Vicino Oriente antico. Storiografia

Storia della Scienza (2001)

Vicino Oriente antico. Storiografia

Mario Liverani
Alfonso Archi
Giovanni Garbini

Storiografia

Mesopotamia: caratteri generali

di Mario Liverani

Storiografia e celebrazione regia

Nella Mesopotamia antica la storiografia ‒ intesa come narrazione diacronica di avvenimenti del recente passato e come memoria di un passato più remoto ‒ trae impulso soprattutto dalla celebrazione delle imprese del re, per dimostrarne la legittimità e la capacità a regnare in quanto un regno giusto e vittorioso è segnale evidente dell'appoggio divino. Le iscrizioni regie, per lo più connesse all'attività edilizia (costruzione o restauro di templi e palazzi, fondazione di città, e simili), sviluppano sempre più col passare dei secoli una parte narrativa, che assume nel I millennio a.C. un andamento annalistico, da vera e propria cronaca, anche se in prima persona. La connessione tra parte dedicatoria e parte narrativa è di norma formalizzata in una correlazione temporale 'quando … allora' (sumerico u4 u4-ba, accadico inūma inūmišu): "quando (il re compì le tali imprese) allora/in quei giorni (dedicò il tale tempio)"; tale correlazione può abbracciare l'intera iscrizione.

La storiografia mesopotamica è dunque per sua stessa natura tendenziosa: esagera le vittorie e i risultati positivi, omette le sconfitte, evidenzia le motivazioni corrette, sussume ogni evento nel compito fondamentale del sovrano di allargare il proprio controllo a spese della periferia 'caotica' e ribelle, su esplicito mandato della divinità. La tendenziosità non è però motivo per negare il carattere storiografico alle celebrazioni dei re mesopotamici visto che una storiografia obiettiva, 'scientifica', fine a sé stessa, è ideale di ben poche culture e, anche in queste, gli intenti di autocelebrazione sono piuttosto sublimati che non assenti. Nel caso della Mesopotamia gli intenti apologetici sono del tutto palesi, come lo è l'immersione degli eventi nei presupposti cosmologici e ideologici (religiosi oltre che politici).

I sudditi, e talora anche i potenziali nemici, sono evidentemente i destinatari del messaggio, anche se le iscrizioni sono formalmente indirizzate a destinatari ideali: gli dèi su mandato dei quali il re agisce, il 'principe futuro' (rubā ᾽u arkû) che leggerà l'iscrizione e ne trarrà insegnamento. Questa discrasia tra destinatari effettivi e ideali è implicata innanzi tutto dal fatto che la scrittura cuneiforme era leggibile solo per una ristretta classe di scribi e, in secondo luogo, dal fatto che le iscrizioni erano collocate per lo più in posizione di difficile (o impossibile) visibilità. Esistevano però altri canali (orali, cerimoniali, oggettuali) per trasmettere alla popolazione l'essenziale del messaggio. Il racconto dell'VIII campagna di Sargon II (714 a.C.) è un caso paradigmatico, redatto in forma di lettera che il re indirizza al dio Assur al ritorno dalla spedizione vittoriosa e letto pubblicamente alla cittadinanza assira.

La prima necessità apologetica si presenta all'insediamento del nuovo re. Se la presa di potere avviene secondo le normali procedure ereditarie (designazione di uno dei suoi figli da parte del re precedente), non c'è bisogno di alcun tipo di chiarimento e, di conseguenza, la popolazione sarà tranquilla e fiduciosa. Nel caso di usurpazioni, di successioni irregolari o controverse, il re dovrà dimostrare la legittimità della sua nomina, e diffonderà una storia appropriata secondo le concezioni del tempo: una storia di allontanamento e recupero eroico del trono (Idrimi, Siria, XVI sec.), una favorevole congiunzione astrale (Esarhaddon, Assiria, 680-669), una scelta divina tanto più significativa in quanto operata senza apparenti motivi in una sterminata moltitudine (Urukagina, Lagash, 2378-2371).

Una volta sul trono, il re dimostra la sua legittimità regnando con successo; i principali settori sono quello economico e quello militare. La prosperità economica, sicuro indizio del favore divino, si presta meno alla narrazione storica, e in genere si sintetizza in 'tabelle dei prezzi' di carattere utopico (con i beni principali disponibili a prezzo basso in quanto abbondantissimi), o in espressioni che suonano paradossali solo se si ignora il meccanismo ideologico sotteso. Così, al tempo di Assurbanipal "il grano cresceva con uno stelo di 5 cubiti e una spiga di 5/6 di cubito" (Luckenbill 1926-27, v. II, p. 292), cioè, equivalendo il cubito babilonese a 0,495 m, quasi 3 metri in tutto! L'afflusso di beni esotici da paesi remoti è anche un segnale della potenza e del prestigio del re; è perciò molto ricorrente l'elencazione dei legnami e delle pietre ricavate da terre lontane e utilizzate per costruire il tempio o il palazzo reale, che assume così valenze da microcosmo.

Le imprese belliche si prestano meglio al racconto storico: messa in scena di antagonisti umani, motivazioni politiche, sequenze di azione e reazione, descrizioni di scontri e distruzioni. La profondità diacronica è innescata dal vanto di aver fatto più e meglio dei re precedenti, aprendo vie nuove, raggiungendo paesi sconosciuti, raccogliendo tributi più preziosi e più abbondanti, allargando i confini del regno o recuperando precedenti perdite:

La città di Ashur-uter-asbat, che i Siriani chiamano Pitru e che sta sul Sangara al di là dell'Eufrate, e la città di Mutkinu che sta sulla riva dell'Eufrate, [città] che Tiglat-pileser [I] mio antenato, un principe mio predecessore, aveva sistemato: al tempo di Ashur-rabi [II] re d'Assiria, un re degli Aramei le aveva prese con la forza. Queste città io [Salmanassar III, 858-824] rimisi al loro posto e vi insediai dentro cittadini assiri. (Grayson 1987-96, v. III, p. 19)

Le realizzazioni dell'arte figurativa hanno una funzione e uno sviluppo analoghi a quelli delle iscrizioni: stele e rilievi parietali hanno non di rado come oggetto le imprese militari. Nel III millennio, quando iniziano i rilievi storici, la vicenda è bloccata su un'unica immagine di alta valenza simbolica: la stele degli avvoltoi di Eannatum (Lagash, 2450 ca.), per esempio, è illustrativa della concezione sumerica del re che agisce per conto del dio cittadino; la stele di Naram-Sin (2254-2218) rappresenta l'ideale eroico tipicamente accadico. Ma è solo col rilievo storico neoassiro (IX-VII sec.) che si ottengono sequenze di scene del tutto parallele all'articolato procedere annalistico delle iscrizioni, vero e proprio canale figurativo che trasmette con immediata visibilità e generale comprensibilità lo stesso messaggio che i testi indirizzano a un pubblico più ristretto e quasi coincidente con gli stessi autori.

Le realizzazioni innovative del sovrano ‒ siano esse di carattere militare o economico o edilizio o persino tecnologico ‒ collocano il loro autore nel ristretto novero di coloro che hanno contribuito alla sistemazione cosmica del mondo. È un novero che comprende gli dèi, cui si deve la creazione (o meglio l'ordinamento) delle strutture fisiche del mondo, i grandi eroi del passato, responsabili dell'introduzione delle principali istituzioni civili (regalità, sacerdozio, riti e feste, scrittura, commercio, ecc.) e, infine, i re del presente, che contribuiscono anch'essi all'opera edificando la città (o il palazzo, o il tempio) al centro ideale del mondo, o allargando i confini del Cosmo a spese del Caos. In questa continuità tra creazione originaria e regno attuale risiede parte notevole dell'interesse mesopotamico per il suo passato e per la ricostruzione diacronica dei principali anelli della catena.

Storiografia e mito

La volontà del sovrano di collocarsi, mediante le sue imprese, in uno scenario di cui fanno parte dèi ed eroi del passato, pone il problema del rapporto tra storia e mito. La contrapposizione oggi corrente tra una spiegazione storica, basata sulla ricostruzione di una catena di cause ed effetti, di processi di trasformazione graduale, di fattori esclusivamente umani, e una spiegazione mitica, basata sull'individuazione di un modello immutabile e fondante, un evento-prototipo dal quale i comportamenti attuali traggono motivazione e valori, e sull'intervento divino nelle vicende umane, si adatta male alla cultura mesopotamica. Da un lato il passato storico si salda senza soluzione di continuità con le 'origini' mitiche, dall'altro lato gli eventi e i personaggi storici possono assumere valore di 'modello fondante'.

Nella ricostruzione delle più antiche fasi della loro storia, i Sumeri, e dopo di loro i Babilonesi, collocano i re più antichi a diretto contatto col mondo divino, tanto che di alcuni di loro (Gilgamesh in particolare) si dibatte se si tratti di personaggi storici poi assurti a ruolo semidivino, oppure di divinità che hanno subìto un processo di umanizzazione. La Lista reale sumerica (intorno al 2000) elenca dinastie 'antidiluviane' che iniziano da "quando la regalità discese dal cielo": si tratta di dinastie del tutto mitiche, con re che vivono migliaia di anni. Ancora dopo il diluvio si hanno dinastie in parte mitiche, cui progressivamente subentrano informazioni desunte dalle memorie propriamente storiche. Analogamente, nei cicli leggendari sumerici si vedono re di sicura storicità interagire con altri di carattere mitico (per es., Enmebaragesi di Kish, di cui si hanno iscrizioni autentiche, con i mitici Lugalbanda e Gilgamesh). La Cronaca del Tummal (XXI sec.) colloca anzi il re 'mitico' Gilgamesh in età posteriore ai re 'storici' Enmebaragesi e Mesannepadda. A quanto pare, per lo scriba mesopotamico e per il suo pubblico non c'era soluzione di continuità né differenza di natura.

In epoca più avanzata (II-I millennio) si compongono, per converso, testi che conferiscono valenze mitologiche o cosmologiche a eventi umani. Il poema di Erra (mediobabilonese, X sec.) interpreta le invasioni aramaiche e le conseguenti distruzioni, carestie e pestilenze come l'azione di una divinità (Erra, dio della peste), dapprima irata e poi placata. La cosiddetta Cronaca Weidner (di poco posteriore) interpreta l'alterna vicenda delle dinastie sumero-accadiche e babilonesi come l'esito del comportamento pio o empio dei re verso il culto di Marduk. Su più larga scala, il mito di Atram-ḫasīs (XVIII sec.) costruisce un potente quadro dell'evoluzione dell'umanità unendo episodi mitici (creazione dell'uomo, diluvio universale) a esperienze correnti (carestie, spopolamento, lavoro coatto, assemblee locali).

Un particolare gruppo di testi leggendari si addensa sulle figure dei due re di Akkad, Sargon e Naram-Sin. Testi di forma letteraria diversa, scaglionati dall'età neosumerica fino a quella neobabilonese, attribuiscono ai due antichi re la valenza di prototipi: Sargon è prototipo del re giusto e vittorioso, Naram-Sin del re tracotante e sventurato. Il loro comportamento verso i presagi, canale di trasmissione del volere divino, è il punto di discrimine. Sargon crede nei messaggi divini, anche quando la valutazione umana scoraggerebbe dall'azione, e risulta vincente. Naram-Sin antepone le valutazioni e le verifiche umane alle indicazioni divine, crede di poter fare a meno dei presagi quando questi sono sfavorevoli, e va incontro a insuccessi disastrosi. Il riferimento a questi due modelli di comportamento attraversa tutta la storia mesopotamica, talora con semplici allusioni, ma talvolta con composizioni letterarie anche famose.

Storiografia e amministrazione

Se gli intenti celebrativi e le allusioni mitiche contribuiscono a collocare la narrazione storica fuori del tempo, un richiamo preciso alla concretezza calendariale proviene dalle esigenze amministrative, che contribuiscono anch'esse al complesso quadro della ricostruzione e all'uso del passato da parte delle cerchie scribali mesopotamiche. La cura dell'amministrazione e degli archivi richiede forme di datazione che consentano di collocare i documenti in rapporto di priorità e di posteriorità, e possibilmente di stabilire l'intervallo di tempo trascorso.

