TOMMASINI, Vincenzo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 96 (2019)

TOMMASINI, Vincenzo

Marco Targa

– Nacque a Roma il 17 settembre 1878 da Oreste, storico e senatore, e da Zenaide Nardini; ebbe per fratelli Ugo, Francesco e Giulia.

La famiglia, facoltosa, gli consentì di ricevere un’educazione umanistica e musicale di primo livello. Studiò al liceo musicale Santa Cecilia di Roma con Benedetto Mazzarella (pianoforte), Ettore Pinelli (violino) e Stanislao Falchi (composizione); in parallelo frequentò la facoltà di lettere e filosofia dell’Università di Roma, interessandosi alla filologia classica. Nelle sue prime opere musicali, come il Quartetto (1898; non rientra nella numerazione dei successivi quartetti) e il poema sinfonico La vita è sogno (1900), basato sull’omonima comedia di Pedro Calderón de la Barca, si ispirò al romanticismo tedesco.

Nel 1902 andò a Berlino per perfezionarsi con Max Bruch nella Hochschule für Musik: poté conseguire una robusta tecnica orchestrale, dote che caratterizzò poi tutta la sua produzione e che gli fu sempre riconosciuta dalla critica. In Germania continuò a coltivare anche gli interessi umanistici: la sua edizione critica del trattato di Senofonte Sull’equitazione (Xenophontis de re equestri libellus) apparve a Berlino nello stesso anno.

Accanto all’attività compositiva, fin da giovane coltivò la critica musicale. Sempre nel 1902 iniziò a collaborare con la Rivista musicale italiana, dove nei successivi cinque anni pubblicò articoli di vario argomento: il teatro di Richard Wagner, i rapporti fra musica e religione, e l’importante saggio Debussy e l’impressionismo nella musica (XIV, 1907, pp. 157-167), uno fra i primi approfonditi studi apparsi in Italia sullo stile debussiano. L’influenza della musica francese e l’adesione al debussismo si fecero sempre più evidenti anche nella produzione musicale, in particolare nel Quartetto (1908), nel Poema erotico (Roma, Augusteo, 1911; vincitore del concorso della Società italiana di autori di musica), e nel preludio orchestrale L’inno alla beltà (1912, ispirato all’Hymne à la Beauté di Charles Baudelaire). Il dittico orchestrale Chiari di luna (1912-13) rappresenta forse l’esito più alto raggiunto da Tommasini in questa prima fase creativa: formato da due notturni, Chiese e ruine e Serenate, fu eseguito nel 1916 all’Augusteo di Roma, direttore Arturo Toscanini.

Nel frattempo si era dedicato al teatro musicale. La sua prima opera, Medea, su libretto proprio, andò in scena l’8 aprile 1906 al teatro Verdi di Trieste. Rimase invece lettera morta Amore di terra lontana (su libretto proprio). Nello «scherzo lirico» in un atto Uguale fortuna (ancora su libretto proprio), ambientato nella Venezia del Seicento e basato sulla novella Histoire risquée di François de Nion, si registra un parziale allontanamento dallo stile di Claude Debussy, che caratterizzò gran parte della produzione di quegli anni. Il lavoro, vincitore del concorso operistico indetto dal Comune di Roma nel 1912, fu allestito al teatro Costanzi l’anno dopo, direttore Edoardo Vitale, ed edito da Sonzogno.

Nel 1909 fu tra i fondatori della Società italiana di autori di musica, mentre nel 1917 partecipò, con Alfredo Casella e altri compositori, alla costituzione della Società nazionale di musica (poco dopo divenuta Società italiana di musica moderna), senza peraltro prodigarsi attivamente per la causa delle due società, data l’indole introspettiva e poco propensa all’azione. Per la stessa ragione non si adoperò nel promuovere la propria musica, tenendo un atteggiamento di aristocratico distacco e senza finalità commerciali. L’intera sua esistenza fu peraltro priva di eventi appariscenti, ripiegato com’era sulla ricerca artistica individuale, con poche e rade frequentazioni sociali.

La composizione cui è principalmente legata la sua fama fu il balletto Le donne di buon umore, andato in scena il 12 aprile 1917 al Costanzi nella serie di balletti allestiti dalla compagnia dei Balletti russi di Sergej Djagilev in quella stagione di primavera. A Tommasini l’impresario russo aveva già commissionato una nuova orchestrazione del balletto Le silfidi, coreografia da Michel Fokine su musiche di Fryderyk Chopin: a seguito di tale collaborazione, Djagilev gli commissionò un nuovo balletto su un soggetto tratto da Carlo Goldoni e costituito da trascrizioni orchestrali di Sonate per clavicembalo di Domenico Scarlatti, scelte dallo stesso Djagilev. La coreografia, ideata da Léonide Massine, fu interpretata da Lidija Lopuchova nella parte di Mariuccia e dallo stesso Massine in quella di Leonardo, con costumi e scene disegnati da Léon Bakst; l’orchestra del Costanzi fu diretta da Ernest Ansermet. In accoppiata al balletto andò in scena Feu d’artifice di Igor′ Stravinskij. Si trattò di un evento di notevole portata storica: per l’Italia l’arrivo dei Balletti russi rappresentò un forte impulso al rinnovamento del genere del balletto, ancora legato a una tradizione ottocentesca. Anche l’idea di utilizzare un collage di pezzi derivati da un autore settecentesco inaugurò una pratica poi innumerevoli volte imitata, aprendo un filone di composizioni che propiziarono l’avvento del cosiddetto neoclassicismo in musica.

