VISCONTI, Valentina, duchessa d'Orleans

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 99 (2020)

VISCONTI, Valentina,

Luca Zenobi

duchessa d’Orléans. – Nata probabilmente a Milano nel 1371, era la terza dei quattro figli di Gian Galeazzo Visconti e di Isabella di Valois, a sua volta figlia di Giovanni II di Francia. Rimasta orfana di madre in tenera età, la sua infanzia fu poi segnata dalla morte dei tre fratelli: Carlo (1374), Gian Galeazzo (1376) e Azzone (1381).

Crebbe alla corte di Pavia. Influirono sulla sua formazione la zia Violante, sorella di Gian Galeazzo, e la nonna Bianca di Savoia, madre dello stesso. Oltre alla familiarità con le corti francofone, entrambe vantavano un’elevata cultura artistica e letteraria, interessi che presto trasmisero alla giovane Valentina. Imparò così a suonare molteplici strumenti musicali, nonché a conversare in lingua francese e tedesca.

Venne inizialmente promessa in sposa al cugino Carlo, quarto figlio di Bernabò Visconti. Il negoziato fu senza dubbio concreto, come suggerisce la concessione di una dispensa da parte del papa, ma la promessa fu presto infranta da Bernabò di fronte alla possibilità di accasare il figlio con una gentildonna francese, Beatrice d’Armagnac. Nel frattempo, Valentina rimase l’unica figlia vivente di Gian Galeazzo e Isabella, condizione che le permise di ambire a ben altri pretendenti.

Nell’estate del 1382, complice la presenza di ambasciatori imperiali in Lombardia, Gian Galeazzo si orientò inizialmente verso il mondo centro-europeo, nella persona di Giovanni di Görliz, fratellastro dell’imperatore Venceslao. Negli stessi mesi, però, si manifestò una prospettiva ancora più allettante: quella di sposare Valentina al fratello minore del re di Francia, Carlo VI, cioè Luigi di Valois, anch’egli di passaggio in Lombardia a causa della spedizione italiana dello zio, Luigi d’Angiò.

I negoziati si protrassero con lentezza negli anni successivi, per poi riprendere con rinnovato interesse nell’autunno del 1386, a seguito del colpo di mano che aveva portato alla morte di Bernabò, rendendo Gian Galeazzo l’unico arbitro delle vicende lombarde.

Da parte francese, il matrimonio costituiva un’occasione per legare un ramo cadetto della famiglia reale al futuro di un dominio in espansione come quello dei Visconti, garantendo così la continuità di una politica d’intervento di lungo periodo nella penisola. Una clausola degli accordi allora stretti stabiliva infatti che in assenza di successori maschi i possedimenti viscontei dovessero passare a Valentina e ai suoi eredi, aprendo così la strada a un principato francese in Italia. Gian Galeazzo, da parte sua, si assicurava molteplici vantaggi: una protezione perlomeno nominale dalle minacce provenienti dal mondo tedesco, da tempo legato alla figura dello spodestato Bernabò; una duratura pacificazione dell’area piemontese, date le relazioni del conte di Savoia con il regno d’Oltralpe; un rinnovo dell’asse francese, che era stato virtualmente interrotto dalla morte della moglie Isabella e infine un prestigio spendibile a livello europeo, tale da consolidare la sua posizione quale signore indiscusso di gran parte del Nord d’Italia.

Giunta la provvidenziale dispensa da Avignone (Luigi e Valentina erano cugini di primo grado per via di Isabella di Valois), il contratto fu concluso ufficialmente il 27 gennaio 1387 a Parigi e il matrimonio celebrato per procura tre mesi più tardi, l’8 aprile 1387, a Pavia. Che i benefici fossero ben più concreti per Gian Galeazzo appare evidente anche dalle clausole del contratto. Oltre alla città di Asti e alla contea di Vertus, già appartenuta alla madre Isabella, Valentina portava in dote la somma colossale di 450.000 fiorini, nonché un corredo del valore di 75.000 fiorini.

