme delle testimonianze sopra descritte ha permesso di affermare che microrganismi erano presenti negli oceani dell'Archeano 2,5 miliardi di anni fa. Tutte queste tracce non permettono di capire quali fossero e come vivessero questi microrganismi. Uno dei grandi progressi nella paleobiologia degli ultimi anni è stato lo sviluppo di tecniche analitiche che permettono di identificare con sicurezza anche piccole tracce di biomarkers chiamati 'geoisomeri'. Essi sono derivati per degradazione termica di lipidi e si trovano negli oli naturali e negli strati sedimentari. Per es. il licopano e il colestano, che sono molto abbondanti nei sedimenti, derivano rispettivamente dal fitoene, un terpenoide abbondante in alcune classi di batteri, e dal colesterolo presente in alcune alghe e in tutti i Metazoi. Queste tecniche costituiscono un nuovo approccio per i paleobiologi e potranno dare importanti informazioni, anche se il loro limite è dovuto al fatto che le rocce dell'Archeano hanno subito metamorfosi dovute a lunghi periodi di riscaldamento a una temperatura superiore a 200 °C responsabile della deidrogenazione delle sostanze organiche (metasedimenti). Alcune recenti scoperte hanno tuttavia dimostrato che anche nelle rocce metasedimentarie alcuni indicatori biologici sono rimasti stabili. Le prove isotopiche dimostrano che la formazione della crosta terrestre era quasi completa circa 4,5 miliardi di anni fa. Sebbene i geologi abbiano scoperto minerali cristallizzati che risalgono a 4,2 miliardi di anni fa e rocce sedimentarie risalenti a 3,8 miliardi di anni, tuttavia le testimonianze fossili risalenti a queste epoche sono di difficile interpretazione. Nel complesso dello Gneiss di Itsaq (Isua) nella Groenlandia sudoccidentale, il più vecchio terreno di origine sedimentaria che si conosca sulla Terra, i dati relativi agli isotopi del carbonio sembrerebbero indicare che 3,8 miliardi di anni fa erano presenti organismi autotrofi, cioè organismi che utilizzano carbonio inorganico per la formazione delle loro cellule. Le prove derivano dalla presenza di carbonio ridotto, un prodotto dovuto al frazionamento dell'isotopo del carbonio presumibilmente causato da organismi viventi. L'interpretazione dei dati è tuttavia incerta in quanto le rocce hanno subito un grado di metamorfosi talmente elevato (metasedimenti) che difficilmente ci si può aspettare che in esse permangano tracce di fossili organici. Sono state trovate stromatoliti nell'Australia occidentale (Gruppo di Warrawoona) che risalgono a 3,5 miliardi di anni fa e nel Sudafrica in una formazione rocciosa detta Fig Tree Chert che risale a 3,4 miliardi di anni fa. Le rocce presentano la classica struttura che suggerisce l'attività costruttiva di batteri, e la misura degli isotopi del carbonio ha dimostrato un frazionamento isotopico del carbonio, in accordo con un'origine da metabolismo autotrofo, simile a quello che è possibile riscontrare in rocce più recenti. Al periodo che va da 3,2 a 2,8 miliardi di anni fa si possono far risalire invece le stromatoliti del Gruppo di Insuzi in Sudafrica. Le rocce sedimentarie di questo periodo, contrariamente a quelle più antiche che hanno dato origine a numerose interpretazioni, hanno caratteristiche sedimentologiche, e complessità macro- e microstrutturale assolutamente simili alle stromatoliti attuali costruite dal cianobatterio Phormidium tenue. Di quest'epoca non si hanno tuttavia ancora testimonianze di microfossili, presenti invece sicuramente nel Neoarcheano che va da 2,8 a 2,5 miliardi di anni fa. Le stromatoliti e i microfossili oltre che gli isotopi del carbonio indicano chiaramente che in questo periodo erano diffusamente presenti tappeti di cianobatteri bentonici; si trovano inoltre tracce evidenti di produzione e di consumo del metano. Dato che la produzione biologica del metano è una caratteristica esclusiva di alcuni archeobatteri, si può affermare che nel periodo Archeano erano presenti due dei tre super-regni della vita: gli eubatteri e gli archeobatteri. Fino a poco tempo fa non si conosceva alcuna prova dell'esistenza nell'Archeano del terzo super-regno, quello degli eucarioti. Risale al 1999 la notizia (Brocks et al. 1999) dell'individuazione nelle rocce australiane (Pilbara Craton) di indicatori biologici, quali sterano e colestani, di un'alga vissuta 2,7 miliardi di anni fa. Questo ritrovamento sposta di un miliardo di anni la data della comparsa sulla Terra degli eucarioti, che precedentemente era fatta risalire a circa 1,5 miliardi di anni fa.

