Vicino Oriente antico. Metallurgia

Storia della Scienza (2001)

Vicino Oriente antico. Metallurgia

Marcella Frangipane
Nicolò Marchetti

Metallurgia

Le origini della metallurgia

di Marcella Frangipane

La metallurgia ha, nel Vicino Oriente, origini antichissime, individuabili nelle aree geografiche vicine alle materie prime e in particolare in quelle zone ricche non soltanto di minerali metalliferi, ma di una varietà di materiali diffusamente utilizzati dalle comunità preistoriche, dalla selce all’ossidiana al legname. Le prime attestazioni di oggetti metallici provengono, infatti, proprio dalle regioni montuose dell’Anatolia orientale e centromeridionale, dove, oltre a numerosi e, in alcuni casi, consistenti giacimenti di rame, si trovavano le principali fonti dell’ossidiana, vetro vulcanico comunemente impiegato, anche se con incidenza quantitativa variabile, nell’industria litica delle più antiche comunità vicino-orientali. La scarsità di giacimenti di questo materiale ha fatto sì che sin dal Neolitico Preceramico (IXVIII millennio), epoca della prima affermazione dell’agricoltura e della vita sedentaria, si costituissero modalità e vie di scambio lungo le quali l’ossidiana viaggiava, passando probabilmente di mano in mano, dall’Anatolia centrale fino alla Palestina lungo la fascia mediterranea, e dalle regioni della Turchia orientale al Golfo Persico attraverso la catena degli Zagros.

La capacità di sfruttare le numerose risorse che le montagne anatoliche offrivano sta alla base della scoperta e del primo uso del metallo. Questo, infatti, fu utilizzato inizialmente, probabilmente sotto forma di rame nativo, come un materiale adatto alla realizzazione di piccoli oggetti d’ornamento, per lo più grani per collana, per le sue caratteristiche di colore e malleabilità. Grani di rame si trovano già nell’VIII millennio nei siti del Neolitico Preceramico del Tauro orientale, quali Çayönü e Nevali Çori, situati non lontano da una delle più ricche miniere di rame del Vicino Oriente, Ergani Maden. I primi ritrovamenti di oggetti di rame nativo martellato possono essere ancora inquadrati nell’ambito della lavorazione delle pietre, anche se l’applicazione di una tecnologia particolare, quale quella del riscaldamento, dimostra una conoscenza delle proprietà peculiari del materiale che, a differenza delle altre pietre, al calore diviene morbido e facilmente plasmabile.

Da qui alla fusione del rame e alla sua separazione da veri e propri minerali, sia pur semplici, quali i carbonati e gli ossidi di rame, il passo fu molto breve. Ne è testimonianza il ritrovamento già a Çayönü di un piccolo punteruolo di rame fuso, probabilmente ottenuto da un minerale molto puro, che è tuttavia difficile distinguere, alle analisi chimiche, da un rame nativo. D’altra parte, se un dubbio può rimanere per l’oggetto di Çayönü, ritrovamenti di poco posteriori (VII millennio) attestano inequivocabilmente l’acquisita capacità di estrarre da minerali metalliferi non solamente il rame, ma anche il piombo. Oggetti e scorie di rame e piombo sono stati trovati nel famoso villaggio neolitico di Çatal Höyük, nell’Anatolia centromeridionale, e in alcuni siti della Jezira irachena, alla periferia meridionale delle aree metallifere dell’Anatolia orientale, tutti databili nell’ambito del VII millennio. Questi ritrovamenti testimoniano non soltanto di una veloce acquisizione delle tecniche per l’estrazione del metallo, ma anche di una loro altrettanto veloce diffusione su un’ampia area geografica e della circolazione a distanza dai giacimenti delle materie prime, che probabilmente in questa fase seguirono i percorsi dell’ossidiana. Studi sperimentali hanno dimostrato che, anche con una tecnologia rudimentale, non è difficile ottenere l’elevata temperatura di 1100 ºC necessaria per la fusione del rame, purché si concentri un costante flusso d’aria su un punto ristretto, come può essere un crogiolo o una fossetta nel terreno. Le piccole quantità di minerale richieste dal limitato impiego del metallo in queste fasi iniziali del suo sfruttamento potevano, dunque, essere trattate senza problemi.