Tav. II

Si usano tre sistemi principali: uno (in uso in alcuni centri protodinastici e poi in Assiria) individua gli anni mediante l'eponimo (il līmu in Assiria, v. cap. XIII), un funzionario dal nome del quale sono datati i documenti amministrativamente o giuridicamente validi (per es., v. Tav. II).

La sequenza è memorizzabile per gli anni più recenti, ma per quanto riguarda un lungo periodo il sistema diventa inutilizzabile senza la compilazione e l'aggiornamento di liste scritte; la lista degli eponimi assiri abbraccia parecchi secoli. Un elemento di utile aggancio ai regni, e di facilitazione mnemonica, è la consuetudine che il re assiro funga da eponimo nel suo primo anno di regno, e che i principali funzionari di corte e i governatori di provincia seguano in ordine più o meno fisso (benché l'eponimo fosse in teoria sorteggiato).

Tav. III

Il secondo sistema, diffuso dall'età accadica fino al termine della I dinastia di Babilonia (2400-1600), assegna a ogni anno un nome (o 'formula di datazione'): per esempio, "anno in cui il grande muro di Sippar fu costruito" è il 25° anno di Hammurabi (1792-1750) (Tav. III). Anche con questo sistema occorre compilare e aggiornare sequenze di formule di datazione; ne abbiamo di redatte alla fine di un regno con tutte le formule di quel regno, e ne esistono anche di più estese. Occorre poi compilare liste di re e di dinastie, per poter collocare la formula in un periodo più lungo.

Il terzo sistema, già protodinastico e successivamente usato in Babilonia dalla dinastia cassita in poi (1600-550), semplicemente numera gli anni all'interno di un regno; in questo modo non servono liste particolari, se non ovviamente liste di re (con la durata dei rispettivi regni) e di dinastie che già erano necessarie nel sistema precedente.

Le principali liste di re sono ordinabili in quattro gruppi:

a) la Lista reale sumerica, che risale all'inizio della dinastia di Isin (XIX sec.), dispone in sequenza unica le dinastie di parecchie città mesopotamiche dalle mitiche origini fino all'epoca di composizione; questa lista è preziosa ma presenta numerosi problemi: gli inizi mitici, la disposizione in sequenza di dinastie coeve, gli intenti politici (legittimazione di Isin, censura su Larsa e le dinastie del suo territorio); una lista reale di Lagash risale allo stesso periodo e rappresenta, forse, una risposta polemica;

b) la Lista reale assira, che riporta la sequenza dinastica dalle origini (i re "che abitavano in tende"), attraverso l'epoca di Shamshi-Adad I (quando fu redatta per la prima volta, a cavallo tra il XIX e il XVIII sec.), e che è stata poi continuamente aggiornata fino al VII secolo; date le vicende unitarie dell'Assiria, la disposizione in sequenza unica è qui meno deformante che in altri casi;

c) le liste babilonesi dette A, B, C (Pritchard 1969, pp. 271-272), che hanno la caratteristica di evidenziare una pluralità di dinastie (data la storia multicentrica della Babilonia), senza segnalarne adeguatamente le sovrapposizioni;

d) infine, la Lista sincronica tra Assiria e Babilonia, che purtroppo è basata su pochi sincronismi noti e su interpolazioni meccaniche.

Nel complesso, questo ricco materiale cronografico, pur se originato da intenti pratici, assume valenze erudite e propriamente storiografiche. Non c'è utilità pratica nel conservare e ricopiare liste di dinastie vecchie di secoli e di millenni, eponimi e formule di datazione anteriori alla vita degli archivi. L'intento è invece quello di tenere sotto controllo l'intero corso della storia del paese, riconnettendo con una sequenza ininterrotta la mitica età degli dèi e degli eroi con l'epoca attuale e mostrando come l'odierna regalità sia erede ultima di una 'staffetta' ideale dalla quale trae legittimazione e prestigio.

Storiografia e diritto

L'affinità tra i testi storiografici e quelli giuridici non risiede solo nella necessità di stabilire la sequenza degli eventi, ma anche nel motivare il diritto dell'attore contro il torto dei suoi contendenti. Certi atti giuridici (testamenti, verbali di processi, compravendite) contengono 'microstorie' a livello individuale o familiare, e vanno indietro nel tempo di quel che basta (un paio di generazioni) per motivare la legittimità di un possesso o per decidere una disputa. In maniera analoga le dispute tra Stati danno luogo a ricostruzioni storiche mediante le quali si intende evidenziare la legittimità delle proprie pretese e la correttezza del proprio agire. Se è ovvio che le contese politiche e militari saranno poi decise dai rapporti di forza, è però altrettanto vero che l'ideologia del tempo impone di dimostrare il proprio buon diritto: saranno gli dèi, infatti, a far prevalere quel contendente che aveva ragione (concezione ordalica della guerra) e a far intervenire punizioni (umane o naturali, come invasioni, carestie) a danno di chi si sia reso colpevole di gravi misfatti.

La dimostrazione storica del buon diritto assume due forme principali, rispondenti alle due occasioni salienti: trattati di pace e dichiarazioni di guerra. La stipulazione di trattati internazionali, soprattutto in ambito hittita ma anche in quello mesopotamico, comporta una dimostrazione storica di come si sia arrivati alla situazione attuale. Ovviamente la ricostruzione è di parte, avvalora gli argomenti del vincitore e colpevolizza lo sconfitto, configura una storiografia al completo servizio della politica, ma ciò non fa che aggiungere interesse e conferire risalto alle motivazioni ideologiche. Lo stesso vale per le dichiarazioni di guerra (a partire da una conservata negli archivi di Mari, XVIII sec.) le quali, ricostruendo i torti subiti, la scorrettezza dell'avversario e la propria buona fede, dimostrano come la guerra che si intraprende sia una guerra 'giusta' e, in quanto tale, destinata al successo per l'appoggio divino.

A parte i veri e propri trattati e le vere e proprie dichiarazioni di guerra, relativamente rare, tutta la storia mesopotamica è segnata da testi che esprimono motivazioni del genere: dalle iscrizioni con cui alcuni re di Lagash (XXV-XXIV sec.) ricostruiscono la storia della loro lotta contro la vicina Umma per il possesso di un territorio di confine, al poema con cui il re medioassiro Tukulti-Ninurta I (1244-1208) denigra l'avversario (il cassita Kashtiliash) e giustifica il proprio operato che aveva portato all'azione temeraria del sacco di Babilonia e del trafugamento dalla città delle statue divine. Anche la corrispondenza diplomatica, tra interlocutori ben lontani dall'affrontarsi in guerra, è intessuta di giustificazioni e accuse che assumono molto spesso profondità temporale, citando i precedenti rapporti o come modello ideale del corretto comportamento, o come episodi che hanno determinato il contenzioso attuale.

Storiografia e mantica

Il ruolo centrale del presagio nella cultura mesopotamica comporta una connessione anche piuttosto stretta tra storiografia e mantica. La complessiva congruenza dell'Universo, per cui un evento o una particolare configurazione in un qualche settore o livello dell'esistente può essere utilizzato come segno per la comprensione o la previsione in relazione ad altro settore o livello, acquista una precisa funzionalità in senso storiografico. La profondità temporale è assicurata da due diversi procedimenti: il segno come anticipazione di eventi futuri, il segno come svelamento di colpe passate.

La connessione tra segno mantico ed evento storico è ovviamente artificiosa, basata su procedimenti logici per noi inaccettabili, quando il segno appartiene a una sfera del reale che non abbia nulla a che vedere con quella sociopolitica. In qualche caso però il segno appartiene anch'esso alla sfera sociopolitica e allora il meccanismo mantico acquista una sua ragionevolezza quale tentativo di analisi dei fenomeni storici. Per esempio, un testo babilonese dell'VIII sec. detto Lo specchio del principe, presenta sotto forma di presagio un'analisi delle conseguenze politiche negative del comportamento di un re (probabilmente Marduk-apal-iddina II):

Se il re non si attiene alla giustizia: il suo popolo sarà gettato nel caos, il suo paese sarà devastato […]. Se non dà ascolto ai suoi consiglieri: il paese si ribellerà contro di lui […]. Se impone multe e pene detentive ai cittadini di Nippur, Sippar, e Babilonia: la città dove ha imposto le multe sarà rasa al suolo […]. Se impone lavoro forzato ai cittadini di Nippur, Sippar, e Babilonia: Marduk consegnerà il paese al nemico cosicché la manodopera del paese lavorerà per il nemico. (Foster 1993, vol. II, pp. 760-761)

Esiste poi un'altra e più precisa connessione tra storiografia e presagi (in particolare epatoscopici), nella pretesa che la decrittazione stessa del segno abbia origine storica, sia stata cioè appurata in modo induttivo, registrando la configurazione del fegato quale si era presentata in un'occasione che poi si sarebbe rivelata foriera di eventi memorabili: "Quando il mio paese si è rivoltato contro Ibbi-Sin, questo [= il fegato] era così disposto" (Bottéro 1981, p. 161). Questa teoria antica è chiaramente artificiosa, per vari motivi. In primo luogo, è difficile pensare a un'effettiva trasmissione dei dati dall'età accadica (cui si riferiscono) a quella paleobabilonese (cui risalgono i primi modellini di fegati iscritti con presagi). In secondo luogo, alcuni presagi storici hanno chiara origine in giochi di parole. Infine, i presagi storici più antichi alludono a situazioni vaghe ("presagio di Sargon che non ebbe rivali") più che a eventi vaticinabili, mentre diventano sempre più complessi in epoca tarda (lontanissima ormai dalla presunta prima registrazione), quando confluiscono anche in una vera e propria cronaca.

Quanto alla tecnica divinatoria utilizzata, in età paleobabilonese e per tutto il II millennio a.C. fiorisce soprattutto l'epatoscopia che consente solo collegamenti occasionali; in età neoassira e neobabilonese (I millennio) acquista invece preminenza l'astrologia, che potenzialmente consente la messa a punto di un sistema complessivamente coerente, essendo basata sulla ciclicità e sull'automatismo delle connessioni astrali.

Storiografia ed edilizia

Un particolare impulso alla meditazione sul passato e sui cicli alterni che governano le società umane è dato dall'attività edilizia. In Mesopotamia, regione alluvionale povera di pietra e di legname, il materiale da costruzione per eccellenza è il mattone crudo, impasto dell'immancabile argilla con l'umile paglia e semplicemente seccato al sole. Alle doti di economicità e duttilità fa però riscontro l'inconveniente della deperibilità, specie quando venga a mancare un'attenta manutenzione. Gli edifici di mattoni non sono destinati a durare in eterno (come i templi di pietra dell'Egitto), ma sono soggetti a un'alterna vicenda di crolli e di restauri, vicenda che rinvia ad analoghi cicli del mondo politico: dinastie che sorgono e crollano, territori perduti e riconquistati, popolazioni decimate (a causa di carestie, di epidemie e di altro) e poi ricresciute, città intere abbandonate e rioccupate. Come la scansione del giorno e dell'anno, così anche le vicende storiche assumono un andamento ciclico o altalenante tra crisi e ripresa. Tra le incombenze del sovrano c'è la difesa contro il degrado e il recupero delle posizioni perdute, la 'manutenzione del mondo', per usare una metafora edilizia, appunto.

