VIENNA

Enciclopedia Italiana (1937)

VIENNA (ted. Wien; A. T., 56-57)

Antonio Renato TONIOLO
Hans TIETZE
Giuseppe GABETTI
Karl August ROSENTHAL
Roberto PARIBENI
Heinrich KRETSCHMAYR
Walter MATURI
Carlo MORANDI
Franco VALSECCHI

Capitale della repubblica austriaca, di cui costituisce uno stato federale a sé stante; è divisa in 21 quartieri o distretti cittadini (Bezirke) ed ha 1.842.000 ab. (1931), più di un quarto di tutta la popolazione dell'Austria. È situata a 48° 12′ di lat. N. e a 16° 22′ di long. E., a una media altezza di m. 170 s. m., ai piedi dei boscosi colli del Wiener Wald, sulla riva destra del Danubio, al limite fra il bacino di Vienna a sud e la pianura del Marchfeld a nord, con clima continentale (gennaio 1°,7, luglio 19°,6; mm. 667 di piogge, con massimo estivo).

Il sorgere e il fiorire della città si devono in gran parte alla sua situazione geografica nell'Europa centro-orientale, fra le ultime ondulazioni delle Alpi e l'estesa Pianura Pannonica, al contatto fra due ambienti economici e culturali diversi, l'alpino tedesco ad ovest, e quello steppico slavo-magiaro ad oriente. Essa domina inoltre uno dei ganglî maggiori delle comunicazioni naturali nell'Europa, noto fino dai tempi preistorici, così per i rapporti commerciali, come per quelli strategici.

L'originaria via di comunicazione fluviale è quella da ovest ad est lungo il Danubio, che unisce la Germania meridionale con l'Ungheria e con l'Oriente slavo; la quale qui s'incrocia con un'altra via naturale, da nord a sud, fra il Mar Baltico e l'Adriatico, attraverso la depressione fra le Alpi, da un lato, i Sudeti e i Carpazî, dall'altro. Al tempo romano questa funzione di controllo delle comunicazioni era svolta, a oriente da Carnuntum (l'attuale Bruck an der Leitha) di fronte alla "Porta Magiara" di Presburgo; e a occidente da Vindobona, castro romano, nel luogo dell'attuale città; la quale, chiusa fra il fiume sul fronte settentrionale e le ripide pareti montuose del Wiener Wald a occidente, verso sud è separata con i dossi del Wiener Berg dal bacino di Vienna propriamente detto.

Ma la città assunse importanza e sviluppo nel Medioevo, come capoluogo di una "Marca di confine" e baluardo della civiltà tedesca e cristiana contro le invasioni barbariche pagane, slave e magiare, che venivano dall'Oriente europeo. Quando l'Ungheria si sviluppò come stato, essa divenne grande mercato di scambio fra l'Occidente e l'Oriente europeo, mentre già prima, attraverso il Semmering e la "Porta Morava", s'incrociavano in essa i traffici con l'Italia da un lato e con la Polonia la Moravia e fino all'Ucraina dall'altro; ne è da dimenticare la sua zona d'influenza locale sulle Alpi, sui Carpazî, e nel cuore della Boemia.

La posizione geografica di Vienna, ebbe certo importanza sullo sviluppo territoriale della monarchia danubiana, ma a sua volta le sorti della città dipesero, nell'età moderna, dall'essere la capitale di uno stato che dominava politicamente tutta l'Europa nord-occidentale, nonché dalla sua funzione di centro d'insediamento della civiltà tedesca, verso il mondo slavo e magiaro, e nodo di traffico fra ambienti economici diversi nell'Europa centro-orientale. Vi sono periodi nella sua storia, in cui prevalsero or l'uno or l'altro di questi fattori, ma quello delle comunicazioni divenne prevalente nell'età moderna, quando, al traffico fluviale sul Danubio, da est ad ovest, si aggiunsero le ferrovie da nord a sud (la Nord-bahn per la Boemia nel 1837, la Ferrovia del Semmering nel 1841; la Südbahn per Trieste, 1854-57) e tale sua funzione europea si è conservata fino ad oggi, quale poche altre città possono vantare, ad onta delle più diverse contingenze storiche.

Il centro romano sorse alla confluenza del fiume Wien, che scende dalla Foresta Viennese (Wiener Wald), con uno dei bracci del Danubio (l'attuale Donaukanal), il quale all'uscita dalla stretta di Klosenberg, si diramava nella pianura del Marchfeld inondandola. Le tracce romane presso il Hohe Markt sono oggi scomparse; ma, in un documento ecclesiastico di Salisburgo dell'881, è ricordata per la prima volta Vindobona, che sorgeva su una terrazza del Danubio, attorno a una chiesetta di pescatori, Maria am Gestade. Essa si accrebbe per commerci e traffici durante il tempo delle crociate, e alla fine del sec. XIII attorno al duomo di S. Stefano occupava tutto lo spazio fra il fiume Wien e il Danubio che è detto ancor oggi "die Stadt". Al termine del Medioevo, la città contava 60.000 ab. ed aveva numerosi sobborghi rurali con vasti orti. Con Ottone e Ferdinando I la città fu circondata da bastioni, in parte distrutti nel 1683 durante l'assedio dei Turchi. Nel 1706 fu elevata una seconda cinta più esterna comprendente i sobborghi rurali, le cui tracce sono visibili dove oggi sono i Gürtel, mentre sull'antica cinta attorno alla "Innere Stadt", spianata nel 1857, sorsero i viali (Ring).

Ma lo sviluppo e lo splendore di Vienna risalgono soprattutto al sec. XVIII. Commerci e industrie fiorirono in Vienna, che si andò abbellendo e ingrandendo, così da divenire una delle più belle città tedesche, con sontuosi edifici barocchi, ai quali molto contribuì il genio italiano.

Nel nucleo cittadino, che costituisce oggi il I distretto di Vienna, sono rimaste le antiche, tortuose strade ("Gassen"), le piazzette raccolte, i nobili palazzi, le piccole fontane ornamentali, che ricordano i tempi passati e dove si eleva, con la cattedrale di S. Stefano, la Hofburg, l'antica residenza degli imperatori. Oggi la "Innere Stadt" ha assunto funzione ed aspetto di city, con ministeri, banche, uffici commerciali e di rappresentanza, negozî, ecc., cosicché la popolazione stabile va diminuendo, spostata come è, durante la notte, con numerosi mezzi di trasporto, nei distretti circostanti alla città (nel 1869 v'erano 63.900 ab., nel 1923, 43.000).

L'età giuseppina e quella postnapoleonica inglobarono i distretti extracittadini, oggi nuovamente rimaneggiati con nuove arterie stradali. lasciando la loro impronta nelle sobrie costruzioni fra il "Ring", i "Gürtel" e il fiume Wien, e dove si stendono oggi i distretti: IX (Alsergrund) con gl'istituti universitarî, i grandi ospedali e le cliniche, VIII (Josefstadt) quartieri d'impiegati, VII (Neubau) e VI (Mariahilf) con fabbriche e negozî di mode.

A sud della città, oltre il fiume Wien, durante il periodo aureo di Vienna nella prima metà del sec. XIX, sorsero i quartieri della borghesia, con ancora molte case a soli due piani, dove fiorirono le piccole industrie, specie delle seterie e della madreperla (IV Wieden e V Margareten).

Fino dal 1440 le comunicazioni con la riva sinistra del Danubio erano assicurate con 4 ponti di legno, sopra quel ramo oggi detto Donaukanal, ma qui si sviluppò solo la Leopoldstadt (II distretto), giacché, prima della regolarizzazione del corso del Danubio (1875), questa zona depressa, fra i due rami del fiume, era spesso inondata. In questo distretto, fino dal 1622, furono insediati gli Ebrei ed anche oggi essi vi sono in prevalenza; ma soltanto alla fine del sec. XIX, sorsero, sul lato settentrionale lungo il fiume, fabbriche industriali e a mezzogiorno, nell'isola fra i due rami del Danubio, il grande parco del "Prater", luogo di divertimenti e di riposo estivo dei Viennesi.

Fra il 1891 e il 1905, i sobborghi rurali, già esistenti fino dal 1869, furono inglobati in una cerchia di nuovi quartieri cittadini, che, soprattutto per merito del borgomastro Carlo Lüger, si estesero grandemente a sud, quale il quartiere "Favoriten" (distr. X) sulle pendici del Wiener Berg (m. 256), con grandi ma igieniche case operaie, e a sud-est il Simmering (XI) con grandi fabbriche e il cimitero centrale, e il XII e il XIII (Meidling e Hietzing), i cui grandi blocchi di case hanno. raggiunto e circondato il castello e il parco imperiale di "Schönbrunn". A occidente sorsero i quartieri industriali e operai di Ottakring (XVI), Hernals (XVII) e Währing (XVIII), che si allungano nelle depressioni terrazzate o lungo le grandi strade del bacino di Vienna; mentre a nord-ovest, sulle pendici del Wiener Wald, si estese la città giardino di Vienna (XIX, Döbling) a ville, orti, viali, dove dimora la ricca borghesia viennese.

Finalmente, oltre il ramo orientale del Danubio (Alte Donau), sul Marchfeld, alla testa di ponte della Reichsbrücke, nella seconda metà dela sec. XIX, fu costruito il centro industriale di Floridsdorf, che prima della riunione con Vienna (XXI distretto) nel 1905, contava 50.000 ab., e si è poi allargato con caserme e opifici industriali, ma che non ha realizzato la speranza di una "Donaustad".

L'area della città di Vienna era nel 1934 di 278 kmq., con più di 100 km. di perimetro e 45.000 case. La sua popolazione, che nel 1810 era appena di ⅓ di mil. di ab., nel 1850 raggiungeva il ½ mil., nel 1880, con i sobborghi, circa il milione e nel 1910, 2.031.498 ab., che per la crisi del dopoguerra, scendevano, nel 1923, a 1.866.147 e a 1.842.000 nel 1931; per risalire a 1.875.000 nel 1934; cosicché Vienna, per abitanti, è la quarta città d'Europa.

È difficile stabilire oggi i limiti naturali della città di Vienna, essendo ineguale lo sviluppo nelle sue varie parti; tuttavia, come si è visto, l'accrescimento cittadino, per quanto a struttura radiale, si ebbe prevalentemente verso ovest e sud-ovest, mentre a SE., parallelamente al Danubio, l'XI distretto (Simmering) si sviluppò lentamente, cosicché la periferia è raggiunta, qui a solo 10 km. dal cuore della città (il duomo di S. Stefano), mentre ad ovest e sud-ovest, lungo la Südbahn, i quartieri industriali si spingono fino a 16 km. dal centro. Tale asimmetria è dovuta sia alla mancanza di grandi ostacoli naturali verso occidente, come invece presenta il corso del Danubio a E. e SE., sia per l'attrattiva del traffico lungo le vie di trasporto verso il ricco bacino di Vienna, per i quartieri industriali, e quella naturale delle fresche e boscose pendici del Wiener Wald a nord-ovest per i quartieri signorili a ville.

Oltre a numerose piazze alberate e viali, vi sono giardini e parchi, come il Volks- e il Burggarten nella Innere Stadt, l'Augarten e il Prater nella Leopoldstadt, lo Sportplatz e il Waldmüller Park nei quartieri del Simmering e di Favoriten, di Schönbrunn, ora aperto al pubblieo, il Turken- e il Währinger Park, nel quartiere di Döbling e altri molti.

Vienna è oggi alimentata da un acquedotto di 200 km. che porta acqua abbondante e freschissima dalle Alpi; è servita da una rete estesissima di linee tramviarie e di autobus, oltre che da una ferrovia metropolitana (28 km.), in parte sotterranea, in parte su viadotto (1893-1902), nonché da una estesa rete di ferrovie locali per le comunicazioni con i dintorni, specie con i varî centri del Wiener Wald e del Wiener Becken e da servizî di vaporetti con i paesi viciniori lungo il Danubio.

Il Danubio che non attraversa la città come a Budapest, ma solo la lambisce a nord-est, non ebbe mai grande valore quale via di trasporto, essendo d'inverno gelato nella sua parte a monte, salvo che sul ramo destro (Donaukanal), che penetra nella città. Solo dopo la grande rettifica del corso del fiume (1870-1877) da Nussdorf a Albern (lunghezza km. 13, larghezza m. 284), sulla sponda destra di esso furono costruiti magazzini, silo, banchine, piazzali, binarî, stazioni ferroviarie e, all'estremità meridionale del Prater, un porto invernale per il ricovero dei natanti. Cinque società di navigazione si dividono il traffico sul Danubio, importando a Vienna, specie dall'Ungheria, circa 6-700.000 tonn. annue di merci.

Assai maggiore importanza ebbe, durante la duplice monarchia, lo sviluppo dell'eccellente rete ferroviaria che, senza contare le comunicazioni locali, si stendeva da Vienna in dieci direzioni diverse a collegare la capitale con tutti i paesi dell'impero. Anche dopo la mutilazione successiva alla guerra mondiale, esse mantengono in gran parte un vivace traffico fino ai limiti naturali o artificiali di questo grande centro d'attrazione e scambio fra regioni naturalmente ed economicamente eterogenee, cosicché Vienna rimane uno dei principali nodi ferroviarî d'Europa. Le sue sei stazioni ferroviarie (Westbahnhof, Südbahnhof, Ostbahnhof, Franz-Josefs Bahnhof, Nordbahnhof, Aspangbahnhof) la uniscono direttamente a Berlino-Amburgo, Norimberga-Colonia-Bruxelles-Ostenda (Londra), Monaco-Parigi, Zurigo, Trieste-Roma, Budapest-Belgrado-Nis (Salonicco-Atene)-Sofia-Costantinopoli, Budapest-Bucarest-Costanza, Praga-Varsavia, cosicché essa conserva ancora il valore di città eminentemente europea.

Vienna era il primo mercato dell'Austria-Ungheria, come anche la sua maggiore città industriale, soprattutto per il vestiario e gli oggetti artistici e di lusso. Le industrie delle seterie e della lavorazione della madreperla, che fioriscono nella prima metà del sec. XIX, sono oggi scomparse e in decadenza sono pure le confezioni di mode, che facevano concorrenza a Parigi. Sono invece in ripresa le industrie di oggetti d'ornamentazione, quelle della carta e le poligrafiche, nonché le officine di apparecchi e strumenti scientifici di precisione, per le quali sono assai apprezzate non solo la tecnica, ma anche l'originalità e il buon gusto dell'operaio viennese. Gran parte di queste esportazioni da Vienna si dirigono: per quanto riguarda le industrie tecniche soprattutto verso nordest e sud-est (Polonia e Penisola Balcanica); per quanto invece riguarda gli oggetti artistici, di lusso ed editoriali prevalentemente verso l'ovest e sud-ovest (Germania e Italia).

Vienna risente ancor oggi della sua lunga tradizione storica, e di essere stata residenza di una delle più vecchie dinastie d'Europa e capitale di un grande stato. Sede di una antica nobiltà e ricca borghesia, sviluppò in sé stessa l'amore per la scienza e l'arte. La sua università, la più antica del mondo germanico (1365), riorganizzata da Maria Teresa (1752), ha fama europea e i suoi istituti scientifici e le sue cliniche hanno rinomanza di grande specializzazione; i suoi musei (tra i quali particolarmente il Kunsthistorisches Museum che trae origine dalle preziose collezioni di Ferdinando I ed è uno dei maggiori tra i musei d'arte europei), le accademie, le biblioteche e gli archivî, quasi tutti istituti d'antica origine, sono fra i più ricchi e importanti d'Europa.

Il Viennese seppe assimilare le varie correnti culturali che vennero da ogni parte, specie da Italiani nonché da Francesi, Spagnoli, Tedeschi, Boemi, Polacchi e Magiari. Ciò non fu senza importanza sullo sviluppo del tipo proprio del Viennese, sul suo modo di vita, sul suo dialetto, elementi che egli plasmò con una propria struttura e restituì con propria impronta culturale, soprattutto all'Oriente europeo.

Fino al 1866 la vita e la cultura tedesche furono prevalenti a Vienna, ed essa seppe assimilare facilmente gli elementi stranieri che ospitava. Separata in seguito dall'impero germanico e divenuta capitale di uno stato polietnico, si fecero sentire in essa sempre più forti le tendenze centripete dei varî popoli, che costituivano l'impero; dei Cèchi soprattutto, che vennero a risiedere sempre più numerosi in Vienna. Anzi il ceto operaio formò vere colonie cèche in alcuni quartieri della città (Favoriten), sviluppando anche un movimento nazionalista. Nel 1910 il numero di parlanti cèco era a Vienna di 100.000, ridotti, nel 1923, a 79.278 (4,25% dell'intera popolazione).

Invece, durånte la guerra mondiale andò rinforzandosi la popolazione proveniente da oriente, soprattutto Ebrei. Già questi avevano avuto grande importanza nel commercio e nella vita viennese nella seconda metà del sec. XIX, tentando anzi di dominare la pubhlica opinione con la stampa periodica. In seguito all'occupazione della Galizia, da parte dei Russi, i profughi da essa scesero a Vienna, cosicché nel 1923 gl'israeliti salivano al 10,8% della popolazione viennese (in alcuni distretti: II Leopoldstadt 38%, I Innere Stadt e IX Alsergrund 25%); nelle loro mani si trovano in buona parte la grande e la piccola vita economica della città, mentre la crisi ha provocato un esodo sempre maggiore della popolazione tedesca, la quale torna verso i suoi originarî distretti alpini dell'Austria.

La Vienna accentratrice, la cui vita dominava tutto l'Impero degli Asburgo, non è più; altre città, come Praga, Lubiana, Cracovia, separarono i loro interessi economici e nazionali da quelli di Vienna; la quale, se non ha più l'antica funzione politica in Europa, conserva tutto il suo valore culturale di avanguardia della civiltà occidentale verso l'Oriente europeo, e sta riacquistando il suo valore economico, come centro di attrazione del medio bacino danubiano, così come è indicato dal sempre maggiore sviluppo delle annuali fiere viennesi (Wiener Messen).

Bibl.: A. Penck, Die geographische Lage von Wien, in Schr. d. Verb. naturwissen. Kennt., 1895; H. Hassinger, Beiträge zur Siedlungs und Verkehrsgeographie von Wien, in Mitt. geogr. Gesell., LIII, Vienna 1910; F. Heiderich, Wien als europäischer Verkehrsknotenpunkt, ivi 1920; O. Lehmann-E. Hanslik, Abriss der Weltkunde zur Darstellung der Lage Wiens an der Weltkulturgrenze Mitteleuropas, ivi 1921; A. E. Forster, Das Klima Wiens und seine volkswirtschaftliche Bedeutung, ivi 1923; K. Oberparleiter, Wien als Handelszentrum, ivi 1923; N. Krebs, Die Ostalpen und das heutige Österreich. Eine Länderkunde, 2ª ed., Stoccarda 1928.

Monumenti.