Una volta acquisite e diffuse le conoscenze di base, probabilmente si continuò a sperimentare con l’uso dei diversi tipi di minerali metallici, come testimonia la precoce utilizzazione del piombo. L’attività metallurgica nel suo complesso non fece passi in avanti significativi per vari millenni. È possibile che ciò fosse dovuto in parte alle difficoltà tecniche e soprattutto organizzative che un aumento dello sfruttamento del metallo avrebbe implicato con la necessità di reperire elevate quantità di minerali in giacimenti spesso lontani e soltanto raramente abbastanza superficiali da essere facilmente raggiunti. Il metallo che se ne ottiene, specie con tecnologie primitive, è quantitativamente molto ridotto rispetto allo scarto. Lo scavo di gallerie per l’estrazione mineraria con strumenti di pietra doveva richiedere, infatti, un’attività organizzata e un notevole impegno di energie che potevano essere giustificati solamente da un effettivo bisogno sociale. Fu probabilmente proprio la mancanza di questo bisogno nelle società egalitarie del Neolitico e del Calcolitico più antico la causa principale della lunga stasi che seguì alle prime scoperte, fino al nuovo impulso e al grande salto di qualità che l’attività metallurgica manifestò nel corso del IV millennio in gran parte delle regioni vicino- orientali.

Il IV millennio nel Vicino Oriente è il periodo di formazione delle prime società gerarchiche ad organizzazione variamente centralizzata, che nel mondo mesopotamico e perimesopotamico assumono le forme di società protostatali e protourbane. Non è un caso dunque che proprio in questo periodo la metallurgia subisca un nuovo forte impulso sotto la pressione di una crescente richiesta di beni di prestigio e in virtù di una nuova capacità da parte delle nascenti istituzioni centrali di organizzare il lavoro degli artigiani e il flusso delle materie prime e dei prodotti, sia all’interno delle comunità, sia all’esterno (dalle aree fornitrici di materie prime e verso le aree recettrici di beni finiti). I tradizionali intensi contatti già stabilitisi nei millenni precedenti tra Bassa e Alta Mesopotamia e con le regioni dell’Anatolia orientale gravitanti su Tigri ed Eufrate crearono le basi ideali per favorire lo sviluppo della metallurgia nelle regioni settentrionali di questo mondo mesopotamico allargato, garantendo un flusso di scambi con il Sud, che di queste ed altre materie prime era completamente privo e che al tempo stesso vedeva crescere smisuratamente i bisogni di élites sempre più forti e organizzate e un artigianato raffinato ben collocato all’interno dei nuovi nuclei urbani. Anche lo sviluppo della vita cittadina, basata sulla specializzazione del lavoro e sulle reti di scambio e circolazione interna dei prodotti, fu l’ambiente ideale per la crescita della metallurgia.

È in questo periodo, e soprattutto nella seconda metà del IV millennio, che si ampliò la gamma dei prodotti in metallo, con la realizzazione, accanto ai tradizionali piccoli oggetti d’ornamento e strumenti domestici, quali aghi o punteruoli, di armi (pugnali, spade e punte di lancia), asce, rari recipienti e più elaborati ornamenti, in qualche caso già ottenuti con la complessa tecnica della cera perduta. Una testa di lupo in elettro realizzata con questa tecnica è stata rinve- nuta nei livelli tardo calcolitici di Tepe Gawra, nell’Alta Mesopotamia, dove era associata, come corredo funerario in sepolture d’élite, ad altri oggetti in metallo prezioso, quali rosette da applicazione in lamina d’oro. Si ampliano così non soltanto le categorie di oggetti metallici, ma anche i tipi di metallo sfruttati e le relative tecnologie. In Anatolia è ormai attestato l’uso dell’argento che, alla fine del millennio, fu utilizzato anche per intarsiare oggetti in rame. L’esempio più raffinato è la decorazione a triangolini in lamina d’argento su tre delle spade facenti parte di un gruppo di armi (spade e punte di lancia) di straordinaria raffinatezza tecnologica ed estetica rinvenute all’interno di uno degli edifici cerimoniali della grande area pubblica di Arslantepe-Malatya, nella regione dell’alto Eufrate turco.

Le armi di Arslantepe mettono in evidenza come la diffusione, sia pure prevalentemente in ambito elitario, del metallo nel IV millennio si lega all’ampliamento e alla migliore organizzazione della circolazione dei beni, in particolare quelli di prestigio, e degli scambi a lunga distanza, costituendone al tempo stesso causa ed effetto. Entrano pienamente in gioco le aree minerarie dell’Anatolia orientale e delle regioni a sud del Caucaso, che forse proprio grazie a questo approvvigionamento divennero una delle componenti importanti della rete di relazioni del mondo mesopotamico nel periodo della diffusione della cultura di Uruk (3500-3000).