L'opera di restauro, pur se meno prestigiosa della fondazione ex nihilo, assume però analoghe valenze se il restauratore riesce a ricollegarsi con il primo costruttore. Soprattutto a partire dall'età medioassira molte iscrizioni di fondazione assumono la forma di 'storie di edifici'. Nel corso dei lavori s'incontrano (e anzi si cercano) le antiche iscrizioni, che sono recuperate, onorate, affiancate da quelle del nuovo re, autore dell'ultimo intervento. Questi segnala nella propria iscrizione i nomi dei suoi predecessori, tanto più fiero del proprio lavoro quanto più indietro nel tempo risulta risalire la prima fondazione:

Le mie imprese eroiche [Tiglat-pileser I, 1115-1077], le mie battaglie vittoriose, la sottomissione dei nemici e ribelli ad Assur, affidatemi da Anu e Adad, io le ho scritte su stele e tavolette e nel tempio di Anu e Adad, grandi dèi miei signori, le ho collocate per sempre. Le stele di Shamshi-Adad, mio predecessore, io ho unto d'olio, asperso di libagioni e rimesso al loro posto. In avvenire, in giorni lontani, un principe futuro ‒ quando il tempio e le torri di Anu e Adad, grandi dèi miei signori, saranno invecchiati e in rovina ‒ rinnovi le loro rovine, unga d'olio le mie stele e le mie tavolette, le asperga di libagioni, le rimetta al loro posto e scriva il suo nome accanto al mio. (Grayson 1987-96, v. II, p. 30)

La ricostruzione della storia dell'edificio si può arricchire di computi precisi dei tempi trascorsi in base alle durate dei regni registrate nelle liste reali, e comportano da parte degli scribi ricerche storiche sull'identità dei re autori delle vecchie iscrizioni. Le durate dei regni intercorsi sono però sommate in maniera indiscriminata (senza tenere conto delle sovrapposizioni), risultando per lo più in totali errati per eccesso. Peraltro questi ritrovamenti di vecchie iscrizioni, e il loro studio da parte degli scribi, producono fenomeni di voluto arcaismo: ne è un esempio la titolatura di stampo antico-accadico usata da Shamshi-Adad I (1800 ca.) quando restaura il tempio di Ishtar a Ninive e vi recupera iscrizioni di un re di Akkad (Grayson 1987-96, v. I, pp. 51-55). L'accanimento con cui Nabonedo (555-539) fa scavare le fondazioni dell'Eulmash, alla ricerca delle iscrizioni di Sargon, nel quadro della ripresa di modelli accadici da parte della dinastia caldea e il vero e proprio collezionismo di pezzi antichi ritrovati nel cosiddetto 'museo' del palazzo di Nabucodonosor a Babilonia, sono evidentemente sintomi della stessa volontà di riallacciarsi al passato.

Tutto sommato, gli apporti della specifica situazione edilizia alla formazione di un pensiero storiografico mesopotamico sono assai più rilevanti di quanto non si possa pensare. Contribuiscono alla formulazione di una teoria generale ciclica, fatta di tracolli e di riprese, di imitazione da parte di ogni ciclo del modello primo. E soprattutto conferiscono all'iscrizione (dunque alla storiografia) una funzionalità essenziale nel trasmettere il modello da un ciclo all'altro. Non a caso, alcuni testi letterari di carattere pseudostoriografico (o pseudoautobiografico) assumono la forma dell'iscrizione di fondazione (narû) e consegnano al lettore una morale che è al tempo stesso una vera e propria lezione di storiografia mesopotamica:

Chiunque tu sia, governatore o principe o altro, che gli dèi nomineranno per regnare: io ho fatto per te quest'iscrizione di fondazione, ho scritto per te questa stele e l'ho eretta per te a Kuta nel tempio E-meslam, nella cella di Nergal. Guarda questa stele, ascolta le sue parole […]. Fatti dire da scribi esperti [il contenuto del]la mia stele. Tu che leggerai la stele saprai come procedere. (Leggenda di Naram-Sin, di età cassita, in Foster 1993, v. I, pp. 268-269)

Mesopotamia: periodizzazione

di Mario Liverani

Il periodo protodinastico e la dinastia di Akkad

Le prime attestazioni di un pensiero storiografico risalgono alla metà del III millennio, nel paese di Sumer. L'apparato cronografico è ancora embrionale, le iscrizioni reali sono per lo più brevi e stereotipe, ma alcuni testi più ampi mostrano già ben formato quel ricorso al passato come giustificazione dell'azione presente che rimarrà poi carattere costante della storiografia 'politica'.

Il primo caso riguarda la disputa di confine tra le città di Lagash e Umma; abbiamo solo la versione di Lagash che si concretizza in una serie di iscrizioni (da Eannatum a Entemena, 2450-2400) (Cooper 1983) che ripercorrono la storia della disputa per dimostrare il buon diritto della loro città, l'appoggio divino, il comportamento scorretto di Umma, l'inevitabile vittoria. I 'precedenti giuridici' sono fatti risalire a un arbitrato da parte di Mesilim re di Kish, collocabile un paio di secoli prima. Il secondo caso riguarda un usurpatore, Urukagina di Lagash (2378-2371), che promulga riforme di carattere socioeconomico e fiscale (Steible 1982, v. I, pp. 288-313), rifacendo anch'egli la storia della questione, schematizzata (come sarà la norma per tutte le riforme anche nei secoli successivi) in una fase di antico ordine, nel subentrare poi di una crisi segnata da abusi e da scorrettezze, cui mette fine la riforma regia che elimina i soprusi e restaura l'ordine. Il carattere stereotipo e in sostanza mitico dello schema è però sostanziato di nomi e di fatti precisi, dunque storicizzato.

Nelle iscrizioni reali sumeriche gli eventi umani sono spiegati mediante decisioni divine, e il ruolo dei re è quello di semplice esecutore delle direttive divine. Quella tra Lagash e Umma è formalmente una disputa tra le rispettive divinità cittadine (Ningirsu e Shara), il confine che si stabilisce è quello tra le due divinità, la responsabilità delle distruzioni è attribuita alla divinità nemica:

"L'uomo di Umma, distruggendo Lagash, ha peccato contro Ningirsu [dio di Lagash] […]. Non c'è peccato da parte di Urukagina re di Girsu. La dea Nisaba, dea di Lugalzaggesi re di Umma, si assuma il carico di questo peccato!" (Cooper 1983, p. 52).

Con la successiva dinastia di Akkad, l'atteggiamento muta e il ruolo degli attori umani acquista improvvisamente un rilievo particolare, effetto ‒ si pensa ‒ dell'ambiente settentrionale (accadico) di capi di origine tribale e pastorale, contro l'accentramento templare delle città del Sud sumerico. Le iscrizioni di Sargon e Naram-Sin sono segnate da un atteggiamento eroico, dal protagonismo del re, dalla sua aspirazione ad ampliare i confini e a raggiungere mete precedentemente inaccessibili. Il motivo della 'priorità' s'inquadra ovviamente in schemi mitici ("Mai, sin dall'istallazione dell'umanità, un re tra i re aveva distrutto Armanu ed Ebla […]. Nergal aprì la strada per Naram-Sin il forte, e gli diede Armanu ed Ebla", Frayne 1993, pp. 132-133) ma si sostanzia di precisi computi dimostrativi e dichiarazioni di veridicità che fanno intravedere un rapporto, non scontato, con un'opinione pubblica destinataria del messaggio:

"[Rimush] durante il ritorno vinse la ribelle Kazallu, uccise 12.052 persone, catturò 5862 prigionieri, catturò Asharidu governatore di Kazallu e distrusse le mura. In tutto 54.016 persone, compresi i morti, i prigionieri, i deportati […]. Per Shamash e Aba lo giuro: non sono menzogne, è proprio vero!" (Frayne 1993, p. 48).

Le iscrizioni accadiche erano poste su monumenti (stele e statue) collocate nel tempio di Enlil a Nippur e in altri santuari del paese, dove rimasero a vista per secoli. Mezzo millennio dopo erano ancora ricopiate dagli scribi babilonesi e raccolte su tavolette, a scopo non soltanto di esercizio paleografico ma anche in qualche modo storiografico, come raccolte documentarie sulle imprese di sovrani diventati modello di regalità ed esempio da imitare. Le iscrizioni accadiche diedero così avvio a una tradizione di testi letterari nei quali fu elaborato il modello contrapposto del pio Sargon e del tracotante Naram-Sin, che costituisce uno degli assi portanti della storiografia mesopotamica.

L'età neosumerica e paleobabilonese

Con l'età neosumerica il centro del potere ritorna al Sud (III dinastia di Ur) e l'ideale eroico è abbandonato. Le iscrizioni neosumeriche sviluppano la parte dedicatoria e minimizzano quella narrativa. Gudea di Lagash rinuncia alla gara di priorità con i suoi confinanti e con i re del passato per elaborare il modello atemporale della città al centro del mondo, che utilizza materiali provenienti dalla periferia. Più esplicitamente, Shulgi di Ur si contrappone all'ideale accadico vantandosi di aver eretto una stele di stampo pacifista: "Città non ne ho distrutte, mura non ne ho abbattute, non ho sbattuto il paese come una debole canna!" (Inno B, 322-323, in Castellino 1972, pp. 62-63).

L'interpretazione delle grandi vicende storiche in chiave teologica si concretizza in alcuni dei testi più significativi; La maledizione di Akkad ripercorre la storia dell'Ekur (il tempio di Enlil a Nippur) contrapponendo il positivo Sargon all'empio Naram-Sin, e attribuendo alla vendetta di Enlil, che fa scendere giù dai monti i selvaggi Gutei, la distruzione di Akkad e dell'impero accadico. La successiva distruzione di Ur (evento impressionante per i contemporanei) è invece spiegata da una lunga lamentazione come un verdetto divino motivato non già da specifiche colpe ma dall'inevitabile caducità delle dinastie:

"Sin dal tempo antico quando la Terra fu fondata, e fino a oggi che la gente si è moltiplicata, chi ha mai visto un regno dotato di eterna regalità? Il verdetto dell'assemblea [divina] non può essere cambiato, il comando di Enlil non può essere contraddetto: Ur aveva ottenuto la regalità, ma non aveva ottenuto un regno eterno." (Pritchard 1969, p. 617).

Con questo testo siamo giunti alla dinastia di Isin (XIX sec.), che intende presentarsi come erede diretta di Ur. Ne dà dimostrazione una lista di re che pone le due dinastie in sequenza ininterrotta, e soprattutto la Lista reale sumerica (Jacobsen 1939) che fa confluire tutte le dinastie dell'età mitica prima del diluvio e poi quelle storiche (di età protodinastica e accadica) in un'unica sequenza, al termine della quale si collocano, appunto, la III dinastia di Ur e la dinastia di Isin sua erede. Questa summa delle memorie storiche sumeriche è in sostanza una teoria della regalità (istituzione unica, che ruota in successione tra città diverse) e, più banalmente, una tendenziosa esclusione, dal novero delle dinastie ufficiali, di quelle città, pur importanti (Lagash e Umma), che si trovano nel territorio della rivale Larsa.

Se le dinastie meridionali (Isin e Larsa) si rifanno al Sud sumerico per il loro modello di regalità e di storiografia, nel Nord invece riemerge il modello accadico. La lotta tra Babilonia e Kish è letta (da parte babilonese) sulla falsariga dell'antica vittoria di Akkad su Kish; un'iscrizione di Naram-Sin sulla cosiddetta Rivolta universale (Westenholz 1997, pp. 230-245) è ricopiata e diffusa in questa nuova ottica. Ma anche un re di Kish redige un'iscrizione ricalcata palesemente sul modello accadico (Frayne 1990, pp. 654-655). In Assiria, Shamshi-Adad I recupera un'iscrizione di fondazione di Man-ishtusu e ne imita la titolatura. All'epoca dello stesso sovrano si deve probabilmente assegnare la redazione del poema eroico Re della battaglia (Westenholz 1997, pp. 108-131) che narra di presunte imprese del grande Sargon in Anatolia, come carta di fondazione per la ripresa del commercio assiro nella stessa regione. Da Mari provengono infine i primi presagi storici, iscritti su modellini di fegato, e per lo più allusivi a eventi e personaggi di età accadica.