Il carattere artistico e architettonico di Vienna fu determinato, come le sue vicende storiche, dalla posizione geografica, dalla sua importanza, dall'indole dei suoi abitanti. Posta all'incrocio di due grandi arterie europee, l'una che costeggia in direzione ovest-est il Danubio, l'altra che conduce in direzione sud-nord dalle Alpi nella regione dei Carpazî, fa da tramite tra le civiltà dell'Europa occidentale e centrale e l'Oriente congiunto all'Asia e, nello stesso tempo, tra il Nord germanico e il Sud latino. Vienna fu soggetta a influssi diversissimi; e la sua inclinazione ad accogliere prontamente gli elementi venuti da ogni dove conferì alla città un carattere suo proprio. Quest'attitudine venne favorita dalle circostanze storiche. Residenza principesca dapprima sotto i margravî e i duchi di Babenberg, poi sotto gli Asburgo che oltre a regnare sui paesi austriaci portavano anche la corona imperiale, Vienna, in un certo contrasto coi suoi paesi di retroterra, sviluppò un senso di ricchezza, di lusso e di raffinatezza conforme alla sede d'una dinastia potente e ambiziosa. La dinastia d'Asburgo coi suoi vasti dominî favorì a Vienna una singolare fusione di caratteri nazionali e internazionali che influì anche sull'arte. Tutto ciò ebbe profondi riflessi nella struttura etnografica della città; la popolazione originaria di Vienna è composta di Franconi e di Bavaresi, appartenenti a due stirpi tedesche che posseggono spiccate attitudini letterarie, musicali e artistiche. A questo nucleo centrale si uniscono parti cospicue di tutte le altre stirpi tedesche, ma anche Slavi, Magiari, Italiani, ecc.; strati numerosi deposti dalla storia millenaria della città. E anche questa mescolanza favorì la predilezione per l'elemento decorativo.

L'attività artistica a Vienna si può suddividere soprattutto in quattro periodi: romanico seriore, gotico seriore, tardo barocco e sec. XIX. Il periodo romanico seriore - conformemente alla posizione periferica sul margine orientale della civiltà europea - è costituito soltanto dal sec. XIII, l'epoca di trapasso dalla dinastia dei Babenberg a quella degli Asburgo. I monumenti principali di questo periodo sono la facciata occidentale e soprattutto la "Riesentor" del duomo di S. Stefano e il corpo centrale della chiesa di S. Michele, eseguiti in uno stile romanico arretrato, fortemente decorativo. Al periodo gotico appartiene S. Stefano, col coro costruito nel 1314-40, il corpo centrale iniziato circa la metà del sec. XIV, ma terminato solo nella seconda metà del sec. XV e una torre sul lato meridionale che, cominciata nel 1360, ebbe il suo aspetto caratteristico solo al principio del sec. XV e fu compiuta nel 1433. L'aggruppamento asimmetrico di queste tre parti e l'enorme tetto ripido che copre tutte le navate del corpo centrale sono gli elementi caratteristici della struttura esterna; nell'interno le tre navate e i tre cori hanno altezza uguale come in molte chiese nella Germania nord-orientale. Il duomo che accorda elementi di Praga con altri di Ulma in un timbro schiettamente locale, fu durante due decennî anche il centro di una fervida attività plastica e pittorica. Delle pitture rimangono solo scarsi avanzi (vetrate nel coro centrale del duomo) e la scuola pittorica fiorente nel sec. XV può solo a tratti essere ricostruita attraverso le scarse opere nel Kunsthistorisches Museum e in collezioni di conventi. Si sono invece conservate in buon numero opere di scultura (sia nel duomo stesso, sia nel museo civico e nel museo arcivescovile), e se ne può arguire la posizione della città in questo campo durante il Medioevo. Anche nell'architettura l'Opera del duomo di S. Stefano era ufficialmente riconosciuta come una delle quattro più importanti "Opere" dei paesi tedeschi. Tra le architetture gotiche notevoli vanno inoltre ricordate, oltre al duomo, anche la chiesa degli agostiniani e quella di "Maria am Gestade".

Del periodo del Rinascimento, che segnò un'insistente affluenza di forme provenienti dall'Italia settentrionale, si sono conservati solo avanzi insignificanti (parti della Hofburg, portale della chiesa del Salvatore). Un'attività più intensa s'iniziò nuovamente nell'epoca barocca che si può suddividere in un periodo di preparazione durante il quale avvenne il processo di compenetrazione tra gli elementi locali gotici ancora persistenti e quelli penetrati dall'Italia, e in un periodo di maturità e indipendenza nazionale. Il secondo assedio dei Turchi nel 1683 indica all'incirca il limite cronologico tra le due fasi. Agl'inizî del barocco, in cui esercitarono un'azione predominante i Carlone, i Canevale, i Piazzol, i Tencalla e altre famiglie di artisti e artefici italiani, appartengono soprattutto alcuni edifici religiosi: la chiesa dei domenicani, quella dei gesuiti, la chiesa degli Angeli. Nel periodo barocco seriore, in cui predominano gli artisti locali - Fischer von Erlach, J. L. von Hildebrandt - emerge l'architettura profana; persino gli edifici religiosi - S. Pietro, S. Carlo Borromeo, la colonna della Trinità nel Graben - non vanno esenti da alcunché di profano nell'ostentata ricchezza esterna, che si manifestò, naturalmente, anche con maggiore schiettezza negl'innumerevoli edifici della corte e della nobiltà. Primi fra questi vanno citati gli edifici imperiali: la Hofburg, le scuderie di corte, Schönbrunn, le due cancellerie imperiali. L'esempio imperiale fu seguito dalla nobiltà col "palazzo d'inverno" (oggi Ministero delle finanze) e i palazzi del Belvedere del principe Eugenio di Savoia, due palazzi Liechtenstein, i palazzi Schwarzenberg, Kinsky, Schonborn, Harrach, ecc. Ma anche la borghesia non si sottrasse al generale fervore edilizio rinnovando le proprie case, sicché l'aspetto dei quartieri più antichi di Vienna viene spesso ancor oggi determinato dalle costruzioni del sec. XVIII. Contemporaneamente si nota un rifiorire della pittura decorativa e della scultura, rappresentate quella da artisti quali Rottmayr, Gran, Altomonte, Maulpertsch, questa da Permoser, Mattielli, Giuliani, G. R. Donner.

Il passaggio al sec. XIX è formato da una corrente classicheggiante in cui le caratteristiche indigene vennero nuovamente sopraffatte da uno stile internazionale. Gli artisti più importanti sono l'architetto P. von Nobile (Burgtor, tempio di Teseo), lo scultore Zauner (monumento dell'imperatore Giuseppe II), il pittore Füger. Causa il distacco dell'Austria dall'impero tedesco e la situazione politica e culturale generale, la prima metà del sec. XIX significò per Vienna un periodo di raccolta delle proprie forze che allora si affermarono vigorosamente, non solo - come è notorio - nel campo della musica, ma anche in quello delle arti figurative, specie della pittura (Schwind, Waldmüller, Danhauser, ecc.). Dopo la demolizione dei bastioni che fino al 1857 avevano cinto la città vecchia, Vienna ebbe nella seconda metà del sec. XlX un'ascesa febbrile che culminò nella creazione della Ringstrasse con i suoi edifici monumentali (architetti principali: Van der Nüll e Siccardsburg, Hansen, Ferstel, Schmidt, Hasenauer), e nell'attività dei pittori Pettenkofen, Makart, Canon e degli scultori Fernkorn, Zumbusch, Tilgner. Contro l'eclettismo di quest'arte di epigoni reagì verso la fine del sec. XIX la "secessione" cui sono dovute - oltre a una serie di case d'abitazione e di ville - principalmente le costruzioni di Otto Wagner (palazzi della ferrovia urbana e della cassa di risparmio postale, chiesa a Steinhof) e di Olbrich (palazzo della secessione). La pittura coeva a questo stile architettonico - sopra tutto quella di Gustav Klimt - pose in valore la tendenza locale decorativa, influendo in primo luogo fortemente sulle arti minori viennesi. Intorno al 1900 Vienna fu uno dei centri dell'architettura e dell'arte decorativa europea.

Il vero e proprio centro della vita di Vienna è stato quasi sempre la città vecchia. Qui non solo si trovano gli edifici monumentali religiosi e profani, ma alcune zone del tardo Rinascimento o del Barocco vi hanno ancora conservato intero il loro carattere. Il centro topografico e architettonico della città, il duomo di S. Stefano, le conferisce per via della sua dominante massa verticale un carattere gotico cui aggiunge elementi barocchi il rifacimento pressoché completo di alcuni quartieri avvenuto nei secoli XVII e XVlII. Questo antico aspetto è stato, specie verso la periferia, sensibilmente trasformato dall'attività edilizia del sec. XIX; anche la Ringstrasse ha potuto conservare solo alcune parti della vecchia cinta pittoresca, nota attraverso antiche descrizioni e riproduzioni (nei pressi della Schottenbastei, della Stubenbastei e dell'Opera). Del resto la bellezza della Ringstrasse risiede nella sua ampiezza, nella successione di edifici monumentali di stile eclettico (la borsa, la chiesa votiva, l'università, il palazzo comunale, il Burgtheater, il parlamento, il museo di storia dell'arte e di storia naturale, l'accademia di belle arti, l'Opera) e nella serie di un nuovo tipo di case d'abitazioni conforme alle proporzioni ampliate. Entro questa intelaiatura architettonica, che corrisponde al sistema di boulevards tracciato contemporaneamente dal Haussmann nella Parigi del secondo impero, sono inseriti alcuni parchi (Volksgarten, Rathauspark, Burggarten, Stadtpark) e numerosi monumenti pubblici.

I sobborghi che si stendono intorno al nucleo centrale possedevano fin dal loro inizio un carattere differente da quello della città "interna", troppo popolata e ristretta; tendevano ad essere spaziosi, spesso raggruppati com'erano intorno alle residenze estive della nobiltà. Nel complesso del palazzo Schwarzenberg, del convento dei salesiani e del Belvedere, sono rimasti buoni esempî dell'architettura dei sobborghi viennesi di questo periodo, cui seguirono altri due periodi importanti di attività edilizia: quello, assai intenso, della seconda metà del sec. XVIII, collegato agl'inizî dell'industrialismo sotto Maria Teresa e Giuseppe II e rappresentato da quelle simpatiche case di abitazione e commerciali; l'altro, della seconda metà del sec. XIX, collegato allo sviluppo enorme che prese allora Vienna, ma che fu, artisticamente, assai meno fecondo. Queste zone, aggiunte a Vienna come sobborghi fin dall'inizio del secolo XVIII, furono nel 1857 interamente incorporate nella città e suddivise.

Intorno a questo cerchio di sobborghi "interni" racchiudente la città vecchia, si stende un secondo cerchio di sobborghi "esterni" anch'essi nel 1890 incorporati nella città (XI fino al XIX circondario) ed estesosi nel 1904 col XXI circondario anche sulla sponda sinistra del Danubio. Il carattere architettonico di questo cerchio esterno è, data la sua distanza relativamente più notevole dal vecchio centro, meno omogeneo di quello dei circondarî interni; vi sono parti che conservano intatto il loro originario aspetto di villaggi in contatto immediato con i boschi e le vigne dei dintorni di Vienna (Kahlenbergerdorf, Grinzing, Sievering, Neustift, Neuwaldegg), altre che hanno mantenuto il carattere, acquistato nei secoli XVIII e XIX, di luoghi di villeggiatura distinti o modesti (Hietzing, col palazzo imperiale estivo di Schönbrunn iniziato da Fischer von Erlach e compiuto da N. Pacassi al tempo dì Maria Teresa, Pötzleinsdorf, Gersthof, Döbling), altre infine che erano nel tardo sec. XIX i serbatoi della grande città in continuo sviluppo, quartiere operaio e di fabbriche con una popolazione che cresceva a sbalzi, d'uno stile architettonico uniforme proprio di simili quartieri popolosi del periodo prebellico (Ottakring, Simmering, Hernals, Floridsdorf). Solo l'architettura moderna e la coscienza più viva delle responsabilità sociali hanno portato a un miglioramento in questo campo; nelle case d'abitazione e nei numerosi quartieri, costruiti dal comune dappertutto alla periferia di Vienna, si è cercato, tenendo conto delle necessità sociali e igieniche, di conciliare le esigenze del presente con i valori vivi della tradizione. Con maggiore consapevolezza di prima Vienna cerca di sfruttare i suoi bei dintorni e di fare anche del Danubio un elemento vivo di tutta la città, sebbene esso sia legato a questa solo mediante un braccio secondario, il cosiddetto Canale del Danubio.

Musei e collezioni. - I particolari caratteri artistici di Vienna cui si è accennato, si manifestarono anche nell'attività dei suoi collezionisti. Le collezioni d'arte appartenenti alla dinastia fino al crollo della monarchia austro-ungarica nel 1918, le quali hanno fatto di Vienna un centro internazionale in questo campo, risalgono al sec. XV; tale nucleo fu in seguito ampliato da diversi membri della casa imperiale, tra i quali tre - l'imperatore Rodolfo II, l'arciduca Ferdinando del Tirolo e l'arciduca Leopoldo Guglielmo - si distinsero come collezionisti avveduti. Ciò che acquistarono andò ad arricchire un comune tesoro di famiglia che dal principio del sec. XVIII era tenuto insieme da una specie di fedecommesso e che rivelò, nonostante la provenienza disparata degli oggetti, un'omogeneità sorprendente. Queste collezioni di corte, alle quali si sono aggiunti nel corso dei secoli XIX e XX una serie d'istituti, anche statali, determinano ancor oggi il carattere dell'enorme patrimonio artistico che forma l'orgoglio di Vienna.

Questo patrimonio artistico si era formato con organicità, destinato a servire agli scopi rappresentativi della casa d'Asburgo. Ne derivano il suo carattere aulico e la sua composizione internazionale, la ricchezza di opere riguardo ad alcuni campi e le lacune relative ad altri, la preferenza data a prodotti tecnicamente perfetti di stili maturi e persino troppo maturi di fronte a creazioni primitive. La più nota, se anche non la più importante, delle collezioni artistiche di Vienna, la galleria di pittura, è meglio delle altre adatta a illustrare i caratteri peculiari or ora esposti di questo patrimonio artistico. Essa ha una sezione italiana, tedesca, fiamminga e spagnola, vi mancano quasi completamente opere francesi e inglesi poiché a questi due paesi non si estesero gl'interessi degli Asburgo. Entro i limiti della scuola tedesca, quella austriaca non aveva suscitato fino al 1918 un interesse speciale; solo dopo che le collezioni della corte sono diventate proprietà statale, si è concesso un posto speciale all'arte nazionale nel senso più stretto della parola. Non solo nella disposizione ma anche nella scelta del materiale artistico si rivela un determinato gusto proprio della famiglia degli Asburgo. Nella scuola italiana, ad esempio, mancano quasi completamente opere del Trecento e del Quattrocento, mentre è molto largamente rappresentata l'arte del Cinquecento; così pure i pittori fiorentini e romani passano in seconda linea di fronte a quelli veneziani che vi sono presenti con una serie ricchissima di opere stupende. Quanto è stato detto vale anche per le altre collezioni già appartenenti alla corte ed ora riunite, insieme con la galleria di pitture, nel Kunsthistorisches Museum e annessi: la collezione di scultura e di arti minori, riordinata nel 1934-35; la collezione di antichità greco-romane ed egiziane; il gabinetto delle monete e l'armeria cui è paragonabile solo quella di Madrid. A questo mirabile gruppo di musei appartiene anche la celebre collezione di arazzi che trova riscontro soltanto a Madrid, e i due Tesori, sacro e profano, quest'ultimo con le insegne del sacro impero germanico e della monarchia austriaca. Istituti strettamente affini sono l'Albertina, la più vasta collezione attualmente esistente di disegni e d'incisioni, e la Biblioteca Nazionale ricca di manoscritti miniati pregevolissimi.

Queste antiche collezioni di corte vengono completate da altre, statali o private, sorte più tardi, mediante le quali si è cercato, dal 1918, di colmare alla meglio le lacune delle prime. Le più importanti di queste collezioni sono il museo austriaco di arti e mestieri, il più antico museo del genere nel continente, poi le collezioni riunite nei palazzi del Belvedere: il museo di arte barocca, la galleria del sec. XIX e la galleria moderna, inoltre la galleria dell'accademia delle belle arti, il museo dell'esercito e il museo tecnico, il museo di storia naturale che nelle sezioni preistoriche ed etnografiche comprende materiale prezioso anche dal punto di vista artistico; infine il museo della città di Vienna, dell'Austria Inferiore, ecc. A ciò si aggiungono alcune importanti collezioni private accessibili al pubblico, soprattutto le gallerie del principe Liechtenstein, del conte Harrach, del conte Czernin. Le altre collezioni private di opere d'arte a Vienna, che furono in Europa tra le più importanti di quelle messe insieme nei secoli XVIII e XIX, sono state in gran parte disperse sino dalla fine del sec. XIX e specialmente dopo la guerra mondiale in conseguenza del declino politico ed economico della città. Tuttavia, anche in questi avanzi d'un passato splendido si riflette ancora quel bisogno di lusso, quel desiderio delle apparenze fastose che dalla corte imperiale passò alle altre istituzioni e, si direbbe quasi, a tutta la vita della città. (V. tavv. LXXV-LXXX).

Bibl.: Geschichte der Stadt Wien, ed. dal Wiener Altertumsverein, I-VI, Vienna 1897-1918; E. Guglia, Wien, ivi 1908; H. Tietze, Die wiener Kunstmuseen, ivi 1925; id., Wien (coll. Berühmte Kunstätten, LXVII), 3ª ed., Lipsia 1928; A. von Baldass, Das neue Wien, Vienna 1926-28; id., wien, 2ª ed., ivi 1931; H. Tietze, Wien, Kultur, Kunst, Geschichte, ivi 1931; L. Réau, Vienne, Parigi 1932 (coll. Les villes d'art célèbres).

Vita culturale.

Anche le istituzioni culturali si svilupparono a Vienna in funzione dell'impero e in proporzioni commisurate all'importanza della città che ne era la capitale. L'università, fondata da Rodolfo IV nel 1365 sul modello di quella di Parigi e completata da papa Urbano IV nel 1384 con la concessione dei privilegi e con la costituzione della facoltà teologica, ricevette verso la fine del sec. XIV la sua prima struttura organica da Heinrich von Langenstein. Ma a lungo ancora continuò a regnarvi uno spirito medievale e solo con l'arrivo di Enea Silvio Piccolomini a Vienna tendenze nuove incominciarono a penetrare nelle chiuse aule: la lezione che egli vi tenne nel 1445 sopra il valore esemplare degli antichi e dell'antica poesia segnò difatti l'inizio di tutta una fioritura di studî classici, da cui anche l'università doveva alla fine del secolo riuscire rinnovata, quando numerosi umanisti italiani vi furono chiamati a insegnare: Hieronimus Balbus, Iohannes Ricutius Vellinus, Angelus Cospus, Iohannes Silvius Siculus, ecc. Nelle persistenti ostilità dell'ambiente gli umanisti italiani ebbero spesso la vita difficile; e alla fine anche lo stesso Balbus dovette andarsene. Ma ebbe a successore il Celtis - che egli medesimo aveva proposto. E con la nomina del Celtis, avvenuta nel 1497, il carattere umanistico dell'università restò definitivamente consolidato. Già nel 1487 il Celtis stesso, in un suo soggiorno a Vienna, aveva fondato la Sodalitas danubiana. Nel 1501 vi istituì anche il Collegium poetarum et matematicorum.

La morte del Celtis nel 1508, i disordini dopo la morte di Massimiliano nel 1519, la peste del 1521, l'assedio dei Turchi nel 1529 determinarono in seguito un sempre crescente decadimento, dal quale l'università non riuscì per secoli a risollevarsi interamente, né quando - dopo l'arrivo dei gesuiti a Vienna nel 1551 - lo spirito della Controriforma prese un sempre più deciso e, da ultimo, definitivo sopravvento, né più tardi, quando l'illuminismo, sotto Maria Teresa e più ancora sotto Giuseppe II, divenne uno degli elementi basilari della nuova vita intellettuale. Solo col sec. XIX si ebbe la definitiva ripresa, col potente impulso che il nuovo secolo diede alle discipline storiche e scientifiche. E anche oggi l'università di Vienna - con le sue cinque facoltà, comprese quelle teologiche, e con i suoi dodicimila studenti - è fra le più importanti d'Europa, tanto per gli studî storici, filologici, giuridici quanto per gli studî di medicina, di matematica e di scienze naturali.