L’esperienza fu replicata da Djagilev nel balletto Pulcinella di Stravinskij (1920), basato su musiche di Giovan Battista Pergolesi (o a lui attribuite) trascritte per orchestra, e spesso considerato la prima composizione ‘neoclassica’ di rilievo. La decisione di mettere a frutto musiche del Settecento va iscritta nel crescente interesse per la musica preromantica, dalla ricerca musicologica resa via via più accessibile. Lo stile di trascrizione adottato da Tommasini nelle Donne di buon umore rispetta appieno lo stile scarlattiano, pur nella trasformazione timbrica che il passaggio dal clavicembalo all’orchestra comporta. Seppur immune dagli afrori novecenteschi riscontrabili nel Pulcinella stravinskiano, la veste orchestrale confezionata da Tommasini riuscì a dare nuova luce alla musica di Scarlatti, pur rispettandone carattere e intenzioni.

L’interesse per la musica del passato lo portò a studiare anche il repertorio del canto gregoriano, in anni in cui anche Ottorino Respighi e Ildebrando Pizzetti stavano conducendo ricerche simili. L’esito di tale erudizione fu l’opera orchestrale Beato regno (1921), interamente basata sulle melodie gregoriane del Requiem, del Veni Creator e del Salve Regina, e ispirata ad alcuni dipinti di Beato Angelico. L’opera debuttò all’Augusteo di Roma l’anno dopo, direttore Albert Coates. Si dedicò anche allo studio del canto popolare italiano, al quale attinse per due importanti opere orchestrali, nelle quali le ultime propaggini dello stile debussiano si intrecciano a melodie di ascendenza popolaresca: la rapsodia Paesaggi toscani (1922) e la fantasia Napoli (1930), tenute a battesimo rispettivamente da Bernardino Molinari nel 1923 all’Augusteo e da Hugo Balzer a Friburgo in Brisgovia nel 1931.

In occasione della creazione postuma del Nerone lasciato incompiuto da Arrigo Boito (Milano, teatro alla Scala, 1924), Toscanini lo chiamò a collaborare al completamento e alla strumentazione della partitura, sulla base delle indicazioni e annotazioni lasciate dall’autore.

La seconda parte degli anni Venti e gli anni Trenta segnarono la piena adesione allo stile neoclassico, sancita dal Secondo quartetto (1927) e dal brano orchestrale Preludio, Fanfara e Fuga (1927), diretto da Victor De Sabata nel 1928 all’Augusteo, nonché da Il carnevale di Venezia (variazioni alla Paganini) (1928), eseguito da Toscanini nel 1929 alla Carnegie Hall. L’omaggio a Niccolò Paganini fu poi alla base del balletto Le diable s’amuse, andato in scena nel 1939 a New York, imbastito con trascrizioni di musiche paganiniane. Sebbene il balletto presenti ancora un intreccio narrativo, i tempi erano ormai maturi perché Tommasini concepisse una forma di danza priva di narrazione pantomimica e intesa come pura astrazione del movimento, ma l’intento non fu completamente realizzato nemmeno nell’ultimo suo lavoro coreografico, il Balletto tiepolesco, andato in scena nel 1945 al San Carlo di Napoli, interpretato dalla ballerina Kyra Alanova, con scenografie di Enrico Prampolini.

Genere di elezione negli anni in cui Tommasini sposò lo stile neoclassico era il concerto, che praticò con frequenza crescente. Gli esempi migliori sono il Concerto per violino e orchestra (1935), il Concerto per quartetto d’archi solista (1939), il Concerto per orchestra d’archi (1942) e il Concerto per orchestra con violoncello obbligato (1943). Felice esito ebbero anche due opere dedicate all’arpa, strumento votato a rievocare sonorità settecentesche, data l’affinità con il timbro del clavicembalo: la Sonata per arpa (1938) e la Serenata per arpa, flauto e viola (1943). Una posizione eccentrica nella produzione di quegli anni occupa invece lo studio sinfonico per orchestra intitolato La tempesta (1942, teatro Adriano, direttore Molinari), caratterizzato da una scrittura fortemente dissonante, forse riflesso del clima degli anni di guerra. Nello stesso periodo Tommasini produsse anche colonne sonore cinematografiche: gli esempi più significativi furono le musiche per Un colpo di pistola (regia di Renato Castellani, 1942) e Notte di tempesta (Gianni Franciolini, 1946).