La quota in contanti venne soddisfatta con parte delle entrate dello Stato e soprattutto con un sussidio dall’ammontare di circa 300.000 fiorini, riscosso nel giro di almeno due anni fra tutte le comunità e le chiese del dominio. Il corredo di gioielli, argenteria e vestiario, invece, fu sottratto con tutta probabilità dal tesoro visconteo. Insieme a famosi tarocchi e a manoscritti, l’inventario di questi beni annota oltre duecento oggetti diversi, tra cui spiccano specchi istoriati con immagini religiose, molti calici d’argento per una cappella privata, abiti di diverse fogge e colori, nonché centinaia di perle e pietre preziose. Le difficoltà insite a mettere assieme una tale somma e corredo spiegano il ritardo con cui Valentina si apprestò a raggiungere il marito. Il 2 dicembre 1388 Carlo VI concedette una parziale dilazione del pagamento, convincendo infine Gian Galeazzo ad avviare i preparativi per il viaggio della figlia.

Trasferitasi anzitutto da Pavia a Milano, la partenza di Valentina fu celebrata da dodici giorni di feste in suo onore, in occasione delle quali fu omaggiata da oratori provenienti da quasi tutta la penisola. Finalmente, il 24 giugno 1389, la sposa intraprese il viaggio per Parigi. Era scortata da trecento cavalieri guidati da Amedeo VII di Savoia, il quale l’avrebbe poi accompagnata fino alla fine dei possedimenti sabaudi. Il corteo passò per Alessandria, Asti, Chieri, Torino, Rivoli e Susa. Attraversato il Moncenisio e visitata Chambéry, Valentina venne affidata ai delegati del re di Francia presso il ponte di Mâcon. Il 17 agosto 1389, dopo una breve tappa a Digione per incontrare il duca di Borgogna, Valentina raggiunse il marito a Melun, dove i due rinnovarono di persona le promesse nuziali, alla presenza del re.

La domenica successiva, il 22 agosto 1389, la coppia fece il suo ingresso solenne a Parigi, passando da porta Saint-Denis, per poi raggiungere Notre-Dame, dove Valentina fu ricevuta dai membri più importanti dell’aristocrazia francese, incluse le duchesse di Berry e Borgogna e la stessa regina di Francia, Isabella di Baviera. Dopo due settimane di danze e spettacoli, Valentina si trasferì provvisoriamente all’Hôtel Saint-Pol, dove già viveva la regina, mentre lo sposo Luigi partì con il re per una visita e ulteriori festeggamenti nel Sud della Francia.

Al ritorno di Luigi, la coppia si stabilì nei molti castelli di campagna legati alle contee di Valois, Angoulême e Dreux, nonché al ducato di Turenna. Il 4 giugno 1392, Luigi scambiò quest’ultimo ducato per quello di Orléans, titolo con cui Valentina sarebbe poi stata ricordata. Tra le molte residenze, gli sposi privilegiarono Asnières, Châteauneuf, Coucy, Villers-Cotterêts, Gouvieux, Chateaux-Thierry e soprattutto il castello di Blois, che era senza dubbio la dimora preferita da Valentina.

Data la propensione di entrambi gli sposi per dipinti e oggetti preziosi, le residenze di Valentina erano ben note in Francia come luoghi di grande lusso e gusto artistico. Oltre a generose donazioni a chiese e a monasteri, Valentina era specialmente impegnata nel sostegno di musicisti e letterati. Tra gli altri, patrocinò gli studi di Eustache Deschamps, che poi le dedicò un poema, ed ebbe diversi contatti con un’altra italiana cresciuta alla corte francese, la scrittrice e intellettuale di origini veneziane Cristina da Pizzano (poi nota come Christine de Pizan). Valentina stessa collezionò manoscritti di vari tipi e in varie lingue, compresi manuali per l’educazione femminile, resoconti di viaggi esotici e preziosissimi libri d’ore. Trasmise l’amore per la letteratura al figlio Carlo (Charles d’Orléans), celebrato in seguito come prolifico poeta, nonché unico dei sette figli a noi noti a raggiungere l’età matura.