Per la ricerca scientifica l'università è fiancheggiata anzitutto dall'accademia delle scienze. Promossa inizialmente da Leibniz che ne studiò per primo l'organizzazione, rimasta per oltre un secolo allo stato di progetto, dopo che la morte del filosofo-statista ne ebbe troncato l'attuazione, l'accademia fu fondata solo nel 1847; ma, favorita da un potente incremento di tutte le attività scientifiche, assunse rapidamente un grande sviluppo; e a tutti gli studiosi sono note non soltanto le pubblicazioni che si susseguono nei suoi Atti e Resoconti o nelle sue Memorie, ma anche le altre molte e importanti che avvengono a cura delle numerose commissioni in cui le sue due classi si sono costituite: dall'Enciclopedia matematica alle Fontes Rerum Austriacarum; dalle ricerche di biologia all'edizione critica dei testi latini dei Padri della Chiesa; dai Monatshefte für Chemie all'Archiv fŭr österreichische Geschichte; dalle Mitteilungen des Institutes für Radiumforschung agli scavi archeologici e all'edizione dei cataloghi delle biblioteche del Medioevo, ecc. Oltre un centinaio di associazioni culturali minori e istituzioni scientifiche a compito specializzato - alcune delle quali, come il Bundesdenkmalamt per la protezione delle opere d'arte e del paesaggio, la Leogesellschaft, la Prähistorische Gesellschaft, la Geographische Gesellschaft, la Grillparzer Gesellschaft, il Verein für Volkskunde, l'Institut für religionspsychologische Forschung, il Verein für Individualpsychologie, la Wiener psychoanalytische Vereinigung, la Gesellschaft für Herausgabe von Denkmälern der Tonkunst, la Zoologisch-botanische Gesellschaft, il Serotherapeutisches Institut, dànno vita a importanti pubblicazioni - promuovono, anche all'infuori dell'accademia, gli studî.

Due grandi biblioteche sono a disposizione degli studiosi. La Staatsbibliothek - già Hofbibliothek - fondata nel 1526 da Ferdinando II, possiede quasi un milione e mezzo di volumi, e ricchissime collezioni di manoscritti (oltre 30.000), autografi (circa 60.000), testi musicali (22.000 manoscritti, 30.000 a stampa), testi teatrali (120.000, con una bibliografia di oltre 20.000 pubblicazioni storico-critiche), carte geografiche (113.000), ritratti (260.000): ed è celebre in tutto il mondo la raccolta di papiri (33.000 greci e latini; 60.000 orientali): ha, oltre al catalogo generale dei manoscritti, un particolare catalogo a stampa per i manoscritti miniati e gl'incunaboli, per i manoscritti ebraici, e, dal 1922 in poi, per tutte le nuove accessioni; e ha promosso negli ultimi anni alcune fondamentali pubblicazioni interessanti la storia dell'arte, la storia del teatro e della musica, gli studî di papirologia e gli studî orientali. La Universitätsbibliothek, fondata nel 1775, dispone di un milione e 200 mila volumi, e comprende soprattutto opere moderne. Tra le rimanenti biblioteche sono variamente importanti - oltre a quelle specializzate del Bundesamt e dei singoli ministeri - la Fürstlich Liechtensteinische Fideikommiss Bibliothek che risale al sec. XVI e presenta con i suoi 100.000 volumi particolare interesse anche per i rapporti letterarî fra l'Italia e l'Austria; la Bibliothek des Benediktiners Stiftes Schotten che risale al sec. XIII ed è ricca di circa 100.000 volumi; la Bibliothek der Mechitaristenkongregation, che con i suoi 105.000 volumi e col suo migliaio e mezzo di manoscritti è fra le più interessanti di Europa per gli studî armeni. Per gli studî di storia dell'arte hanno rilievo anche la biblioteca del Kunsthistorisches Museum (30.000 voll.) e quella delle Städtische Sammlungen (30.000 voll.). Per gli studî storici infine è preziosa la biblioteca sussidiaria (50.000 voll.) del Haus-Hof und Staatsarchiv, la cui imponente massa di materiale documentario tanto interesse offre per la storia di tutta Europa e, in particolar modo, anche per la storia d'Italia.

Il benefico influsso di tante possibilità di studio scientifico si è fatto naturalmente sentire anche nelle istituzioni destinate all'educazione tecnica o artistico-professionale, le quali col tempo sono venute sempre crescendo di numero e d'importanza. Al 1692 risale l'Akademie der bildenden Künste, la quale ha tradizioni gloriose, possiede una propria ricchissima galleria - con oltre 300 opere d'antica arte italiana - e una importante biblioteca. Nel 1754 seguì la Konsularakademie, fondata da Maria Teresa col titolo di Akademie der morgenländischen Sprachen e riformata nel 1898 su due sezioni - storico-politico-giuridica e economico-commerciale - per la preparazione alla carriera diplomatica. Soltanto nel 1817 fu invece istituito il conservatorio, e rimase istituto civico fino al 1909, quando passò allo stato e fu riorganizzato in una Akademie für Musik und darstellende Kunst: la sua organizzazione attuale risale al 1925, quando fu ampliato e assunse - accanto al titolo di "Akademie" - anche quello di "Hochschule". Delle istituzioni tecnico-scientifiche la più antica è la scuola di veterinaria, "Tierärztliche Hochschule" - fondata da Giuseppe II nel 1777. Al 1872 risale l'istituzione della Scuola superiore di Agraria - Hochschule für Bodenkultur - organizzata in relazione alle particolari esigenze dell'agricoltura austriaca, con ampio sviluppo degli studî forestali e con una buona biblioteca specializzata, ora ricca di 80.000 volumi. Nel 1898 seguì la creazione della scuola superiore di commercio - Hochschule für Welthandel. E largamente nota, anche fuori dei confini dell'Austria, è la Technische Hochschule, con la sua complessa struttura d'insegnamenti tecnici speciali, con i suoi 3000 studenti, e con la sua biblioteca ricca di 200.000 volumi.

La situazione geografica e le tradizioni intellettuali, facendo di Vienna una naturale zona d'incrocio delle diverse culture europee, hanno dato impulso anche al sorgere di numerose istituzioni che coltivano i rapporti spirituali con gli altri popoli. Alcune, come il Kulturbund, conservano il loro carattere d'iniziativa privata. Altre, come gli Internationale Hochschulkurse, istituiti nel 1922, hanno carattere ufficiale. Una speciale Lehranstalt für orientalische Sprachen, fondata già nel 1851 e riordinata nel 1873, provvede agl'insegnamenti linguistici per i rapporti con l'Oriente. I legami storici con l'Ungheria sono consolidati dall'Ungarisches historisches Institut, fondato nel 1920 e fiancheggiato da un apposito Collegium Hungaricum. Allo sviluppo dei rapporti con l'Italia provvede ora l'Istituto di cultura italiana, fondato nel 1935, con ricca biblioteca e degna sede nell'artistico palazzo Fürstenberg.

Vita musicale.

Ciò che si conosce sui primordî della vita musicale in Vienna è eccezionalmente lacunoso. Nella colonia romana le coorti che stazionavano a Vindobona cercavano quelle stesse distrazioni che avevano in patria e i cittadini romani si sforzavano di imitare i divertimenti del loro paese; vi furono perciò anche nella regione viennese, come nella vicina Carnuntum, rappresentazioni teatrali, che in parte erano anche musicali, e si cantavano le stesse canzoni di danza che altrove. Accanto a queste manifestazioni artistiche echeggiarono le varie melodie popolari (Volksweisen) delle incalzanti tribù di origine germanica, slava, avarica senza lasciare dietro di sé alcuna testimonianza.

Per l'epoca delle migrazioni dei popoli e per i secoli immediatamente successivi ci si trova completamente all'oscuro, circa l'attività musicale nella città. Soltanto intorno al 480 viene menzionato un direttore di coro Moderatus. Certo anche a Vienna si dovevano conoscere canzoni nuziali e funerarie, canzoni di danza e canti guerrieri. La penetrazione della Chiesa cristiana portò con sé il corale; nell'interpretazione del quale si andarono sviluppando stilemi locali che tuttavia non mutarono profondamente il carattere dei testi originarî. Nella piccola cittadina che poco dopo il Mille venne uscendo dall'ombra, si cantarono corali nelle chiese e nei monasteri che si vennero costruendo e fu nelle loro scuole che le tendenze musicali furono fondamentalmente influenzate o, in generale, trassero origine. La teoria musicale fu dentro le loro mura particolarmente curata (ci sono state conservate dai conventi viennesi numerose copie dei trattati musicali di tutti i periodi del Medioevo); nella pratica le manifestazioni musicali non si riducevano alla musica di chiesa, ma si estendevano anche alla musica profana d'arte; come è noto le canzoni d'arte, quelle d'amore, le politiche, le enigmatiche (Rätsel) le canzoni di danza, gl'inni di guerra furono chiaramente influenzati dal corale; ci sono state conservate canzoni di Natale, Quaresimali, Pasquali, per la Madonna: si conoscono rappresentazioni sacre della Passione, pasquali e natalizie che risalgono al sec. XIII; processioni, mascherate e feste accompagnate da musica ci sono spesso descritte, pur mancandoci una precisa esposizione del tipo della musica stessa.

Alla corte che oramai ha la sua sede in Vienna, s'incontrano Minnesänger: Reinmar von Hagenau, chiamato il Vecchio, Walter von der Vogelweide, Neidhart von Reuental (che visse lungamente a Vienna ed è ricordato da un monumento nel duomo), Ulrich von Lichtenstein, Reinmar von Zweter, il Litschauer, Tannhäuser, Heinrich von Meissen, detto "Frauenlob" ed altri sono stati certamente alla corte dei Babenberg e dei primi Asburgo. Inoltre, cantori erranti, che attraversano il paese, si trattengono nella città. Anche la fondazione di una confraternita di S. Nicola dei musici prima del 1288, che poi nel 1354 fu trasformata in un Ufficio della musica di Contea (Spielgrafenamt) e che rimase in vita fino al 1782, sembra che abbia avuto lo scopo d'impedire un'immigrazione di musicanti stranieri. L'organizzazione corporativa dei musici fu qui la stessa che nelle altre città tedesche, e solo la preferenza che la casa imperiale ebbe per la musica straniera impedì quel pericoloso irrigidimento che è ad esempio rappresentato dal Meistergesang nelle città della Germania centrale, e con il continuo mutamento degli artisti permise l'afflusso di sangue sempre nuovo. Il Meistergesang, anche in epoca più tarda, non fu molto curato a Vienna; si possono ricordare soltanto lo svevo Michael Behaim (1416-74), il quale dopo poco tempo lasciò di nuovo la città, e Wolfgang Schmeltzl, maestro agli Scozzesi (1500-61), che pubblicò un libro di Quodlibeta il quale permette di trarre importanti conclusioni sulla musica popolare del tempo. Vienna del resto non era adatta a queste tendenze anche per la sua posizione sulla linea di separazione tra due civiltà, ed esposta all'influenza di molte nazionalità estranee; ed è certo così che poté sorgere quella forma artistica con impronta sovranazionale che viene considerata come la scuola classica viennese e rappresenta il vertice musicale di Vienna.

Il primo fiorire della musica seria a Vienna ebbe inizio nella cattedrale di Santo Stefano, dove esiste nel 1287 un regens chori Gottfried; nel 1334 Santo Stefano ha un organo.

Come seguito a una tradizione che risale al 1356, sotto Federico III, sorse nel 1460, sulla base di un ordinamento scolastico emesso nel 1446, una cantoria che doveva curare esclusivamente la musica chiesastica. Lo stato della musica plurivocale a Vienna in quest'epoca ci è presentato dal repertorio raccolto nei sette Codices Tridentini che per massima parte furono compilati da Johann Hinderbach, successivamente vescovo di Trento, quando egli stava nella cittadina di Mödling, vicino a Vienna, e che abbraccia circa 2000 temi di musica ecclesiastica e laica della prima metà del sec. XV quale veniva cantata in Vienna. Il successore di Federico III, suo figlio Massimiliano I, che già quando era arciduca ad lnnsbruck aveva tenuto una pregiata Musikkapelle che egli portò poi con sé a Vienna, con un decreto del 7 luglio 1498 costituì una Hofkapelle che eseguiva anche musica laica. La Kapelle dipendeva dall'Obersthofmeisteramt e da intermediario tra questi e il Kapelmeister faceva il Musikoberdirektor, membro della nobiltà, più tardi chiamato Spielgraf. La Kapelle era diretta da un Kapellmeister accanto al quale stava per lo più un vicemaestro di cappella e nel sec. XVII più di uno; questi, come pure i compositori di corte incaricati appositamente e gli organisti (a questi appartengono nel corso dei tempi tra gli altri musicisti noti anche Mozart e Bruckner) dovevano provvedere la Cappella di musica; ma si cantava anche, contrariamente alle usanze vigenti altrove, musica di musicisti stranieri. Scomparì quasi completamente durante la guerra dei Trent'anni; nuovamente sostenuta da Ferdinando III e Leopoldo I, essa rapidamente si riprese fino a raggiungere i 102 membri nel 1705. Dal 1790 essa si mantenne fino al giorno d'oggi con un corpo di circa 50 membri. La Cappella di corte non doveva provvedere soltanto la musica di chiesa, ma anche quella da mensa, doveva eseguire gli accompagnamenti alle feste e più tardi fu anche incaricata delle esecuzioni di opere e di oratorî. Il primo direttore della Cappella di corte fu Georg Slatkonia, vescovo di Vienna, morto nel 1522. Vienna vede, sotto Massimiliano I, raccolte nelle sue mura le forze migliori della musica tedesca: Heinrich lsaak, 1497, e il suo successore come maestro di cappella Ludwig Senfl (fino al 1520); a questi segue come maestro della caphella imperiale fino al 1545 Arnold von Bruck; come organista suonò a Vienna anche il celebre organista di Radstadt nell'arcivesc0vato di Salisburgo, Paolo Hofhaymer. Fino dal 1492 lavorava a Vienna Heinrich Finck il Liedersänger che morì come organista del monastero degli Scozzesi; a S. Stefano fu 0rganista Wolf Grefinger, compositore di canzoni da compagnie (Gesellschaftslieder). Per due secoli e mezzo la Cappella di corte fu al centro della vita musicale di Vienna; nella sua composizione, nella provenienza dei suoi membri si rispecchia chiaramente di volta in volta la preferenza per l'una o l'altra delle nazioni musicali straniere. Se i primi direttori della Cappella erano di origine austriaci, ed erano soltanto sotto l'influenza olandese, essi più tardi furono olandesi di nascita - già allora l'Olanda era sotto il dominio asburgico - così Petru Moessanus, vicemaestro di cappella dal 1543 al 1545 e maestro di cappella dal 1546 al 1562, poi G. Castiletti (maestro di cappella dal 1563 al 1564). Jacob Vaet (1565-67); dopo la sua morte si pensò di nominare maestro di cappella imperiale Palestrina c fu solo più tardi che l'arte olandese ebbe la preferenza e si chiamò Philip de Monte (maestro di cappella dal 1568 al 1603), accanto al quale come vicemaestro di cappella fu chiamato A. du Gaucquier (1567-1576) e Jacob Regnard (1580-1582 e 1598-1599); ma già allora lavoravan0 anche gl'italiani Giovanni De Castro (1582-1584) e Camillo Zanotti (1586-1591); a Lamberto de Sayve (1612-14) segue il maestro austriaco dello stile concertante Cristoforo Straus (1616-1619), dopo il quale si afferma la preferenza per la musica italiana: l'mperatore Ferdinando II quando era salito al trono e dal suo granducato di Gratz si era fissato nella città imperiale aveva portato con sé una parte della sua cappella di musica influenzata dagl'Italiani e aveva preso come maestro di cappella Giovanni Priuli (1619-29), al quale succedette Giovanni Valentini che lavorava già a Vienna dal 1615 e fu maestro di cappella dal 1630 al 1649; Antonio Bertali (1649-1669) fu l'ultimo di questo gruppo di maestri italiani dello stile pluricorale, al quale si unì ancora Orazio Benevoli che soggiornò a Vienna dal 1643 al 1645. Al Bertali successe l'ex-vicemaestro di cappella (1649-1669) Felice Sances (1669-1679), e a questo il maestro delle composizioni di balletti, un distinto compositore di chiesa, Joh. Heinrich Schmelzer, vicemaestro di cappella dal 1671 al 1679, maestro di cappella fino al 1680. Con Antonio Draghi, intendente di corte dal 1680 al 1681, maestro di cappella dal 1682 al 1700 penetra a Vienna il moderno stile italiano, lo stile veneziano: Draghi domina completamente la vita musicale di Vienna del suo tempo. A lui succede il suo vicemaestro di cappella (1697-1700) A. Pancotti (fino al 1709), poi dal 1712 al 1715 venne il compositore di numerose opere M. A. Ziani, che già dal 1700 era vicemaestro di cappella. Ed ora è nuovamente un austriaco che viene in primo piano. il grande teorico Johann Josef Fux, che fino dal 1696 era organista agli Scozzesi, nel 1698 compositore di corte, vicemaestro di cappella dal 1711 al 1715, maestro di cappella fino al 1740; accanto a lui restò per 20 anni come vicemaestro di cappella Antonio Caldara (1716-26): furono essi a preparare il terreno alla scuola classica viennese. Accanto a questi musicisti tutti compositori di rango, dei quali solo pochi erano tradizionisti, la corte imperiale viennese seppe anche assicurarsi, come compositori di corte, illustri musicisti, tra i quali il maestro d'organo olandese Carl Luython, compositore di corte di Massimiliano II e Rodolfo II; Johann Jacob Froberger, organista di corte dal 1641 al 1645 e dal 1653 al 1657, creatore della Suite per pianoforte; Wolfgang Ebner, nel 1634 organista a S. Stefano, nel 1639 organista di corte, nel 1663 maestro di cappella a S. Stefano, morto nel 1665, maestro del compositore di Leopoldo I, Johann Kaspar Kerll (organista a S. Stefano dal 1673 al 1683); il maestro di clavicembalo Alessandro Poglietti, che trovò la morte nel 1683 durante il secondo assedio dei Turchi; Ferdinand Tobias Richter, dal 1683 organista di corte, nel 1692 maestro di musica dei principi; il violoncellista e compositore Giovanni B. Bononcini ed altri. Anche il notevole compositore Jacobus Gallus (Handl) che viene anche chiamato "il Palestrina della Carnia", aveva lavorato qui dal 1579 al 1585 come cantore. ll numero dei compositori d'opera italiana che fornirono dietro ordinazione della casa imperiale musica per le esecuzioni di opere e di oratorî, è legione; si può dire che quasi tutti i più importanti maestri sono qui rappresentati.