Lo sfruttamento di aree metallifere ampie e composite favorì lo sviluppo della tecnologia delle leghe, in connessione da un lato certamente con la ricerca di soluzioni sempre più efficaci e adatte a scopi sempre meglio definiti, dall’altro lato con le molteplici occasioni di contatto con minerali ricchi di diversi tipi di impurità, alcune molto utili sia alla lavorazione (aumento della fluidità del rame), sia alle caratteristiche degli oggetti finiti (aumento della durezza e resistenza). Un tipo di rame ricco di arsenico divenne uno dei metalli più diffusi nel IV millennio e ancora nella prima metà del III, suscitando un ampio dibattito tra gli studiosi di metallurgia antica sulle dinamiche della sua origine e sulla intenzionalità della sua produzione. La quantità di arsenico presente negli oggetti era, infatti, tale da lasciare dubbi sulla ragione della sua presenza (aggiunta intenzionale di minerali d’arsenico o casuale concentrazione dell’arsenico nella fusione di minerali compositi). D’altra parte, una certa variabilità della sua consistenza quantitativa sembra legata alla diversa funzionalità degli oggetti: un contenuto del 3-5 %, che aumenta la durezza, si trova spesso nelle armi e in altri oggetti che richiedono resistenza; quantità più elevate, che infragiliscono il metallo ma lo rendono più fluido e lucente, sono state frequentemente riscontrate negli oggetti d’ornamento di forme articolate; concentrazioni inferiori al 2 % sono comuni in oggetti di minori dimensioni e complessità, quali aghi, spilloni e punteruoli. Tali ricorrenze e associazioni tra composizione e caratteristiche formali e funzionali degli oggetti, come pure la diffusione del rame arsenicato in un ambito cronologico ampio ma definito (4000-2500), corrispondente al primo grande sviluppo della metallurgia, e precedente il momento dell’affermazione del bronzo e della relativa circolazione organizzata dello stagno, rendono poco plausibile l’idea di una completa casualità nella realizzazione di questo materiale, anche se essa è tecnicamente possibile con l’uso dei minerali compositi. Ancora una volta le ricerche di archeometallurgia condotte ad Arslantepe possono offrire una risposta a questo difficile quesito. In questo sito sono stati rinvenuti, oltre a numerosi oggetti in metallo e scorie, frammenti di minerali di rame misti con abbondanti e varie impurità tutte presenti anche negli oggetti, quali l’arsenico, l’antimonio, il nichel e il piombo. Questi minerali non sono stati attualmente riconosciuti nella regione di Malatya, né nelle regioni vicine e potrebbero essere stati appositamente scelti per ottenere risultati pianificati. Questa ipotesi aggiunge un tassello alla storia dello sviluppo della tecnologia metallurgica, evidenziando la presenza di una fase di sperimentazione delle leghe mediante l’utilizzo intenzionale di minerali misti, dopo un periodo d’uso del rame nativo e dei carbonati e ossidi, più semplici da lavorare, e prima della diffusione dei solfuri di rame, più produttivi ma più difficili da trattare. Lo sfruttamento di giacimenti compositi avrebbe, inoltre, anche favorito lo sviluppo della metallurgia del piombo e dell’argento, in questo caso presenti addirittura negli stessi minerali di rame, e forse anche quella di altri metalli e leghe, quali oro ed elettro, probabilmente presenti in aree minerarie complesse di questo tipo. Se tale ipotesi è corretta, le miniere sfruttate nel IV millennio dovettero essere ancora più selezionate, in base alle caratteristiche dei minerali presenti, rispetto alla già naturale ristrettezza di localizzazione geografica dei giacimenti.

