COUSIN, Victor

Enciclopedia Italiana (1931)

COUSIN, Victor

Armando Carlini

Filosofo, nato a Parigi il 28 novembre 1792, morto a Cannes il 14 gennaio 1867. Nel 1810 entrò nella Scuola normale, che s'apriva allora per la prima volta. Ivi ebbe professore di retorica il Villemain, di cui gli fu affidata la supplenza, per la letteratura greca, quando ebbe terminato i due anni di noviziato. Incaricato nel 1813 di esercitazioni di filosofia, fu dal Royer-Collard nominato suo supplente nel 1815. Accanto a questo e al La Romiguière, e da ricordare Maine de Biran, che il C. conobbe in questi anni, e di cui sentì forte l'influsso. Il C. si fece, così, banditore dalla cattedra di una filosofia "spiritualista", che si opponeva, pur valorizzandoli in parte, ai due indirizzi allora dominanti: da un lato, all'ideologia continuatrice della filosofia sensista del secolo XVIII; dall'altro, alla reazione che in nome delle idee religiose tradizionali conducevano De Maistre e De Bonald. Questo spiritualismo riflette il movimento della cultura e della coscienza pubblica di questo periodo della Francia, in cui, senza rinunciare ai principî del 1789, si tenta un rinnovamento, ma con carattere laico, delle idee morali e religiose ritenute necessario fondamento del buon ordine politico-sociale. Durante un viaggio in Germania (1817-1818) conobbe Hegel a Heidelberg, e ne rimase entusiasta: tra essi si stabilì una relazione d'amicizia durata a lungo. Così si dica, ma in misura minore, per lo Schelling. Oltre al nuovo impulso speculativo, egli riportò dallh Germania anche l'amore allo studio filologico dei testi. L'eclettismo, che già appariva nel precedente suo spiritualismo psicologico, fu da lui trasportato nella storia della filosofia e diede il nome alla filosofia del C. e della sua scuola.

Nel 1820 fu privato dell'insegnamento per le sue idee liberali. Negli anni seguenti lavorò a pubblicar edizioni di Descartes e di Proclo, e cominciò la traduzione di Platone (dal 1822 al 1840, in 12 voll.). Amò questo genere di lavori anche in seguito (si devono a lui la pubblicazione di scritti inediti e l'edizione delle opere di Abelardo, e di Maine de Biran; una memoria sui Pmsieri di Pascal, in cui discute dei mss.; la traduzione del manuale di storia della filosofia del Tennemann, dei libri I e XII della Metafisica di Aristotele). Turbò appena la quiete del suo lavoro l'incidente del 1824, quando, recatosi di nuovo in Germania, per alcune parole, sfuggitegli in una conversazione, fu tratto in arresto a Berlino e accusato di carbonarismo e di cospirazione. Anche per intromissione di Hegel fu posto sei mesi dopo in libertà. Ma quest'episodio, insieme con gli elogi che egli aveva fatto in varie occasioni (e più notoriamente nel 1820) della Carta, richiamò su lui l'attenzione dei politici, sì che, ridestatesi nel 1828 le speranze dei liberali, si pensò dovergli una riparazione, e lo si nominò professore aggiunto alla cattedra di storia della filosofia alla Sorbona.

I corsi del '28-'29, usciti in 3 volumi nel 1829 (2ª ed. 1847), formano l'opera che, anche da sola, dà un'idea sufficiente del metodo e della dottrina. Rielaborati in seguito, mantennero la divisione in due parti: Introduction à l'histoire de la philosophie (6ª ed. 1865), e Histoire générale de la philosophie jusqu'à la fin du XVIIIe siècle (voll. 2, 7ª ed. 1867). Anche i corsi tenuti dal 1815 al 1820, di cui il più importante è quello del 1818, Du Vrai, du Bien et du Beau (1837, 12ª ed. 1872), furono poi rielaborati, ma così ampiamente che divennero trattazioni separate: La philosophie sensualiste; La philosophie écossaise; La philosophie de Kant (i 3 voll. in 4ª ed. nel 1863). Similmente si dica dei celebri Fragments de philosophiques (1826) che raccoglievano dapprima scritti riguardanti in maggior parte le lezioni tenute dal 1816 al 1819, già pubblicati in riviste, e si ampliarono in seguito sino a formar 5 volumi (5ª ediz. 1866): Fragments de phil. ancienne (Zenone, Socrate, Platone, Proclo, Olimpiodoro); Fragm. de phil. du moyen âge (Abelardo, Guglielmo di Champeaux. Bernardo di Chartres, S. Anselmo, ecc.); Fragm. de phil. cartésienm (Vanini, il cardinale di Retz, Malebranche, Leibniz, ecc.); Fragm. de phil. contemporaine (Stewart, Buhle, Tennemann, La Romiguière, De Gérando, Maine de Biran). Molto divulgato il Rapport sul concorso per una nemoria sulla Metafisica di Aristotele (1835, 2ª ediz. 1838).