Un secondo centro di arte musicale viennese fu l'università. L'umanista Conrad Celtes, che operò a Vienna fino dal 1497, aveva reso familiare l'ambiente viennese con le tendenze dell'umanesimo; per suo impulso si fece la traduzione delle odi di Orazio di Petrus Tritonius musicate da Hofhaymer. Il primo dramma della scuola a Vienna sembra sia stato il Voluptatis cum virtute disceptatio, che fu eseguito nel 1515; in questi drammi scolastici, che venivano specialmente eseguiti nelle scuole e nelle università dirette dai gesuiti e che perciò sono anche chiamati drammi dei gesuiti, venivano eseguite con accompagnamento musicale singole scene particolarmente importanti, come tempeste, temporali, scene infernali: infine venivano cantati i cori di chiusa e più tardi vennero anche intercalati intermezzi. La tradizione di questi drammi si conservò fino alla fine del sec. XVIII; essi tra l'altro furono musicati da V. Schmeltzl J. K. Kerll, F. T. Richter, J. M. Zacher, B. Staudt. La forma andò a poco a poco cadendo nel festino musicale, i ludi cesarei di Vienna che erano già vicini all'opera, e nelle cantate, quando il testo inizialmente latino si era ormai trasformato nell'ultimo caso in lingua tedcsca.

L'opera ebbe a Vienna nel sec. XVII un'eccezionale fioritura con impronta propria datale dal sostegno da parte della casa imperiale; quattro imperatori non solo furono amici della musica, ma essi stessi abili compositori: Ferdinando III (1637-57), Leopoldo I (1658-1705). Giuseppe I (1705-11), Carlo VI (1711-40); l'imperatrice Maria Teresa (1740-80) fu una distinta cantante. Le opere di questi imperatori sono accessibili in parte ora in nuove edizioni. Vienna aveva visto i precedenti dell'opera nella forma di serenate in un atto, componimenti per camera, balletti, atti (Aufzüge). Nel 1620 si scritturò da Mantova, patria dell'imperatrice, una compagnia d'opera; naturalmente però da principio non si poterono ascoltare altro che piccole cantate con scene semidrammatiche. Poi l'opera veneziana inviò i suoi primi messaggeri con il melodramma Allegrezze del mondo e con una canzone Orfeo, che furono eseguite in occasione del matrimonio di Ferdinando III con la infante Maria Anna di Spagna nel 1631. Nel 1641 fu eseguito un dramma per musica composta dal conte Francesco Bonacossi, Arianna abbandonata, il cui testo è stato conservato, ma la cui musica è andata perduta. Nello stesso anno venne eseguito un dramma Armida e Rinaldo, nel 1643 l'Egisto di Francesco Cavalli ebbe grandissimo successo, nel 1650 il suo Giasone. Ferdinando III compose nel 1649 egli stesso un drama musicum; egli si adoperò molto per far affermare il genere e si deve al suo appoggio se la cappella di corte di Vienna poté eseguire al Reichstag di Ratisbona del 1653 l'Inganno d'amore di Bertali. Sotto l'imperatore Leopoldo I furono eseguite quasi 400 opere e oratorî, sotto Giuseppe I ogni anno se ne eseguivano circa una dozzina. I poeti di corte Aurelio Amalteo (1660-69), Nicolò Minato (1669-98), Pietro Pariati (1713-29), Apostolo Zeno (1718-29), Nicolò Pasquini (1726-40), provvedevano non soltanto Vienna di una quantità di libretti d'opera che venivano messi in musica da maestri di cappella e da compositori di corte. M. A. Cesti si presentò nel 1664 con la sua opera Dori; nel 1618 segue Il pomo d'oro. Bertali creò nella stessa occasione (il matrimonio dell'imperatore con l'infanta Margherita Teresa di Spagna) un "balletto a cavallo"; dopo di loro domina A. Draghi che godette del particolare favore dell'imperatore Leopoldo I, dalla sua prima opera viennese Almonte nel 1661 fino al 1700 scrivendo 80 opere; accanto a lui lavorarono H. Schmelzer come compositore di balletti; L. A. Ziani (1703-15) e C. A. Badia. Seguì poi G. B. Bononcini, che visse a Vienna dal 1691 al 1716, con qualche interruzione, come violoncellista e compositore di corte; nel 1700 compare anche con una Festa teatrale J. J. Fux; con lui lavorarono A. Caldara e F. Conti, ma si eseguirono anche opere di stranieri come l'Amore non vuole inganni di Antonio Scarlatti nel 1681. Ma non soltanto i musicisti di quest'epoca erano italiani, il Pomo d'oro fu inscenata da un membro della famiglia Burnacino vivente a Vienna, Lodovico (che costruì anche il relativo teatro dell'opera) e alla famiglia Burnacino seguirono gli architetti teatrali Galli-Bibbiena. Si attiravano inoltre a Vienna i migliori cantanti. All'epoca di Leopoldo I, la cui prima moglie Margherita Teresa era spagnola, si tentò anche d'introdurre le opere spagnole, ma ciò non riuscì. A Vienna, c'era più di un teatro d'opera, fino al 1699 il teatro dei Burnacini, poi dopo il 1708, dopo un teatro provvisorio, un teatro in luogo dell'attuale Redoutensaal, una sala teatrale alla Favorita, castello nell'antico sobborgo di Vienna, ora compreso nel V distretto, un'altro nel castello di Augarten, ora nel II distretto. Allora non esistevano a Vienna teatri permanenti accessibili a tutti; rappresentazioni per invito avevano luogo, come anche più tardi, nelle case ospitali. L'appoggio dato all'opera dagl'imperatori venne meno sotto Carlo VI il quale, per ragioni di economia, si vide costretto a limitare le rappresentazioni d'opera.

Anche l'oratorio veneziano fu molto curato a Vienna e sostenuto dalla casa imperiale; tuttavia non diventò mai popolare e rimase sempre un surrogato dell'opera quando questa veniva a mancare durante la quaresima, usanza questa che si mantenne fino al sec. XIX, quando si compresero tra le opere rappresentabili nelle sale da concerto quelle di argomento biblico. Si venne sviluppando anche una particolare sottospecie di oratorio: il "Sepolcro", cioè scene della storia della passione di Cristo eseguite sulla tomba aperta nell'epoca pasquale.

La musica popolare di quest'epoca è nella sua maggior parte andata perduta perché ad essa non si prestò attenzione; soltanto singole melodie, la cui origine locale non si può tuttavia stabilire, si sono conservate, come pure delle canzoni popolari, da giuoco, da ballo, d'amore, di brindisi (Trinklieder) e di caccia che sono alla base delle canzoni da compagnie (Gesellschaftslieder) di Senfl, di Finck, di Hofhaymer, di Grefinger, di Schmeltzl. Molte melodie popolari si trovano anche nelle Lautentabulaturen di Hans Judenkünig (morto a Vienna nel 1526) di Hans e Melchior Neusiedler, nativi della vicina Presburgo e di Valentino Greff-Bakfark (a Vienna dal 1566 al 1568).

I compositori al servizio di corte, gli organisti di S. Stefano, del monastero degli Scozzesi e di altri conventi dovevano inoltre provvedere la musica strumentale e anche per questa vi fu a Vienna gran cura; si trattava di scrivere musica da ballo e da banchetti (Tafelmusik) cioè musica da camera; tra le opere dei musicisti di corte che fin dal 1600 quasi tutti lavorarono anche in questo campo, si debbono ricordare specialmente le composizioni da ballo di J. H. Schmelzer, le opere da organo e da clavicembalo di J. J. Froberger, le suite di W. Ebner come pure le composizioni di J. K. Kerll, di Joh. Pachelber (organista a S. Stefano dal 1674 al 1677), dell'organista di corte F. Tobias Richter (dal 1683 successore di Paglietti fino al 1711 come capo organista), come pure di Georg Muffat (a Vienna tra il 1674 e il 1678). Sempre più si venivano così a far valere quelle tendenze che, attraverso Gottlieb Muffat (a Vienna dopo il 1704, organista di corte dal 1717 al 1763), G. M. Monn (organista della chiesa di S. Carlo, morto nel 1750), Georg e Johann Georg Reutter (rispettivamente maestri di cappella a S. Stefano dal 1715 al 1738 e dal 1738 al 1772), M. Schlöger (morto a Vienna nel 1766), Franz Tuma (morto a Vienna nel 1774), Georg Chr. Wagenseil (allievo nel 1736 alla cappella di corte di Vienna, poi compositore di corte e maestro imperiale di musica, morto a Vienna nel 1777), J. Starzer e i compositori viennesi di balletti, dovevano portare, con una trasformazione della forma musicale, all'epoca classica viennese, quando accanto a Ch. W. Gluck (fisso a Vienna dal 1750 al 1774 e maestro della cappella di corte dal 1759 al 1767), a Florian Leopold Gassmann (1764-74), a Ignas Umlauf (1756-96) e a Carlo Ditters di Dittersdorf (1739-65 e anche più tardi ripetutamente a Vienna), comparve Joseph Haydn, che passò la sua giovinezza dal 1740 al 1759 a Vienna, dove soggiornò spesso d'inverno quando si trovava presso il principe Esterhazy in Eisenstadt e che poi visse a Vienna dal 1790 fino alla sua morte, ad eccezione dell'epoca dei suoi viaggi londinesi, esercitando una straordinaria influenza sulla vita musicale viennese, e comparve poi Wolfgang Amadeus Mozart, che dopo i suoi primi soggiorni occasionali subito dopo essere stato licenziato dal suo servizio a Salisburgo nel 1781, non doveva più lasciar Vienna fino alla morte, tranne che per brevi viaggi. Vienna era così diventata il centro della musica europea, specialmente negli anni del congresso. Tutta l'arte musicale non si raccoglieva ormai più come cento anni prima alla corte; ma nelle case nobili, ad es., quella del principe di Sachsen-Hildburghausen, dei principi Esterhazy, Lobkowitz, Schwarzenberg, veniva eseguita verso la metà del secolo musica seria e così nei più distinti ambienti borghesi; basta pensare alle dediche delle opere dei grandi maestri dell'epoca, ai Lobkowitz, Kinsky, all'arciduca Rodolfo che davano a Beethoven quella rendita che gli consentiva la sua libera vita d'artista; basta pensare ai sottoscrittori per la prima esecuzione della Creazione di Haydn nel 1799, i principi Esterhazy, Trautmannsdorff, Lobkowitz, Schwarzenberg, Lichtenstein, Lichnowsky, i conti Marschall, Fries, ecc., all'ambasciatore russo principe Razumovskij. All'iniziativa del medico, più tardi direttore della biblioteca di corte Gottfried van Swieten, si deve una vera e propria rinascita di Händel la quale lasciò la sua impronta nella rielaborazione di 4 oratorî di Händel fatta da Mozart, della Acis e Galatea, del Messia, dell'Ode a Cecilia, dell'Alexanderfest, e si fece sentire stilisticamente nelle opere di Mozart e negli oratorî di Haydn Le stagioni e La creazione. Come si vede, non era più la cappella di corte a tener la direzione della vita musicale di Vienna; infatti i suoi direttori non furono più, dopo J. J. Fux Hinscheiden, personalità di rango: il tradizionalista Luc. Antonio Predieri (vicemaestro di cappella dal 1739 al 1746, maestro di cappella dal 1746 al 1769), Georg Reutter sotto il quale la cappella toccò il fondo della decadenza finché il valoroso Florian Leopold Gassmann, che agì da stimolo anche su Mozart, con la sua breve attività di due anni la salvò nuovamente; a lui seguirono Giuseppe Bonno (1774-88), e Antonio Salieri (1788-1824); la cappella nel sec. XIX continuò una modesta esistenza sotto J. v. Eybler, J. v. Assmayer, B. Randhartinger, J. Herbeck. Dopo il crollo dell'Austria essa fu rinnovata come cappella municipale (Burgkapelle), accanto alla quale sta il celebre Istituto viennese dei ragazzi cantori (Wiener Singerknabeninstitut).

Come nell'epoca che va dal 1550 al 1650 tutto l'interesse era diretto alla musica di chiesa e dal 1650 al 1750 all'opera, così ora si dirigeva alle creazioni sinfoniche e alla musica da camera, sebbene la vita dell'opera rimanesse ancora straordinariamente attiva. Nel 1763 sorse il "Neues Kärntnerthortheater" che fu sostituito soltanto nel 1809 dall'attuale grande teatro dell'opera di stato. Sotto la direzione del conte Durazzo (1752-64) si tentò di costituire un teatro tedesco, ma il tentativo fallì; con l'appoggio di Giuseppe II sorse nel 1778, accanto al teatro nazionale tedesco, fondato nel 1776, un'opera nazionale tedesca (Nationalsingspiel) che tuttavia nel 1787 dovette abbandonare il teatro di corte per trasportarsi sui palcoscenici dei sobborghi perché non riusciva a reggersi contro l'opera seria, per lo più italiana. Tuttavia preparati da opere come La Contessina di F. L. Gassmann del 1770, molti musicisti crearono numerose opere dello stesso genere: J. Starzer, G. C. Wagenseil, J. Umlauf, K. Ditters von Dittersdorf, W. A. Mozart, J. Schenk, P. Winter, J. Weigl, F. Kauer, A. Gyrowetz, W. Müller. Accanto ad essi restava l'opera seria di un Gluck, di Mozart, Ditters, Salieri, Martín y Soler, Paisiello, Cimarosa, Gazzaniga (all'opera di Vienna dal 1768 al 1801) e di altri; sotto la direzione di A. Salieri, accanto al quale stavano come vicemaestri di cappella Umlauf e Weigl, seguirono poi Beethoven (Fidelio prima esecuzione al Teatro di Vienna, Kärtnerthortheater il 23 maggio 1814), Cherubini, Paer, Spohr, Rossini, Schubert, Weber, J. Schenk, P. Winter, A. Gyrowetz, Fr. X. Sussmayer, C. Kreutzer. Succedettero a Salieri, F. e V. Lachner, e C. Kreutzer. Ormai il Kärtnerthortheater, accanto al quale già prima esistevano altri teatri che non si dedicavano soltanto alla musica leggiera (come il Teatro Marinelli di Leopoldstadt attualmente Carltheater dopo il 1781) aveva serî concorrenti nel Freihaustheater (1787-1801), per il quale Mozart aveva scritto il suo Flauto magico e che si trasportò poi nel Theater an der Wien (fondato nel 1801, tuttora esistente), nel Josephstädtertheater (costruito nel 1788; nel 1822 acquista un'importanza artistica e si riapre con una apposita Ouverture di Beethoven). Specialmente il Theater an der Wien era considerato come scena di prova per opere candidate al teatro di corte; più tardi entrambi questi teatri si sforzarono di avere per sé le prime esecuzioni di nuove opere e non di rado queste venivano presentate a distanza di pochi giorni nei due teatri; il Theater an der Wien preferì le opere di repertorio fino a quando nell'ultimo trentennio del secolo, si volse verso l'operetta, il Leopoldstädtertheater preferiva la farsa, ma furono in esso eseguite anche opere dei grandi maestri fino a quando anche questo teatro passò all'operetta; accanto a questi principali teatri ve ne erano 15 di minore importanza. Un certo irrigidimento della vita dell'opera a Vienna, sotto la direzione di Lachner e degli appaltatori dell'opera Balocchino e Merelli che lo seguirono, portò a un regresso che le direzioni successive non riuscirono più ad eliminare: J. Cornet, K. A. F. Eckert, M. Salvi, F. v. Dingelstedt, sotto la cui direzione l'opera si trasportò nel nuovo locale alla Ringstrasse, J. Herbeck, F. Jauner e W. Jahn sotto i quali lavorarono H. Richter e J. Hellmesberger. ll nuovo palazzo dell'opera, costruito da Von der Nüll e da Siccardsburg fu inaugurato il 25 maggio 1869 con il Don Giovanni di Mozart; ad essoseguirono nuove messinscena di tutte le opere di repertorio. In occasione di una grande esposizione della musica e del teatro nel 1892 furono eseguite accanto ad opere italiane e polacche, opere cèche e B. Smetana fu qui per la prima volta presentato al mondo musicale. Nel 1897 assunse la direzione del teatro G. Mahler, che rielaborò organicamente tutto il repertorio e, anche per la messinscena di Alfredo Roller, le esecuzioni del Don Giovanni, del Fidelio e del Tristano raggiunsero fama mondiale. Tra i cantanti ricorderemo: F. Wild, T. Reichmann, M. Scaria, F. Schrötter, H. Winckelmann, Van Dyck, H. Sontag, K. Unger, P. Lucca, A. Materna. B. Bianchi, R. Papier, M. Renard, P. Mark, A. Schläger, L. Lehmann, A. Bahr-Mildenburg. Anche il sec. XX vide notevoli cantanti, tra i quali la Jeritza, R. Mayr, L. Lehmann, che certo dopo la caduta della monarchia non possono restare più a disposizione dell'opera di stato per tutta la stagione di dieci mesi, ma vengono qui per alcuni mesi. L'opera viennese ha compiuto in questi ultimi anni ripetuti viaggi all'estero (Francia, Italia).

L'epoca di fioritura della musica classica riunì a Vienna un gran numcro di musicisti, come J. G. Albrechtsberger, J. B. Wanhal, E. A. Foerster, M. Stadler, L. A. Kozeluch, J. J. Pleyel, i fratelli P. e A. Wranitzky, A. Gyrowetz, F. X. Süssmayer, A. Eberl, L. Wölfl, J. N. Hummel, A. Diabelli, F. Ries. Quegli che, vissuto in mezzo a loro, emerse su tutti, fu F. Schubert, l'unico dei grandi maestri di Vienna che fosse anche nativo della città. La produzione di questi maestri promosse e sviluppò la vita musicale: nel 1772 era stato fondato da F. Gassmann un pensionato per vedove ed orfani, la Wiener Tonkünstlersocietät ancor oggi esistente col nome di "Pensionato Haydn" che all'occasione organizzava sedute concertistiche; nel 1807-08 furono organizzati concerti per amatori ("Adelige Liebhaberkonzerte") ai quali collaborò anche Beethoven; fino a che nel 1812 fu fondata la "Società degli Amici della musica" (Gesellschaft der Musikfreunde) che si proponeva di creare un conservatorio (che non era esistito fino allora a Vienna) e di organizzare ogni anno 4 concerti, tradizione questa che si è conservata fino ad oggi dal primo concerto del 3 dicembre 1815. I concerti furono, tra l'altro, diretti da G. e J. Hellmesberger, J. Herbeck, A. Rubinstein, J. Brahms, H. Richter, F. Löwe, F. Schalk, Furtwängler e altri come, recentemente, Knappertsbusch, Heger, Kabasta. Dal 1819 al 1848 si ebbero inoltre dei "Concerts spirituels" organizzati da una società privata. Dopo il 1842 i componenti dell'orchestra dell'Opera di corte viennese e rispettivamente dell'attuale Opera di stato, come pure, a suo tempo, quelli della cappella di corte, organizzarono la "Filarmonica di Vienna" che dava ogni anno otto concerti in abbonamento, dapprima con interruzioni di qualche anno, ma dal 1860 regolarmente, sotto la direzione di grandi direttori d'orchestra, tra i quali O. Dessoff, H. Richter, G. Mahler, J. Hellmesberger, F. Schalk, F. Mott, R. Strauss, F. Weingartner, W. Furtwängler, e dopo d'allora varî direttori occasionali come A. Toscanini, C. Krauss e altri. Alle istituzioni orchestrali seguirono le Società di canto, il "Männergesangverein" nel 1843, la "Singakademie", nel 1858, il "Singrerein der Gesellschaft der Musikfreunde" nel 1858, "Männergesangverein Schubertbund" nel 1863, Ostmärkischer Sangesbund nel 1863, che esistono tuttora e più tardi si riunirono nel "Wiener Konzertverein" nel 1900 (restò sotto la direzione di F. Löwe dalla sua fondazione fino alla morte di lui, nel 1925) e si costruirono nel 1913 una propria sala da concerti (che fu inaugurata con l'apposito Preludio festivo di R. Strauss) nella quale ha oggi sede l'Accademia per la musica e l'arte rappresentativa (antico conservatorio della Società degli amici della musica), oggi statale. Si aggiunga inoltre la "Tonkünstlerorchester" fondata nel 1907, che restò sotto la direzione di O. Nedbal fino al crollo della monarchia e fu poi diretta da W. Furtwängler, B. Walter, F. Weingartner. La musica da camera, eseguita un tempo dai quartetti di J. Schuppanzigh, di J. Mayseder, di J. Böhm, di G. e J. Hellmesberger, del sac. Dont, è oggi curata dai quartetti di A. Rose, di R. Kolich e di altri. Maestri di pianoforte furono A. Diabelli, K. Czerny, I. Moscheles, Th. Leschetitzky, E. Sauer. I maggiori musicisti frequentarono Vienna non soltanto come concertisti, ma anche come compositori: F. Liszt (1821-23); A. Bruckner. J. Brahms. Lavorarono e lavorano qui K. Goldmarck, I. Brüll, R. Heuberger, W. Kienzl, H. Wolf, C. Prohaska, J. Bittner, G. Mahler, R. Strauss, F. Schreker, A. Schönberg.