L’ampia circolazione del metallo e i bisogni connessi con il suo reperimento stimolarono lo sviluppo di quest’artigianato anche in aree geografiche distanti e diverse da quelle urbanizzate e a organizzazione centralizzata del mondo mesopotamico e della sua periferia. Uno straordinario incremento quantitativo e qualitativo della produzione metallurgica si manifestò infatti, sempre nel IV millennio, anche in Palestina, e in particolare nella sua parte più meridionale, in seno a gruppi di popolazioni nomadi o seminomadi portatrici della cosiddetta cultura ghassuliana, dal sito di Ghassul nella bassa valle del Giordano. Questi gruppi significativamente occuparono in prevalenza la fascia semiarida del Negev settentrionale, dal Mar Morto all’area di Gaza, pur estendendosi anche lungo la pianura costiera del Mediterraneo fino alla zona di Tel Aviv, e privilegiarono territori non ideali per l’agricoltura, ma collocati in posizione intermedia tra le più fertili vallate della Galilea e della Samaria, popolate da comunità più sedentarie, e le aree completamente aride del Negev meridionale e del Sinai ricche di materie prime. In vari siti occupati dai gruppi ghassuliani sono state trovate le tracce della lavorazione in loco del rame, probabilmente proveniente dalle miniere del vicino wadi Arabah o del Sinai, e alcuni oggetti di straordinaria raffinatezza e qualità tecnologica, che trovano confronto nei materiali di un eccezionale rinvenimento in una sorta di ripostiglio nella Grotta di Nahal Mishmar, nei pressi del Mar Morto. Qui più di 460 oggetti di metallo erano stati deposti tutti insieme, avvolti in una stuoia, e raggruppavano tre o quattro categorie di oggetti, per lo più di prestigio, ma anche di uso quotidiano, di rame o rame arsenicato. Gli oggetti di prestigio (teste di mazza, scettri o rivestimenti decorati di bastoni o aste, e una sorta di corone o larghe fasce circolari sormontate da figurine animali a tutto tondo) avevano alti contenuti di arsenico in presenza di antimonio e di altre impurità, mentre gli oggetti d’uso (accette e scalpelli) erano per lo più poveri o del tutto privi di arsenico, in armonia con la tendenza diffusa in questo periodo. Non si può escludere che la caratterizzazione dei gruppi ghassuliani come abili metallurghi sia da ascrivere a una pressione esterna, anche se i loro oggetti hanno avuto finora riscontro archeologico esclusivamente nella regione di origine. Certo è che tali gruppi disegnano una seconda tipologia, in parte alternativa, in parte forse complementare a quella cresciuta in ambiente urbano, di specializzazione metallurgica legata alla mobilità e alla flessibilità territoriale propria di comunità nomadiche, in grado per ciò stesso di approvvigionarsi direttamente alle fonti. Anche in questo caso, come in quello degli artigiani dei contesti sedentari centralizzati, nel periodo della protourbanizzazione il metallo sembra destinato essenzialmente a un uso d’élite, sia per sottolineare il prestigio dei capi sia per lo svolgimento di alcune loro attività (cerimoniali o belliche).

Il ritrovamento, sempre ad Arslantepe, di una tomba principesca degli inizi del III millennio in cui la ricchezza del capo sepolto era espressa attraverso una straordinaria quantità di oggetti metallici (armi, ornamenti e vasellame) di rame arsenicato, argento e oro, e di una particolarissima lega rame-argento, riconosciuta anche in una punta di giavel lotto da uno degli edifici pubblici della grande area sacra dell’Ean na a Uruk, indica un ulteriore sviluppo della metallurgia e della tecnologia delle leghe in ambito d’élite. Verso la metà del III millennio questa funzione raggiunse il suo punto di massima espansione, testimoniato dai tesori delle tombe reali di Ur nella Bassa Mesopotamia e di Alaça Höyük nell’Anatolia centrale e dalla ricca produzione metallurgica del livello II di Troia. L’oreficeria raggiunse uno straordinario sviluppo, come pure la produzione di vasellame di metalli preziosi, con la diffusione in tutto il Vicino Oriente di caratteri estetico-formali e tecnologici che suggeriscono un’ampia circolazione di modelli e forse di artigiani negli ambienti palatini. A questo straordinario incremento della produzione d’élite si accompagnò la realizzazione, all’inizio sporadica e poi diffusa, della lega con lo stagno, il bronzo, che ottimizzava gli effetti ottenuti con l’arsenico eliminando i suoi inconvenienti, come l’estrema volatilità e la grande tossicità. La stabilizzata rete di relazioni internazionali raggiunta con la piena affermazione delle società statuali e delle organizzazioni di palazzo dovette garantire la regolarità dell’approvvigionamento dello stagno – che in Natura è ancora più raro e localizzato dei minerali d’arsenico – rendendo possibile questo salto di qualità. Il metallo divenne sempre più parte importante nell’economia produttiva delle società palatine vicinoorientali, come testimoniano i testi scritti di città come Ebla o Mari, e in queste nuove condizioni anche l’organizzazione dell’artigianato e le conoscenze tecnologiche subirono un nuovo impulso toccando vertici da produzione ‘industriale’, come testimonia anche la diffusione dei lingotti.

Nella seconda metà del III millennio non si trovano più, come nei periodi precedenti, aree di lavorazione dei minerali all’interno degli abitati, sostituite da officine di produzione degli oggetti mediante colatura in forma del metallo già pronto, fuso probabilmente da lingotti. La scala ormai industriale dello sfruttamento determinò, dunque, una separazione delle fasi di lavorazione e una specializzazione interna all’attività metallurgica, con minatori, commercianti di metallo, artigiani produttori a vari livelli. Fu sicuramente una tale organizzazione a rendere possibile, verso la fine del III millennio e più ancora nel II, la seconda e più definitiva rivoluzione nella scienza e nella tecnica metallurgica: l’impiego del metallo per la produzione diffusa di strumenti da lavoro. Ciò dovette comportare un cambiamento del ruolo della metallurgia nella società, immettendola nei circuiti della produzione di base.