Modello accadico a parte, anche altri testi di sicuro interesse storiografico appartengono al regno di Shamshi-Adad. Da usurpatore qual era, dovette legittimare la propria ascesa al trono d'Assiria e lo fece manipolandone la lista reale con interpolazione dei propri antenati a interrompere la sequenza dei re locali, in una forma che, in seguito, rimarrà canonica. Sotto di lui la lista degli eponimi servì di base per la compilazione di una vera e propria 'cronaca' (la prima di questo genere), che traccia la storia del re e della sua famiglia e l'andamento delle lotte contro la rivale Eshnunna (Glassner 1993, pp. 157-160). Nella stessa epoca, dalla città di Mari (sul medio Eufrate) provengono i più articolati esempi di iscrizioni reali con sviluppo narrativo; il re Yakhdun-Lim narra le sue imprese militari con un dettaglio che supera di molto le vecchie iscrizioni accadiche, ma anch'egli fa uso di riferimenti a un tempo mitico originario:

"Sin dal giorno lontano quando Dio costruì Mari, nessun re residente a Mari aveva mai raggiunto il mare, né le montagne del cedro e del bosso, per tagliare i tronchi" (Frayne 1990, p. 605).

Ignoriamo purtroppo la produzione storiografica di Yamkhad (zona di Aleppo), regno egemone dell'occidente siriano; ma è da ritenere che di lì siano passati agli Hittiti i modelli della narrazione storica che saranno subito sviluppati (Annali di Khattushili I, 1650 ca.) e daranno poi vita a una storiografia particolarmente fiorente (v. oltre: par. 3).

Con Hammurabi di Babilonia (1792-1750) si fondono le due tradizioni (la meridionale, di ispirazione neosumerica, e la settentrionale di ispirazione accadica). Il celebre 'codice' (che codice non è) fa uso della tradizionale formula "quando … allora …" per illustrare non già il successo militare ma la corretta amministrazione della giustizia; e dunque deriva piuttosto dal filone meridionale e atemporale. Alcune iscrizioni dei re babilonesi sviluppano peraltro un marcato andamento storico-narrativo; la più lunga e articolata di esse, iscritta su una statua del re Samsu-iluna, è ancora inedita.

L'età cassita, mitannica, medioassira

Con la fine della I dinastia di Babilonia (XVII sec.) le iscrizioni reali babilonesi perdono di interesse storiografico, riducendosi a brevi testi di fondazione; acquistano invece consistenza i filoni scolastico e letterario. L'ambiente scribale produce testi cronografici (liste reali), sistemazioni mitologiche delle linee portanti della storia dell'umanità (poema di Atram-ḫasīs, v. cap. XVI, par. 1), meditazioni sulle cause della decadenza e sulle invasioni dei popoli del Nord. La Cronaca Weidner (Glassner 1993, pp. 215-218) banalizza le alterne vicende delle dinastie mesopotamiche in una questione di cura oppure incuria nell'approvvigionamento di pesci per il culto dell'Esagila (il tempio di Marduk a Babilonia), rinviato con evidente anacronismo a epoche in cui Marduk e Babilonia non avevano ancora alcun ruolo politico. La Leggenda di Naram-Sin (Westenholz 1997, pp. 300-331) interpreta le invasioni cassite sulla falsariga di quelle gutee di un millennio prima, con l'esempio negativo di Naram-Sin (disattento al valore dei presagi) e il consiglio antieroico a non prendere iniziative ma aspettare semplicemente che la bufera passi. Emerge esplicitamente il ruolo del testo, come dire della registrazione scritta delle imprese, quale insostituibile vettore della memoria storica: gli errori commessi da Naram-Sin sono dovuti alla mancanza per lui di un modello scritto (mentre d'ora in poi la stele di Naram-Sin svolgerà questa funzione per i principi futuri):

"Egli [Enmerkar], la cui saggezza e le cui armi catturarono, sconfissero, e uccisero quei nemici, però non scrisse [le sue imprese] su una stele, non me la lasciò, non pubblicò il suo nome, cosicché io potessi benedirlo" (Westenholz 1997, p. 307).

Nel Nord, nel regno di Mitanni, prende forma una storiografia di stampo eroico, esemplificata soprattutto dall'autobiografia di Idrimi (Pritchard 1969, pp. 557-558), un usurpatore al trono di Alalakh (XVI sec.). Le vicende della cacciata dalla casa paterna (la reggia di Aleppo), l'esilio provvisorio presso i parenti materni, la contrapposizione ai fratelli rassegnati, la decisione del più piccolo (Idrimi appunto) di agire, la sua avventurosa impresa alla testa di un gruppo di fuorusciti, la conquista del trono di Alalakh, il consolidamento del potere, sono narrate secondo uno schema fiabesco, che ben riflette gli ideali di un'epoca in cui la posizione sociale si acquista non per semplice eredità ma per valore e comportamento personale.

In alta Mesopotamia prende poi sviluppo la storiografia medioassira (XIII-XI sec.). Le iscrizioni reali, che partono già da un'impostazione di lunga diacronia dovuta alla ricostruzione delle vicende edilizie, sviluppano in misura crescente la parte narrativa, che è sistemata in ordine cronologico e acquista infine un andamento decisamente annalistico. Al culmine del periodo, gli annali dei primi cinque anni di regno di Tiglat-pileser I (1115-1077) si segnalano per ampiezza e dettaglio e mettono in opera, in forma già matura, un bagaglio fraseologico che successivamente si ritroverà nelle iscrizioni neoassire. Altro capolavoro medioassiro è il Poema di Tukulti-Ninurta (1200 ca.) (Foster 1993, v. I, pp. 209-229), che intende giustificare presso un'opinione pubblica probabilmente perplessa l'impresa, ardita al limite dell'abuso, di distruggere Babilonia. A tal fine si esalta il valore guerresco e la correttezza di parte assira, contro il tradimento babilonese. Altrettanto significativa, e sulle stesse linee di ragionamento, è una lettera di Salmanassar I (1274-1245) che giustifica presso i destinatari (i re vassalli del re avversario) il comportamento assiro nella guerra contro gli Hittiti, descritti come infidi traditori (Liverani 1990, pp. 169-171). Siamo all'epoca in cui i trattati di pace e le dichiarazioni di guerra conducono, in parallelo alle guerre guerreggiate, altrettante guerre ideologiche a dimostrazione del proprio buon diritto.

La vicenda dei rapporti assiro-babilonesi darà poi avvio a polemiche incrociate, iniziate già al tempo di Tukulti-Ninurta, la cui empia distruzione di Babilonia, seguita dal suo tragico assassinio, forniva materia di meditazione. Ne sono specifica testimonianza due testi, uno di parte babilonese (la cosiddetta Cronaca P, XII sec. ca.; cfr. Grayson 1975, pp. 170-177) e uno di parte assira (la cosiddetta Storia sincronica, VIII sec., cfr. Grayson 1975, pp. 157-170), che ripercorrono le vicende dei rapporti tra i due regni, interpretandoli ciascuno nella propria ottica. L'interpretazione teologica della storia tocca uno dei suoi momenti più alti con il poema La profezia di Marduk, scritto in ambito babilonese sotto il regno di Nabucodonosor I (1124-1103). Le peregrinazioni della statua di Marduk (presa in bottino prima dagli Hittiti, poi dagli Assiri, infine dagli Elamiti) sono concepite nell'opera come una volontaria azione del dio per affermare il suo potere sulle terre lontane (Foster 1993, v. I, pp. 304-307).

L'età neoassira

L'espansione dell'impero assiro (dal IX al VII sec.) è accompagnata passo passo dallo sviluppo delle iscrizioni celebrative, sempre più sbilanciate in senso narrativo, e delle figurazioni storiche scolpite sugli ortostati parietali all'interno dei palazzi reali. Si hanno iscrizioni propriamente annalistiche, i cui esempi più estesi risalgono ad Assurnasirpal II (883-859), per svilupparsi poi sotto Sargon II (721-705), Sennacherib (704-681) e infine Assurbanipal (668-631), e iscrizioni riassuntive, con le imprese belliche condensate entro schemi geografici o come ampliamenti della titolatura regia. Gli ultimi due grandi re, Esarhaddon (680-669) e Assurbanipal, preferiscono concentrarsi su episodi di particolare rilievo narrati con grande dettaglio. Questo mutamento è da connettere con l'andamento politico-militare: i re del IX-VIII sec., impegnati personalmente in campagne annuali, che portavano continue acquisizioni territoriali, trovarono nella forma annalistica lo strumento più efficace. I re del VII sec., invece, a impero ormai stabilizzato, non conducevano campagne continue, e raramente lo facevano di persona; dunque la forma annalistica rischiava di far risaltare anni vuoti e meriti dei generali, donde la scelta di pochi episodi significativi.

Le narrazioni si basavano su resoconti dettagliati, composti dopo ogni campagna, del tipo di quello conservato per l'VIII campagna di Sargon II, in forma di lettera al dio Assur (Oppenheim 1979, pp. 124-125). In progresso di tempo si aggiungevano le nuove campagne, di norma riassumendo le precedenti; si hanno così successive 'edizioni' degli annali (specialmente numerose nei casi di Salmanassar III e di Sennacherib), dei quali le ultime hanno il pregio della maggiore completezza, le prime quello della maggior vicinanza agli eventi. Una stessa campagna o un medesimo episodio, nel passare da un'edizione all'altra, subisce non soltanto decurtazioni ma anche alterazioni di altro genere. Una certa tendenza all'aumento delle cifre dei nemici uccisi o catturati, o dei bottini e dei tributi incassati è, tutto sommato, banale; più significative sono alcune alterazioni o ripensamenti che aggiustano l'esito delle campagne passate a quello che è accaduto nel frattempo, rendendo gli aggiornamenti altrettanto ricchi di indicazioni del testo originale.

Nel complesso i caratteri di questa produzione sono chiari: funzionalità celebrativa, conseguente tendenziosità (solo vittorie, niente sconfitte), attenzione alle motivazioni teologiche e ideali (il nemico è per definizione 'ribelle ad Assur', la ribellione consiste nell'infrangere il giuramento), uso di una fraseologia e di un repertorio di motivi assai standardizzato, protagonismo assoluto del re. La profondità diacronica è quella del regno, dunque una storia strettamente contemporanea, salvo qualche accenno al passato, soprattutto nel caso di recupero di posizioni precedentemente perdute o di restauro di edifici crollati in precedenza.

L'età neobabilonese

L'ambiente babilonese, nei secoli di egemonia assira (X-VII) prima della distruzione di Babilonia a opera di Sennacherib (668 a.C.), non è produttivo di iscrizioni reali e riversa le sue meditazioni storiografiche piuttosto in testi mitologici (Il poema di Erra, v. cap. II, par. 1), nella sistemazione cronografica (liste reali babilonesi) e nelle già citate polemiche antiassire. Babilonia riassume il ruolo di capitale con la dinastia caldea (625-539) e con la distruzione dell'impero rivale (612 a.C.). Le iscrizioni della dinastia caldea, confacendosi alla millenaria tradizione del Sud, sono piuttosto attente alle vicende edilizie che non a quelle belliche. Ma alcune 'storie di edifici', specie sotto Nabonedo, hanno una profondità diacronica notevolissima, riallacciandosi all'età accadica. Analogo aggancio è presente in alcune 'false iscrizioni' (la più celebre è il cosiddetto 'monumento cruciforme', redatto come iscrizione del re di Akkad Man-ishtusu), che intendono avvalorare i privilegi templari attribuendo loro una remota antichità e un autorevole fondatore.

La narrazione storica trova invece il suo campo precipuo nelle cronache, che narrano eventi bellici e politici in terza persona e in tono di assoluta obiettività. Si hanno indizi per ritenere che una serie continua di cronache abbia avuto inizio col re Nabonassar intorno al 750 a.C., ma ce ne restano ampi tratti solo per il VII sec. (Cronaca di Esarhaddon; Caduta di Ninive) e poi per il VI sec. (la dettagliata Cronaca di Neriglissar per l'anno 557 a.C.; la Cronaca di Nabonedo scritta in età ormai achemenide); la serie sarà successivamente aggiornata in età achemenide, e ancora in età allenistica.