Nel campo della musica leggiera (ricordiamo le orchestre di M. Pamer, J. Lanner, e J. Strauss, il Vecchio), raggiunse lo splendore di una caratteristica manifestazione artistica. Sorto dalla danza tedesca, il walzer viennese, come più tardi l'operetta viennese, si aprì la strada che lo portò in tutto il mondo. L'operetta ebbe il suo primo rappresentante, insieme con Offenbach, in F. v. Suppé; si aggiungano J. Strauss figlio, K. Millöcker, i fratelli di J. Strauss iunior: Giuseppe ed Edoardo, C. M. Ziehrer, K. Zeller, K. Konzak, compositori di walzer, marce e danze, operette, seguiti dai più recenti maestri di questa tendenza, O. Strauss, F. Lehar, L. Fall, E. Eysler, E. Kálmánn, R. Stoltz ed altri, la cui arte talvolta si aivicina considerevolmente allo stile operistico.

La canzone popolare fu sempre fortemente influenzata sia dalla musica leggiera, sia dalle molteplici correnti musicali che a Vienna venivano dai varî paesi della monarchia. Di ritmi popolari originali, ne sono stati conservati pochi, nella capitale; qualche allegra musica popolare originale si ritrova ancora nelle osterie del suburbio nei cosiddetti Heurigen, eseguita da cantori popolari che vanno gradualmente scomparendo, e dalla cosiddetta Schrammelmusik (così chiamata dal nome del suo inventore J. Schrammel), costituita da armonica, chitarra e violino. Il pianino meccanico che, qualche decennio fa, suonava tanto spesso nelle strade viennesi sta gradualmente scomparendo. Negli anni di crisi del dopoguerra innumerevoli cantori ambulanti giravano per la città, in gruppi, o da jazz o da "Schrammel"; ma presso tali girovaghi erano rimaste ben poche melodie veramente popolari. Alla crisi del dopoguerra ha potuto intanto resistere, nonostante le vicissitudini, una larga parte dell'ambiente viennese: l'Opera di stato sotto la direzione di F. Schalk, di R. Strauss, di C. Kraus e ora sotto quella di F. Weingartner ha conservato il suo antico splendore. L'altro teatro di musica (costruito nel 1898 come teatro di prosa e passato all'Opera nel 1904, rimasto dopo il 1919 sotto la direzione di F. Weingartner) negli ultimi anni è diventato teatro d'operetta e d'opera comica. Dei vecchi teatri d'operetta, seguivano l'antica tradizione, fino a qualche tempo indietro, il Johann Strauss-Theater, il Bürgertheater, il Karltheater, il Raimundtheater ed altri; ora la seguono soltanto il Theater an der Wien e lo Stadttheater. Per le esecuzioni d'opera vengono anche all'occasione adibite una sala del castello imperiale e l'antico teatro privato imperiale nella residenza imperiale di Schönbrunn. I Filarmonici viennesi (membri dell'orchestra dell'Opera di stato), i Sinfonisti viennesi sorti nel 1933 dall'orchestra sinfonica viennese che a sua volta risultava costituita nel 1922 dall'unione della "Tonkünstler-" e della "Konzertvereinsorchester", la società degli "Amici della musica" e la Società viennese dei concerti organizzano regolari stagioni in abbonamento. Tra le società corali sono attive il "Singverein" della società degli "Amici della musica", l'Accademia di canto, il "Wiener Männergesangverein", il "Männergesangverein Schubertbund, il "Dreizehnlinden", l'"Ostmärkischer Sangesbund", la "Wiener Madrigalvereinigung", la "Wiener Oratorienvereinigung", il Coro dell'Opera di stato e altri. Anche la Società internazionale per la musica moderna organizza regolari concerti. Quanto a sale da concerti, a Vienna si dispone di tre sale dell'Associazione musicale (Società degli Amici della musica) di tre sale della Casa dei concerti e da poco tempo nuovamente del Ehrbarsaal (l'antico Bosendorlerssaal non esiste più) oltre alle sale dei festini della Neue Hofburg e ad una sala di concerti nella vecchia università. Nelle chiese parrocchiali di Vienna è molto curata la musica sacra; si debbono ricordare specialmente le esecuzioni, parzialmente concertate, a S. Stefano nelle Augustiner-, Michaeler-, e Peterskirche. Per la radio, la Società Radiofonica Austriaca - R.A.V.A.G. - trasmette regolarmente le esecuzioni dell'Opera di stato e opere ed operette eseguite nel proprio studio, oltre a concerti sinfonici di musica da camera e di solisti, a musica leggiera di ogni genere e dischi; direttore della sezione musicale della Società Radiofonica è l'attivissimo O. Kabasta.

Il numero dei musicisti compositori residenti a Vienna che hanno una certa importanza (astraendo da quelli, che hanno fama mondiale) è straordinariamente grande ancora oggi. La musica chiesastica è stata notevolmente stimolata dalla scuola di musica chiesastica di Kloster neuburg.

Gli studî teoretici, già assai curati nei conventi del Medioevo e nell'unimrsità, posero con la considerevole opera di J. Fux, Gradus ad Parnassum, le fondamenta teoriche della scuola classica viennese, che mandò poi in tutto il mondo i suoi messaggeri (Mannheim, ecc.), rivaleggiando in ciò con la scuola del padre Martini. In unione con l'attività di A. W. Ambros e di E. Hanslick, G. Adler nel 1898 creò presso l'università di Vienna un istituto di storia della musica, ora seminario scientifico musicale la cui scuola in 30 anni ha saputo conquistarsi mezzo mondo; di qui partì il metodo della critica stilistica e di qui trassero origine le monumentali pubblicazioni storiche che ora si vanno pubblicando in quasi tutto il mondo. Dal 1927 insegnano all'università R. Lach, R. Haas, A. Orel, E. Wellesz. L'istruzione pratica della musica è impartita nell'Accademia statale per la musica e le arti rappresentative, alla quale fu annessa dal 1924 al 1934 una scuola superiore; essa è posta sotto la direzione di K. Kobalt e F. Schmidt; le materie principali sono insegnate da B. Hubermann, E. Sauer, J. Marx, F. Schmidt. Accanto ad essa figurano il nuovo conservatorio viennese, un gran numero di scuole e istituti musicali pubblici e privati, il conservatorio popolare e diverse università popolari.

Biblioteche pubbliche musicali sono aperte presso la Biblioteca Nazionale, presso la Società degli Amici della musica, nella biblioteca umversitaria. Tra i musei si hanno: la raccolta della Società degli Amici della musica, la raccolta degli strumenti musicali antichi (Raccolta Estense nella Hofburg), le raccolte municipali (nel Rathaus), un museo Schubert e un museo Haydn. Il gran numero di musicisti che son vissuti a Vienna e che vi sono morti lascia facilmente comprendere che il numero delle memorie musicali (abitazioni, tombe, monumenti) è straordinariamente grande.

L'attività editoriale di Vienna fu molto considerevole nell'epoca dei classici viennesi. Editori degni di menzione sono: Artaria fin dal 1780, Cappi (più tardi Diabelli), Torricelli, J. Traeg, le cui accurate edizioni sono ancora utilizzabili e perciò ricercate. Oggi accanto alla Universal-Edition per il genere serio ci sono: Doblinger-Herzmansky per la musica moderna, Weinberger per la musica seria e leggiera, Hofmeister-Figaro, Wr. Boheme, Bristolverlag, Goll, Karczag per le operette. Anche l'arte organaria, la liuteria e in genere la costmzione degli strumenti hanno in Vienna un centro di fama mondiale: si ricordino i costruttori di pianoforti Bösendorfer, Ehrbar, Schweighofer, la fonditoria di campane Pfundner e diversi costruttori di violini. Vienna non è stata mai, invece, ricca di periodici musicali; nel 1813 cercò di affermarsi unaWiener musikalische Zeitung, dal 1817 al 1824 una Wiener allgemeine musikalische Zeitung, dal 1842 al 1848 una Allgemeine Wiener Musikzeitung; oggi dopo alcuni tentativi non riusciti rimangono: Anbruch per la musica moderna, Musica divina per la musica chiesastica, Das deutsche Volkslied per il folklore, tutti mensili. I quotidiani dedicano però quasi senza eccezione alla critica musicale un largo spazio e tengono uno o due redattori musicali permanenti.

Vienna, che già prima della guerra mondiale aveva veduto con l'esposizione della musica e del teatro del 1892 e con le feste per il centenario di Haydn grandi manifestazioni musicali internazionali, cercò anche nel dopoguerra di attirare gli amici della musica di tutto il mondo: nel 1920 con un festival musicale viennese, nel 1924 con un festival musicale e teatrale, nel 1927 con le feste per il centenario della morte di Beethoven e nel 1928 con le feste per il centenario di Schubert (legate alla decima festa del Deutscher Sängerbund). Il nome di Vienna come città musicale, da essa tenuto alto fino dal sec. XVII, fu da ciò ancor meglio confermato e si constatò anche che la capitale della repubblica austriaca è - per la vita artistica internazionale - d'importanza non minore della capitale della monarchia, grazie al suo grande passato e alla sua indimenticabile tradizione.

Bibl.: G. Adler, Handb. d. Musikgesch., Berlino 1930; A. Claus, Gesch. d. Singv. d. Gesell. der Musikfreunde 1858-1933, Vienna 1933; A. Einstein, Italien. Musik u. italien. Musiker am Kaiserhofe u. an den erzherzog. Höfen in Innsbruck u. Graz, ivi 1934; R. Haas, Wiener Musiker vor u. um Beethoven, ivi 1927; id., Die Musiksamml. der Nationalbibl. in Wien, Petersjahrbuch, 1931; E. Hanslick, Gesch. d. Concertwesens in Wien, Vienna 1869; K. Hobald, Alt-Wiener Musikstätten, ivi 1919; L. v. Köchel, Die kaiserl. Hofmusikkapelle vom 1543 bis 1867, ivi 1869; M. Komorn, J. Brahms als Chordirigent in Wien, ecc., ivi 1928; R. Lach, Wien als Musikstadt, in Wien, sein Boden u. s. Gesch., ivi 1924; id., Gesch. d. Staatsakad. u. Hochschule f. Musik, ecc., Vienna 1927; I. Mantuani, Gesch. der Musik in W., ivi 1904; R. Perger, Denkschr. z. Feier d. 50 jähr. Bestandes d. philharm. Konzerte in W., Vienna 1910; id., e E. Mandyczewski, Gesch. der Gesell. d. Musikfreunde, ivi 1912; E. Roggeri, Musicisti ital. a Vienna, in Riv. music. it., XXXVI (1929); J. Schlosser, Die Samml. alter Musikinstrum., Vienna 1920; A. Schmidt, Wiener Männergesangver., ecc., ivi 1868; R. Specht, Das Wiener Operntheater von Dingelstedt bis Schalk u. Strauss, ivi s. a.; P. Stefan, Neue Musik u. Wien, ivi 1921; id., Die Wieneroper, ihr Gesch., ecc., ivi 1932; R. Wallaschek, Das K. K. Hofoperntheater, ivi 1909; A. v. Weilen e O. Teuber, Die Theater Wiens, Vienna 1899; A. v. Weilen, Zur Wiener Theatergesch., ivi 1901; id., Das Theater von 1529 bis 1740, in Gesch. d. Stadt W., VI, ivi 1917.

Vita teatrale.

Forse in nessun'altra città come a Vienna la vita artistica ha ricevuto la sua massima impronta - oltreché dalle arti figurative - dall'interesse per le manifestazioni teatrali. Già nell'Umanesimo una delle note caratteristiche del nuovo spirito a Vienna è costituito dal fervore delle rappresentazioni sceniche. Non solo nel 1502 gli studenti rappresentano all'universitâ l'Eunuchus e l'Aulularia; ma, dopo il matrimonio di Massimiliano I con Bianca Maria Sforza, uno degli svaghi prediletti alla corte è offerto da "tragedie con cori" e "mascherate" e "ludi scenici" con canto e danza, nella maniera degl'Italiani. Gli Schuldramen, rappresentati in prevalenza all'aperto, nelle piazze, davanti alle chiese, furono in seguito uno dei più efficaci strumenti di polemica, durante le lotte religiose; e largamente vi ricorsero anche nei decennî successivi gli ordini religiosi per raffermare e consolidare negli spiriti il cattolicismo vittorioso.

Ma l'epoca del trionfo di tutto ciò che è messinscena, rappresentazione, teatro, fu il barocco. Il confluire della nobiltà di ogni paese verso la corte di Vienna, determinò il fiorire di una cultura cortigianamente raffinata, fastosa, nella quale il gusto per l'arte come svago festoso, sfarzo decorativo, gioia dello spettacolo, poté svilupparsi vigorosamente.

Nelle stesse scuole tenute dagli ordini religiosi, i benedettini, gli scolopî, i francescani gareggiarono con i gesuiti nello sfruttare a fini di educazione religiosa la forza d'attrazione esercitata sugli animi dal teatro: le rappresentazioni passarono dall'aperto all'aula dell'università o delle scuole; la "scena simultanea" si evolvette verso la tecnica della "scena mobile"; e precisamente a Vienna il cosiddetto "dramma gesuitico" raggiunse, nella seconda metà del Seicento, con le composizioni del gesuita trentino Avancinus, il suo massimo splendore.

Intanto, fino dalla metà del sec. XVI, avevano incominciato a giungere a Vienna le prime compagnie di attori. Nel 1549 giunsero i comici italiani, che si susseguirono poi ininterrottamente: nel 1568 I. Tabarino; nel 1569 Francesco Andreini con tutta la compagnia dei Gelosi; nel 1576 Giulio Pasquati; nel 1614 Fritellino; nel 1626 G. B. Andreini (Lelio) con la compagnia dei Fedeli, ecc. Nei primi decennî del Seicento giunsero anche attraverso la Germania i commedianti inglesi. E già qualche anno innanzi erano comparsi gli olandesi. Ma la lingua italiana era di moda alla corte; i sovrani stessi non disdegnavano di poetare in italiano; e l'influsso italiano tanto più prevalse in quanto dall'Italia provenne contemporaneamente quella che doveva diventare l'idolo d'arte dell'epoca: l'opera in musica. Per tutta la seconda metà del secolo e fino ai primi del Settecento i comici italiani continuarono difatti ad affluire; nel 1659 Andrea d'Orso; nel 1650 V. Todescon; nel 1692 C. Tommaso Danese (Taborino); nel 1697 G. Nannini; nel 1699 F. Calderoni; nel 1705 Sebastiano Scio; nel 1717 F. Danese, ecc.

Mentre l'opera conquistava senza contrasti il gusto della corte e tutta una serie di poeti - da P. Minato all'Amalteo, primo poeta cesareo, a Draghi, a Sbarra, a Cupeda, a Bernardoni, a Stampiglia, ad Apostolo Zeno, al Pariati, al Pasquini, a Pietro Metastasio - provvedeva a getto continuo i testi italiani delle nuove musiche, contemporaneamente l'arte degli attori italiani della commedia improvvisa penetrava sempre più profondamente nel gusto del popolo.

E fu anche per iniziativa di un italiano, il conte Pecori, e su progetto di un italiano, l'architetto Beduzzi, che sorse presso la Porta d'Italia il Kärntnerthortheater: primo teatro stabile che sia stato costruito nella città inaugurato il 30 novembre 1709: passato poi, nel 1711, dopo un'annosa controversia, in proprietà del municipio.

Le origini dell'autonomo teatro locale viennese sono appunto mescolate a questa storia di teatro italiano. Non soltanto il repertorio echeggia difatti ora gli scenarî della commedia dell'arte ora le trame e il frasario dei melodrammi; ma le stesse compagnie tedesche locali si formarono accogliendo transfughi dalle compagnie italiane come il Canzacchi (Truffaldino), Maria Anna Nuth, Francesca Kurz nata Toscani, Teresina Kurz nata Morelli, ecc. Solo all'indiavolato estro di Stranitzky riuscì di rinnovare veramente la scena inserendovi tradizioni nuove e materia di vita locale intorno alla maschera di Haans Wurst, da cui, morto Stranitzky nel 1726, Gottfried Prehauser, suo successore, doveva trarre poco dopo la viennese nuova maschera di Kasperl.

Contemporaneamente, col diffondersi del pensiero illuministico, l'influenza francese s'era venuta facendo sempre più forte, anche perché sul piano del "teatro regolare" il teatro francese non poteva avere rivali. Accadde così che, anche durante il regno di Maria Teresa e di Giuseppe II, i "direttori teatrali" da cui la vita teatrale della città dipendeva (il barone Lo Presti, il conte Durazzo, il D'Afflisio, il Lo Presti figlio, ecc.) continuarono per molto tempo ad essere italiani; ma in realtà soltanto nel melodramma - col Migliavacca, col Coltellini e, specialmente, con Raniero di Calzabigi, con Lorenzo da Ponte, giù fino al Casti e al Sografi - il teatro italiano riuscì a mantenere la sua posizione di primato. Il tentativo del Durazzo di guadagnare al teatro di Vienna il Goldoni fallì; e dal 1770 in poi le stesse commedie di Goldoni incominciarono ad essere rappresentate prevalentemente in tedesco. Chi si avvantaggiò della situazione fu così il teatro tedesco. Mostratosi effimero il successo del "Théâtre Français" (1752-1765) malgrado la venuta a Vienna di Favart, gli attori tedeschi che parlavano al popolo nella sua lingua ebbero partita vinta. Tutto un corpo di locali attori di talento (J. F. v. Kurz, K. G. Stephanie, J. Preinfalk, J. H. F. Müller, Maria Anna Teutscher, ecc.) si venne a poco a poco formando: sulle orme di Stranitzky e di Prehauser, gli attori stessi (l'italo-austriaco Leinhaas, v. Kurz, Stephanie, Müller, ecc.) provvidero, insieme col direttore Heufeld e con improvvisati dilettanti, il nuovo popolare repertorio; e mentre, per una parte, l'arrivo a Vienna del più grande attore tedesco Friedrich Ludwig Schröder (1781-85) apriva al "teatro regolare" viennese nuovi orizzonti, per un'altra parte contemporaneamente il Volksstück celebrò, negli ultimi decenni del secolo, i suoi popolari trionfi in tutta una folla di teatri minori, che vennero via via sorgendo nei più varî quartieri della città e nei sobborghi e assursero talora anche a importanza storica, come il Freihaustheater, il piccolo teatro di legno nel quale il 30 settembre 1791 Mozart portò per la prima volta sulla scena il Flauto Magico.

