COLOCASIO, Vincenzo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 27 (1982)

COLOCASIO, Vincenzo

Nicola Longo

Nacque a Marsala fra la fine del sec. XV e i primi anni del XVI (si può stabilire, sia pure con molta approssimazione, che il termine ante quem per collocare la data della sua nascita sia l'anno 1515) da una faniiglia il cui nome, poi latinizzato, era probabilmente Culcasi. Non sappiamo esattamente a che età il C. si sia dedicato agli studi letterari. Si può ipotizzare che i suoi maestri siano stati i medesimi che ebbe Gian Giacomo Adria di Mazara, altro poeta contemporaneo del C., cioè Tommaso Schifaldo, suo concittadino, e il salernitano Simone Anello. V'è da notare che, accanto alla poesia, il C. coltivò, con altrettanta applicazione, gli studi giuridici, fino a conseguire la laurea in diritto canonico e civile ed essere reputato un illustre giureconsulto.

Erano quelli gli anni in cui tutti i giovani che volevano conseguire un titolo dottorale si trasferivano nell'Italia centro-settentrionale per frequentare le celebri università di Bologna, Pavia o Pisa; si può perciò supporre che anche il C. si sia dovuto allontanare per motivi di studio dalla nativa Sicilia, dove tra l'altro l'università di Catania stava attraversando un grave periodo di crisi.

Sposatosi, il C. ebbe due figli: Scipione e Lelio (è probabile che il nome del primogenito vada attribuito ad un gesto di omaggio verso l'imperatore Carlo V che, dopo la vittoria riportata in Africa contro i Turchi nel 1535, ebbe l'appellativo di Nuovo Scipione). Entrambi, forse appena giovinetti, grazie. all'esempio e agli insegnamenti del padre, si dedicarono agli studi umanistici e coltivarono la poesia latina. Dopo la seconda, discussa, vittoria riportata dal viceré Giovanni de Vega sui Turchi in terra africana, il C., nel settembre del '50, ebbe occasione di conoscere e frequentare un illustre reduce da questa impresa militare, Antonio Doria, fratello e luogotenente di Andrea Doria che era stato uno dei triumviri della spedizione. Quasi certamente Antonio Doria, autore anche di un Compendio delle cose di sua notizia et memoria occorse al mondo nel tempo dell'Imperator Carlo V, stampato a Genova nel 1571, rappresenta la fonte dalla quale il C. apprese le notizie sullo svolgimento di tutti gli avvenimenti militari dell'impresa africana. Sicché, esaltato dall'idea di poter lodare il viceré per le sue imprese militari con un'opera letteraria, desideroso di guadagnarsi gli onori e le ricompense che un mecenate come il Vega era abituato ad elargire con generosità - nello sforzo di organizzare un consenso quanto più unanime che tacitasse i dubbi sulle sue qualità militari il C. concepì la trama di un poema epico in esametri latini, il cui protagonista, unico ed incontrastato, era il viceré de Vega.

Si può fondatamente ipotizzare che nella prima metà del 1552 i Quarti belli Punici libri sex, ai quali è affidata la scarsa fama dell'autore, erano terminati e già conosciuti, in una stesura manoscritta, dai più celebri letterati siciliani del tempo. Fra questi il Maurolico, Ferdinando e Suero de Vega, figli del ricordato vicerè, Pietro de Luna, Simone Ventimiglia, Orazio Nucola, i figli del C. ed altri, scrissero per lui una corona di componimenti poetici che, insieme alla lettera dedicatoria con cui l'opera è offerta al Vega, datata 12 sett. 1552, si leggono nell'edizione messinese del poema (1525).

L'importanza di questo poema epico, che certamente si perde fra i tanti tributi encomiastici del secolo, consiste nel fatto di essere, oltre che l'esito di un evidente recupero dell'epica classica, un mosaico di calchi ed intarsi dell'Africa petrarchesca. Solo per esemplificare si noterà come il breve episodio del sogno di Carlo V (esortato dalla Fede a farsi strumento della provvidenza nell'impresa africana) è un calco di quello - assai più lungo - del sogno di Scipione (a cui il padre manifesta la volontà divina che lo vuole capo della spedizione contro Cartagine). Così, alla raffigurazione di Cartagine minacciosa e di Roma piangente davanti al trono di Giove nell'Africa, fanno riscontro il volto torvo di Giunone e quello mesto di Venere nel Bellum Punicum del Colocasio. Similmente, alla descrizione della reggia di Massinissa corrisponde quella della reggia di Carlo V, e il trionfo di Scipione serve di modello al trionfo del de Vega. Tutto ciò prescindendo dalle frequenti contaminazioni o dagli interi versi ripresi dal Petrarca.

Nello stesso 1552 sappiamo che il C. ottenne, per concessione vicereale, gli incarichi di "viceportulano del porto e caricatojo" di Mazara, di "pontaggiere" e di "mandatore", con cui il Vega dimostrò al poeta la sua riconoscenza. Fra il soggiorno a Messina e quello a Mazara, dove lo chiamavano i nuovi uffici, il C. fu costretto a recarsi in varie città della Sicilia per svolgere una delicata inchiesta affidatagli dal Regio Fisco, quale esperto in utroque iure. L'indagine riguardava innanzi tutto l'attività del protomedico Antonio Comitopolo e, secondariamente, le attività di certo Antonio Corona. Il 31 ott. 1552 l'ispezione era terminata perché il tesoriere del Regno ebbe l'incarico di corrispondere al C. quanto gli era dovuto come rimborso di certe spese affrontate per comunicare il risultato del suo lavoro. Quindi il C. dovette trasferirsi a Mazara dove s'impegnò nei suoi doveri d'ufficio con tanto scrupolo e precisione che, per volontà del viceré, gli incarichi da lui ottenuti per meriti letterari passarono al figlio Scipione quando il C. morì nel febbraio del 1555.

Bibl.: G. Ventimiglia, De' poeti sicil. libro primo, Napoli 1663, sub voce; A. Mongitore, Bibliotheca Sicula, II, Palermo 1714, p. 280; A. Narbone, Bibliogr. sicola sistematica, I, Palermo 1850, p. 384; IV, ibid. 1855, p. 67; F. Evola, Storia tipografica e letter. del sec. XVI in Sicilia, Palermo 1878, p. 44; V. Di Giovanni, Degli eruditi siciliani del sec. XV e di alcune opere lessicografiche latine e volgari de' secc. XIV e XVI, in Filologia e letter. siciliane, III, Palermo 1879, pp. 210 s.; G. Beccaria, V. C. umanista sicil. del sec. XVI. Ricerche storiche e docum, in Arch. stor. sicil., n. s., XXV (1900), pp. 1-52; R. Scalabrino, Un umanista imitatore dell'"Africa" nella Sicilia occidentale, in Convegno petrarchesco (11-13 ott. 1931), supplemento agli Annali della cattedra petrarchesca, I, Arezzo 1936, pp. 84-90; G. Santangelo, Lineamenti di storia della letter. in Sicilia dal sec. XIII ai nostri giorni, Palermo 1952, ad Indicem.

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