Visconti

Enciclopedia Dantesca (1970)

Visconti

Giorgio Baruffini

Famiglia di Milano. La prima sua menzione nell'opera dantesca ricorre in Cv IV XX 5, ove la famiglia viene ricordata, insieme con gli Uberti, come esempio di grande schiatta, il che tuttavia non è sinonimo di nobiltà, ché 'l divino seme non cade in ischiatta, cioè in istirpe, ma cade ne le singulari persone.

L'origine della famiglia è verisimilmente legata alla carica di vicecomes istituita dall'arcivescovo Landolfo (fine sec. X) nel suo riordinamento della Chiesa milanese, e a tale carica risale probabilmente anche l'adozione del simbolo araldico della famiglia, la vipera che Melanesi accampa (Pg VIII 80), legato forse all'esplicazione di funzioni giudiziarie. La prima traccia storica è del 1067, quando si fa menzione di un " Anselmus vicecomes "; nel sec. XII i V. figurano tra i consoli, nel XIII abbondano nella gerarchia ecclesiastica milanese: è tuttavia assai difficile ricostruirne con precisione la genealogia, dal momento che assai spesso sfuggono tutti i legami di parentela e i passaggi di proprietà. La loro fortuna politica è in certo modo connessa con il mutamento papale nei confronti di Carlo I d'Angiò: creato arcivescovo nel 1262, Ottone V. era stato impedito a prendere possesso della sua sede da Martino della Torre signore della città, e poi dai successori Filippo e Napo, forti dell'appoggio angioino e in parte anche papale; tale situazione si protrasse fino all'inizio del 1277, quando, sconfitti i Torriani nella battaglia di Desio, l'arcivescovo poté finalmente entrare in Milano: non pare un caso che, nel breve giro di un anno, si assista al successo visconteo e all'elezione di Niccolò III. Non facili i primi tempi della signoria di Ottone, che anzi, per premunirsi da un ritorno dei Torriani, dovette appoggiarsi a Guglielmo di Monferrato, per un quinquennio (1278-1282) signore della città. Solo nel 1287, quando la sua posizione parve farsi più sicura, Ottone riuscì a far riconoscere il nipote Matteo V. capitano generale del popolo e quindi effettivo signore. È con costui che i V. iniziano una politica di vasto respiro, riuscendo a estendere il controllo milanese su numerose città lombarde, ma al tempo stesso allarmando quanti si sentivano minacciati da questa politica: nonostante il tentativo di accordo con gli avversari esterni, che il matrimonio del primogenito Galeazzo con Beatrice d'Este, già sposa di Nino Visconti di Pisa, doveva favorire, Matteo, battuto militarmente, dovette esulare con la famiglia: è l'esilio cui allude Nino (poscia che trasmutò le bianche bende, / le quai convien che, misera!, ancor brami, Pg VIII 74-75), dichiarando contemporaneamente la superiorità del proprio casato sull'omonimo milanese (vv. 80-81). Dopo una breve restaurazione della signoria torriana, la calata di Enrico VII favorì il ritorno di Matteo V., il quale, giocando abilmente sul malcontento popolare per le spese che la presenza dell'imperatore richiedeva, fece sì che cadessero sui rivali le responsabilità di una sommossa che forse anch'egli aveva contribuito a preparare (febbraio 1311), e poco dopo ottenne il vicariato imperiale.

L'aver potuto osservare da vicino le manovre del V. potrebbe aver suggerito a D. il suo giudizio sulla superiorità del gallo di Gallura su la vipera che Melanise accampa, giudizio che, data la provata fede imperiale dei V., non si spiegherebbe e parrebbe per di più contrastare con l'affermazione del Convivio. Si tratta però di congettura che richiederebbe, per essere avvalorata, la certezza di una presenza del poeta in Milano proprio in quei giorni; e, d'altra parte, appare convincente l'interpretazione del Donadoni che il paragone non sottintenda tanto una valutazione politica, quanto un riferimento al contenuto simbolico dei due stemmi.

Dopo la morte dell'imperatore, Matteo V., con Cangrande della Scala e Passerino Bonacolsi, fu il principale assertore della politica ghibellina, e venne per questo scomunicato, insieme con gli alleati, da Giovanni XXII (1318): è possibile che a queste scomuniche si alluda in Pd XVIII 127-129. Alla scomunica seguirono l'accusa di eresia - tra l'altro per supposti rapporti con fra' Dolcino - e una crociata antiviscontea; la guerra che ne seguì, condotta dai V. con molta energia anche dopo la morte di Matteo (1322), si concluse con il loro successo.

Proprio durante questa lotta si verificò un curioso episodio in cui il nome D. compare direttamente: v. VISCONTI, Galeazzo; e cfr. in Appendice la trattazione sulla vita e le opere di Dante.

Bibl. - Coincidendo praticamente la storia dei V. con quella di Milano, per la bibl. generale si veda alla voce Milano. Principali fonti documentarie sui V. sono nell'Archivio di Stato di Milano: Archivio Ducale, Registri Ducali, Registri del Governatore degli Statuti, detto de' Panigaroli. Notizie e regesti di documenti che appartennero all'Archivio Visconteo in Repertorio Diplomatico Visconteo, I, Milano 1911.

Una monografia completa e aggiornata sui V. è F. Cognasso, I V., Milano 1966, 1-140; su fatti e momenti particolari concernenti il periodo trattato: G. Biscaro, I maggiori dei V., signori di Milano, in " Arch. Stor. Lombardo " s. 4, XXXVIII (1911) 5-76; ID., D.A. e i sortilegi di Matteo e Galeazzo V. contro la vita di Giovanni XXII, ibid. XLVII (1920) 446-481; A. Visconti, L'arcivescovo Ottone e le origini della signoria viscontea, Milano 1927. Per l'interpretazione del c. VIII del Purgatorio, cfr. E. Donadoni, Il canto VIII del Purgatorio, Firenze 1919.

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