La chimica precellulare

Molte prove indicano che la vita sulla Terra sia iniziata, in un periodo compreso fra 4,1 e 3,5 miliardi di anni fa, a partire da sostanze inorganiche ordinate in aggregati molecolari e forniti della capacità di autoreplicazione e metabolismo. Attualmente la vita non potrebbe svilupparsi per generazione spontanea a partire da materiale inorganico, ma quando la Terra aveva solo un miliardo di anni le condizioni ambientali erano molto diverse. L'atmosfera conteneva presumibilmente pochissimo ossigeno; scariche elettriche, attività vulcaniche, bombardamenti di meteoriti e radiazioni ultraviolette erano sicuramente molto più intensi di quello che possiamo sperimentare oggi. È probabile che in quell'ambiente si formassero molecole che rappresentano gli stadi iniziali della vita, anche se in proposito si possono avanzare varie ipotesi fra di loro discordanti. Le discussioni sulle prime fasi dell'evoluzione trovano spesso i chimici su posizioni diverse rispetto ai biologi, culturalmente condizionati da una visione del mondo nella quale i processi evolutivi sono il motore di tutte le trasformazioni e, quindi, convinti che gli organismi attuali costituiscano la memoria storica degli organismi originari. Le principali obiezioni dei chimici derivano dalla difficoltà di sintetizzare in laboratorio le molecole fondamentali, soprattutto gli zuccheri e i nucleotidi. Inoltre alcuni sostengono che per ottenere la complessità attuale occorre presupporre un processo evolutivo troppo difficile e tortuoso, e occorrono ancora molte prove per poter asserire che i processi biochimici presenti nelle forme di vita attuali siano simili a quelli originari. Per quanto sia complesso l'argomento, si può tuttavia sostenere che i primi organismi furono il prodotto di un'evoluzione chimica realizzatasi sostanzialmente in quattro tappe: sintesi abiotica e accumulo di piccole molecole organiche, o monomeri, quali aminoacidi e nucleotidi; unione dei monomeri in polimeri o macromolecole, quali proteine, acidi nucleici (RNA); unione di queste molecole prodotte mediante sintesi abiotica in aggregati con caratteristiche chimiche diverse da quelle dell'ambiente circostante; origine dell'ereditarietà, ossia acquisizione da parte delle molecole, prima o dopo l'aggregazione in gocce, della capacità di autoriprodursi e trasmettere informazioni.

1) Sintesi abiotica di monomeri organici. Basandosi sull'osservazione che tutte le forme di vita sono costituite dalle stesse macromolecole, A.I. Oparin, J.B.S. Haldane nel primo quarto del 20° secolo, e J.D. Bernal e M. Calvin successivamente, suggerirono che le condizioni geologiche della Terra primitiva avrebbero potuto rendere possibile la sintesi di una sufficiente quantità e varietà di molecole biologicamente importanti partendo da composti inorganici. Seguendo le ipotesi di Oparin e di S.L. Miller, l'opinione prevalente nella prima metà del 20° secolo era che l'atmosfera primitiva fosse fortemente riducente. Considerato che la materia dell'Universo è costituita da idrogeno molecolare, si pensava che l'atmosfera primitiva contenesse soprattutto azoto e carbonio allo stato ridotto e fosse invece sostanzialmente priva di ossigeno; l'ossigeno, dal quale dipende la maggior parte della vita attuale, si è formato soprattutto dai processi fotosintetici che si instaurarono solamente 2 miliardi di anni fa nell'ambiente acquatico. Occorre tuttavia fare alcune considerazioni. L'opinione oggi condivisa, basata sui modelli di accrescimento planetario e sull'abbondanza di sostanze volatili osservate sulla Terra e sulla Luna, è che il nostro pianeta si sia accresciuto quando era ancora incandescente e si sia poi gradatamente raffreddato. Circa 4,4 miliardi di anni fa la maggior parte del ferro e del nichel metallico affondarono verso il centro della Terra mentre i silicati, che attualmente costituiscono oltre l'80% dei minerali del globo terrestre, rimasero negli strati del mantello e della crosta. I gas formatisi al di sotto della crosta solida che si stava raffreddando uscirono dalle fessure della superficie. Qualora l'uscita dei gas fosse avvenuta prima che la maggior parte del ferro metallico, che presenta elevate capacità riducenti, affondasse nel cuore della Terra, il carbonio sarebbe diventato monossido di carbonio (CO) e metano (CH₄) e l'azoto sarebbe diventato ammoniaca (NH₃) creando un'atmosfera fortemente riducente. Se invece l'atmosfera primordiale fosse derivata dai gas vulcanici in un ambiente quasi totalmente privo di ferro, avrebbe contenuto anidride carbonica, poco monossido di carbonio e pochissima ammoniaca o metano. È presumibile che un'atmosfera fortemente riducente non sarebbe comunque durata a lungo per l'elevata intensità della luce ultravioletta causata dalla mancanza del filtro dell'ozono: i fotoni dell'ultravioletto avrebbero determinato infatti la rottura dei legami C-H e N-H. Inoltre, in un periodo nel quale la luminosità del Sole era inferiore del 30%, doveva essere presente anche anidride carbonica (CO₂) con funzioni di gas serra per mantenere la temperatura della superficie della Terra al di sopra del punto di congelamento dell'acqua; la funzione degli altri gas serra, metano e ammoniaca, doveva invece essere limitata in quanto essi hanno una vita atmosferica breve. L'opinione che ha prevalso negli anni più recenti è pertanto a favore di un'atmosfera primitiva con caratteristiche pressoché neutre. Il problema è però ancora dibattuto. I quattro elementi fondamentali della vita (idrogeno, ossigeno, azoto e carbonio) erano comunque presenti nell'atmosfera primitiva. Gli apporti di energia dall'esterno, dovuti soprattutto all'azione dei raggi ultravioletti del Sole non schermati dallo strato di ozono e alle scariche elettriche dei temporali, dovevano