Vicino Oriente antico. L'origine della scrittura e del calcolo

Storia della Scienza (2001)

Vicino Oriente antico. L'origine della scrittura e del calcolo

Denise Schmandt Besserat
Jean-Jacques Glassner
Jöran Friberg
Robert Englund

L'origine della scrittura e del calcolo

Le registrazioni preistoriche e protostoriche

di Denise Schmandt Besserat

Nell'antico Vicino Oriente l'invenzione del calcolo precedette quella della scrittura; ciò è dimostrato dal rinvenimento, nei siti archeologici della vasta area geografica compresa tra le coste del Mediterraneo e l'Iran orientale e tra la Turchia e Israele, di oggetti di diverse forme che servivano a svolgere operazioni di calcolo, i cosiddetti 'contrassegni', chiamati spesso, in ambito archeologico, con il termine inglese token. I contrassegni sono piccoli oggetti d'argilla che rappresentavano unità di calcolo, come, per esempio, una certa misura di cereali o un capo di bestiame; erano modellati in forme singolari, spesso geometriche, facilmente riconoscibili, identificabili e duplicabili. Sono stati rinvenuti 15 tipi di contrassegni: coni, sfere, dischi, cilindri, tetraedri, ovoidi, rettangoli, triangoli, biconidi, paraboloidi, a spirale, ovali, a forma di vasi, di attrezzi e, infine, di animali; sulla superficie di alcuni di essi sono incisi dei segni. Dato che erano modellati a mano, i contrassegni non presentano dimensioni standardizzate: la misura della lunghezza, dell'altezza e del diametro può variare da 1 a 3 cm.

L'importanza dei contrassegni risiede nella loro funzione semantica: a ogni forma, come, per esempio, quella conica oppure quella sferica, era assegnato un significato specifico e lo stesso valeva per i segni che vi erano incisi. In altre parole, ogni contrassegno s'identificava con una distinta unità di significato, dotata di un singolo, ben determinato e inequivocabile valore. Il fatto notevole è che i vari tipi di contrassegni concorrevano a costituire un sistema: esisteva un intero repertorio di contrassegni interrelati, ognuno dei quali rivestiva uno specifico significato. I contrassegni costituiscono il primo codice, vale a dire, il primo sistema impiegato per comunicare, elaborare e immagazzinare informazioni.

L'evoluzione dai contrassegni alla scrittura logografica sumerica ha consentito d'individuare il significato di alcune di queste unità di calcolo; è stato così stabilito che il sistema dei contrassegni era uno strumento di computo impiegato esclusivamente nella gestione di beni. Ogni forma di contrassegno e ogni segno inciso sulla sua superficie indicavano una specifica unità di misura di una merce particolare: il cono e la sfera, per esempio, equivalevano rispettivamente a una quantità di cereali piccola e a una grande; un ovoide rappresentava un'unità di olio e un disco con due coppie di linee parallele indicava una misura di una certa fibra tessile.

L'evoluzione dai contrassegni semplici ai contrassegni complessi

Gli scavi stratigrafici e la datazione dei materiali reperiti hanno consentito d'inserire in una cornice cronologica l'evoluzione di questo sistema di calcolo. I primi contrassegni apparvero verso l'8000, contemporaneamente all'addomesticamento degli animali e delle piante; la loro distribuzione geografica corrisponde a quella dei primi insediamenti sedentari in Siria e in Iraq. Sembra quindi che la consuetudine di registrare gli oggetti dotati di un valore economico possa essere correlata alla nascita dell'agricoltura. La necessità di tenere i conti nacque dal nuovo modo di vita basato sulla pianificazione del raccolto e sull'immagazzinamento del cibo; i contrassegni furono inventati per soddisfare questa necessità. Verso il 6000 essi erano già diffusi in tutto il Vicino Oriente, rimanendo sostanzialmente immutati per due millenni. Nel periodo preistorico, tra l'8000 e il 4500, il repertorio dei contrassegni era composto da forme semplici e includeva poche forme geometriche, in particolare coni, sfere, cilindri, tetraedri e ovoidi; la superficie dei manufatti era in generale priva di segni incisi. Questi primi contrassegni semplici rappresentavano prodotti della terra e dell'allevamento, vale a dire, quantità di cereali e capi di bestiame.