Il teatro di prosa viennese ebbe così aperta la via alla sua massima ascesa. Pur negli anni relativamente grigi in cui, sul volgere del secolo - giunta l'opera in musica al suo culmine con Gluck e con Mozart - il "teatro regolare" di prosa, privo di direttori adeguati, parve inaridirsi in un neoclassicismo accademico di cui fu il maggiore esponente il poeta H. J. v. Collin, il teatro popolare invece - al Leopoldstädter Theater costruito dal Marinelli nel 1781, al Josephstädter Theater costruito da K. Mayer nel 1788, al Theater an der Wien costruito nel 1801 da Schikaneder - continuò ininterrottamente a fiorire e a svilupparsi: nuovi attori ricchi d'estro e di naturali attitudini sorsero (J. Laroche, A. Hasenhut, A. Baumann, J. Schuster ecc.); nuovi autori - accanto a Marinelli e a Schikaneder: Laroche stesso, Hensler, Kringsteiner, L. Huber, K. L. Gieseke, M. Stegmayer, e, in un secondo tempo: J. A. Gleich, K. Meisl, A. Bäuerle - arricchirono di sempre nuove popolaresche invenzioni e trovate il repertorio: è questo il mondo in mezzo a cui formò il suo genio F. Raimund (v.), attore e poeta, nell'opera del quale il Volksstück - con il suo realismo satirico e con la sua musica, con la sua burlesca vena e con le sue fantastiche estrosità - si elevò a compiuta forma d'arte e a puri voli di poesia.

La definitiva affermazione del "teatro regolare" si ebbe dopo che il nuovo intendente teatrale conte Palffy nel 1814 ebbe assunto a segretario lo Schreyvogel, con il quale il Burgtheater, che egli più tardi personalmente diresse dal 1823 al 1832, iniziò la sua grande tradizione. Fondato da Giuseppe II nel 1776 col titolo di "Nationaltheater" e con sede al Ballhaus presso la Burg, questo trovò finalmente in Schreyvogel la mano ferma, capace di guidarne i destini. Non soltanto Schreyvogel acquisì definitivamente a Vienna la più grande attrice dell'epoca, Sophie Schröder, e costituì intorno a lei tutto un gruppo di attori di prim'ordine - con H. Anschütz, L. Costenoble, K. Fichtner, L. Löwe, Sofia Müller, Giulia Gley-Rettich, ecc. - non soltanto curò l'unità di stile nell'esecuzione e portò sulla scena tutto il grande teatro di poesia da Goethe a Shakespeare, da Schiller a Calderón e Lope de Vega e Moreto - questi ultimi spesso attraverso le rielaborazioni di C. Gozzi; essendo egli medesimo d'origini illuministiche, ma con la mente aperta alle nuove idee, contribuì efficacemente ad attuare anche sul teatro quella sintesi di illuministica mentalità giuseppina e di stati d'animo romantici, che costituisce in tanta parte il suggestivo fascino della spiritualità di "Alt-Wien"; e fu durante gli anni della sua direzione che compì quasi tutta la propria opera il massimo poeta drammatico che l'Austria abbia avuto: F. Grillparzer.

Il teatro di Vienna assurse allora a valore esemplare fra tutto il teatro tedesco. E mantenne per oltre mezzo secolo, salvo alcune non lunghe interruzioni, tale posizione. Mentre il Volksstück manteneva nel teatro popolare le sue ormai gloriose tradizioni (prima con il farsesco-caricaturale Nestroy, poi con il realistico e potente Anzengruber, oltre alla folla dei minori dal Kaiser a O. F. Berg) anche le scene del Burgtheater continuarono a vivere con dignità - con i drammi di F. Halm e le commedie di E. Bauernfeld - finché, sotto la lunga direzione di H. Laube (1849-67), ritrovarono tutto il loro splendore. La tendenza del gusto borghese a cercare nell'arte un'analogia della realtà della vita trovò difatti nel Laube la sua forza più espressiva: mentre il dramma a tesi sociale e la commedia di costumi contemporanei conquistavano anche a Vienna il dominio della scena, il Laube - assicurando al Burgtheater nuovi attori come A. Sonnenthal, A. Förster, K. Meixner, L. Gabillon, J. Lewinsky, E. Hartmann, K. Schöne, F. Krastel, Augusta Baudius, Charlotte Wolters, ecc., e curandone particolarmente l'unità di stile sotto la guida del maestro di recitazione A. Strakosch - portò la rappresentazione a una naturalezza di tono e a una ricchezza di effetti, quali il teatro tedesco non aveva prima conosciuto. Il Burgtheater in quel tempo ne ricevette una sua tipica Signatur, che non andò cancellata nemmeno quando, sotto la direzione di F. Dingelstedt (1871-81) e di A. Wildbrandt (1881-87), si affermarono nuove aspirazioni verso una più letteraria elevatezza di tono o verso un più idealistico pathos.

Nell'epoca più recente - sebbene il Burgtheater nel 1888 abbia ricevuto nell'attuale edificio sul Ring la sua sontuosa nuova sede, e dal Burckhard allo Schlenther, al Berger, al Thimig, al Wildgans tutta una varia serie di esperti direttori vi si sia succeduta - il primato di Vienna nel teatro tedesco non ha potuto nuovamente consolidarsi. Per la signorilità delle sue tradizioni, Vienna conservò tuttavia, anche nella nuova situazione, una sua fisionomia. E quanto poco accogliente il gusto viennese si mostrò verso il naturalismo, altrettanto si immedesimò nella nuova "nostalgia di poesia" sorta con l'impressionismo. E in nessun'altra città forse fu aecolta con più sensitiva intelligenza l'arte della Duse; in nessun'altra città il simbolismo dell'ultimo Ibsen giunse a maggiori intimità di rappresentazione che nelle interpretazioni di F. Mitterwurzer. Vienna restò, attraverso tutta la varia vicenda del teatro moderno, la città del "teatro di poesia" di Holmannsthal, dell'eleganza leggiera e caustica di Schnitzler, deí drammi musicali "rococò" di Hofmannsthal e Strauss, del colorismo morbido di Wildgans. La lunga e gloriosa tradizione finì cioè col condurre a esigenze di gusto esteticamente delicato anche sul teatro. La stessa ripresa del teatro popolare con Alexander Girardi e Hansi Niese s'inserisce, in certo modo, per la sua consapevole gioia della libertà del giuoco scenico, in questo estetismo raffinato e musicale. Lo stesso ritorno alla rappresentazione sacra medievale, già iniziato dal Hofmannsthal, si compie nella luce chiara, quieta e intima della poesia di M. Mell.

Attualmente la vita teatrale di Vienna, prescindendo dalle numerose scene minori, è concentrata su cinque teatri principali: il Burgtheater, fiancheggiato dall'Akademietheater, sotto la direzione di Röbbeling (dal 1933); il Theater an der Josefstadt nominalmente sotto la direzione di Reinhardt; il Volkstheater, fiancheggiato dai Kammerspiele.

Bibl.: Die Theater Wiens a cura della Gesellschaft für vervielfältigende Kunst, Vienna 1894 segg. (contiene, fra l'altro, A. v. Weilen, Gesch. d. Wiener Theaterwesens von d. ältesten Zeiten bis zu d. Anfängen d. Hoftheater, 1897-99); O. Teuber, Das Hofburgtheater seit seiner Begründung (fino al 1776), ivi 1896; id., e A. v. Weilen, Das k. k. Hofburgtheater (dal 1776 al 1898), ivi 1903; F. Schlögl, Vom Wiener Volkstheater, ivi 1885; F. Horch, Das Burgtheater unter H. laube und A. Wilbrandt, ivi 1925; R. Lothar, Das Wiener Burgtheater, ivi 1934.

Storia.

Antichità. - Vindobŏna fu forse stazone celtica, poi campo militare romano della provincia Pannonia Superior, campo che ospitò prima la legione XIII Gemina e poi lungamente la X Gemina della quale restano numerose iscrizioni. Divenne poi, probabilmente al tempo di Vespasiano (cfr. Corp. hscr. Lat., III, pp. 1793 e 2196) municipium, ed ebbe magistrati cittadini con i consueti nomi di duumviri iuri dicundo, aediles, quaestores, una curia, un collegium fabrum attestati tutti dalle iscrizioni.

Nel campo di Vindobona durante la rinnovata guerra contro i Marcomanni morì nel 180 d. C. Marco Aurelio (Aurel. Victor, Caesares, 16). Vindobona ebbe molto a soffrire dalle incursioni unne del secolo V, ma la vita continuò in essa, mentre scompariva dal rango dì città la più importante e non lontana Carnuntum (mod. Petronell).

Medioevo ed età moderna. - Il nome di Vindobona vien menzionato per l'ultima volta nei Getica di Giordane circa il 530. Il sito vien ricordato nuovamente nell'81 con il nome di Venia e nel 1030 (1027?) con quello di Vieni, entrambe le volte come luogo di battaglia fra Tedeschi e Magiari. Sembra che il margravio Adalberto di Babenberg (morto nel 1055) facesse di Vienna un centro fortificato. Nel 1137 Vienna diventa una civitas, cioè una città fortificata, con diritti di mercato; centro della città diviene l'attuale Hoher Markt (mercato alto). I crociati, che seguirono la valle del Danubio come principale strada militare, recarono in Vienna, ultima città tedesca sul Danubio, una straordinaria animazione. La città successe come centro commerciale a Krems, ricordato nel 995 per la prima volta, e a Melk come residenza dei principi: il margravio Leopoldo III il Santo si costruì una rocca sul Kahlenberg; nel 1137 il vescovo di Passavia fondò la chiesa di S. Stefano, consacrata solo dieci anni dopo, fuori le mura della città medievale, e, dandole il grado di parrocchiale, l'elevò al disopra delle altre chiese più antiche, specialmente di S. Ruperto e di S. Pietro, entrambe fondazioni salisburghesi. Il duca Enrico II, che fondò probabilmente nel 1158 il convento scozzese, trasferì forse, contemporaneamente, la propria corte dal colle alla piazza Am Hof; convento e palazzo furono elevati entrambi, come S. Stefano, fuori le mura. Già nel sec. XII, il traffico svolgentesi principalmente lungo il Danubio e sul quale Vienna riscuoteva già da tempo i diritti di deposito e di scalo, s'intensificò dirigendosi anche in senso sud-nord, da Venezia verso la Germania e i paesi slavi settentrionali. Il duca Leopoldo VI iniziò il primo ampliamento della città, portandola presso a poco fino ai limiti segnati attualmente dal Ring ed elevando nuove mura con il denaro pagatogli per il riscatto del re d'Inghilterra Riccardo Cuor di Leone, denaro che servì anche a fortificare altre città austriache. Nel 1180 Vienna era già la più grande città austriaca, nel 1207 dopo Colonia la più importante della Germania; probabilmente ottenne già nel 1198 (certamente nel 1221) i diritti municipali, indice dell'intensità del suo commercio e dell'attività del suo artigianato; s'inizia fin da allora con gli Hausgenossen dei banchieri e i Laubenherren dei mercanti di panni la formazione di una ricca borghesia. Occupata la Stiria, i Babenberg, a difesa di eventuali attacchi da sud e da est, fondarono Wiener-Neustadt (1192) e Schottwien (1220). Il duca Leopoldo VI tentò ripetutamente (1197 e poi dal 1205 al 1208) di far elevare Vienna a vescovato, per sottrarre città e marca alla giurisdizione delle autorità ecclesiastiche di Passavia, tentativo che fu ripreso dal duca Federico II (sede del vescovato avrebbe dovuto essere il monastero scozzese, lo Schottenkloster) e poi da re Ottocaro, ma sempre senza successo. Solo nel 1469 infatti fu istituito il vescovato di Vienna, elevato nel 1723 ad arcivescovato.

Nelle guerre tra il duca Federico II, ultimo dei Babenberg e l'imperatore Federico lI di Svevia, Vienna fu transitoriamente (1237-39) posta dall'imperatore all'immediata dipendenza dell'impero e nel 1247, alla morte del duca Federico, confermata tale; contemporaneamente le venivano riconosciuti i diritti municipali conferitile dai duchi nel 1221. Un florido avvenire le arrideva.

Durante il governo dei duchi di Babenberg, abili politici e uomini colti, da Enrico II a Federico II, la corte di Vienna, emulando le corti imperiali degli Svevi e la corte dei margravî di Turingia, aureolata di leggenda, divenne una delle più animate della Germania. La vita cavalleresca di un'età spiritualmente viva trovò in Vienna uno dei centri più raffinati e atti allo sviluppo e alla fioritura di una vita sociale, letteraria, musicale e artistica. E il nome di Vienna dove la saga dei Nibelungi pone le nozze di Attila e di Crimilde, s'incontra sempre, tanto nelle poesie di carattere serio quanto in quelle satiriche dell'epoca.

Era nota dappertutto come un centro prosperoso, allegro e felice la corte di beatitudine (wonniglicher Hof) sita sul Danubio; non lungi da essa Nicola da Verdun creava il celebre altare di Klosterneuburg; ad essa Teodora Comnena, principessa bizantina, consorte di Enrico Il, recava la ninna-nanna bizantina, l'Eia pupeia divenuta quella di tutte le mamme austriache.

Estintasi la dinastia dei Babenberg (1246), re Ottocaro II di Boemia (1251) s'impadronì di Vienna e vi elevò, nel quadrato oggi occupato dallo Schweizerhof, un castello, ampliato poi da re Alberto I e la cui fondazione fu già erroneamente attribuita al duca Leopoldo VI.

In complesso i rapporti corsi tra Ottocaro e la città di Vienna non furono troppo amichevoli; re Rodolfo di Asburgo, entrato in Vienna nel 1276, concesse invece alla città, in qualità di città libera, ampî diritti (1277), sostanzialmente ridotti nel 1296 dal di lui figlio Alberto I, quando dovette fare fronte contemporaneamente a una sedizione di cittadini viennesi, sobillati dalla famiglia Paltram e alla resistenza oppostagli dai nobili della Bassa Austria. In seguito il duca Rodolfo IV il "Fondatore" (1358-65) favorì particolarmente la città di Vienna, che mantenne poi speciali autonomie, con il suo consiglio municipale, presieduto dal 1288 da un borgomastro, e andò sempre più prosperando commercialmente e industrialmente (nel sec. XIII si contavano 50 gruppi artigiani).

Nel campo della scienza Rodolfo IV con il suocero Carlo IV, fondò l'università, seconda in ordine cronologico tra le università tedesche, ampliata tra il 1379 e il 1384 dal di lui fratello Alberto III, divenuta sotto l'imperatore Massimiliano I con i suoi 1000 uditori la massima università tedesca; i metodi medievali scolastici vi furono prima che altrove sopraffatti dall'Umanesimo.

Analogamente alle altre città tedesche, Vienna ha conosciuto anch'essa lotte intestine, tra patriziato ereditario e corporazioni artigiane desiderose di un maggior potere. All'inizio del sec. XV questi conflitti, coincidendo con contrasti sorti in seno alla casa regnante degli Asburgo, condussero al dramma del borgomastro Konrad Vorlauf, d'origine borghese, giustiziato nel 1408 con alcuni dei suoi consiglieri. Nel 1462 l'alta e la bassa cittadinanza si unirono contro l'imperatore Federico III e, capitanate dal borgomastro Wolfgang Holzer, poi giustiziato, ne assediarono nel 1462 il castello. Ma in confronto ad altre guerre civili i contrasti sorti in Vienna ebbero suluzioni relativamente benigne. Tra il 1485 e il 1490 la città fu in possesso del re d'Ungheria Mattia Corvino, che la considerava una città di frontiera; morto questo, fu facilmente ripresa (1490) da re Massimiliano.

Con Massimiliano (1493-1519) s'inizia un periodo particolarmente brillante per la città, tanto nel campo scientifico in cui numerosi e famosi dotti illustrano la sua università - tra essi Konrad Celtis di fama europea - quanto in quello delle arti figurative, nel quale si distinse particolarmente l'opera del duomo di S. Stefano. Una produzione artigiana di prim'ordine (si potrà spesso per essa e nel campo della cultura avvicinare Vienna a Venezia) testimonia dell'alto tenore di vita raggiunto dai suoi abitanti, già ammirato da Enea Silvio Piccolomini.

Alla morte di Massimiliano (morto nel 1519) gli succedette (1822) nel governo dei territorî austriaci, il nipote granduca Ferdinando, poi imperatore. In quest'occasione la città con il suo borgomastro Siebenbürger sollevò difficoltà; ne seguì la condanna a morte del borgomastro e di alcuni consiglieri, giustiziati in Wiener Neustadt (1522); la vecchia costituzione con l'amministrazione autonoma fu abrogata (1526) e Vienna ridotta a città dipendente dalla monarchia; il consiglio venne nominato e non più eletto.

Andava tuttavia costituendosi la capitale del futuro grande stato austriaco, divenuta uno dei fattori essenziali della politica della dinastia austriaca, mirante all'unità dei territorî ereditarî, alla corona imperiale tedesca e all'organizzazione dell'occidente cristiano. La città già nel 1558 divenne città imperiale "Kaiserstadt" (anche se per il momento divise ancora con altri luoghi, specie con Innsbruck e con Praga quell'onore), cioè la prima città dell'impero germanico e degli stati di casa d'Asburgo. Questa sua qualità ne fece un posto avanzato del cattolicismo. Il protestantismo non vi ha mai trionfato, come nel resto dell'Austria, e la lotta contro i riformati condotta vittoriosamente dai gesuiti e dovuta principalmente all'azione controriformatrice del ministro M. Khlesl, non assunse mai forme molto aspre. Nacque in tal modo un temporaneo contrasto tra Vienna e gli altri territorî ereditarî; nel 1619 apparve in essa il duca boemo dei protestanti, Mathias Thurn; nel 1645 giunsero fino sotto alle sue mura gli Svedesi: ma della lotta confessionale soffrì specialmente la vita scientifica e l'università, così fiorente sotto l'imperatore Massimiliano.

Compito essenziale della città fu in quel periodo di servire da baluardo all'Austria, alla Germania e all'Occidente in genere, nella lotta contro i Turchi: questi dal 21 settembre fino al 16 ottobre 1529 assediarono Vienna, difesa da truppe costituite per due terzi da abitanti degli stati ereditarî e per un terzo da imperiali. Grave era il pericolo della resa della città e forse fu il precoce irrompere dell'inverno che indusse i Turchi alla ritirata. Un simile tentativo fu ripetuto dai Turchi tre anni dopo davanti alla città di Güns (Köszeg nell'Ungheria occidentale); una diretta minaccia turca su Vienna si verificò poi nel 1683 con il secondo grande assedio della città, tra il 14 luglio e il 12 settembre, assedio spezzato da un esercito di soccorso, composto per tre quarti da truppe degli stati ereditarî e imperiali, per un quarto da Polacchi; la battaglia che ne seguì fu considerata sempre uno dei fatti storici capitali nolla lotta tra Occidente e Oriente. La vittoria di quell'anno e la successiva conquista dell'intera Ungheria trasformarono la città di confine, che attraverso la sua banca cittadina (Wiener Stadtbank) aveva finanziato per buona parte le grandi guerre del principe Eugenio, in una capitale e in una città imperiale. Il suo sviluppo iniziato con il 1704 raggiunse l'attuale Gürtelstrasse; seguì nel 1723 l'elevazione ad arcivescovato del "propugnaculum adversus Turcarum irruptiones".