La morte dei figli non fu l’unico dramma nella vita di Valentina. Nel 1391 Carlo VI venne colpito dal primo di una lunga serie di accessi di follia. Durante questi attacchi il re non sopportava la presenza della regina, ma rimaneva invece aperto a ricevere la moglie del fratello. Il comportamento imprevedibile del re contribuì ad aggravare l’inevitabile rivalità fra Valentina e Isabella. Nonostante il comune amore per i libri e la padronanza della lingua tedesca e italiana, le circostanze politiche del tempo le posero infatti agli estremi di un duplice conflitto.

Per un verso, Isabella discendeva direttamente da Bernabò Visconti, essendo nata dal matrimonio fra Taddea, sua figlia, e il duca di Baviera, Stefano III. Valentina, al contrario, bene incarnava la causa del padre Gian Galeazzo, il quale aveva stroncato di forza il futuro del ramo visconteo facente capo a Bernabò. Per un altro verso, Valentina e Isabella si trovarono contrapposte nel rinnovato scontro fra le due fazioni della corte francese. Al partito degli Angiò-Orléans, capeggiato dal marito di Valentina – nominalmente reggente durante i periodi di malattia del fratello, ma soprattutto figura centrale nella guerra contro gli inglesi – si oppose la fazione borgognona, raccolta intorno a Filippo l’Ardito, zio del re e artefice del matrimonio della stessa Isabella, nonché sostenitore degli interessi inglesi e tedeschi a corte. A Filippo, si affiancò – fino a succedergli – il figlio Giovanni, noto come Giovanni Senza Paura, presto titolare di vasti possedimenti che, per ampiezza e ricchezza, lo ponevano al pari della stessa corona.

È in queste circostanze che Valentina fu accusata per la prima volta di stregoneria. In verità, l’attacco era rivolto anzitutto al marito Luigi, additato come responsabile dei malanni del re da Filippo l’Ardito; ma oltre al sostegno a queste voci da parte di Isabella di Baviera, a dar corpo alle accuse e a esporre Valentina a queste calunnie contribuì un certo pregiudizio antitaliano (specie per il ruolo che nell’immaginario francese veleni e malefìci avevano nella penisola), e più generale la facile associazione del genere femminile con la stregoneria. La reazione dei parigini fu tale che nella primavera del 1396 Valentina fu costretta a lasciare la corte e ritirarsi prima nel castello di Asnières e poi a Blois.

Il 23 aprile 1407 Giovanni Senza Paura ritenne i tempi maturi per porre fine allo scontro tra fazioni: con il re in preda a un attacco di follia ormai da qualche tempo, i seguaci di Giovanni presero il controllo della capitale e gli alleati inglesi sbarcarono sulle coste francesi. Il primo a pagarne le conseguenze fu lo stesso Luigi d’Orléans, brutalmente assassinato per le vie di Parigi. La notizia raggiunse Valentina nella sua residenza di campagna, costringendola a recarsi a corte dopo oltre un decennio di assenza. Si prodigò più volte per ottenere dal re la giusta pena per i responsabili del delitto, ma inutilmente: la volontà di Carlo VI era scossa dalle circostanze e dalla malattia, mentre il duca di Borgogna era fuggito ad Arras, da dove si atteggiava a salvatore del regno, accusando il defunto Luigi di presunti piani per impadronirsi del trono.

Sconfitta, Valentina si ritirò definitivamente a Blois, dove morì alcuni mesi più tardi, nel dicembre del 1408, all’età di trentasette anni.

La vulgata vuole che fosse stato il dolore provocato dalla recente tragedia a provocarne la morte, ma questa fu più realisticamente dovuta a una febbre da tifo. Il suo desiderio di essere sepolta assieme al marito nella chiesa parigina da lui patrocinata, quella dei Celestini, fu realizzato solo nel 1498, quando ascese al trono Luigi XII (nipote di Valentina e Luigi, nato dal matrimonio del figlio Carlo con Maria di Cléves). Egli ordinò ad alcuni artisti italiani la costruzione di un sontuoso monumento che potesse ospitare i corpi dei nonni. La chiesa dei Celestini venne poi distrutta durante la Rivoluzione, causando la dispersione dei resti di Valentina. Il sepolcro fu però trasportato a Saint-Denis e posto nella necropoli reale.

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