La metallurgia dal III al I millennio

di Nicolò Marchetti

Nella prima metà del III millennio il rapido sviluppo della metallurgia, legato alla crescita degli Stati arcaici del Mediterraneo orientale, comportò lo sfruttamento e la lavorazione di tutti i tipi di metallo conosciuti: oltre al bronzo, il piombo, l’argento, l’oro, il ferro e anche nuove leghe, quale l’elettro, composto da oro e argento. Il ferro meteorico era conosciuto e utilizzato già in contesti della fine del V e del IV millennio, dall’Iran all’Egitto, ma è solo dalla metà del III che in Mesopotamia iniziano a essere documentati, pur in maniera assai sporadica, anche oggetti di ferro fuso il cui pregio è dimostrato dal fatto che provengono da palazzi reali (Kish), templi (Mari) o tombe particolarmente ricche (Ur e Tell Chagar Bazar). Oggetti di ferro fuso dello stesso periodo sono anche stati trovati in Egitto, mentre in Anatolia è nota solo una testa di mazza di ferro meteorico rinvenuta nella città di Troia.

Largamente dominante nel corso del III e del II millennio resta comunque la metallurgia del bronzo, che in Mesopotamia diviene progressivamente stagnato (con una percentuale media di stagno tra il 10 e il 15 %), sebbene il rame in lega con l’arsenico resti popolare nell’Egeo e in Anatolia e in Egitto sia addirittura prevalente durante l’Antico Regno, al pari della Palestina.

Gli ultimi tre secoli del millennio vedono nel Vicino Oriente un numero crescente di stampi per fusione aperti, sia per monili sia per utensili, che indicano una crescita dell’attività metallurgica. Il perfezionamento della tecnica a cera persa, che già nell’ultima fase del periodo Protodinastico in Mesopotamia (2600-2300 ca.) aveva prodotto bellissimi bronzetti antropomorfi e teriomorfi, oltre all’impressionante serie di sculture di grandi dimensioni formate da lastre di rame martellate e inchiodate su un’anima di legno dal tempio della dea Ninkhursag a Tell Ubaid, conduce a partire dalla dinastia accadica alla creazione di sculture monumentali, di cui le più famose sono senza dubbio la testa presunta di Sargon da Ninive e la statua del nipote Naram- Sin da Bassetki in Iraq, entrambe di rame.

Relativamente agli aspetti tecnici della bronzistica, mentre l’arsenico era probabilmente già presente negli stessi luoghi di estrazione del rame, le fonti di approvvigionamento dello stagno nel III millennio non sono note con precisione, dal momento che il Vicino Oriente ne è pressoché privo. Tuttavia la presenza di oro e stagno (cassiterite) alluvionali in Afghanistan, che è anche la fonte principale di lapi - slazzuli, e la presenza rapidamente crescente di questi tre materiali in contesti vicino-orientali, specialmente mesopotamici, a partire dalla metà del III millennio, lascia supporre che lo stagno provenisse proprio dall’Afghanistan. Da testi cuneiformi contemporanei alla III Dinastia di Ur (2112- 2004) si apprende che il rame arrivava per lo più via mare dal Golfo Persico-Arabico (nell’Oman, l’antica Magan, vi sono infatti importanti giacimenti), già raffinato (privo quindi di ganga), sebbene una seconda raffinazione venisse effettuata subito prima della colatura. Sotto il profilo del valore commerciale, in questo periodo un grammo d’oro equivale a otto grammi d’argento oppure a 250 litri d’orzo o 48 chili di lana.

Gli splendidi ritrovamenti dalle tombe reali del XXII sec. di Alaça Hüyük attestano quanto la metallurgia si fosse sviluppata anche nel cuore dell’Anatolia. In Palestina la fase che segue la crisi dell’urbanizzazione verificatasi verso il 2300 vede la comparsa della metallurgia del bronzo stagnato su una scala significativa (la necropoli di Gerico ha restituito ricchi corredi di armi del periodo), anche se poi in questa regione ancora per tutta la prima metà del II millennio il bronzo arsenicato resta quasi pari a quello stagnato, forse proprio per le difficoltà di approvvigionamento dello stagno.

Dalle analisi eseguite risulta che la percentuale di arsenico era più varia dello stagno in quanto era molto più difficile controllarne la quantità, sia perché i minerali ricchi di arsenico sono assai difficili da individuare nelle prospezioni e in ogni caso sono di varia composizione, sia perché l’arsenico è sensibile all’ossidazione e sublima se non vi sono costanti condizioni riducenti, cosa quasi impossibile da ottenere con regolarità per la pirotecnologia del tempo. La lega ottenuta con l’aggiunta di stagno dalla cassiterite è invece costante.