Il C. è un antesignano dello spiritualismo contemporaneo. Ma l'intuizione della spiritualità si ferma in lui a quella della coscienza come punto di partenza per spiegare il significato e il valore dei problemi metafisici. Così, non usciva dallo psicologismo dei prekantiani, che, per quanto permeato di vedute speculative, non superava il punto di vista dell'empirismo. Posteriormente, sotto l'influsso della filosofia tedesca, tentò di arrivare a una concezione metafisica dell'attività spirituale, ma si fermò anche questa volta a un'interpretazione neoplatonica e scolastica del cogito cartesiano. La sua filosofia è una sintesi poco vigorosa di queste varie posizioni. Lo spirito umano, per il C., risulta composto di tre facoltà (in seguito affermò che la distinzione si doveva soltanto a una riflessione analitica): un'attività volontaria, libera, che costituisce la personalità o coscienza propriamente detta; una passività, ch'è la sensibilità, come capacità di provare le impressioni degli oggetti esterni, e però anche i sentimenti e le passioni che si accompagnano alle sensazioni; l'intelligenza, intesa talora come riflessione astraente (come nell'empirismo prekantiano), talora come ragion pura, facoltà di principî universali e necessarî, che nell'uomo è manifestazione dell'assoluto. Tali principî si riducono a quelli - esistenziali - di causalità, fisica o morale, e di sostanza o essere; e alle tre idee - di valore - del vero, del bello, del bene morale. Di questi principî noi abbiamo un'intuizione originaria, spontanea, come un'ispirazione: la riflessione filosofica li libera dal concreto dell'esperienza e li presenta per se stessi. Di qui, per il loro apparire legati alla realtà sensibile da una parte, e alla nostra coscienza dall'altra, gli opposti errori del sensismo e dell'idealismo (il criticismo kantiano, inteso come una forma di soggettivismo, e come tale parificato al principio della filosofia scozzese, quale affermazione immediata dei principî nella coscienza comune). Mettere in luce questi errori è il merito dello scetticismo, contro la cui vuota negazione sorge poi il misticismo. Di qui i quattro sistemi che si avvicendano in tutta la storia della filosofia, da quella antica, a cominciar dall'orientale, sino alla moderna, a cominciare da Cartesio. Ma di qui, anche, una specie di dimostrazione storica dell'eclettismo, in cui è evidente l'influsso, e insieme la deformazione, di idee hegeliane. Similmente si dica per il tentativo, fatto dal C., di concepire la ragione come una dialettica del pensiero che restringe l'idea dapprima confusa dell'infinito al finito, all'io e al mondo in reciproca limitazione, e passa poi all'infinito in sé, per riportare in fine nella visione del rapporto tra il finito e l'infinito. Gli veniva, così, innanzi (posto anche dalla lotta politica) il problema del rapporto tra la filosofia e la religione. In fondo il concetto prevalente era in lui quello d'una religione naturale, alla Rousseau, per motivi morali oscillanti tra il razionalismo kantiano e le ragioni politico-sociali. Poi, tenne sempre più a qualificare come cristiana la sua filosofia (tentò persino di farla approvare dalla Chiesa!), e defini hegelianamente il rapporto tra religione e filosofia come differenza formale d'uno stesso contenuto.