determinare la sintesi di una grande quantità di molecole organiche che, dilavate dalle piogge, dovevano poi accumularsi nell'oceano. L'attività vulcanica scaricava nell'atmosfera gas caldi e ceneri e dalle fratture lungo i fondali marini uscivano getti caldissimi di lava. Le fratture profonde sotto gli oceani, le nicchie idrotermali sottomarine ricche di energia capace di promuovere reazioni chimiche, di zolfo, di fosforo e di catalizzatori minerali potrebbero essere state la sede di formazione di ammoniaca e metano. I tentativi di dimostrare sperimentalmente le previsioni teoriche di sintesi organiche idrotermali sono però ostacolati dalla difficoltà di accedere a nicchie sottomarine naturali e dalle sfide tecniche che comporta la loro simulazione in laboratorio. Miller, basandosi su alcune premesse teoriche di H.C. Urey, dimostrò negli anni Cinquanta del Novecento la possibilità di ottenere vari composti organici in condizioni sperimentali fortemente riducenti utilizzando un'apparecchiatura simile a quella rappresentata nella fig. 4 per simulare la dinamica chimica della Terra primitiva. Un recipiente contenente acqua riscaldata simula il mare primordiale ed è collegato a un altro recipiente contenente acqua (H₂O), idrogeno (H₂), metano (CH₄) e ammoniaca (NH₃) nel quale vengono fatte passare scariche elettriche. L'atmosfera del secondo recipiente viene raffreddata e si condensa sotto forma di pioggia restituendo l'acqua e le sostanze disciolte al mare in miniatura. Dopo una settimana la soluzione presenta numerosi composti organici tra i quali alcuni aminoacidi. Molti laboratori hanno ripetuto l'esperimento di Miller-Urey utilizzando composizioni diverse per l'atmosfera: la sintesi prebiotica di sostanze organiche quali l'acido cianidrico, la formaldeide e gli aminoacidi ha una resa molto minore se la miscela non è riducente. Altri esperimenti hanno successivamente dimostrato che l'irradiazione ultravioletta forma alcoli, aldeidi e acidi in un'atmosfera contenente monossido di carbonio e, in soluzioni contenenti ferro, riduce l'anidride carbonica formando piccole quantità di acido formico e ossalico. Anche se questi esperimenti lasciano molti dubbi sullo stato di ossidazione dell'atmosfera primitiva, tutte le ricostruzioni in laboratorio fanno comunque pensare che gli elementi costitutivi della vita possano essersi accumulati come un normale stadio dell'evoluzione chimica del pianeta.

2) Sintesi abiotica di polimeri. Polimeri organici, quali, per es., le proteine oppure gli acidi nucleici, sono lunghe catene di unità elementari, aminoacidi e nucleotidi rispettivamente. I polimeri vengono sintetizzati mediante l'allontanamento di atomi di idrogeno e di gruppi ossidrilici (-OH) dai diversi monomeri da cui deriva sia la formazione di molecole di acqua sia la formazione di legami covalenti fra le diverse subunità. Nelle cellule viventi le reazioni di disidratazione sono catalizzate da enzimi. La sintesi abiotica di polimeri si doveva verificare non solo senza l'aiuto dei catalizzatori, ma anche in soluzioni molto diluite di monomeri. L'allontanamento dell'acqua dal sistema di reazione doveva quindi costituire un primo passo per favorire una condensazione spontanea. I risultati più spettacolari, nella sperimentazione di sintesi spontanea di polipeptidi in laboratorio, furono ottenuti da S.W. Fox e dai suoi colleghi: aminoacidi anidri, tenuti a temperature da 120 a 200 °C per sette giorni, determinavano la formazione di polimeri del peso di circa 20.000 g/mol. I polimeri, chiamati da Fox 'proteinoidi', sciolti in acqua, presentavano numerose caratteristiche delle proteine. È quindi possibile che nel mondo primitivo onde o pioggia abbiano spruzzato soluzioni diluite di monomeri organici su lava o rocce calde e poi riportato nell'acqua i proteinoidi così prodotti. Un'altra possibilità per la sintesi abiotica di polimeri, proposta originariamente da J.D. Bernal e poi da A.G. Cairns-Smith, è l'adsorbimento dei reagenti sull'argilla, che favorisce le reazioni di disidratazione. L'argilla, presente in grandi quantità sulla Terra primitiva, è costituita da strati distinti molto sottili di alluminosilicati a carica negativa, separati da strati di acqua. Poiché le cariche negative di tali strati attraggono sulla loro superficie le cariche positive di ioni come Na+, K+, Ca2+ e Mg2+, gli alluminosilicati possono assorbire e concentrare grandi quantità di molecole organiche, escludendo l'acqua e instaurando le condizioni che favoriscono le reazioni di condensazione. Inoltre ioni metallici quali Fe2+, Zn2+ e Ni2+, che si sostituiscono agli atomi di alluminio degli strati, possono fungere da catalizzatori per le reazioni di condensazione, accelerando l'aggregazione delle subunità organiche in complessi anche a temperature moderate. I siti carichi dell'argilla sono numerosi e formano pertanto una rete che porta i monomeri a una vicinanza tale che si possono formare legami covalenti. Molti laboratori hanno dimostrato che è possibile produrre polipeptidi mediante adsorbimento di aminoacidi su strati di argilla. N. Lahav e S. Chang ottennero la formazione di polipeptidi all'interno di una miscela di argilla e aminoacidi a diverse condizioni di idratazione, facendo oscillare la temperatura da 25 a 94 °C. Più difficile è stato invece produrre polimeri di RNA, anche se P.J. Ferris e i suoi collaboratori, nel 1996, sono riusciti a ottenere su superfici minerali la polimerizzazione di lunghi polimeri di RNA con corretti legami fosfodiesterici. Anche la pirite, un minerale che è costituito da solfuro di ferro, potrebbe aver catalizzato la sintesi abiotica di polimeri. La formazione della pirite dal ferro e dallo zolfo produce elettroni i quali potrebbero favorire il legame fra le molecole organiche.