Nella prima metà del II millennio si stabilisce una fitta rete di contatti diplomatici e commerciali nel mondo vicinoorientale, dall’Iran fino nel cuore dell’Anatolia e dalla Mesopotamia fino a Creta e all’Egitto. Dopo i due ultimi turbolenti secoli del III millennio, che avevano visto il dissolversi del modello arcaico di città-stato in Siria-Palestina e il crollo dell’impero della III Dinastia di Ur in Mesopotamia, fenomeni accompagnati da una profonda crisi economica e sociale e dalla comparsa di un nuovo gruppo linguistico, gli Amorrei, risorgono potenti città che controllano vasti territori ecologicamente assai vari. Un caso emblematico di questo dinamismo è offerto dalla colonia commerciale assira presso il sito dell’antica Kanesh in Cappadocia, sede di un re locale. La colonia, fiorita con una breve interruzione tra il 1940 e il 1780, si occupava soprattutto di scambiare lo stagno, che giungeva ad Assur verosimilmente dall’Iran e da lì ripartiva poi in carovane di asini per la colonia, con l’argento estratto dai monti anatolici. Nei primi cinquant’anni di vita della colonia furono esportate complessivamente circa ottanta tonnellate di stagno, il quale aveva un valore di circa un decimo rispetto all’argento e di circa diciotto volte il rame. Nell’Elam uno dei collettori principali dello stagno dovette essere Susa, mentre una direttrice commerciale importante per l’approvvigionamento di rame era proprio il Golfo Persico-Arabico, da cui giungeva in lingotti di varia qualità, come si ricava dagli archivi di mercanti paleobabilonesi di Ur. La Siria smerciava con l’Egeo lo stagno che giungeva per il tramite della Mesopotamia, in particolare dalla città di Mari sull’Eufrate, ricevendo in cambio anche rame da Cipro. Un interessante e raro esempio di area di lavorazione è stato messo in luce nella città bassa settentrionale di Ebla, dove vi era un cantiere a cielo aperto per la colatura del rame risalente al XIX sec., formata da quattro canalette convergenti in un bacino centrale, in cui vi erano numerose scorie e tubuli di terracotta.

Nonostante in una tavoletta cuneiforme proveniente da Alalakh si citi una grande quantità di armi di ferro, nei testi paleoassiri il ferro è tuttavia indicato come il metallo in assoluto più prezioso, e in effetti la documentazione archeologica relativa agli oggetti in questo materiale è assai scarsa: qualche frammento da siti anatolici in strati della prima metà del II millennio e pochi altri resti da Cipro e Creta in livelli contemporanei.

Rapporti culturali tra continente europeo e Asia Anteriore, per quanto riguarda la metallurgia, sono indicati dagli stretti confronti esistenti tra gli oggetti (spilloni e bracciali) rinvenuti in tombe del XX sec. a Ugarit e in altri siti della costa e della Siria interna e quelli provenienti da contesti dell’Europa centrale.

Lo sviluppo della metallurgia in questo periodo è indicato da una serie di elementi. Il gran numero di attrezzi agricoli di rame da Tell es-Sifr in Mesopotamia è emblematico sia della diffusione degli utensili metallici (strumenti base come i falcetti restano però ancora di selce), sia del costo dello stagno (solo pochissimi di essi avevano infatti una lieve aggiunta di stagno), che comporta il perdurare della metallurgia del rame non in lega. L’abilità tecnica dei bronzisti di questo periodo è peraltro indicata, per esempio, dai bronzetti siro-mesopotamici, sulla base del più famoso dei quali, il cosiddetto Hammurabi inginocchiato, sono raffigurate scene cultuali a rilievo. La produzione di figurine antropomorfe diviene seriale, come documentano, per esempio, le migliaia di esemplari rinvenuti nei depositi votivi delle aree sacre di Biblo e di altri centri urbani del Levante, eseguiti sia a stampo (restano talvolta ancora le colature laterali non limate e il ponticello di unione tra i singoli esemplari), sia a cera persa, spesso in questo secondo caso anche con l’aggiunta di una sfoglia d’oro che aderisce perfettamente sul volto e sul copricapo.

L’oreficeria dei primi quattro secoli del II millennio è particolarmente notevole; per esempio, è messa a punto la tecnica della granulazione, in cui numerosissime e minuscole sferette d’oro compongono motivi ornamentali sui gioielli. La diffusione internazionale degli oggetti di oreficeria è indicata dal ritrovamento di pendenti decorati a granulazione molto simili tra loro a Dilbat in Mesopotamia, a Ebla in Siria e a Lefkandi in Grecia. Le tombe reali di Biblo, dell’inizio del XVIII sec., hanno restituito armi intarsiate con la tecnica del niello e straordinari oggetti lavorati a sbalzo.