Se nel sec. XVII la città subì fortemente l'influenza culturale dell'Italia e specialmente di Venezia; nel sec. XVIII, proprio a Vienna fu conferita al barocco italiano una forma artistica tedesca. Vienna conobbe allora una fioritura artistica paragonabile alla tarda età dei Babenberg, a capo della quale troviamo Eugenio di Savoia, l'imperatore Carlo VI e la giovane Maria Teresa. Il razionalismo del periodo dell'illuminismo, realizzatosi in Giuseppe II e nei suoi successori in una forma attenuata, nel Giuseppinismo, accentuò però il carattere germanico della città rispetto all'ondata di civiltà latina da cui era stata sommersa nel sec. XVII. Il romanticismo, nella forma comune al mondo europeo della prima metà del sec. XIX, contribuì ben poco alla formazione dello stile locale e borghese del "Biedermeier". In questo come in altri casi si nota un ritardo spirituale di Vienna e dell'Austria rispetto alla Germania, qualcosa di simile alla posizione spirituale di Venezia di fronte alle altre provincie italiane.

L'era napoleonica, provocando il disfacimento dell'antico impero germanico e la conseguente istituzione dell'impero unitario austriaco, non poté togliere a Vienna il suo carattere imperiale, anche se fu conquistata due volte dai Francesi (1804 e 1809). Rimase uno dei centri politici più importanti d'Europa e anche dopo la crisi del 1866-67, se pure dovette cedere parte del suo prestigio a Berlino, a Budapest e a Praga, rimase un fattore politico di primo ordine fino alla caduta dell'impero austriaco. Completamente privata all'epoca di Giuseppe II (1783) della sua autonomia municipale, nonostante le rivoluzioni del marzo e dell'ottobre 1848, riacquistò una larga libertà comunale (1850, effettiva dal 1860) sotto l'imperatore Francesco Giuseppe. Nella serie dei suoi borgomastri si distinse dal 1897 al 1910 Karl Lüger, una delle massime personalità della storia civica di Vienna. La demolizione delle difese interne, sostituite dal Ring (1857), il terzo ampliamento della città, che portò i suoi confini nel 1891 e nel 1904 sul crinale delle circostanti alture e oltre il Danubio, con la costituzione di 21 rioni, tenne presente l'incremento della popolazione, triplicatasi nei 9 distretti interni nella seconda metà del sec. XVIII. L'afflusso della popolazione straniera, che fino al sec. XIX proveniva principalmente dall'impero germanico, poi dalla Boemia slava, non cambiò il carattere fondamentalmente tedesco della città. Se sotto il regno dell'imperatore Francesco Giuseppe si risolsero in modo mediocre i molteplici problemi artistici che andavano presentandosi, ciò si deve all'indirizzo generale della civiltà europea; vanto dell'epoca rimangono alcune opere d'arte figurativa e la produzione musicale e teatrale.

Alla caduta della monarchia, l'amministrazione della città di Vienna, dichiarata nell'ottobre 1920 provincia confederata autonoma, fu per 16 anni in mano al partito socialdemocratico, che tentò, con vario successo, di realizzare i principî fondamentali del proprio programma. Il contrasto sorto tra la città e lo stato, dominato da altri partiti politici, condusse ad aspre contese culminate il 15 luglio 1927 con l'incendio del Palazzo di giustizia e nel febbraio 1934 con un tentativo da parte del partito socialdemocratico di rovesciare la costituzione; seguì un tentativo affine nazionalsocialista nel luglio dello stesso anno, che provocò la morte del cancelliere Engelbert Dollfuss. La nomina di Richard Schmitz a commissario federale e poi a borgomastro della città, ormai alle immediate dipendenze della confederazione, iniziò con il 6 aprile 1934 una nuova costituzione, la cui forma definitiva non ha ricevuto ancora la sua consacrazione.

Bibl.: Fonti: Corpus Inscr. Lat., III, pp. 564, 1045, 1793, 2196, 2283, 2328; I. A. Tomaschek, Die Rechte und Freiheiten der Stadt Wien, voll. 2, Vienna 1877-1879; Quellen zur Geschichte der Stadt Wien, a cura del Verein f. Geschichte d. Stadt Wien, voll. 16, 1895-1921; K. Uhlirz, Urkunden und Regesten aus dem Archiv der Stadt Wien, voll. 3, 1895-97.

Storia: J. W. Kubitschek, Vindobona, in Xenia Austriaca, Vienna 1893; F. Kenner, Bericht über römische Funde in Wien, ivi 1900; Hormayr, Wien, seine Geschichte und Denkwürdigkeiten, voll. 9, 1823-25; K. Weiss, Geschichte der Stadt Wien, Vienna 1881-82; E. Guglia, Geschichte der Stadt Wien, Vienna e Praga 1892; Geschichte der Stad Wien, a cura del Wiener Altertumsverein (Verein f. Geschichte d. Stadt Wien), voll. 7, Vienna 1897-1918; M. Bermann e K. E. SChimmer, Alt und Neue Wien, voll. 2, 2ª ed., ivi 1903-1904; R. E. Petermann, Wien im Zeitalter Franz Josefs, 3ª ed., ivi 1913; Wien, sein Boden und seine Geschichte, a cura di O. Abel, ivi 1924; H. Tietze, Wien (Berühmte Kunststätten, 67), 3ª ed., 1928; id., Wien, Kultur, Kunst, Geschichte, ivi 1931; R. Kralik e H. Schlitter, Geschichte der Stadt Wien und ihrer Kultur, 3ª ed., ivi 1933.

Carte: H. Hassinger, Historischer Übersichtsplan von Wien, Vienna 1915; M. Eisler, Historischer Atlas des wiener Stadtbildes, ivi 1921.

Periodici: Berichte und Mitteilungen des Wiener Altertumsvereines, 1856-1918; Monatsblatt des Wiener Altertumsvereins, 1884-1918; Mitteilungen des Vereins für Geschichte der Stadt Wien, 1920 segg.; Studien aus dem Archive der Stadt Wien, a cura di O. Stowasser, 1929 segg.

Vedi anche austria, bibl., specialmente i periodici editi dal Verein für Landeskunde von Niederösterreich, e M. Vancsa, Geschichte Nieder- und Oberösterreichs, voll. 2, Gotha 1905-1927.

La pace del 1738.

È la pace che pose fine (18 novembre) alla guerra di successione polacca (v. successione, guerre di), e fu stipulata tra il marchese Ch.-P.-G. di Mirepoix, plenipotenziario del re di Francia, e i ministri dell'imperatore Carlo VI, Ph. L. von Sinzendorff, A. G. di Starhemberg, A. v. Harrach, Metsch. Il re di Sardegna aderì al trattato solo il 3 febbraio del 1739, e le corti di Madrid e di Napoli il 21 aprile del medesimo anno. Ma fino dal 3 ottobre 1735 erano stati firmati dei preliminari, relativi all'abdicazione del re Augusto III, e alla sistemazione degli stati italiani, che ricomparvero poi nell'art. IV del trattato definitivo, insieme con la convenzione del 28 agosto 1736 inerente al passaggio del ducato di Lorena a Stanislao Leszczyński e, dopo la sua morte, alla Francia, nonché alla successione della casa di Lorena nel granducato di Toscana. Il regno di Napoli e Sicilia venne riconosciuto a Carlo di Borbone e il ducato di Parma e Piacenza all'imperatore (art. VII), mentre il re di Sardegna, Carlo Emanuele III, acquistava il Tortonese e il Novarese (art. VIII). Infine, con l'art. X, la Francia garantiva solennemente la prammatica sanzione austriaca. Il valore storico della pace è dato, oltre che dal nuovo assetto politico degli stati italiani, dal prossimo sicuro ritorno della Lorena, dopo un millennio, alla sovranità francese.

Bibl.: Il testo dei preliminari, delle convenzioni e del trattato in: Wenck, Codex juris gentium recentissimi, I, p. 1 segg.; si veda inoltre: De Garden, Histoire générale des traités de paix, III, Parigi s. a., p. 157 segg.

Il congresso di Vienna.

Congresso che diede un nuovo assetto all'Europa dopo lo sfacelo dell'impero napoleonico. Non fu un congresso di pace, come i congressi di Münster e di Osnabrück, di Utrecht e di Rastatt, perché la pace tra la Francia e le potenze europee era stata già conclusa a Parigi il 30 maggio 1414, né fu una vera e propria assemblea costituente della repubblica europea, ma fu qualche cosa di mezzo tra l'uno e l'altra: risolse alcuni problemi lasciati sospesi dal trattato di Parigi e riguardanti la Polonia, la Germania e l'Italia, e per la prima volta tentò di dare all'Europa una magna charta territoriale, garantita giuridicamente dal solenne riconoscimento di tutti gli stati. Ma se tutti gli stati consacrarono l'opera del congresso di Vienna, l'effettivo potere costituente della nuova Europa risiedette, durante i negoziati del congtesso, solo nelle grandi potenze, che finirono col formare una specie di direttorio, comprendente in un primo momento le quattro potenze (Austria, Russia, Prussia, Inghilterra) firmatarie del trattato di Chaumont del 10 marzo 1814, col quale si costituì ufficialmente in Europa il sistema delle grandi potenze, e in seguito si estese anche alla Francia.

Il principio, in base al quale il direttorio delle grandi potenze sistemò l'Europa, non fu il principio della legittimità, come volevano gli emigrati francesi tornati in patria, né quello della nazionalità caldeggiato dai liberali inglesi e francesi e dai patriotti polacchi, tedeschi e italiani, ma quello dell'equilibrio, che da tre secoli costituiva la spina dorsale del sistema degli stati europei. Sul modo, però, di concepire l'equilibrio variavano le vedute delle grandi potenze. Metternich riteneva che due potenze avrebbero potuto nel futuro turbare la pace: la Francia, desiderosa d'una rivíncita, e la Russia, divenuta sempre più espansiva da tutte le sue frontiere: contro queste due potenze, per natura perturbatrici, dovevano allearsi le tre potenze per natura conservatrici, l'Austria, la Prussia e l'lnghilterra. Castlereagh, pur condividendo il piano di Metternich d'un forte blocco centro europeo, poggiato sull'Austria e sulla Prussia, con funzione antifrancese e antirussa, non avrebbe voluto esasperare il naturale anelito di rivincita della Francia, precipitandola in braccio alla Russia e divídendo l'Europa in due blocchi perennemente ostili. Al sistema delle alleanze contrapposte, Castlereagh preferiva il sistema dell'alleanza generale, il concerto delle grandi potenze, che era stato a Chaumont in gran parte opera sua. Hardenberg. da buon prussiano, pensava essenzialmente all'assetto tedesco: prendere tutta la Sassonia, sottomettere la Germania al condominio austro-prussiano, ridurre il più possibile gli acquisti della Baviera e del Württemherg, dividere la riva sinistra del Reno con l'Austria per dividere anche il compito della sorveglianza europea sulla Francia: ecco le sue preoccupazioni. Le più disparate tendenze invece si disputavano il campo nella missione russa al seguito dell'imperatore Alessandro. Pozzo di Borgo, da un punto di vista russo s'intende, era come Metternich per il sistema delle amicizie e delle inimicizie naturali: la Russia era e doveva essere l'alleata naturale della Francia e della Spagna. Le aspirazioni nazionali avevano presso Alessandro i loro avvocati in A. Czartoryski per la Polonia, in Stein per la Germania e in parte per l'Italia, in Laharpe per la Svizzera. Tutte queste tendenze confluivano nella persona complessa dello zar; ma se in lui vive erano le simpatie per le rifiorenti nazionalità europee, profonda l'avversione per il blocco anglo-austriaco, più di tutto invece poteva il sentimento d'una interna unità, che legava e doveva sempre più legare i popoli europei, e a questo sentimento, in ultima analisi, egli finiva col cedere i suoi risentimenti di uomo e le sue aspirazioni particolari di sovrano russo. Infine Talleyrand, cui venne affidato il difficile compito di rialzare diplomaticamente la Francia vinta, riteneva l'alleanza inglese, il principio di legittimità e il rinnovo del patto di famiglia come le tre basi essenziali di tale opera. Spogliandosi d'ogni appetito d'espansione territoriale, la Francia doveva con l'Inghilterra sostenere il principio dell'equilibrio e, in base a questo, combattere le volontà egemoniche della Russia in Europa, della Prussia in Germania e dell'Austria in Italia. Mezzo per ottenere questo fine era il principio di legittimità, mediante il quale poteva sostenere i diritti del re di Sassonia contro la Prussia, di Ferdinando IV dei Borboni di Napoli contro Gioacchino Murat e dei Borboni di Parma contro Maria Luisa, la moglie di Napoleone. Il rinnovo del patto di famiglia con la Spagna e con le corti borboniche d'Italia avrebbe dovuto segnare il culmine di questa politica. Nessuna partita diplomatica venne giocata in un modo più brillante e da giocatori tanto esperti come quella di Vienna del 1814-1815. Innanzi tutto si affermò Talleyrand. Il 18 settembre Metternich, Castlereagh, Hardenberg e Nesselrode decisero di trattare tra loro i problemi più gravi e di comunicare le loro risoluzioni alla Francia e alla Spagna. Quando il 30 settembre Talleyrand seppe ciò, si mise a strepitare contro la persistenza dell'alleanza contro la Francia, nonostante la pace di Parigi, e volle che nella dichiarazione annunciante l'apertura ufficiale del congresso per il primo novembre fosse inserita la formula: La paix sera faite conformément aux principes du droit public. Ma questa prima vittoria di Talleyrand fu più formale che sostanziale, perché i quattro ministri dirigenti continuarono in segreto a trattare gli affari principali fra loro. La questione che li travagliava era quella della Sassonia e della Polonia. Con una convenzione del 28 settembre, la Prussia si era impegnata a sostenere le pretese russe su tutta la Polonia e la Russia a sostenere le pretese prussiane su tutta la Sassonia. Metternich in alcune conferenze private cercò persuadere Alessandro a rinunciare alla totalità della Polonia, ma Alessandro reagì con tale animosità personale che non fu più possibile tra loro alcuna discussione verbale. Sottentrò allora nell'opera di pacifica persuasione dello zar, Castlereagh con due memorandum, nei quali giunse a proporgli l'indipendenza completa della Polonia; ma Alessandro voleva una Polonia autonoma non una Polonia indipendente, per non urtare in pieno l'opinione dei circoli dirigenti russi, avversi ai Polacchi, e ogni trattativa diretta fu troncata anche tra loro due. Parallelamente Metternich e Castlereagh tentavano strappare la Prussia dalla Russia e già erano riusciti a persuadere Hardenberg, allorché Alessandro, che aveva un grande ascendente sul re di Prussia, Federico Guglielmo III, fece da costui sconfessare Hardenberg e rinsaldò la duplice prusso-russa, che si spinse fino a minacciare di realizzare con le armi il suo disegno. Fallita la carta prussiana, Castlereagh e Metternich furono costretti a giocare la carta francese, anche perché non fosse giocata dagli avversarî, ed ecco ritornare in scena Talleyrand, ecco formarsi la triplice anglo-franco-austriaca col trattato segreto del 3 gennaio 1815. Talleyrand credette allora di avere spezzato la quadruplice e di avere immessa la Francia nel concerto delle grandi potenze; ma Castlereagh, che aveva più caro il concerto generale delle potenze che la triplice, non appena vide venire la Russia a più miti pretese, considerò il trattato come privo d'efficacia e si addossò il compito di mediatore tra Austria e Russia nella questione polacca, tra Austria e Prussia nella questione sassone, tra Austria e Francia nelle questioni parmense e napoletana. Risolte tutte queste questioni, si erano intrapresi i lavori per dare alla Germania una nuova organizzazione statale, allorché si diffuse la notizia (7 marzo 1815) che Napoleone era fuggito dall'Isola d'Elba ed era sbarcato in Francia. Le potenze, riunite al congresso, lo dichiararono allora al difuori delle leggi civili (13 marzo), con un atto che non ha precedenti nella storia del mondo, e il 25 marzo 1815 venne rinnovato da loro il patto di Chaumont del 1° marzo 1814 col quale ciascuna di esse si era impegnata a porre in campo 150.000 uomini contro il comune nemico. Ripresi i lavori, si conclusero una serie di trattati particolari (3 maggio, accordo austro-prusso-russo relativo alla Polonia; 18 maggio, trattato tra la Prussia e la Sassonia; 20 maggio, trattato tra l'Austria e la Sardegna; 7 giugno, trattato tra la Prussia e la Svezia: 8 giugno, costituzione della confederazione germanica), che, fusi insieme, vennero a fomare l'atto finale del congresso di Vienna del 9 giugno, firmato oltre che dalle quattro grandi potenze Prussia, Russia, Inghilterra, Austria, anche dalla Francia (rappresentata da Talleyrand), dal Portogallo e dalla Svezia. Non volle firmarlo il plenipotenziario spagnolo, perché il congresso non aveva rimesso i Borboni sul trono di Parma e Piacenza. All'atto finale aderirono poi tutti gli stati minori, salvo il papa, che protestò (14 giugno) per la guarnigione austriaca sulla riva destra del Po, la secolarizzazione dei principati ecclesiastici tedeschi e la mancata restituzione di Avignone.

ll congresso di Vienna risolse il problema che si era proposto: l'equilibrio europeo fondato sulla giusta ripartizione delle forze delle grandi potenze. A guardia della potenza perturbatrice della quiete del mondo, la Francia, venne costruita una barriera di stati: il regno dei Paesi Bassi formato dall'Olanda e dal Belgio; il Deutscher Bund, organizzato in modo da potere militarmente e diplomaticamente resistere in caso di riscossa francese (la Prussia e la Baviera ebbero affidata la guardia del Reno e così la Francia non poté più sfruttare le gelosie regionali tedesche); la Svizzera, dichiarata neutrale, poiché la campagna del 1799 aveva rivelato la sua importanza strategica e la necessità che non fosse sotto l'influenza di alcuna grande potenza; il regno di Sardegna, ingrandito di Genova e privato di parte della Savoia per essere reso nemico naturale della Francia. L'Austria avrebbe voluto rendere perpetuo il fronte italiano della barriera, creando una lega difensiva austro-italica, ma l'opposizione della diplomazia piemontese e pontificia sconvolse questo piano. Restavano alla Francia, la Spagna e le corti borboniche d'Italia, ma, con un articolo segreto, la Spagna si era impegnata nel trattato con l'Inghilterra del 5 luglio 1814 a non rinnovare il patto di famiglia, e le corti borboniche d'Italia furono dall'Inghilterra abbandonate alla mercé dell'Austria. Perfino nel regolare i diritti di precedenza dei diplomatici, l'Inghilterra ebbe cura che fosse abolita ogni traccia dell'aborrito patto di famiglia: Les liens de parenté ou d'alliance de famille, veniva dichiarato, ne donnent aucun rang à leurs employés diplomatiques. La Francia, insomma, era posta fuori d'ogni possibilità di nuocere, almeno per venti anni, come voleva Castlereagh.

La Russia dovette contentarsi del granducato di Varsavia e rinunciare al sogno di avere tutta la Polonia, ma le vennero riconosciuti i possessi deella Finlandia e della Bessarabia. Ogni possibilità d'ulteriore suo sviluppo era però ostacolata da un regno di Svezia, ingrandito della Norvegia, che doveva vietarle il predominio nel Baltico; dalla confederazione germanica, nella quale l'Austria avrebbe dovuto fomentare le diffidenze antirusse; dall'impero turco, la cui integrità nel pensiero di Castlereagh e di Metternich cominciò a divenire un tabu della diplomazia europea.

Il dualismo austro-prussiano in Germania e il dualismo austro-piemontese in Italia garantivano infine l'Europa dalla formazione d'un imponente compatto blocco centroeuropeo.