Importanti per inquadrare la poetica di Tommasini sono infine gli scritti di estetica, in particolare La luce invisibile: ragionamenti intorno alla beltà (Roma 1929) e il Saggio d’estetica sperimentale (Firenze 1942). Nel suo pensiero estetico l’arte viene ricondotta a una dimensione puramente mistica, in un superamento in chiave neoplatonica dell’estetica positivistica: centrale il concetto di bellezza, fondamento unico di ogni espressione artistica. La nozione di bellezza sfugge a qualsiasi tentativo di precisa definizione, essendo paragonabile a una «luce invisibile» che avvolge l’opera d’arte come un’aura impalpabile. La vocazione mistica del suo pensiero estetico spiega anche l’interesse per la musica sacra, già testimoniato nel citato Beato regno e proseguito in opere come le due Liriche sacre (Salvator mundi e O bone Jesu, 1939) e la Messa da Requiem liturgica per coro misto e organo (Roma, S. Ignazio, 1949).

Morì a Roma, il 23 dicembre 1950. Poche settimane prima, il 24 ottobre, era andata in scena al teatro Eliseo di Roma l’ultima sua composizione, la farsa musicale in un atto, in stile rossiniano, Il tenore sconfitto ovvero La presunzione punita, libretto di Vitaliano Brancati, scene di Renato Guttuso. Dopo la morte la diffusione della sua musica, che si inserisce nell’alveo stilistico della cosiddetta generazione dell’Ottanta, conobbe un rapido declino, sebbene opere sue fossero state frequentemente incluse da Toscanini nei suoi programmi di concerto e ampiamente eseguite all’estero. Oggi il nome del compositore rimane legato soprattutto alla sua collaborazione con i Balletti russi.

Ulteriori composizioni, oltre quelle fin qui citate (edite a Milano, da Ricordi, salvo diversa menzione): Due melodie, su versi di Giosue Carducci (1921, per canto e pianoforte; 1933, trascrizione per canto e orchestra); Quattro melodie per coro a cappella, su testi di Dante, Matteo Frescobaldi e Petrarca (1922); Tre melodie per canto e pianoforte su poesie di Giovanni Pascoli (1927); Charmes, tre melodie per canto e pianoforte su poesie di Paul Valéry (1929); Leopardiana, tre melodie per canto e pianoforte su versi di Giacomo Leopardi (1929); Trio per violino viola e violoncello (Paris, Senart, 1930); Intermezzo per violoncello e pianoforte (1933); Concerto per violino (1935); Quattro pezzi per orchestra (1935); Suite per orchestra da camera (1937); Tre capricci per pianoforte (Milano, Carisch, 1937); Fantasia concertante per violino e pianoforte (1940).

Ulteriori scritti critici: L’opera di Riccardo Wagner e la sua importanza nella storia dell’arte e della cultura, in Rivista musicale italiana, IX (1902), pp. 113-147, 422-441, 694-716; Di una vera cultura musicale italiana, ibid., X (1903), pp. 550-563; ‘Parsifal’ e l’organizzazione teatrale italiana, in Harmonia, I (1913), 1, pp. 20 s.; Del drama lirico, in Rivista musicale italiana, XXXIX (1932), pp. 73-113; Scarlattiana, in La rassegna musicale, XII (1939), pp. 485-490.

67-770; Id., V. T., in Il Pianoforte, II (1921), pp. 77 s.; A. Casella, V. T., in La Revue musicale, VIII (1927), pp. 68 s.; G.M. Gatti, V. T. (1878-1950), in La rassegna musicale, XXI (1951), pp. 48 s.; M. Rinaldi, V. T., in Rivista musicale italiana, LIII (1951), pp. 323-336; Musica italiana del primo Novecento. La generazione dell’80 (catal.), Firenze 1980, pp. 2 s.; R. Zanetti, La musica italiana nel Novecento, Busto Arsizio 1985, pp. 108, 249-254, 401-403, 828-833; Casa musicale Sonzogno, a cura di M. Morini - N. Ostali - P. Ostali jr, Milano 1995, I, p. 363, II, p. 767; L. Verdi, Per un archivio di musiche su testi carducciani, in Qual musica attorno a Giosue. Atti del Convegno, ... 2007, a cura di P. Mioli, Bologna 2009, pp. 128, 153 s., 156 s.; A. Bartoloni, Su alcuni aspetti di T. operista: “Medea”, “Uguale fortuna”, “Il tenore sconfitto ovvero La presunzione punita”, in La critica musicale in Italia nella prima metà del Novecento, a cura di M. Capra - F. Nicolodi, Venezia-Parma 2011, pp. 325-340; A. Sessa, Il melodramma italiano (1901-1925), Firenze 2014, pp. 872-874; A. Toscanini, Lettere, a cura di H. Sachs, Milano 2017, ad indicem.

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