L’epoca che va dal 1600 al 1175 segna l’apice delle relazioni internazionali, con continui scambi non soltanto di doni e mercanzie tra le corti del Mediterraneo orientale, ma anche di artigiani e conoscenze tecniche. Nonostante il progressivo indebolirsi della base socioeconomica, che porterà poi al crollo della civiltà dell’Età del Bronzo, le città divengono sempre più luogo di accumulo delle risorse e stimolano le produzioni artigianali, tra cui i materiali vetrosi e i metalli occupano un posto preminente. Rispetto alla prima metà del II millennio si può notare in ogni campo un’evidente continuità, pur con delle linee evolutive ben riconoscibili sia sotto il profilo tecnico, sia sotto quello tipologico. L’esempio forse più illuminante di questa temperie culturale è offerto dai relitti di Capo Gelidonya e di Uluburun, lungo le coste dell’Anatolia meridionale. Il primo di essi, naufragato verso il 1200, trasportava utensili ciprioti di bronzo destinati a essere rifusi e 34 lingotti di rame a pelle di bue e lingotti rettangolari di stagno. Il relitto di Uluburun, una nave in cedro di 15 m di lunghezza databile al 1315 circa e salpata forse dalla costa settentrionale palestinese, trasportava lingotti di vetro, zanne di elefante, ebano africano, uova di struzzo, gioielli, vasellame cipriota, armi di varia origine tra cui delle spade italiche, anfore contenenti resina di terebinto e soprattutto circa dieci tonnellate di rame cipriota in lingotti di varia forma (per lo più a pelle di bue), del peso medio di 24 kg (ossia quasi un talento, che equivale a circa 29 kg), e circa una tonnellata di stagno puro in lingotti; di estremo interesse è il corretto rapporto rame-stagno (10:1) del carico, utile per produrre undici tonnellate di bronzo. La statua acefala della regina elamita Napir-Asu costituisce, con i suoi 1750 kg di peso, l’esempio più grandioso di scultura di metallo monumentale del periodo; la tecnica è peculiare, dal momento che il nucleo è di bronzo massiccio, mentre il rivestimento esterno è di rame.

A Tell edh-Dhurur, nel Levante meridionale, è stato portato in luce un quartiere di bronzisti con fornaci, crogiuoli e scorie di rame, in cui le molte importazioni di materiali ciprioti indicano i legami che univano l’isola, il massimo esportatore di rame del periodo, verso i centri metallurgici del Vicino Oriente, come risulta anche dalla corrispondenza diplomatica dell’archivio faraonico di Amarna. Dal 1400 circa Cipro emerge in particolare anche come centro produttore del bronzo, dopo che l’area egea inizia a diminuire di importanza in questo settore. L’Egitto poteva in ogni caso contare sul controllo e sullo sfruttamento delle miniere di rame dello Wadi Arabah, tra il Mar Morto e il golfo di Aqaba, in un’area di antichissima frequentazione metallurgica (dal V al III millennio); a Timna sono state studiate miniere scavate nella roccia fino a 35 m di profondità in stretti cunicoli, in uso fin dalla XIX dinastia (1293-1192), da cui si estraeva il minerale cuprifero che era poi raffinato sul posto. Le fonti di approvvigionamento dello stagno restano ipotetiche: due lingotti di stagno con segni cipro-minoici trovati nella baia di Haifa suggeriscono che anche Cipro smistasse lo stagno. Per l’area egea si è pensato che almeno una parte dello stagno utilizzato provenisse dalla Cornovaglia.

Il dato più significativo del periodo è però costituito dall’aumento delle attestazioni di oggetti di ferro (anche se percentualmente restano quasi irrilevanti, trattandosi in tutto di un centinaio di oggetti al massimo). Il ferro appare dif - fuso soprattutto in Anatolia (vari materiali dai centri hittiti imperiali di Khattusha e Alaça Hüyük), Siria (Alalakh, Ugarit e il suo porto Minet el-Beida) ed Egitto. Relativamente a quest’ultima area, nella tomba di Tutankhamon vi erano sedici ceselli miniaturistici di ferro, un amuleto, il poggiatesta che sosteneva la maschera funeraria e la lama di una spada con elsa d’oro decorata a intarsi. Altre attestazioni sono note da Mesopotamia, Cipro, Creta e Peloponneso. Le tipologie principali degli oggetti di ferro, più varie che in precedenza, sono anelli e altri gioielli, bracciali, chiodi e un ago, frecce e alcune armi, tra cui una lancia da Alaça, un pugnale da Nuzi e un’ascia da Ugarit, con elementi zoomorfi sull’immanicatura e intarsi d’oro (l’ascia però di ferro meteorico, al pari della spada di Tutankhamon).