Queste cronache di tono obiettivo derivano i loro dati, con tutta probabilità, dalle registrazioni dei Diari astronomici (v. cap. XII), dei quali ci sono pervenute amplissime parti relative ai secoli VI-II, in cui giorno per giorno erano registrate le posizioni degli astri, i prezzi, il livello del fiume, gli eventi particolari (inclusi quelli politico-militari). L'intento che forse si cela dietro questi diari, di accumulare la documentazione relativa alle connessioni tra le congiunzioni astrali e gli eventi storici, resta peraltro del tutto implicito e non interviene a livello interpretativo. Altre cronache di età neobabilonese hanno diverso tono e intenzionalità più marcate. Si segnalano la Cronaca di Sargon (Grayson 1975, pp. 152-156), che deriva il suo materiale informativo dai cosiddetti presagi storici (con precise coincidenze verbali tra cronache e presagi); la Cronaca dell'Akītu, la Cronaca religiosa, la Cronaca dei prezzi di mercato, e altre ancora.

L'età achemenide

In età persiana (V-IV sec.), mentre in Babilonia prosegue la locale storiografia mediante cronache e registrazioni astronomiche, nel centro del potere, ora dislocato sull'altopiano iranico, prendono forma con Dario I le iscrizioni reali achemenidi. Queste devono certamente qualcosa alla tradizione mesopotamica e sono del resto, in qualche caso (soprattutto quello di Behistun), trilingui (antico persiano, elamico, babilonese), a testimoniare la complessità delle tradizioni culturali confluite nel nuovo impero. Forma e fraseologia sono indubbiamente diverse da quelle assire e babilonesi e l'ovvio punto di riferimento ideologico è costituto dal dio Ahura Mazdā e dai valori a esso connessi: la verità, la lotta contro la menzogna e le forze del male, la valentia personale (venatoria e bellica, da cavaliere e da arciere).

Altri elementi non sono dissimili da quelli già formulati in precedenza dalla lunga tradizione mesopotamica, ma lo sono più per semplicità tipologica che non per trasmissione puntuale. In particolare, la grande iscrizione di Dario è chiaramente funzionale alla sua condizione di usurpatore e deve riagganciare la sua legittimità a generazioni passate ("Dice Dario il re: otto nella nostra famiglia sono stati re in precedenza, io sono il nono.", Kent 1953, p. 119), scavalcando il recente passato come periodo di inganno e di usurpazione (il "falso Smerdi"), motivando il successo con le doti personali di ardimento e valentia, confermando poi il potere mediante il successo su una nutrita serie di ribelli collocati lungo tutto l'arco dell'impero. Le iscrizioni dei successivi re persiani (da Serse I ad Artaserse II) hanno un interesse storiografico assolutamente modesto.

Negli autori classici, Erodoto innanzi tutto, si possono rintracciare resti della storiografia achemenide. Basti citare l'esempio di un'iscrizione che era collocata su una statua di Dario: "Dario figlio di Istaspe, per opera del suo cavallo, e ne dava il nome, e di Oibare suo scudiero, si è conquistato il regno di Persia" (III, 88), sulla quale Erodoto costruisce la famosa novella della gara ippiatrica. L'iscrizione trova un suo preciso modello in quella del re urarteo Rusa (734-714) riportata da Sargon II: "Con i miei due cavalli e un solo auriga, le mie mani hanno conquistato il regno di Urartu" (Luckenbill 1926-27, v. II, p. 98). Il motivo dell'usurpatore-eroe che, con il solo ausilio di cavallo e scudiero, parte da solo alla riconquista del trono, trova più lontani antecedenti nella statua di Idrimi (di un millennio anteriore a quella di Dario), nella cui iscrizione si narra che il giovane principe riconquista il trono perduto con l'ausilio soltanto del suo carro, dei suoi due cavalli e del suo auriga. Se nel caso ora citato si tratta di un motivo particolare, affidato a canali particolari, ma che comunque attraversa lunghi secoli di tradizione storiografica, questo vale a maggior ragione per la tradizione babilonese di carattere cronachistico e astronomico, che si trasmette attraverso l'età persiana ed è ancora vitale in piena età seleucide. Allo stesso ambito appartengono le cosiddette 'profezie babilonesi' (sono piuttosto delle apocalissi, se si vuole usare la terminologia biblica) che descrivono regni prosperi e regni disastrosi, sotto forma di proiezioni nel futuro (e utilizzando la fraseologia delle apodosi dei presagi) per censurare, in realtà, i re del recente passato e celebrare l'avvento del re attuale (Pritchard 1969, pp. 606-607). Queste 'profezie sul passato' appartengono a una tipologia già inaugurata all'epoca di Nabucodonosor I e destinata a celebri sviluppi tramite soprattutto il biblico libro di Daniele; esse aggiungono un'ulteriore prospettiva alla complessa ricostruzione e alla riutilizzazione della storia da parte della cultura scribale babilonese.

Le antiche tradizioni mesopotamiche erano ancora vitali in ambito ellenistico nel III sec. a.C., tanto da essere riprese e sistemate nei Babyloniaká di Beroso, nei cui frammenti superstiti si rintracciano parecchi richiami alle autentiche tradizioni locali, che avevano avuto la loro formulazione originale diversi secoli e, in qualche caso, un paio di millenni prima.

La storiografia hittita

di Alfonso Archi

In Anatolia, come in Mesopotamia, nel susseguirsi degli eventi è possibile rintracciare una testimonianza della presenza divina che garantisce un ruolo di supremazia a coloro che sanno interpretarla. Per gli Hittiti, comunque, al centro di ogni azione è il sovrano del quale narrano la storia; davanti a lui i suoi sottoposti, la cui presenza pure traspare nel corso delle narrazioni, sono come annullati. I documenti non si propongono una ricerca della verità, ma, in quanto totalmente espressione di una storiografia ufficiale, hanno per fine solo la glorificazione del re. Forme come gli editti e in particolare gli annali non hanno precedenti in altre letterature dell'Oriente antico e caratterizzano la storiografia hittita. Nei primi il presente è visto come condizionato dalle azioni passate; in epoca antica, nell'Editto di Telipinu, gli dèi appaiono solo come personificazione della nemesi storica; nell'Apologia di Khattushili III invece, dove questi deve giustificare l'usurpazione del trono, è la provvidenza divina (quella della dea Ishtar) a guidare il sovrano. L'annalistica, che raggiunge la sua maturità con Murshili II, sviluppa capacità stilistiche che permettono di redigere testi complessi, atti a rappresentare amplissimi periodi.

Il più antico documento storiografico risale ad Anitta, re di Nesha (presso l'attuale Kayseri) nella prima metà del XVIII sec., e proveniente da Kushshara, da dove un secolo più tardi doveva dipartirsi anche la dinastia che, scegliendo come capitale Khattusha, fondò con Khattushili I lo Stato hittita. Sebbene Anitta e gli abitanti di Nesha fossero di lingua hittita, non si può escludere che l'Iscrizione di Anitta (a noi giunta tramite una redazione del tempo di Khattushili), fosse originariamente in assiro (la lingua scritta dell'epoca in quella regione). Il testo, di 79 righe, sembra essere l'ampliamento di un'iscrizione celebrativa. Ai successi del padre, che conquistata Nesha ne fece verosimilmente la sua città, seguono quelli di Anitta stesso; poi la narrazione s'interrompe con una formula simile a quelle che concludevano le iscrizioni monumentali assiro-babilonesi: "Queste parole [le ho scritte] su una tavola alla mia porta. In futuro nessuno infranga questa tavola. Chi lo farà sarà nemico di Nesha!"; infine la narrazione riprende fino all'apoteosi del sovrano, quando il re di una città vicina gli trasmette le insegne che simboleggiavano la supremazia su tutta l'Anatolia centrale. Altri elementi che derivano dalla tradizione storiografica mesopotamica, probabilmente dovuti a uno scriba di cultura assira, sono il re nemico condotto in prigionia, la fortificazione della città, la costruzione di templi per gli dèi maggiori e infine la caccia rituale come espressione della regalità trionfante.

Di gusto similare sono le Gesta di Khattushili I, (1650-1620 ca.), le cui straordinarie imprese ebbero come teatro anche la Siria settentrionale, scandite (come in Anitta) dalla formula: "nell'anno seguente…", e artificiosamente ordinate su cinque anni. Questa sorta di annali, originariamente redatti in babilonese (la lingua scritta colta alla quale erano affidati in questo periodo i documenti di cancelleria), si conclude con l'esaltazione del sovrano, paragonato favorevolmente al celeberrimo Sargon di Akkad, tradendo in questo modo un'ispirazione mesopotamica. Le divinità sono onorate perché favoriscano il successo del sovrano, il quale però (come in Anitta) resta l'autore della propria fortuna. Appartengono a questo genere ancora un documento di Khantili e le Cronache di Ammuna, ambedue frammentari.

Un altro genere storico-letterario, ispirato da composizioni esaltanti i grandi re di Akkad Sargon e Naram-Sin, conosciute anche dalla scuola scribale di Khattusha, è quello della saga. In questi documenti si dà conto dell'ansia di conquista che spinge Khattushili e il suo successore Murshili (che s'impadronì perfino di Babilonia) verso paesi dove la realtà si confonde col fantastico, e gli esseri che vi s'incontrano hanno costumi strani: usano pratiche cannibalesche e bisogna offrire loro della carne per stabilire se si tratti di uomini o di dèi (Annali di Khattushili I, o Annali di Murshili I). Nella composizione dove si mitizza l'attraversamento del Tauro, che aprì la strada alla conquista delle città siriane, il sovrano è diviso tra la difficoltà dell'impresa e la minaccia di una rivolta interna, e il suo stato d'animo è reso con un linguaggio dai toni drammatici, grazie a un convulso susseguirsi di interrogative retoriche. Dichiaratamente epico è l'Assedio di Urshu (in babilonese), dove all'incapacità dei comandanti si contrappone l'avvedutezza di Khattushili.

La Saga di Zalpa invece fa ricorso alla leggenda dei 30 figli della regina di Nesha che la corrente del fiume fece giungere al Mar Nero, in modo da rendere possibile la realizzazione delle pretese hittite sulla regione. Gli dèi benedicono Zalpa fino a quando la popolazione non decide di affidarsi a un figlio ribelle di Khattushili, il quale ha così la possibilità di annettersi la città.

Un altro genere, destinato ad avere in seguito una lunga fortuna, è l'editto dove sono addotti eventi recenti per giustificare le disposizioni del sovrano, e dove la storia è piegata a certe finalità politico-propagandistiche. Nell'Editto di Khattushili, si dà conto con uno stile assai vigoroso, testimonianza di una forte personalità, della designazione del successore di Khattushili, costretto ad affidare a un giovane inesperto una edificazione frutto di lunghi anni di guerra ma ancora fragile. Nel documento Khattushili ripercorre amaramente le lotte della generazione precedente e le ribellioni dei suoi immediati discendenti, cui va la responsabilità di aver messo in pericolo la sopravvivenza dello Stato.

Non molto maggiore è lo spessore storiografico dell'Editto di Telipinu (1540-1520 ca.), espressione anch'esso di una profonda crisi. Ormai da tempo la successione al trono era regolata più dal pugnale, che dal diritto dinastico. Nel codificare le antiche consuetudini a tutela del sovrano legittimo, se ne attribuisce l'autorità all'insegnamento della storia. I successi dei primi sovrani sono sommariamente presentati come l'effetto della coesione interna, riallacciandosi in questo all'autorità del grande Khattushili, che aveva invitato "a essere uniti come la stirpe del lupo". Dal momento però in cui Khantili succede al cognato Murshili con l'assassinio, il corso della storia prende l'aspetto della nemesi, che per ogni delitto pretende il sangue del colpevole.