3) Formazione di aggregati molecolari. La formazione di aggregati richiede che le molecole che si trovano in soluzione formino fra di loro legami sufficientemente stabili da resistere alla dispersione o al ritorno in soluzione. Nel corso dei vari studi sull'origine della vita sono stati proposti quattro meccanismi che possono aver portato ad aggregazioni discrete: la formazione di coacervati, la formazione di microsfere di proteinoidi, la formazione di vescicole circondate da doppi strati lipidici o l'adsorbimento su argilla. Ognuno di questi meccanismi è stato riprodotto in provetta con qualche successo in condizioni che simulavano l'ambiente primordiale. I coacervati sono costituiti da polipeptidi in soluzione, aggregati in goccioline stabili e discrete in conseguenza dell'attrazione di gruppi carichi che sono presenti sulla superficie delle catene polipeptidiche. Sulla loro superficie sono presenti gruppi polari che si legano a molecole di acqua che tendono a formare uno strato plurimolecolare spesso e ordinato. Essi possono assumere molecole dall'ambiente circostante e rimpicciolirsi oppure rigonfiarsi a seconda della concentrazione delle molecole all'interno e all'esterno delle gocce. È stato dimostrato che all'interno dei coacervati si possono concentrare e compartimentalizzare sistemi di reazione in forma attiva. Anche nelle microsfere di proteinoidi possono avvenire delle reazioni catalitiche fra sostanze assunte dalla soluzione circostante. Esse hanno un diametro di 1-2 μm e si formano da una miscela di proteinoidi scaldata in acqua e poi raffreddata. È stato dimostrato che in idonee condizioni sperimentali fosfolipidi e altre molecole lipidiche possono aggregarsi spontaneamente, costituendo delle vescicole formate da membrane continue a doppio strato che racchiudono uno spazio interno e presentano molte delle proprietà delle membrane dei sistemi viventi. Uno dei problemi connessi con l'assemblaggio spontaneo dei doppi strati lipidici, a partire dai fosfolipidi, è rappresentato tuttavia dal fatto che le catene lineari di acidi grassi (v.), necessarie alla sintesi dei fosfolipidi, vengono prodotte con grandi difficoltà nelle condizioni simulate della Terra primitiva. Fra tutti i meccanismi possibili per l'aggregazione di macromolecole in complessi reattivi, l'adsorbimento sull'argilla sembra il più probabile e diffuso. Il maggior problema connesso con la formazione di coacervati, microsfere o assemblaggio di doppi strati lipidici è rappresentato dal fatto che i polimeri che li formano devono essere in concentrazione molto elevata per potersi associare spontaneamente. Le argille, che occupavano vaste aree della Terra primitiva, a causa delle loro caratteristiche chimiche potrebbero avere costituito substrati ideali per concentrare spontaneamente molecole organiche fino ai livelli richiesti per la loro interazione.

4) Origine dell'informazione genetica. Immaginiamo ora nella Terra primigenia un acquitrino, prodotto dalla marea o dall'argilla umida, contenente una sospensione di aggregati molecolari con composizione chimica e capacità catalitiche diverse. Tra questi aggregati, quelli dotati di maggiore stabilità e capacità di accumulare sostanze organiche dall'ambiente avrebbero avuto la possibilità di accrescersi e dividersi distribuendo i loro costituenti chimici in goccioline figlie. Anche se alcuni ambienti potevano favorire certi aggregati rispetto ad altri, la competizione non poteva portare a significativi miglioramenti dato che non esisteva nessun modo per perpetuare il miglioramento. Anzi, man mano che le goccioline più prolifiche crescevano e si dividevano, le loro molecole funzionali ed eventuali catalizzatori si diluivano progressivamente. Gli aggregati chimici, precursori delle cellule, non avrebbero mai potuto progredire ed evolversi senza un processo che assicurasse la replicazione delle loro caratteristiche, cioè senza un qualche meccanismo che passasse alla progenie non solo molecole funzionali importanti, ma anche istruzioni per produrne quantità maggiori. La cellula attuale contiene la sua informazione genetica sotto forma di DNA, trascrive l'informazione in molecole di RNA e quindi traduce questi messaggi sotto forma di enzimi specifici e altre proteine (v. genetica). Per molto tempo si è ritenuto che solo gli acidi nucleici fossero in grado di immagazzinare e replicare le informazioni genetiche e che unicamente le proteine potessero funzionare da catalizzatori. Questo rendeva difficile immaginare come potesse essere trasmessa l'informazione genetica: per la replicazione del DNA sono necessarie le proteine (enzimi) ma, nello stesso tempo, è proprio il DNA a fornire l'informazione per la loro sintesi. Alla fine degli anni Sessanta del 20° secolo L. Vogel, F. Crick e C. Woese, considerato il triplice ruolo dell'RNA nella sintesi proteica, ipotizzarono, indipendentemente l'uno dagli altri, che l'RNA e non il DNA dovesse essere il primo polimero formatosi all'origine della vita. A conferma di ciò, nel 1970 H.M. Temin dimostrò che dalle molecole di RNA è possibile ottenere molecole di DNA, utilizzando la trascrittasi inversa e dimostrando che il flusso dell'informazione DNA-RNA-proteina (il cosiddetto dogma centrale della biologia molecolare) poteva essere invertito, almeno nella prima parte. Ricerche successive dimostrarono che la trascrittasi inversa è molto diffusa in natura ed è presente anche in un batterio molto antico, Myxococcus xanthus. Il ruolo primario dell'RNA nell'evoluzione precellulare è stato ulteriormente confermato dalle numerose scoperte derivate dall'uso di nuove tecnologie molecolari. È noto infatti che l'RNA serve da innesco nella sintesi di DNA, che è parte necessaria della telomerasi, l'enzima che permette la sintesi del DNA della parte terminale dei cromosomi ed è presente nell'apparato secretorio delle proteine. Tuttavia la scoperta veramente significativa e sorprendente è stata quella dell'attività catalitica dell'RNA che include un'attività autonoma di taglio, polimerizzazione e risaldatura di molecole. T.R. Cech (1986) ha dimostrato per primo che una molecola di RNA nel protozoo Tetrahymena termophila presenta tutte le proprietà di un catalizzatore proteico. È credibile pertanto che la prima molecola della vita possa essere stata una RNA replicasi in grado di catalizzare la sua replicazione