Con l'avvento di Luigi Filippo (1830), il C. sospese il suo insegnamento ufficiale ed entrò nella vita politica militante. Fu anzitutto nominato professore titolare della sua cattedra, membro del Consiglio reale per la pubblica istruzione, membro dell'Accademia di Francia, e poco dopo (1832) dell'Accademia di scienze morali e politiche, e chiamato alla Camera dei Pari. Ai problemi dell'istruzione pubblica consacrò molto lavoro in questi anni. Ne vennero fuori i volumetti: De l'instruction publique en Hollande (Bruxelles 1838), e De l'instruction publique en Allemagne (ivi 1841). Nel 1835 era stato nominato direttore della scuola normale, nel 1840 ministro della Pubblica istruzione col gabinetto Thiers. Stette in quel ministero otto mesi, e vi spiegò grande attività; gli atti principali furono da lui stesso raccolti in volume. Nel 1844 difese alla Camera l'insegnamento della filosofia, violentemente avversato dai cattolici, contrariato dai democratici, non sostenuto dai liberali di vecchio stampo, rivendicando il significato e la funzione del nuovo insegnamento anche in rispetto al carattere laico dello stato moderno. Il trionfo del C. fu insieme il trionfo delle nuove idee e dell'università. I suoi discorsi furono raccolti nel vol. Défense de l'université et de la philosophie (1844-1845). È questo il periodo in cui il C., sebbene non faccia lezione, governa il pubblico insegnamento in Francia: le facoltà universitarie, la scuola normale, l'insegnamento della filosofia nei collegi e scuole secondarie, erano sotto la sua sorveglianza. La cultura storico-filosofica in Francia ebbe grande incremento. Gl'insegnanti erano tenuti a rispettare i punti fondamentali della fede cristiana. Si capisce che non tutti, nella sua stessa scuola, sopportavano volontieri tale dittatura. Questa, durata qualche decennio, tramontò poi rapidamente, ma senza gioia per coloro stessi che ne avevano invocato la fine. La coscienza pubblica passava ad altra fase: sorti i partiti d'opposizione alla monarchia, si venne alla rivoluzione del 1848, e da questa al colpo di stato del 2 dicembre 1851. Il C., liberale costituzionale, si trovò disorientato con la Repubblica prima, poi con l'Impero. Già nel 1850 non fu in grado di contrastare insieme, col Thiers, la vittoria del partito cattolico nella legge sull'istruzione pubblica dalla quale non soltanto l'insegnamento della filosofia, ma quello universitario in generale uscì diminuito. Cominciò a rinunciare a tutte le cariche che aveva ancora. Il secondo impero avrebbe voluto trattenerlo e legarlo a sé; egli preferì rinunciare anche al suo ultimo ufficio, quello di professore, nel 1852. Negli anni seguenti non si occupò quasi più di filosofia, ma attese a studî d'erudizione storica, sulla vita e i costumi del Seicento e pubblicò una serie di Ètudes sur les femmes illustres et la société du XVIIe siècle (M.me de Longueville, la duchesse de Chevreuse, M. me de Sablé, M. me de Hautefort; e già nel 1844 aveva pubblicato lo studio su Jacqueline Pascal).

Grande fu il cerchio degli uomini illustri, pensatori e politici d'ogni nazione, con cui il C. fu in relazione; per l'Italia, con i più notevoli uomini del nostro Risorgimento. Col Manzoni e il D'Azeglio fu in intimità e fu grande ammiratore di Santorre di Santarosa cui dedicò una memoria inserita nei Fragments littéraires (Bruxelles 1844). Fu anche in Italia per studiare alcuni mss. greci. La sua dottrina ebbe qui notevole diffusione.

La fama filosofica del C. poggia, forse più che sulla dottrina contenuta neì suoi libri, sul nome della sua scuola in Francia, in cui fiorirono uomini d'ingegno che hanno lasciato lavori di polso, specialmente nel campo della storia della filosofia (Barthélemy-Saint-Hilaire, J. Simon, De Rémusat, Vachérot, Secrétan, P. Janet, Chaignet, Franck, Hauréau, Damiron, Bouillier, Martin, Caro, ecc.).

Bibl.: P. Janet, V. C. et son oeuvre, Parigi 1885; J. Simon, V. C., Parigi 1887; J. Barthélemy-Saint Hilaire, V. C., sa vie et a correspondance, voll. 3, Parigi 1895.

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