Comune a questi due documenti è, per così dire, una visione retrospettiva, che rimarrà tipica della storiografia hittita e che si ritrova in altri generi documentari. Eventi del passato sono ricordati perché condizionanti il presente e a monito di azioni future. L'Editto di Khattushili, vero suo testamento politico dove si narrano provvedimenti presi dal re per fronteggiare situazioni di grave pericolo, dovrà essere letto ogni mese a Murshili, in modo che la "saggezza del padre" s'imprima nel suo giovane cuore. Non invano: a Murshili, infatti, è da attribuire la cosiddetta Cronaca di palazzo, che riporta, ad ammonimento dei funzionari di corte, una serie di episodi di infedeltà occorsi al tempo del "padre del re" (cioè di Khattushili) e le punizioni esemplari da lui inflitte.

Dopo un lungo periodo di crisi, con Tudkhaliya I (1420-1400 ca.) ha inizio una rinascita politica che coincide con una forte capacità di rinnovamento, stimolata per alcuni aspetti da acquisizioni culturali dall'Anatolia orientale hurrita. Sviluppando il modello narrativo proposto da Khattushili, prende ora forma il genere degli annali, dove si dà conto anno per anno delle imprese del sovrano, la cui denominazione antica è Gesta virili. Gli Annali di Tudkhaliya sembrano essere stati un'opera di grande respiro (ne sopravvivono solo alcuni larghi frammenti), mentre sfuggono a un giudizio quelli del figlio Arnuwanda I, estremamente frammentari.

Un re combattente come Shuppiluliuma I (1370-1342 ca.), che sottomise la Siria settentrionale e si confrontò con gli Egizi, non ebbe modo di far registrare le sue imprese, compito che si assunse il figlio Murshili II. Questi innanzitutto fece redigere i propri Annali decennali, con l'intendimento di dimostrare di reggere il confronto col padre (indirettamente dichiarato nel prologo, e poi nell'epilogo, dove si dice di non aver neppure incluso le imprese dei propri comandanti). Di questi, perché integri, si apprezza meglio, rispetto agli Annali completi (che abbracciano oltre 25 anni), l'elaborata struttura che alterna narrazioni di battaglie a preparazioni organizzative e diplomatiche, e i diversi trattamenti inflitti agli avversari, nel caso resistessero a oltranza o avessero la saggezza di sottomettersi. Gli esempi scelti ad ammonimento dei capi della composita confederazione hittita, sono desunti dai comportamenti dei principi degli Stati vassalli, talvolta presentati anche in maniera difforme nelle due serie annalistiche, a seconda di quale modello risultasse più confacente. Si fa ricorso costantemente (almeno a partire da Tudkhaliya I) a episodi storici noti a tutti, ma riformulati in funzione normativa, anche nell'introduzione dei trattati politici dove si delineano gli antefatti e le premesse di ciascun documento. Di questi exempla, positivi o negativi, già addotti nei testi più antichi, si fa uso anche nella corrispondenza internazionale, come nelle lettere inviate da Khattushili III e Tudkhaliya IV rispettivamente a Babilonia e ad Assur, ad ammonimento dei sovrani appena assunti al trono. Nella ricerca di tali episodi non è necessario presupporre ricerche su materiale d'archivio da parte degli scribi; l'esemplarità del fatto era in rapporto diretto alla notorietà del suo protagonista.

Gli Annali di Murshili II (1340-1310 ca.), per l'ampiezza della trattazione, la capacità di ordinare la materia e la maturità stilistica, rappresentano il culmine della storiografia di carattere ufficiale. Le Gesta di Shuppiluliuma I hanno un andamento più epico; del resto, eventi remoti nel tempo e nello spazio (ne è teatro talvolta la Siria) si prestano facilmente a essere eroicizzati, e Murshili, col suo continuo intercalare: "… allora mio padre …", finisce per rifulgere di gloria riflessa.

È solo nei momenti di crisi che le testimonianze storiografiche diminuiscono. Della pestilenza riportata dalle truppe hittite di ritorno dalle vittoriose campagne siriane, e che funestò il paese per 20 anni, non si trova cenno negli annali. Ma nelle preghiere dove l'uomo è di fronte al dio (e alla propria coscienza), anche Murshili deve ammettere le colpe del padre, che non fu leale col nemico e venne favorito nell'ascesa al trono addirittura dall'uccisione dell'erede designato.

Dopo l'alta qualità raggiunta con Murshili, non sembra che la forma annalistica abbia più incontrato lo stesso favore. Di Muwatalli (1310-1280 ca.) manca comunque la maggior parte del materiale archivistico, conservato in una residenza non ancora identificata. Al fratello di questi, Khattushili III, che s'impadronì del trono con un colpo di stato, risale una narrazione di azioni belliche estremamente frammentaria. Egli è autore anche di una sapientissima apologia (che utilizza la forma dell'editto) tesa a giustificare il proprio operato, dove egli si presenta come il benedetto degli dèi e il continuatore della politica del fratello. Col figlio di questi, Tudkhaliya IV (1260-1220 ca.) sono redatte iscrizioni commemorative in hittita geroglifico, le quali, per la difficoltà del sistema di scrittura (e la loro collocazione in luoghi di culto), non dovrebbero comunque avere avuto un vasto pubblico.

La storiografia nell'Antico Testamento

di Giovanni Garbini

Nel periodo precedente all'esilio in Babilonia, gli Israeliti non possedevano un termine per indicare la 'storia'; più tardi questa fu designata con la parola tolēdot 'generazioni', calco linguistico dal greco genealogikà, che costituiva il titolo delle opere di Acusilao e di Ecateo, i primi storici greci vissuti tra la seconda metà del VI sec. e l'inizio del V secolo. Sembra molto probabile che il prestito linguistico sia avvennuto durante il periodo persiano, presumibilmente nel corso del V secolo.

Una trattazione scientificamente valida dei procedimenti storiografici messi in atto nei testi narrativi che fanno parte dell'Antico Testamento ebraico deve affrontare in via preliminare il problema della datazione e della natura dei libri che li contengono. Racconti di tipo storico sono presenti nel Pentateuco e costituiscono il contenuto dei libri di Giosuè, Giudici, I-II Samuele e I-II Re; a questi vanno aggiunti I-II Cronache, Ezra e Neemia. Se oggi generalmente è abbandonata la posizione tradizionale dell'ebraismo postbiblico, che voleva il Pentateuco scritto da Mosè, I-II Samuele dal profeta omonimo e I-II Re dal profeta Geremia, negli ambienti conservatori legati alle varie confessioni religiose trova largo seguito l'ipotesi avanzata nel 1883 da Julius Wellhausen, a coronamento di più di un secolo di ricerche, secondo la quale il Pentateuco sarebbe costituito da quattro fonti, o documenti (donde il nome di 'ipotesi documentaria'), databili rispettivamente al X sec. (yahwista), VIII (elohista), VII (deuteronomio) e V (sacerdotale); le parti narrative apparterrebbero prevalentemente alle prime due. Tale ipotesi, che per lungo tempo è stata combattuta duramente proprio dagli stessi ambienti che oggi la difendono, si è rivelata del tutto inconsistente, sia per le supposte fonti sia per la cronologia troppo alta, alla più agguerrita critica biblica emersa negli ultimi tre decenni. La cosiddetta Storia della successione al trono di David (II Samuele, 9-20 + I Re, 1-2), già individuata da Wellhausen e ritenuta nei decenni centrali di questo secolo opera di un membro della corte di Salomone, attualmente è considerata una narrazione non unitaria, fortemente romanzesca e scritta in età posteriore all'esilio babilonese.

Un'altra ipotesi di ricostruzione di uno scritto ebraico anteriore ai libri biblici attuali è stata avanzata nel 1943 da Martin Noth: un autore-redattore, ideologicamente vicino al Deuteronomio, nel VI sec., durante l'esilio in Babilonia, avrebbe composto un'opera storiografica che iniziava con i primi quattro capitoli del Deuteronomio e che comprendeva, con larghissimo uso di fonti anteriori, gran parte del materiale ora distribuito nei libri di Giosuè, Giudici, I-II Samuele e I-II Re.

La prima osservazione da fare nei confronti sia dei libri biblici che sono stati conservati, sia delle opere ipotizzate da Wellhausen e da Noth, riguarda le loro dimensioni; si tratta di libri piuttosto consistenti, che vanno dalle circa 40 pagine di fitta scrittura dei Giudici alle circa 100 pagine di Samuele, Re e Cronache, con la Genesi sulle 80 pagine e il Deuteronomio sulle 60 pagine; la fonte sacerdotale supererebbe le 100 pagine. Tali dimensioni sono del tutto incompatibili con quelle degli scritti vicino-orientali anteriori al periodo ellenistico: il testo aramaico della storia di Ahiqar (compresi i proverbi), del V sec., occupa non più di otto pagine di stampa moderna; i racconti egiziani non superano le 15 pagine di traduzione e sono a volte molto più brevi; le cronache babilonesi erano spesso contenute in una sola tavoletta, per un totale di meno di 100 righe, mentre quelle maggiori occupavano quattro tavolette, con qualche centinaio di righe. È dunque evidente che la forma attuale dei libri biblici non è anteriore al IV-III sec., quando questi furono redatti riunendo in un unico volume, con un'impostazione unitaria, scritti precedentemente indipendenti; il carattere estremamente composito di ogni singolo libro biblico riflette tale origine. Un dato che ultimamente è stato messo in risalto è il disegno storico unitario che accomuna tutti i libri biblici da Genesi a II Re: la storia ebraica è raccontata dalla creazione del mondo fino alla fine del regno di Giuda. Questa impostazione storiografica, che trova un parallelo nella Storia fenicia, attribuita a Sanchuniaton di Berito e rielaborata in età romana da Filone di Biblo che la tradusse in greco, caratterizza la storiografia orientale di età ellenistica; anche il babilonese Beroso e un altro fenicio, Mocho, iniziavano le loro storie con le origini del mondo. La conseguenza di quanto si è detto è che la visione storica globale offerta dall'Antico Testamento riflette le concezioni che una parte dell'ebraismo elaborò in età ellenistica. Per conoscere lo sviluppo del pensiero storiografico ebraico nei periodi precedenti è necessario ricorrere all'analisi critico-letteraria dei testi che consente, entro certi limiti, di ricostruire le diverse fasi della rielaborazione letteraria a cui questi furono sottoposti nel corso dei secoli; in altri termini, bisogna cercare di capire come si sono formati gli attuali libri biblici. Quando non si tratta di brevi testi unitari, come Rut o Giona, in quelli narrativi di notevoli dimensioni i punti di sutura sono facilmente individuabili; nella Genesi, per esempio, si distinguono chiaramente i due racconti della creazione, il diluvio, il ciclo di Abramo, la storia di Giuseppe, mentre nei Giudici la divisione fra le varie parti è ancora più evidente. Non bisogna credere, tuttavia, che l'autore-redattore finale si sia limitato a cucire insieme opere preesistenti; oltre a intervenire pesantemente con tagli e aggiunte sulla sua fonte egli riscrive i brani riportati secondo il proprio punto di vista, apportando spesso varianti testuali significative. Un esempio assai istruttivo è offerto dal confronto dell'Ezra canonico, redatto verso la fine del I sec. d.C. (era ancora ignoto a Flavio Giuseppe), con la sua fonte, conservata nella versione greca come I Ezra. In questo modo, lo scritto precedente perdeva la sua fisionomia e si trasformava in qualcosa di diverso. I testi più antichi subirono questo trattamento diverse volte successive, perché specialmente il mutare delle ideologie costituiva il motivo che spingeva a reinterpretare, cioè a riscrivere in maniera diversa, testi antichi ritenuti particolarmente importanti.

Gli scritti di natura storiografica erano in special modo soggetti a questo tipo di rielaborazione, proprio perché l'interpretazione della storia passata fu uno degli elementi fondanti del giudaismo postesilico. Per rendere chiaro il nostro discorso è necessario ora tratteggiare brevemente quello che, allo stato presente della critica, sembra essere stato lo svolgimento della letteratura storiografica nell'antico Israele.