Tutto ciò era stato opera essenziale di Castlereagh e gli storici inglesi fanno bene a glorificarlo; ma qui custodiet custodem? chi avrebbe assicurato sui mari quell'equilibrio politico che veniva instaurato sul continente? Fatta la pace con gli Stati Uniti a Gand, il 24 dicembre 1814, Castlereagh restò padrone del campo. Si assicurò il controllo strategico di tutte le vie di comunicazione mondiali (Gibilterra, Malta, Isole Ionie, Capo di Buona Speranza, ecc.) e si accinse a dare alla Spagna il colpo di grazia, impedendo ogni intervento europeo nelle sue colonie ribelli dell'America e combattendo la tratta dei Negri. Con Castlereagh la diplomazia inglese, insomma, toccò il culmine dei suoi piani: l'egemonia marittima e l'equilibrio sul continente europeo. (Per i particolari delle mutazioni territoriali prodotte dal congresso di Vienna, vedi la storia dei singoli paesi).

Se grandiosa fu nel campo esclusivamente politico-diplomatico l'opera del congresso di Vienna, non meno notevole fu la sua azione nel campo dell'organizzazione internazionale. Si posero allora le basi del diritto pubblico internazionale. Lo stato territoriale europeo fu fondato giuridicamente sul riconoscimento, che ne era stato fatto da tutti, e sulla garanzia datagli dalla firma delle sette potenze, che ne avevano avuto il diritto. Era impossibile violare questo patto senza porsi al difuori della legge d'Europa; era possibile modificarlo col consenso dì quelli che l'avevano sanzionato.

Ammirevole nel campo giuridico-politico internazionale e lodata percio da storici, diplomatici e giuristi, l'opera del congresso di Vienna fu nulla nel campo etico-politico ed urtò in pieno tutti gl'ideali. I liberali inglesi e francesi, i patriotti italiani, polacchi e tedeschi si scagliarono contro il modo di considerare i popoli come armenti, che avevano mostrato d'avere i diplomatici delle grandi potenze. Dall'abate De Pradt ad Albert Sorel, dallo Stein al Treitschke, dall'Angeloni al Bianchi la storiografia e la pubblicistica sul congresso di Vienna è permeata dalla critica nazionale e liberale all'opera esclusivamente politica del congresso. Parallelamente anche i legittimisti francesi sferravano una polemica contro il congresso e lo storico Ferrand nell'opera sulla spartizione della Polonia fissava a quell'epoca l'inizio del sistema delle grandi potenze e del prevalere in Europa della forza bruta. La vita galante e mondana, che era stata lo sfondo del congresso, se colpiva l'immaginazione degli scrittori e riusciva a épater le bourgeois (Madame Bovary di Flaubert), strappava parole di fuoco dalle labbra degli apostoli come De Bonald e Mazzini, che bollarono quei diplomatici trattanti dei destini dei popoli tra i banchetti e i baci delle belle dame. Né l'ideale liberale, caldeggiato paternalisticamente dall'imperatore Alessandro e seguito da Luigi XVIII e da alcuni principi tedeschi, né l'ideale autoritario, sostenuto dall'Austria negli articoli segreti dei suoi trattati del giugno 1815 con Ferdinando IV di Napoli e il granduca di Toscana, ebbero nel congresso la loro consacrazione ufficiale. Il nuovo senso dell'Europa, manifestatosi dopo la guerra mondiale, nel ricercare le sue origini storiche si è incontrato con il senso europeo, che fu il frutto delle guerre napoleoniche. Ma è da notare che quando Alessandro di Russia il 3 dicembre 1814 presentò un piano di fratellanza dei sovrani europei per creare la base etico-religiosa della nuova Europa, piano che riuscì poi a realizzare formalmente nella Santa Alleanza del 26 settembre 1815, i diplomatici restarono choqués e Talleyrand espresse il pensiero di tutti, allorché disse di vedere nel disegno l'opera d'un francmaçon dément. Era, infatti, opinione generale che la repubblica eutopea fosse, come scriveva Humholdt nel progetto di regolamento delle operazioni del congresso, à jamais et par elle-même impossible (settembre 1814). Possibile si credeva soltanto il concerto diplomatico delle grandi potenze e per realizzare tale concerto lo spirito pratico di Castlereagh caldeggiò l'istituto dei congressi, che fu creato dall'articolo 6 del trattato di Parigi del 20 novembre 1815. Ed eccoci, quindi, ricondotti sul terreno puramente politico, che fu la forza e il limite del congresso di Vienna.

Bibl.: 1. Trattati, protocolli, atti ufficiali: J. L. Klüber, Akten des Wienner Kongresses, Erlangen 1817-35, voll. 9; D'Angeberg, Comte (pseudonimo di L. Chodzko), Le Congrès de Vienne et les Traités de 1815, 4 parti, Parigi 1864. 2. Corrispondenze diplomatiche, carteggi privati, diarî: a) Austria: F. von Gentz, Dépêches inédites aux Hospodars de Valachie, I, Parigi 1876; A. F. von Klinkowström, Österreichs Theilnahme an den Befreiungskriegen, Vienna 1887; C. W. N. L. Metternich-Winneburg, Mémoires, Parigi 1880, I e II; b) Francia: C. M. de Talleyrand-Périgord, Mémoires, ed. Broglie ivi 1891, II e III; id., Correspondance inédite pendant le Congrès de Vienne, ed. G. Pallain, ivi 1881; Comte de Jaucourt, Correspondance avec le Prince de Talleyrand pendant le Congrès de Vienne, ivi 1905; c) Inghilterra: Castelreagh, Correspondence, Londra 1852, IX X e XI; Wellington, Despatches, ivi 1847; XII: Id., Supplementary Despatches, Correspondence and Memoranda, ivi 1860-64, VIII, IX, X e XI; C. K. Webster, British Diplomacy, 1813-15, ivi 1921; d) Italia: I. Rinieri, Corrispondenza inedita dei card. Consalvi e Pacca nel tempo del Congresso di Vienna, Torino 1903; e) Prussia: Hardenberg, Denkwürdigkeiten, a cura di L. Ranke, Lipsia 1877; Freiherr von Stein, Briefwechsel. Denkschriften und Aufzeichnungen, Berlino 1933, V; f) Russia: F. De Martens, Recueil des Traités et Conventions conclus par la Russie avec les Puissances étrangéres, Pietroburgo 1875, III, IV, VII, XI e XIV; Recueil de la Société d'histoire russe, ivi 1880, XXXI; 1904, CXII: Pozzo di Borgo, Correspondance diplomatique, Parigi 1890; I; Nesselrode, Lettres et papiers, Parigi 1908, t. V; g) Svizzera: Ch. Pictet de Rochemont e F. d'Ivernois, Correspondance diplomatique, ed. L. Cramer, I e II, Ginevra e Parigi 1914; E. Chapuisat, Au congrés de Vienne. Journal de J. G. Eynard, Ginevra e Parigi 1914; E. Chapuisat, Au congrès de Vienne. Journal de J. G. Eynard, Ginevra e Parigi 1914. 3. Fonti varie: A. Fournier, Die Geheimpolizei auf dem Wiener Kongress, eine Auswahl aus ihren Papieren, Vienna e Lipsia 1913; M. H. Weil, Les dessous du congrès de Vienne, Parigi 1917, voll. 2; Comte De Lagarde-Chambonas, Fêtes et souvenirs du Congrès de Vienne, ivi 1901.

Opere di carattere generale: Ch. D. Hazen, Le Congrès de Vienne, in Revue des Études Napol., XV (1919), pp. 58-69; C. K. Webster, The congress of Vienna, Oxford 1919. Problemi generali in rapporto al congresso: 1. principio d'equilibrio: Ch. Dupuis, Le principe d'équilibre et le concert européen, Parigi 1909; 2. idea europea: W. Alison Phillips, The Confederation of Europe, Londra 1914; 3. sistema dei congressi: C. K. Webster, Castlereagh et le système des Congrés, in Revue des Études Napol., XV (1919), pp. 70-82; 4. organizzazione internazionale e diritto internazionale: Jacob Ter Meulen, Der Gedanke der internationalen Organisation in seiner Entwickelung, II, L'Aia 1929; R. Redslob, Histoire des grands principes du droit des gens, Parigi 1923. - Politica dei singoli stati: 1. Austria: H. von Srbik, Metternich, I, Monaco 1925; 2. Francia: A. Sorel, L'Europe et la Révolution Française, VIII, Parigi 1904; E. Driault, Napoléon et l'Europe, ivi 1927; Ch. Dupuis, Le ministère de Talleyrand en 1814, ivi 1919-20, voll. 2; P. Rain, L'Europe et la Restauration des Bourbons, ivi 1908; 3. Germania: V. Oncken, Österreich und Preussen im Befreiungskriege, Berlino 1876-79; H. von Treitschke, Der Wiener Kongress 1814 bis 1815, Lipsia 1936 (l'ultima edizione del primo tomo della classica Deutsche Geschichte im XIX. Jahrh.); 4. Inghilterra: The Cambridge history of British Foreign policy, I, Cambridge 1922; C. K. Webster, The Foreign policy of Castlereagh, Londra 1925; 5. Italia: N. Bianchi, Storia documentata della diplomazia europea in Italia, I, Torino 1865; I. Rinieri, La S. Sede e il Congresso di Vienna, Roma 1904; M. H. Weil, J. Murat, Roi de Naples. La dernière année de règne, voll. 5, Parigi 1909; 6. Russia: T. von Bernhardi, Geschichte Russlands und europäische Politik im XIX. Jahrh., I, Lipsia 1863; Granduc Nicolas Mikhailovitch, L'empereur Alexander Ier, I, Pietroburgo 1912; C. Waliszewski, Le règne d'Alexandre I, II, Parigi 1924; 7. Spagna: J. Becker, Historia de las relaciones exteriores de España durante el siglo XIX, I, Madrid 1924; Villa-Urrutia, España en el Congreso de Viena, según la correspondencia oficial de D. P. Gómez Labrador, ivi 1928.

La rivoluzione di Vienna del 1848.

La crisi rivoluzionaria scoppiata nel febbraio 1848 a Parigi si ripercosse rapidamente anche in Austria. La convocazione degli Stati Generali dell'Austria Inferiore il 13 marzo diede luogo a una manifestazione popolare che prese ben presto l'aspetto di un'insurrezione. La sera stessa Metternich abbandonava il potere. Era la fine del vecchio regime, ma non ancora l'instaurazione di un nuovo. La corte ondeggiava fra le concessioni e le repressioni: il 14 marzo venne nominato capo del potere civile e militare di Vienna, con poteri dittatoriali, il principe A. di Windischgrätz, il più risoluto campione della resistenza, che proclamò lo stato d'assedio. Ma nello stesso tempo si concedeva l'istituzione della guardia nazionale, si emanava la libertà di stampa, e si prometteva la convocazione per il 3 luglio degli Stati Generali di tutto l'impero, esclusa l'Ungheria. Solo il 15 marzo, di fronte al minaccioso atteggiamento del popolo, l'imperatore si decise ad accontentarne le richieste, promettendo la costituzione. Windischgrätz dovette deporre l'íncarico; fu costituito un gabinetto di funzionarî noti per le loro tendenze liberali; e il 25 aprile venne proclamata la costituzione, formulata sul modello di quella belga: una camera dei deputati e una dei signori: per gli elettori era richiesto un certo censo. Erano così accontentate le richieste dei moderati, ma non quelle degli estremisti, che chiedevano una costituente per elaborare una costituzione democratica. S'inizia un nuovo ciclo rivoluzionario, verso posizioni estreme. Il 15 maggio il popolo scese in piazza, costringendo il governo ad accogliere il programma democratico: la corte lasciò Vienna per rifugiarsi a Innsbruck. Alla metà di settembre, nuovi disordini: finché, all'inizio di ottobre, non scoppiò la crisi suprema. Il 6 ottobre il popolo insorse per impedire alle truppe della guarnigione di partire contro gl'insorti ungheresi; marciò sul ministero della guerra dove era radunato il gabinetto, fece giustizia sommaria del ministro della Guerra Latour. La guarnigione era troppo esigua per reprimere il movimento: la corte, che era ritornata a Vienna il 12 agosto, fuggì a Olomouc, la capitale rimase in mano dei rivoluzionarî. Ma seguì rapida la reazione. Windischgrätz, che aveva avuto il comando delle truppe in Boemia e nel giugno aveva soffocato nel sangue la rivolta di Praga, mosse sulla capitale ribelle (20 ottobre). Il 26 cominciò l'attacco; il 30 il Bano di Croazia Jelačić respinse a Schwechat un tentativo ungherese di soccorrere gli insorti viennesi; il 31 ogni resistenza era vinta e Vienna sottomessa.

Bibl.: F. Kronawetter, Die Märztage 1848, Vienna 1889; E. Zenker, Die Wiener Revolution 1848, ivi 1897; M. Bach, Geschichte der Wiener Revolution 1848, ivi 1898; J. A. Helfert, Die Wiener Revolution 1848, ivi 1910; H. Friedjung, Österreich von 1848 bis 1860, I, Stoccarda e Berlino 1908.

La conferenza di Vienna 1853-1855.

S'intende con questo nome la riunione dei rappresentanti delle grandi potenze prima e durante la guerra di Crimea, per risolvere il conflitto russo-turco. La prima riunione ebbe luogo nel luglio 1853, fra i rappresentanti d'Inghilterra, Francia, Austria e Prussia, per prevenire con una formula conciliativa lo scoppio della guerra. Gli sforzi di conciliazione s'imperniavano sull'Austria, legata alla Russia dalla solidarietà dinastica e dall'aiuto prestatole nel 1849, ma d'altra parte costretta ad arginare l'invadenza russa nei Balcani, che minacciava i suoi interessi vitali. Il 27 luglio venne indirizzata a Costantinopoli e a Pietroburgo una nota in cui si fissavano i principî per un accordo; ma avendo il sultano introdotto alcuni emendamenti, lo zar si rifiutò di prenderla in considerazione (13 settembre).

Scoppiata la guerra fra Russia e Turchia (4 ottobre), la conferenza riprese i lavori, affermando il principio che non si trattava di un conflitto isolato ma di una questione europea. Il 5 dicembre venne sottoscritto un protocollo che invitava i contendenti a trattative sulla base della conservazione dell'integrità del territorio e della sovranità turca: v'era allegata una nota che esortava la Porta a prender l'iniziativa delle trattative dirette, da condursi in presenza dei delegati delle quattro potenze. La Porta consentì; ma lo zar, pur ammettendo le trattative dirette, respinse la partecipazione delle potenze.

Dopo che le potenze occidentali ebbero rotto i rapporti con la Russia (6 febbraio 1854) e concluso un'alleanza con la Turchia (12 marzo), la conferenza si riunì di nuovo nell'aprile 1854 per discutere le basi di una comune azione diplomatica. Il 9 aprile fu sottoscritto un protocollo che stabiliva come principî fondamentali l'integrità della Turchia e la salvaguardia dei diritti dei sudditi cristiani della Porta. Nonostante questa comune intesa, le potenze erano divise in due campi: le potenze occidentali, ormai in aperta rottura con la Russia, e le centrali, rimaste nell'atteggiamento di mediatrici. Si conclusero due trattati di alleanza separati: il 10 aprile tra Inghilterra e Francia, il 20 tra Prussia e Austria. Il 23 maggio la conferenza sottoscriveva un nuovo protocollo, in cui i due gruppi si comunicavano i reciproci trattati di alleanza, e constatavano il loro accordo sulle basi fissate il 9 aprile. Alla fine di giugno la Prussia si ritirava dalla conferenza, cui rimproverava di esercitare una pressione unilaterale sulla Russia. Le tre potenze rimaste ripresero in esame i principî stabiliti il 9 aprile, fissando quattro punti fondamentali (8 agosto): protettorato delle potenze, non della sola Russia, sui principati danubiani e sulla Serbia; libera navigazione sul Danubio; revisione del regime degli stretti; garanzia europea dei diritti dei sudditi cristiani della Porta. Il 28 dicembre si giunse a una ulteriore determinazione, dichiarando che con la revisione del regime degli Stretti si doveva porre fine alla preponderanza russa nel Mar Nero. Il 7 gennaio 1855 la Russia si dichiarò disposta a trattare su queste basi.

La conferenza si riunì per le trattative di pace nel marzo 1855, radunando i rappresentanti dei belligeranti, salvo la Sardegna, e dell'Austria. La prima fase durò dal 16 marzo al 2 aprile: risolti i primi due punti (principati danubiani e navigazione sul Danubio), le trattative s'incagliarono sul terzo: la revisione del regime degli Stretti e la riduzione della preponderanza russa nel Mar Nero. Su questo punto s'imperniò la seconda fase della conferenza (17-26 aprile). Il ministro degli Esteri francese, É. Drouyn de Lhuys, cercò di assecondare con le sue proposte gli sforzi di conciliazione del ministro austriaco conte K. F. Buol: ma fu sconfessato dal suo governo e dovette dare le dimissioni. Le potenze occidentali volevano trascinare l'Austria a porre un ultimatum alla Russia. Buol tentò un ultimo sforzo riconvocando la conferenza il 4 giugno; ma Inghilterra Francia e Turchia declinarono ogni ulteriore trattativa.

Bibl.: A. Stern, Geschichte Europas seit den Verträgen vom 1815 bis zum Frankfurter Frieden von 1871, VIII, Stoccarda e Berlino 1920; H. Friedjung, Der Kriemkrieg und die österr. Politik, 2ª ed., ivi, 1911; A. Borries, Preussen im Krimkrieg, Stoccarda 1930.

La pace di Vienna del 1866.

Concluse la guerra italo-austriaca del 1866. Secondo il trattato di alleanza fra Prussia e Italia dell'8 aprile, nessuno dei due contendenti avrebbe potuto deporre le armi se non a certe condizioni, fra cui la cessione della Venezia all'Italia. Il 26 luglio la Prussia firmava a Nikolsburg un armistizio con l'Austria in cui si stabiliva che la Venezia sarebbe stata ceduta a Napoleone, che l'avrebbe passata all'Italia. Firenze invece, in base al trattato d'alleanza, chiese la cessione diretta, e continuò la guerra. Ma, minacciata d'abbandono da Bismarck e premuta da Napoleone, dovette concludere a sua volta un armistizio (Cormons, 11 agosto). Il trattato di pace fra Prussia e Austria (Praga, 23 agosto), nonostante le proteste italiane, confermava la cessione della Venezia a Napoleone, che l'avrebbe rimessa all'Italia: l'Austria s'impegnava a consentire all'unione delle provincie venete al regno d'Italia, senz'altra condizione che la liquidazione dei debiti che verrebbero riconosciuti di pertinenza di quelle provincie. Il giorno seguente veniva sottoscritto il corrispondente trattato austro-francese; ma, per desiderio dell'Italia, non venne pubblicato che dopo la conclusione della pace italo-austriaca. Su queste basi discussero il rappresentante italiano, gen. L. F. Menabrea, e l'austriaco, conte F. Wimpffen, riunitisi a Vienna per formulare il trattato di pace. Essendo ormai fuori causa la cessione diretta, non restava che il regolamento del debito veneto. Mentre l'Italia sosteneva spettarle solo il debito provinciale, l'Austria avrebbe voluto aggiungervi anche una parte, proporzionale alle popolazioni cedute, del debito generale dell'impero. La tesi italiana, appoggiata dalla Prussia e dalla Francia, prevalse: l'Italia si limitò ad aggiungere all'indennizzo per il debito provinciale la somma di 35 milioni di fiorini, come indennizzo per la parte spettante alla Venezia del prestito del 1854, e per il materiale di guerra non trasportabile. Numerose altre questioni, come quelle riguardanti le ferrovie, il traffico commerciale, gli archivî, le pensioni agl'impiegati di stato, furono facilmente regolate: e il trattato di pace tra le due nazioni venne sottoscritto il 3 ottobre 1866.