senza l'aiuto di proteine, come pure è credibile che lunghi polimeri di RNA si siano formati in assenza di proteine e abbiano potuto avere una funzione di stampo. Per descrivere la situazione ai primordi della vita sulla Terra si può quindi parlare, come ha fatto W. Gilbert nel 1987, di 'un mondo a RNA'. Dopo quello scoperto da Cech sono stati scoperti molti altri RNA catalitici e, per differenziarli dagli enzimi proteici, sono stati chiamati ribozimi. L'RNA ha un'importante caratteristica che lo rende più duttile rispetto al DNA. Mentre il DNA, a doppio filamento, può assumere solo una struttura lineare a elica, le molecole di RNA, a filamento singolo, possono assumere una varietà di forme tridimensionali specifiche. Ogni configurazione è stabilizzata dai legami idrogeno che si formano fra regioni che presentano sequenze complementari di basi. La molecola di RNA presenta quindi un genotipo, dato dalla sequenza dei suoi nucleotidi, e un fenotipo, determinato dalla sua conformazione, che può cambiare assumendo forme molteplici a seconda dell'ambiente molecolare circostante. È pertanto possibile che tra una varietà di molecole diverse, in competizione per acquisire monomeri utili per la replicazione, prevarranno quelle più stabili cioè quelle con la sequenza più idonea alla temperatura, alla concentrazione salina e alle altre condizioni della soluzione in cui si trovano, nonché quelle fornite di maggiori attività autocatalitica. I discendenti di queste molecole, che non sono tutte uguali a causa dei possibili errori di copiatura, formeranno una famiglia di sequenze strettamente correlate, le quali a loro volta verranno selezionate. Dal momento che recentemente è stato possibile riprodurre in provetta processi di selezione in popolazioni di RNA diversi, non è impensabile che tutto ciò possa essere avvenuto in tempi prebiotici. Alcuni biologi mettono tuttavia in discussione l'idea del 'mondo a RNA' sia per la difficoltà di sintetizzare molecole di RNA in vitro, in assenza di enzimi, sia perché anche piccole molecole di RNA sono troppo complicate per poter essere considerate le molecole più primitive dotate di capacità di autoduplicazione. Nel 1991 J. Rebek jr. e i suoi collaboratori al Massachusetts institute of technology (MIT) sintetizzarono una molecola organica semplice (un estere triacido della adenosina) in grado di agire da stampo per la produzione di copie di sé stessa. Questa scoperta suggerì l'ipotesi alternativa che i geni formati da acidi nucleici siano stati preceduti da sistemi ereditari più semplici, evoluti successivamente in RNA. Se questo è vero, si deve ipotizzare che la transizione delle prime molecole verso l'RNA doveva essere continua in quanto non ci sono tracce di esse nei sistemi viventi contemporanei. Rimane sempre l'obiezione che le precipue caratteristiche dell'RNA, quali l'idrossile legato al carbonio in 2′ e i tetraloops (le anse di 4 nucleotidi che determinano una struttura stabile e ben impilata), sono indispensabili per svolgere la duplice funzione di catalisi e di replicazione tipica dell'RNA. Per i biologi molecolari pertanto 'un mondo a quasi RNA', ammesso che sia esistito, doveva costituire un ramo morto dell'evoluzione. In alcuni laboratori, come s'è detto, sono stati già prodotti in vitro abioticamente brevi polimeri di ribonucleotidi. Se una soluzione di monomeri viene aggiunta a RNA, esso funge da stampo per sequenze di 5-10 nucleotidi secondo le regole dell'appaiamento delle basi. Aggiungendo zinco come catalizzatore vengono copiate anche sequenze di 40 nucleotidi con un tasso di errore che risulta inferiore all'1% e con il corretto legame fosfoesterico. Esistono pertanto buone probabilità di dimostrare in maniera più diretta la validità dell'ipotesi di un mondo primigenio a RNA. È comunque ancora poco chiaro quante funzioni catalitiche possano essere state assolte dall'RNA, ossia quanto complesso sia l'insieme di reazioni organiche che possono essere state controllate senza l'intervento di proteine. Il problema della traduzione dell'RNA in proteine costituisce ancora la grande incognita della biologia precellulare. Non si è ancora compreso come sia potuta insorgere una relazione ordinata tra RNA (o tra i suoi precursori) e le proteine; furono infatti queste interazioni che portarono alla nascita del codice genetico (v.) e ai principi della sua traduzione. L'universalità del codice genetico, uniforme in tutti gli organismi, dai virus ai batteri, all'uomo, è uno dei più forti argomenti a favore dell'unicità dell'origine di tutti gli esseri viventi. Una volta scelto un determinato codice, esso si è mantenuto in quanto qualsiasi cambiamento poteva essere fonte di gravi perturbazioni, ed è molto probabile che un codice a tre lettere fosse già presente al momento in cui si formarono le prime cellule. Non vi sono prove che l'RNA potesse sintetizzare un breve polipeptide; sappiamo tuttavia che fra specifici aminoacidi e basi azotate dell'RNA si possono formare deboli legami. Pertanto l'RNA può aver funzionato da stampo per avvicinare pochi aminoacidi per un tempo sufficiente perché questi si legassero con l'intervento dello zinco o di qualche altro catalizzatore. Il piccolo peptide, a sua volta, avrebbe poi collaborato alla replicazione dell'RNA con la sua attività catalitica. In ogni caso, solamente quando i geni primitivi e i loro prodotti furono confinati in compartimenti delimitati da membrane la protocellula poté sviluppare un metabolismo per costruire composti biologicamente utili a partire da quelli reperibili. L'origine della compartimentazione e del metabolismo è un altro problema insoluto e forse più difficile da affrontare di quello dell'origine dei genomi e della loro replicazione, in quanto non si hanno a disposizione fossili molecolari, quali l'RNA, da studiare. Un possibile fossile molecolare coinvolto nel metabolismo è costituito dall'adenosina, in quanto questo nucleoside è presente in molti cofattori, quali il nicotinamide adenina dinucleotide (NAD), il flavina adenina dinucleotide (FAD), il coenzima A (CoA). Probabilmente i primi enzimi a usare i cofattori sono stati i ribozimi. Una volta che i cofattori sono entrati a far parte del metabolismo cellulare, essi sono stati utilizzati dagli enzimi proteici i quali sostituivano gradatamente, in quanto più efficienti, i ribozimi originari.