Come in tutto l'Oriente antico, anche nei due regni ebraici la produzione letteraria costituiva una prerogativa del palazzo reale e dei templi più autorevoli; solo il primo era tuttavia interessato a registrare gli avvenimenti considerati più importanti, ovviamente in relazione al sovrano. L'esistenza di una letteratura annalistica ebraica nei due centri di Gerusalemme e di Samaria è dimostrata dalla presenza nel libro dei Re di notizie schematiche ma puntuali che riflettono una fonte annalistica; le vicissitudini del testo, che fra poco vedremo, non consentono di fare completo affidamento su quanto è affermato in questi passi, che però trovano non di rado conferma in fonti non ebraiche. Quelli che possiamo chiamare Annali di Israele e Annali di Giuda avevano un probabile modello negli Annali di Tiro, un'opera di cui Flavio Giuseppe ci ha tramandato alcuni brevi estratti che confermano la natura assai sintetica del racconto. Tali annali esistevano a Gerusalemme già nel X sec., come rivela la notizia del saccheggio del tempio da parte del faraone Sheshonq, che condusse una spedizione in Palestina nella seconda metà di quel secolo. È probabile che col passare del tempo la stesura delle cronache reali sia diventata meno schematica; un argomento a favore di questa ipotesi può essere costituito dal tenore dell'iscrizione ebraica scoperta nel secolo scorso all'interno del tunnel fatto scavare dal re Ezechia per portare l'acqua nella piscina di Siloe, a Gerusalemme, verso il 700. La struttura dell'iscrizione, completamente diversa da tutte le iscrizioni reali conosciute, ha fatto ipotizzare con qualche fondamento che essa riproduca il testo di una cronaca reale (non pervenutaci) che descriveva lo scavo del tunnel stesso, impresa ricordata fugacemente nei libri che possediamo.

Accanto alla produzione di tipo annalistico, nell'ambito delle corti esisteva una letteratura legata alle vicende storiche ma con un'impostazione più politica che storiografica. Si tratta dei cosiddetti 'oracoli contro le nazioni' che il sovrano commissionava ai profeti di corte (cfr. II Re, 19) in momenti di gravi crisi militari e dei quali si trovano diversi esempi (non tutti interamente autentici) nei libri profetici giunti a noi. In tali componimenti gli avvenimenti politici che ne stanno all'origine sono appena accennati ma talvolta, come in quelli di origine fenicia relativi a Tiro e riportati nel libro di Ezechiele, si può cogliere in essi una riflessione storica più matura.

Una terza categoria di scritti che possono rientrare nel genere storiografico è rappresentata da quelle narrazioni che descrivono i rapporti intercorsi tra un profeta e un re: esempi tipici sono quelli di Isaia col re Ezechia e di Geremia con Sedecia. Questi racconti nacquero in un ambiente profetico diverso da quello dei palazzi reali; è legittimo ipotizzare che questo profetismo indipendente dalle corti e spesso di tendenze fortemente antimonarchiche abbia avuto come centri alcuni dei santuari più importanti, ovviamente lontani dalla capitale. Nei testi che ci sono pervenuti è difficile identificare con esattezza le parti veramente antiche di questo tipo di letteratura; si può comunque ritenere che questi consentano di farsi un'idea abbastanza precisa di tale storiografia profetica.

Dei tre filoni storiografici del periodo anteriore all'esilio ora ricordati quelli di matrice profetica sono abbastanza noti, in quanto conservati in maniera relativamente soddisfacente; diversa è invece la situazione per l'annalistica reale, dato che non ci sono pervenuti né gli annali di Giuda né quelli di Israele. Entrambi furono tuttavia utilizzati, durante l'esilio in Babilonia, da uno storico che volle scrivere la storia dei due regni ebraici secondo il modello offertogli dalla Storia sincronica assira: un'opera commissionata dal re Adad-nirari III (810-783) dopo la conquista di Babilonia nella quale il sovrano assiro cercava di giustificare il suo operato ricordando molti degli episodi che nei sei secoli precedenti avevano contrapposto l'Assiria alla Babilonia, e sottolineando i momenti in cui i due Stati erano stati uniti. L'autore della Storia sincronica di Giuda e di Israele realizzò un disegno storico di ampio respiro e fortemente originale; egli legò in un'unica sequenza cronologica tutti i sovrani dei due regni ebraici, riportando per ognuno le notizie essenziali desunte dagli annali. In questo modo le vicende dei due Stati, quasi sempre nemici, furono ripensate come un'unica storia della monarchia ebraica, che era non tanto raccontata, come accadeva nelle cronache annalistiche, quanto piuttosto giudicata. La grande originalità di questo storico sta, infatti, nell'aver fatto seguire a ogni re un giudizio di ordine religioso: negativo indistintamente per tutti i re del Nord e per quasi tutti quelli del Sud; il punto di riferimento per i pochi re di Giuda valutati positivamente è quello di essersi comportati come David. Questa sovrapposizione di una valutazione estrinseca al dato storico rivela l'emergere di una ideologia fondamentalmente politica, antimonarchica, formatasi nell'ambito stesso della corte tenuta in esilio a Babilonia: le tristi condizioni di Giuda erano la conseguenza della cattiva condotta religiosa dei sovrani, specialmente di quelli di Israele, di cui Gerusalemme dopo la caduta di Samaria nel 721 si sentiva l'erede. Elementi dell'ambiente palatino avevano fatto proprie le posizioni del profetismo antimonarchico che poco dopo, col deutero-Isaia, saluterà l'achemenide Ciro come il nuovo re di Giuda prescelto da Dio. Sul piano storiografico la Storia sincronica ebraica segna l'inizio della lunga riflessione storica che Israele elaborò sul proprio passato.

I due secoli della dominazione achemenide, che videro Gerusalemme governata dal sacerdozio sostituitosi alla monarchia al tempo di Dario I (522-486), non ci hanno lasciato nessun documento diretto sulle vicende di quel periodo. Questo iniziò in maniera drammatica, con l'eliminazione, verosimilmente violenta, dell'ultimo re di Giuda Zorobabele e l'uccisione del profeta Zaccaria che lo aveva sostenuto. La tradizione successiva conservava il ricordo del ritorno dall'esilio sotto la guida di Zorobabele e della tragica fine del profeta, ma di questi avvenimenti la Bibbia ebraica dice ben poco: solo un generico e vago riferimento al ritorno di Zorobabele, consegnato a uno scritto di età ellenistica.

La fine della monarchia comportò l'estinzione della letteratura annalistica, mentre la posizione in tutti i sensi marginale della Giudea non favoriva certamente lo svolgimento in essa di rilevanti avvenimenti politici. Si sviluppò invece una letteratura sacerdotale che, sul piano storiografico, si espresse prevalentemente nella stesura di liste genealogiche attinenti specialmente alle famiglie sacerdotali; è comprensibile che il sacerdozio di Gerusalemme abbia preferito far dimenticare le vicende che lo avevano portato al potere. La sola attività storiografica di un certo rilievo è una sostanziale revisione della Storia sincronica. Quando leggiamo, nella forma con cui questa si presenta nel libro dei Re, che i pochi re di Giuda degni di lode furono quelli che seguirono l'esempio di David, non possiamo non chiederci a cosa si riferisca l'autore, dato che nelle pagine dedicate dal testo biblico a questo re non si trova assolutamente nulla che possa far pensare a David né come modello di condotta morale né come iniziatore di una pratica religiosa che doveva servire come esempio. La sola spiegazione della posizione ideologica della Storia sincronica è che questa, nella sua forma originaria, doveva presentare David come costruttore del tempio di Gerusalemme: un dato, questo, esplicitamente affermato da qualche fonte ebraica extrabiblica e implicito nello stesso racconto biblico che, nel momento in cui cerca di smentirlo, in maniera peraltro grossolana, finisce di fatto per confermarlo. Non mancano inoltre nel testo della Bibbia chiari riferimenti all'esistenza del tempio di Gerusalemme già al tempo di David (cfr. II Re, 11, 10 e il testo di II Samuele, 8, 7 con quello greco di I Re, 14, 26). Del resto, la tradizione che vuole David autore dei Salmi (inni liturgici) non avrebbe alcun senso se il tempio non fosse stato costruito da questo sovrano. Ciò significa tuttavia che nell'attuale libro dei Re non troviamo il testo della Storia sincronica basata sulle fonti annalistiche bensì un suo sostanziale rifacimento redatto in età persiana quando il sacerdozio di Gerusalemme si trova nella necessità, per ragioni che ignoriamo, di dare una diversa versione sulle origini del tempio da cui esercitava il potere. È probabilmente in questa fase del testo che ai dati annalistici originari furono aggiunte sezioni che riguardavano in maniera specifica il sacerdozio, come l'episodio di Atalia con il sacerdote Ioiada, le nefandezze liturgiche di Manasse e il ritrovamento della Legge al tempo di Giosia.

Se mancò di una vera produzione storiografica, il periodo achemenide vide invece la fioritura di una ricca narrativa dai toni romanzeschi che richiama certi racconti erodotei. Protagonisti di tali narrazioni erano i grandi personaggi della storia ebraica: Abramo, Giacobbe, Giuseppe, Mosè, Giosuè, Saul, David, con le figure minori come Abimelek e i profeti come Elia ed Eliseo. Di questa ampia letteratura ci è pervenuta, debitamente revisionata, solo una parte, accolta nel grande disegno storiografico realizzato nell'età successiva. È probabile che anche l'ambiente sacerdotale abbia contribuito a questa produzione letteraria, sia perché poi la utilizza direttamente sia perché abbiamo notizia di libri, non pervenutici, che contenevano tradizioni leggendarie sulla più antica storia di Israele inquadrate in una visione storica strettamente religiosa. In Numeri, 21, 14 è citato un Libro delle guerre di Yahweh che conteneva alcuni versi di argomento geografico citati nel contesto delle guerre sostenute dagli Israeliti dopo l'uscita dall'Egitto prima di raggiungere la Palestina. È verosimile che questo libro, dal titolo assai eloquente, sia stato una delle fonti dei racconti apparentemente storici presenti nel libro dei Numeri e in Giosuè, quantunque in quest'ultimo si citi, a proposito dell'episodio dell'arresto del Sole, un Libro del Giusto (Giosuè, 10, 13). Va tuttavia osservato che mentre il Libro delle guerre di Yahweh si adatta perfettamente all'avvenimento, il Libro del Giusto presenta diversi problemi. Non è menzionato nella versione greca di Giosuè ed è citato in II Samuele, 1, 18 come fonte dell'elegia di David su Gionata; questo fa supporre che il vero titolo del libro non facesse riferimento a un enigmatico 'giusto' (in ebraico yšr) bensì al 'canto' (šyr), come testimonia il versetto greco I Re, 8, 53a, assente dal testo ebraico e citato a proposito della costruzione del tempio da parte di Salomone. Il ricordo di questi due libri è molto importante perché rivela che nel V e IV sec. non esistevano ancora i testi che conosciamo noi.

L'arrivo di Alessandro il Macedone segnò una svolta profonda anche nella letteratura ebraica; fu proprio la decisione di Alessandro di consentire la ricostruzione del Tempio sul Garizim, creando così un centro alternativo a Gerusalemme, che fece scrivere un libretto pseudostorico, le Lettere dei re sulle offerte votive al Tempio (cfr. II Maccabei, 2, 13) nel quale si rivendicava l'esclusiva legittimità del Tempio di Gerusalemme in quanto ricostruito da Ciro, 'unto' di Yahweh e quindi re di Israele. Questa sottile e abile argomentazione politico-religiosa fu resa possibile da un'arbitraria anticipazione della data del ritorno dall'esilio, spostata dal secondo anno di Dario (520), come si afferma in Aggeo e Zaccaria, al primo anno di Ciro dopo la conquista di Babilonia (538). Questa falsificazione cronologica ha costretto l'autore a una serie di inverosimiglianze e contraddizioni sul piano narrativo, ulteriormente aggravate quando nel II sec. il libretto fu utilizzato dall'autore di I Ezra.