Sullo scorcio dell’Età del Bronzo, quindi, il ferro, pur essendo più diffuso, resta un materiale raro e prezioso, come è dimostrato dal fatto che è spesso associato all’oro nella lavorazione. In una lettera, il re hittita Khattushili parla della lavorazione del ferro come di un lavoro stagionale, costoso e di scarsa affidabilità, mentre il re Tushratta di Mitanni manda in dono nella capitale egiziana di Amarna lame e frecce di ferro. Mancavano quindi incentivi per intraprenderne la lavorazione, che è tra l’altro diversa da quella del bronzo. Il rame fonde infatti alla temperatura di 1083 °C, una temperatura che può essere raggiunta a fatica nelle fornaci dell’Età del Bronzo ricorrendo alla ventilazione forzata, mentre il ferro ha un punto di fusione ben più alto (1534 °C) e deve quindi essere lavorato in altro modo.

Da lungo tempo doveva essere stato notato che alcuni grumi di ferro comparivano durante la fusione del rame a temperature dell’ordine di 1200 °C e che potevano essere utilizzati per oggetti d’uso. La spiegazione risiede nella necessità di dover separare, nel minerale, la ganga dal metallo. L’aggiunta di fondenti permette di ottenere che il rame coli e la ganga si concentri in alto; il fondente più comune è un ossido di ferro, la limonite. Nei resti combusti si possono quindi trovare pezzi di ferro, che è duttile come il rame se forgiato a caldo; nel corso dell’Età del Bronzo le fornaci divennero sempre più perfezionate alla ricerca di rame migliore e l’uso di fondenti divenne quindi più efficiente, al pari del controllo della combustione, il che comportò una maggiore incidenza di ferro metallico insieme al rame solidificato nel materiale di carica combusto. Il passo successivo consistette evidentemente nell’aggiunta di minerali di ferro di colore e composizione simile ai fondenti di ossidi di ferro usati nella fusione del rame per ottenere il ferro in quantità maggiori.

La questione fondamentale concerne i motivi per cui divenne a un certo punto conveniente investire in una diversa tecnica metallurgica che almeno inizialmente non offriva le stesse caratteristiche tecniche del bronzo. Sotto il profilo archeologico la transizione all’Età del Ferro fu un processo differenziato nelle varie regioni del Levante che interessò all’incirca la prima metà del XII sec. e che fu caratterizzato dalla crisi di molti centri urbani e da una nuova geografia delle principali vie di commercio internazionali. La ricostruzione storica più convincente è quella che insiste sulla maggior economicità di fondo del ferro rispetto al rame e allo stagno: il ferro è infatti circa mille volte più comune del rame nella crosta terrestre ed è pressoché presente in ogni regione del Vicino Oriente. Nei secoli XII e XI a Cipro e in Palestina si sperimentarono varie tecniche per il perfezionamento della lavorazione del ferro, che se martellato, temprato nell’acqua e lavorato a lungo in un fuoco ricco di carbone (carburazione) giunge infine a avere prestazioni superiori al bronzo per durezza, resistenza alla corrosione e affilatezza durevole del taglio.

Dopo che questa tecnica fu messa a punto, si diffuse rapidamente nel Mediterraneo orientale. La metallurgia del bronzo peraltro continua (con percentuali di stagno costanti, il che smentisce che tale metallo non fosse più reperibile) e inizialmente è ancora nettamente prevalente, anche se il ferro viene visto come un sostituto accettabile, seppure di - sponibile in quantità fluttuanti e tecnicamente variabili. Compaiono in ogni caso le prime distinzioni testuali tra bronzisti e fabbri. Tra il 1200 e il 1000 si assiste a un arricchimento dei tipi di armi e utensili prodotti con ferro; all’inizio, oltre a esservi ancora dei gioielli, vi sono daghe, frecce, coltelli e chiodi, poi, dopo il 1100 ca., anche armature, lance, picconcini, aratri, falcetti e asce. Soltanto a partire dal X sec. gli oggetti di ferro divengono nell’Egeo e nel Levante in numero maggiore rispetto a quelli di bronzo; con il IX sec. il rovesciamento delle proporzioni si verifica anche in Mesopotamia e poco dopo anche in Europa. In Iran continua a essere diffusa la produzione di bronzi (la serie più famosa è quella dei bronzi per lo più teriomorfi detti del Luristan) ed è interessante notare come anche le spade di ferro luristaniche dei secoli IX-VII mostrino una tecnica più simile al bronzo che al ferro. Alle soglie dell’Epoca Persiana (530-330) il valore di 2 kg di ferro corrisponde ormai a un grammo di argento, costituendo così il segno più chiaro di una fondamentale rivoluzione tecnologica che aveva permesso una diffusione del metallo nelle società antiche in precedenza impossibile.

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