L'origine delle cellule

Le discussioni sulla chimica precellulare rischiano di rimanere un fatto squisitamente speculativo; negli ultimi dieci anni invece si sono accumulate molte informazioni sull'origine delle prime cellule. Lo studio dei reperti fossili non fornisce sempre risposte univoche, mentre quello a livello molecolare ha dato risultati molto promettenti. Il confronto delle sequenze degli acidi nucleici di numerosi organismi attuali è servito a scoprire le relazioni che possono essere esistite all'inizio della vita e a costruire un convincente albero evolutivo. La conoscenza delle sequenze complete di RNA ribosomiale di diverse centinaia di organismi ha condotto all'importante e sorprendente conclusione che esistono tre linee cellulari altrettanto antiche, ciascuna delle quali è ben distinta e ugualmente diversa dalle altre due: gli archeobatteri, gli eubatteri e gli eucarioti. Gli eubatteri comprendono tutti i batteri (utili, patogeni, terrestri, marini ecc.). Gli archeobatteri sono stati così chiamati perché, provenendo da habitat con condizioni di vita estreme, si pensava potessero essere le cellule da cui sarebbero derivate tutte le altre. Essi infatti vivono negli ambienti molto salini o nelle sorgenti calde e nei camini vulcanici delle fratture di fondali marini in condizioni di alta temperatura e pressione (batteri che metabolizzano lo zolfo o che producono metano). Sulla base del confronto degli RNA ribosomiali, Woese (v. sopra) propose che le tre linee cellulari attuali dovevano aver avuto un progenitore comune che chiamò progenote. Il confronto delle sequenze dei nucleotidi dell'RNA ribosomiale dimostra infatti l'esistenza di tre distinti gruppi di organismi, mentre le strutture tridimensionali delle molecole, costituite da steli e anse simili, indicano un'origine comune. Il progenote può essere inteso non tanto come un organismo ancestrale ma come una linea di divisione prima dell'esistenza delle cellule da noi conosciute. Si può pertanto ipotizzare che ciascuna delle tre linee cellulari attuali sia emersa da un insieme di precursori non cellulari oppure che un comune antenato, ora estinto e scarsamente specializzato, abbia dato origine a tutte e tre le linee. In ogni caso le numerose prove concordano nello smentire l'ipotesi, precedentemente accreditata, che una di queste linee cellulari abbia preceduto le altre. L'analisi degli RNA ribosomiali ha anche confermato la vecchia ipotesi endosimbiotica che spiega la comparsa di cellule simili agli eucarioti attuali. Secondo quest'ipotesi, i mitocondri e i cloroplasti, particelle citoplasmatiche nelle quali sono presenti DNA e ribosomi, erano originariamente cellule simili ai procarioti che sono state incorporate per fagocitosi nel citoplasma di cellule ameboidi per formare gli eucarioti attuali. Dato che le sequenze di RNA ribosomiale sono quelle più conservate nel corso dell'evoluzione, esse sono servite per fissare alcune omologie. Si è stabilito che i genomi dei mitocondri rappresentano i residui di un batterio purpureo fotosintetico e quelli dei cloroplasti sono residui di un organismo simile ai cianobatteri. Ambedue gli organelli hanno conservato la capacità di produrre RNA messaggero (mRNA) e di tradurlo in proteine, anche se le proteine codificate sono relativamente poche. Quasi tutte le proteine degli organelli attuali vengono infatti importate dal citoplasma. Il primitivo endosimbionte deve quindi aver perso gran parte del suo genoma, anche se vi sono prove certe che alcuni dei geni persi dall'endosimbionte siano stati acquisiti dal nucleo delle cellule eucariote. I prodotti proteici di questi geni, un tempo batterici, sono utilizzati proprio negli organelli. L'endosimbiosi dei batteri primitivi con i precursori degli eucarioti produsse un eucariote più competitivo che si affidava per il suo sostentamento alle sostanze contenute nell'ambiente circostante, era cioè eterotrofo. Anche se rimangono molti punti interrogativi, si può comunque affermare che gli studi di genetica molecolare che hanno permesso di comprendere i rapporti intercorrenti tra la struttura dei geni e la loro evoluzione hanno fornito modelli dell'evoluzione delle prime cellule molto sofisticati e presumibilmente più corretti di quelli disponibili in precedenza.