Il periodo ellenistico diede un notevole impulso alla storiografia ebraica. Come si è già accennato, nacque allora l'idea di inserire la storia nazionale in un quadro cronologico che prendeva le mosse dall'origine dello stesso Universo; i Fenici fecero cominciare la loro storia con una teogonia, mentre gli Ebrei monoteisti, posero all'inizio la parola creatrice di Yahweh. Il disegno storico ebraico fu grandioso, non solo per le dimensioni dell'opera (dalla Genesi a II Re), ma anche per la concezione religiosa che la ispirava: l'antica concezione orientale secondo cui è la divinità che opera nella storia, utilizzando gli uomini semplicemente come strumenti, è portata alle estreme conseguenze facendo diventare storia precetti religiosi e pratiche liturgiche nello stesso momento in cui l'azione divina si concentra esclusivamente su Israele, facendo agire tutti gli altri popoli solo in funzione di questo. Il materiale necessario per la realizzazione di questo grande progetto letterario fu fornito in gran parte, ovviamente, da scritti preesistenti: tradizioni mitologiche fenicie e babilonesi, racconti leggendari sul più lontano passato, narrazioni sui profeti, storie relative a Saul e David particolarmente interessate agli aspetti religiosi e militari. Per il periodo più recente fu naturalmente utilizzata la Storia sincronica, che subì un'ulteriore rielaborazione e che fu affiancata da diversi racconti relativi ai profeti.

I libri del Pentateuco diventarono consistenti, quando non nacquero ex novo, con l'acquisizione di materiale liturgico e giuridico (attinente esclusivamente alla sfera religiosa) le cui origini non sono anteriori al postesilio, dato che nel periodo monarchico spettava esclusivamente al re la conduzione delle più importanti cerimonie liturgiche, per non parlare dell'esercizio della giustizia. Il dato essenziale che va tenuto presente per la valutazione di questi libri è che essi sono nati da un pensiero e probabilmente da una mano unitaria, che non solo ha raccolto e adattato i singoli testi ma li ha non di rado accompagnati con una propria versione dei fatti; molte delle duplici versioni di avvenimenti che si incontrano nella parti narrative hanno origine non nella giustapposizione di due fonti diverse ma nel fatto che l'autore-redattore finale ha voluto affiancare a un testo preesistente un nuovo testo composto da lui stesso. È a questo autore che si deve verosimilmente la posizione fortemente antimonarchica, con un'accentuata ostilità nei riguardi di David abilmente dissimulata da una brillante veste letteraria e da un grande senso di drammaticità.

Contemporanea, o di poco posteriore, allo straordinario affresco storico prodotto nell'ambiente dei sacerdoti di Gerusalemme è un'altra opera storiografica concepita in maniera analoga in ambito levitico, ma realizzata con mezzi più modesti: si tratta del libro delle Cronache che fu composto nel III sec., come si deduce dal testo greco (meglio conservato di quello ebraico) del passo relativo ai discendenti di David (I Cronache, 3, 17 - 24). Il libro ha inizio con Adamo, ma tutta la storia ebraica fino a Saul è presentata sotto forma di genealogie; il racconto vero e proprio incomincia con la morte di Saul e prosegue fino alla fine della monarchia. È opinione generale che le Cronache, le quali presentano parecchio materiale in comune con i libri di Samuele e Re, abbiano attinto questo da essi; l'improbabile esistenza del complesso Samuele-Re prima della fine del IV sec. e una serie di divergenze su particolari significativi (esposizione del cadavere di Saul, la menzione di Tiglat-pileser re di Assiria invece di Salmanassar a proposito della caduta di Samaria) rendono piuttosto verosimile l'ipotesi che le Cronache abbiano usato in maniera indipendente le stesse fonti utilizzate da Samuele-Re. Lo scritto levitico restringe i suoi interessi al solo regno di Giuda, esclude tutte le storie scabrose relative a David e gli aspetti negativi di Salomone, enfatizza il ruolo e l'importanza dei leviti e fa ampie aggiunte allo scarno materiale che la Storia sincronica aveva tramandato sui re di Giuda mettendone in risalto l'attività religiosa; è assente dalle Cronache l'animosità contro la monarchia e contro David.

Al III sec. risalgono anche le Memorie di Neemia, un'operetta a struttura autobiografica (secondo il modello greco) che narra la ricostruzione delle mura di Gerusalemme dopo il ritorno dall'esilio attribuendola a un personaggio che si vorrebbe collocare nel V sec., ma che i dati offerti da Flavio Giuseppe documentano vissuto negli ultimi decenni del IV secolo. L'opera, parafrasata da Giuseppe, non ci è giunta direttamente ma è stata in larga misura utilizzata, con omissione della parte finale e con aggiunte posteriori, nel libro canonico di Neemia che il tardo giudaismo ha unito a quello di Ezra.

Una specie di sommario poetico della storia ebraica secondo il punto di vista sacerdotale è stato tracciato, verso l'inizio del II sec., da Ben Sira nella parte finale del suo libro sapienziale (capitoli 44-50), che però non è stato accolto nel canone rabbinico. Di poco posteriore (metà del II sec.) è la prima redazione del Libro di Ezra (I Ezra greco), un'opera prodotta dall'ambiente levitico che dopo aver utilizzato la parte finale delle Cronache, le Lettere dei re e un testo sapienziale, ha creato il personaggio di Ezra, proiettato nel V sec., il quale incarna di fatto le esigenze ideologiche del giudaismo del II secolo. Il libro in seguito è confluito parzialmente nell'Ezra canonico redatto, insieme a Neemia, verso la fine del I sec. d.C. Con questi libri termina la letteratura storiografica conservata dall'Antico Testamento ebraico; le vicende che portarono alla creazione di un nuovo regno ebraico, a partire dalla lotta condotta da Giuda Maccabeo contro Antioco IV di Siria e i suoi successori, furono scritte in greco (ma per i Maccabei s'ipotizza un originale ebraico) e anche per questo furono escluse dal canone rabbinico.

A conclusione di questa sommaria rassegna della storiografia ebraica antica sono necessarie alcune considerazioni. Innanzi tutto va preso in esame l'orizzonte cronologico degli autori biblici, che è molto più limitato di quanto abbiano ritenuto i biblisti del Novecento, i quali hanno collocato Abramo, iniziatore della storia ebraica, nel periodo che di volta in volta era illuminato dalle scoperte archeologiche: prima in quello di Nuzi (XV sec.), poi in quello di Mari (XVIII sec.) e, infine, in quello di Ebla (XXIII sec.). Il rapporto di Abramo con 'Ur dei Caldei', che ci riporta a non prima del VII sec. è certamente secondario; fondamentale è invece la circostanza che sia Abramo sia Isacco vengano collocati in una Palestina già abitata dai Filistei e che "terra dei Filistei" sia chiamata la regione verso cui Mosè conduce il popolo ebraico (Esodo, 13, 17; 15, 14; 23, 31). Questo rivela che la memoria storica degli Ebrei non risaliva oltre l'XI sec.; il più antico evento storico ricordato dalla Bibbia è la spedizione palestinese del faraone Sheshonq, che ebbe luogo nella seconda metà del X secolo. Al limite inferiore, i libri storici si fermano al periodo dell'esilio, dato che le vicende di Ezra e Neemia, che si vorrebbero svolte nel V sec., sono avvolte in un groviglio cronologico talmente inestricabile da tradire la loro origine tarda e artificiosa.

Si è molto discusso, in tempi recenti, sull'inizio veramente storico della storia ebraica, mentre molti biblisti si sforzano di dimostrare la piena storicità dell'esodo dall'Egitto e altri utilizzano i dati biblici per ricostruire situazioni storiche relative al II millennio. È tuttavia sfuggito che lo stesso Antico Testamento fissa una netta distinzione tra il periodo che esso considera storico e quello che deve essere ritenuto mitico (distinzione che era ben chiara allo storiografo ebreo di età ellenistica). Il tempo del mito è quello in cui Dio parla direttamente ai protagonisti della storia: Adamo, Noè, Abramo, Mosè, Giosuè. L'ultimo interlocutore diretto è stato Samuele, il 'veggente', al quale Dio ha parlato in due modi diversi: come attore di avvenimenti storici e come trasmettitore del volere divino agli altri uomini, cioè come profeta (I Samuele, 10, 17-18; 15, 1-2 e 16-19). Dopo Samuele, Dio comunicherà con gli uomini esclusivamente attraverso i profeti o eccezionalmente in sogno, come avvenne con Salomone. Ma Samuele, che segna il passaggio dal mito alla storia, è anche colui che unge i primi re, Saul e David; l'inizio della storia coincide dunque con l'inizio della monarchia. I meriti politici di Saul e David furono principalmente quelli di condurre una lotta per liberare Israele dal dominio filisteo: questo sta a significare che nel X sec. ebbero inizio contemporaneamente la storia e la coscienza storica di Israele.

Per comprendere la peculiare concezione storiografica dell'Antico Testamento bisogna approfondire il significato del limite inferiore posto alla narrazione storica che termina con i libri dei Re, ultimo di quelli che la tradizione ebraica chiama "profeti anteriori": l'ultima notizia riportata (II Re, 25, 27-30) è la liberazione dalla prigionia del re di Giuda Ioachin a opera di Amel-Marduk appena salito sul trono di Babilonia (561). Questo significa che per l'Antico Testamento la storia ebraica s'identifica con il periodo della monarchia: tutto quello che si è verificato successivamente non interessa più, non è più storia. Se la tradizione cristiana non avesse conservato i Maccabei e le opere di Flavio Giuseppe ignoreremmo le vicende ebraiche posteriori al 561.

Quella biblica è una storia 'profetica', nel senso che, come gli antichi veggenti-profeti, essa non narra gli avvenimenti ma li interpreta; l'Israele dell'esilio e del postesilio si è continuamente interrogato sul suo stato presente, non particolarmente felice, e lo ha spiegato come la conseguenza di quello che era accaduto prima; si sviluppa così una 'profezia del passato' articolata in tre momenti. Il periodo della colpa, prima attribuita alla sola casa regnante poi a tutto il popolo, è quello della monarchia; l'esilio di Giuda in Babilonia rappresenta il momento dell'espiazione, in seguito al quale Giuda merita una grande riabilitazione che il disegno divino proietta in un futuro messianico. Questa visione storica ebbe due conseguenze sul piano storiografico, la prima delle quali fu una continua rielaborazione, di fatto una falsificazione, dei dati storici a seconda delle esigenze politiche del momento. Ecco così David privato del Tempio a favore di Salomone, un personaggio che la stessa Bibbia (testo greco di Amos, 1, 6-11) colloca nell'VIII sec. (fonti extrabibliche documentano nello stesso secolo un Hiram re di Tiro, un Rezon re di Damasco e regine arabe); le dinastie di Israele e Giuda tenute sempre rigidamente separate, nonostante singolari coincidenze e omonimie che presuppongono periodi di unione fra i due regni; per non parlare dell'eliminazione di Damasco, tenacemente presente in testi extrabiblici, dall'ambiente di Abramo e della totale scomparsa delle tradizioni relative all'eponimo Israele, artificiosamente identificato con Giacobbe. La seconda conseguenza fu che gli avvenimenti del postesilio non furono ricordati da testi storici ma si trovano talvolta commentati, con allusioni, in tardi testi profetici (Zaccaria, 9, 1-8 allude all'ingresso di Alessandro Magno a Gerusalemme: Giuseppe, Antichità, XI, 317-339; Abdia parla delle vicende che portarono Pompeo in Palestina: Giuseppe, Antichità, XIV, 37-71). In conclusione, l'Antico Testamento contiene assai poca storiografia e tantissima rielaborazione ideologica di scarsi dati storici; il risultato di mezzo millennio di teologia demitizzante fu la mitizzazione della storia.

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