Ipotesi alternative sull'origine della vita: l'ambiente planetario

Alcuni ricercatori non concordano sulla necessità che la sintesi abiotica di monomeri organici sia avvenuta sulla Terra. Già il chimico svedese S.A. Arrhenius, nel 1900, aveva postulato che qualche elemento organico avesse raggiunto la Terra proveniente dallo spazio extraterrestre. Questa teoria, nota come 'panspermia', ipotizza che le centinaia di meteoriti e comete che collisero con la Terra proprio nel periodo al quale vengono datati i primi fossili terrestri portassero con sé molecole organiche prodotte da reazioni abiotiche realizzatesi nello spazio. È possibile che il bombardamento di meteoriti abbia reso la Terra inospitale, ma anche che abbia diffuso elementi come il carbonio e composti volatili come l'acqua. Studi di planetologia comparata hanno permesso di avanzare ipotesi sugli eventi accaduti sulla Terra in periodi remoti anche in assenza di testimonianze dirette. Per es., mentre la Terra non ha conservato tracce degli eventi avvenuti nel primo miliardo di anni di vita del sistema solare, la Luna, essendo geologicamente morta e molto più antica della Terra, ha mantenuto le caratteristiche di quel periodo. È stato, per es., possibile stabilire in quali epoche si sono formati i diversi crateri lunari, determinati dall'impatto con comete e asteroidi, datando i campioni lunari mediante misurazione di radioattività. Il modello accettato della formazione del sistema solare si basa sul principio che i pianeti si accrescono per addizione esterna di planetesimali della dimensione di 1-10 km. Nel sistema solare esterno, dove le temperature sono basse, i planetesimali sono ricchi di ghiaccio, e quelli che hanno evitato la collisione con i pianeti e con il Sole sono osservabili sotto forma di comete. Nel sistema solare interno essi sono soprattutto rocciosi e metallici, e sono rappresentati dagli asteroidi. Negli stadi finali della formazione planetaria questi oggetti si sono dispersi in gran numero nel sistema solare; Luna, Marte e Mercurio ne conservano le tracce. È stato possibile paragonare la storia della formazione dei crateri lunari a quella della Terra nel primo miliardo di anni e si è stabilito che, alle velocità tipiche degli asteroidi, la Terra deve aver subito un numero di impatti 20 volte superiore a quello della Luna. È stato calcolato che in alcune zone della Luna i crateri, risalenti a 5 miliardi di anni fa con diametro maggiore di 4 km, sono 100.000/1 milione di km2. Per fare un esempio documentato della grandissima influenza che devono aver avuto questi impatti sulla Terra, è bene ricordare che la collisione con un oggetto delle dimensioni di 10 km, avvenuta 65 milioni di anni fa (fra il periodo Cretaceo e il Terziario) determinando la formazione del cratere di Chiculub nella penisola dello Yucatan in Messico, ha avuto una tale influenza sulla storia della vita sulla Terra che le estinzioni di massa (dinosauri, ammoniti) avvenute nel passaggio fra il Cretaceo e il Terziario, cui seguì la comparsa dei Mammiferi, potrebbero essere state causate da questo impatto. La Terra ha subito decine di migliaia di collisioni paragonabili a questa durante il primo miliardo di anni e ciascuno di tali impatti dovrebbe aver rilasciato energia cinetica 108 volte superiore all'energia di una testata nucleare. Inoltre, 4 miliardi di anni fa la Terra era soggetta ogni 5000 anni circa al bombardamento di corpi di 1,5 km di diametro e ciascuno di essi avrebbe sollevato una cappa di polvere abbastanza densa da abbassare la temperatura di circa 10 °C per parecchi mesi. Dato che 3,5 miliardi di anni fa erano presumibilmente presenti microrganismi, la vita ha avuto origine in mezzo a questo bombardamento. La Luna presenta anche crateri, detti bacini, i quali misurano 1000 km di diametro. Se la Terra ha subito impatti in grado di procurare crateri di tali dimensioni, essi avrebbero potuto sterilizzarla da ogni forma di vita perché la collisione avrebbe creato un'atmosfera di rocce allo stato di vapore che, irradiando sulla superficie terrestre, avrebbe fatto evaporare completamente gli oceani. Per un periodo di alcune migliaia di anni la Terra avrebbe avuto temperature intorno ai 1000 K e sarebbe stata sterile fino alla profondità di alcune centinaia di metri. Successivamente la Terra si sarebbe raffreddata abbastanza da far piovere di nuovo l'oceano sulla superficie. Si deve pertanto supporre che, per poter sopravvivere, le prime forme di vita siano state capaci di migrare o si siano addirittura formate in nicchie protette a grandi profondità. Gli studi di filogenesi molecolare di Woese (1983) hanno infatti dimostrato che il progenitore comune delle varie forme di vita doveva essere un termofilo in grado di crescere a una temperatura di circa 100 °C. Qualche prova indiretta della possibile formazione della vita in ambienti extraterrestri è fornita dalle analisi di frammenti di meteoriti. Quello caduto nel 1969 vicino a Murchison in Australia ha mostrato che i meteoriti possono contenere carbonio, alcoli, molecole simili ai lipidi e soprattutto agli aminoacidi levogiri presenti negli organismi viventi. È stato inoltre dimostrato che le molecole estratte dal meteorite, se mescolate con l'acqua formano vescicole simili a protobionti sintetici, microsfere prodotte in laboratorio raffreddando soluzioni di polipeptidi creati abioticamente a partire da aminoacidi polimerizzati su superfici calde. Le microsfere crescono assorbendo polipeptidi liberi fino a quando raggiunte le dimensioni che li rendono instabili si dividono formando microsfere figlie. Nello stesso meteorite di Murchison, H.D. Pflug ha scoperto e fotografato delle strutture che presentavano analogie con un batterio terrestre (Pedomicrobium). Studi recenti basati sui dati raccolti dalla sonda spaziale europea Giotto, hanno rivelato che nel nucleo della cometa Halley sono presenti particelle silicato simili, carbonio, ossigeno e azoto. Presumibilmente le molecole organiche prebiotiche furono prodotte dalla Terra attraverso le varie fonti di energia disponibili o furono disperse da asteroidi e comete sulla Terra. I due processi non si escludono a vicenda: in entrambi i casi la sintesi prebiotica è connessa con lo stato di ossidazione dell'ambiente. È stato calcolato che in un'atmosfera riducente le forme endogene sarebbero state mediamente preponderanti sulle esogene, mentre, in un'atmosfera intermedia, le molecole organiche derivate dai grossi impatti e quelle derivate da particelle di polvere interplanetaria sono comparabili a quelle originate dalla fotolisi per effetto di radiazioni ultraviolette. Le speculazioni sui possibili habitat di organismi viventi in ambienti extraterrestri partono dal presupposto che la vita da ricercare sia quella che noi conosciamo e che quindi la condizione essenziale perché possano esistere esseri viventi in altri pianeti sia la presenza di acqua allo stato liquido, oltre che di fonti di energia e di un certo numero di agenti biogeni. Le osservazioni dei pianeti e dei loro satelliti naturali negli ultimi trent'anni del 20° secolo hanno portato alla conclusione che sono pochi i luoghi dove è concepibile pensare alla presenza di vita. Il più interessante di questi è Europa, il satellite di ghiaccio di Giove. Le due sonde Voyager (1979) e soprattutto la sonda Galileo, in orbita intorno a Giove dal 1995, hanno rivelato che il nucleo centrale di Europa, prevalentemente roccioso, è ricoperto da uno strato di acqua allo stato liquido o solido dello spessore di 100 km. Si presume che l'acqua sia allo stato fluido o semifluido poiché sulla superficie di Europa le sonde spaziali hanno evidenziato rilievi circolari presumibilmente determinati da bolle ascendenti di ghiaccio più fluido. Sulla superficie di ghiaccio, per gli effetti gravitazionali di Giove, vi sono fratture con tracce rossastre sulla linea dei crepacci che fanno pensare a materiale (carbonaceo?) fuoriuscito. Studi sui microrganismi viventi nei laghi sotto i ghiacci dell'Antardide hanno permesso di ipotizzare che condizioni simili su Europa abbiano permesso l'adattamento di organismi viventi. L'altro pianeta sul quale si pensa possa aver avuto origine la vita è Marte. La missione Viking degli anni Settanta del 20° secolo non ha fornito tracce di sostanze organiche nei due siti di atterraggio della sonda. Sono presenti ossidanti presumibilmente dovuti al naturale processo fotochimico dell'atmosfera, e attualmente su Marte non può esserci acqua allo stato liquido a causa di temperatura e pressione basse, anche se le sonde Mariner, Viking e Pathfinder hanno inviato immagini dalle quali si può presumere che, in tempi remoti, su Marte scorresse acqua che andava a raccogliersi in laghi. Sembra che Marte, 4 miliardi di anni fa, presentasse condizioni favorevoli all'origine della vita: il pianeta era umido, aveva un clima temperato e solo successivamente si è trasformato in un deserto ghiacciato. Le ricerche su eventuali microfossili marziani sono state effettuate su circa dodici meteoriti arrivati da quel pianeta sulla Terra: in due di essi, entrambi rinvenuti nell'Antartide, sono presenti materiali organici. Anche se non è certo che tutto il carbonio rintracciato sia di origine meteoritica, sono state trovate strutture somiglianti a batteri fossili, di cui però è difficile dimostrare l'origine. I meteoriti hanno inoltre fornito la prova dell'esistenza di acqua su Marte data la presenza di minerali precipitati da soluzioni acquose. B.J. Gladman e i suoi collaboratori hanno dimostrato che la Terra potrebbe aver ricevuto materiali da corpi del sistema solare interno, e hanno determinato che il periodo di tempo necessario per percorrere una traiettoria Marte-Terra, sulle 2100 traiettorie considerate, è di solo 16.000 anni e che erano possibili traiettorie lineari che richiedevano solo 6 mesi. Dato che è stata dimostrata la possibilità di sopravvivenza di spore nello spazio fino a 10 anni, sembra possibile che Marte e la Terra si siano scambiati microrganismi viventi inclusi in meteoriti che avrebbero avuto il vantaggio di essere schermati dalle radiazioni. Si è sostenuto su questa base che i grossi impatti non abbiano in realtà sterilizzato la Terra, dal momento che materiale contenente microrganismi vivi avrebbe potuto essere lanciato nello spazio dagli impatti in orbite eliocentriche simili a quelle terrestri e, dopo aver trascorso anni nello spazio, avrebbe potuto ricadere sulla Terra una volta che le condizioni fossero divenute nuovamente adatte alla vita. Anche le comete potrebbero essere candidate per habitat extraterrestri, a patto che la vita abbia potuto avere origine in assenza di radiazione solare: esse contengono infatti grandi quantità di molecole organiche e ghiaccio (la cometa di Halley è costituita da 25% di massa organica e 40% di ghiaccio). Anche se non vi sono prove, è stato calcolato che, teoricamente, comete giganti potrebbero avere un nucleo centrale di acqua allo stato liquido.

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