I contrassegni semplici seguitarono a essere impiegati fin quando sopravvisse questo sistema di calcolo, ma a partire dal V millennio le combinazioni delle unità di calcolo cominciarono ad aumentare, raggiungendo il più alto livello di complessità intorno al 3300. In questo periodo tipi e sottotipi di contrassegni si moltiplicarono, integrando nuove forme geometriche, come rettangoli, triangoli, biconidi, paraboloidi, spirali e ovali, e assumendo anche forme naturalistiche, come la forma di vasi, di attrezzi o di animali in miniatura. Un'altra caratteristica dei contrassegni complessi del IV millennio è la proliferazione dei segni incisi sulla loro superficie; questi segni assumevano la forma di linee, tratti, tacche, punti, spirali o palline d'argilla applicate sulla superficie. I contrassegni a forma di dischi, di triangoli e di parabole sono quelli che presentano più frequentemente un certo numero di linee parallele (da 1 a 12) o di punti (da 1 a 7). La comparsa di questi nuovi oggetti coincise con la nascita delle città, il che suggerisce come le modificazioni del modo di registrazione corrispondessero a uno sviluppo commerciale e artigianale. Questa tesi è confermata dal fatto che i contrassegni complessi rappresentavano prodotti lavorati, come l'olio, il pane, la lana, e prodotti artigianali, quali tessuti, abiti, tappeti, metalli, gioielli, attrezzi e utensili. I contrassegni complessi indicano l'esigenza di una maggiore precisione, che probabilmente s'impose in seguito alla formazione dello Stato e all'organizzazione di un più rigoroso sistema di tassazione. Mentre i contrassegni semplici dell'età neolitica come, per esempio, il cilindro e il disco lentiforme, rappresentavano rispettivamente 1 o 10 capi di bestiame, le unità di calcolo del IV millennio specificavano la specie, il sesso e l'età degli animali, con contrassegni speciali che distinguevano, per esempio, il 'montone dalla coda grassa' dal 'montone' e indicavano specificamente la 'pecora femmina' e l''agnello'.

All'incirca nel 3100 il sistema dei contrassegni ritornò a semplici combinazioni di poche forme, nella maggioranza dei casi sfere e dischi semplici: questo improvviso declino corrispose all'invenzione della scrittura; infatti, anche se è senz'altro da prendere in considerazione l'Egitto con la sua protoscrittura geroglifica, e a ciò si accennerà più avanti (v. oltre: par. 4), è una ben fondata opinione generale che la scrittura sia nata effettivamente nella Mesopotamia.

Dai contrassegni alla scrittura

I contrassegni svolsero la stessa funzione nel corso di cinque millenni, ma il loro modo di utilizzazione variò a seconda dei diversi periodi. Il rinvenimento di gruppi di contrassegni sul suolo di alcune costruzioni preistoriche suggerisce che da principio questi piccoli oggetti erano conservati in contenitori di materiale deperibile, come ceste o borse di cuoio. All'inizio del IV millennio s'iniziò a forare i contrassegni, presumibilmente per tenere insieme e custodire le unità di calcolo dotate di un particolare valore come, forse, quelle che indicavano l'ammontare di un debito. Poco dopo, s'iniziò a inserire i contrassegni nelle bullae, involucri di argilla di forma rotondeggiante, il cui diametro misurava all'incirca 5-7 cm, che offrivano una superficie ideale per l'apposizione di sigilli. I contrassegni erano inseriti in una cavità scavata con le dita nella bulla d'argilla, quindi quest'ultima era chiusa e sulla sua superficie era apposto un sigillo. I sigilli erano fabbricati con pietre dure incise che, premute sull'argilla, lasciavano un'impronta: questa rappresentava una carica o la 'firma' di un individuo. A eccezione di due casi, le circa 200 bullae riempite di differenti tipi e sottotipi di contrassegni, in diverse quantità, rinvenute in Iran, in Iraq e in Siria, presentano le impronte di sigilli (da 1 a 4) impressi in modo regolare su tutta la loro superficie.

Le bullae consentivano di conservare la registrazione di una transazione che doveva essere portata a termine, poiché proteggevano i contrassegni impedendo loro, al tempo stesso, di deteriorarsi. Dal momento che la maggior parte delle bullae è stata rinvenuta nei recinti templari dei più importanti insediamenti urbani, si ritiene che questi manufatti costituissero gli archivi delle amministrazioni statali. Essi registravano tre tipi di informazioni: in primo luogo, il tipo di contrassegni ritrovati nelle bullae specificava il genere delle merci a cui si riferivano; in secondo luogo, il loro numero indicava la quantità delle unità prese in considerazione; in terzo luogo, i sigilli erano il segno di riconoscimento di funzioni amministrative o individuali.

Le bullae avevano l'inconveniente di tenere nascosti i contrassegni, ostacolando così la loro funzione di strumenti di registrazione: una volta sigillati nelle bullae, infatti, i contrassegni non erano più visibili. Coloro che dovevano svolgere le operazioni di calcolo tentarono di risolvere il problema imprimendo i contrassegni sulla superficie ancora morbida dell'argilla, prima di inserirli nella bulla. In questo modo, una volta induritesi, le bullae seguitavano a conservare, come in un archivio, i dati ma, allo stesso tempo, consentivano di accedere in qualsiasi momento alle informazioni che contenevano attraverso l'impressione dei contrassegni sulle loro superfici. Le impronte negative dei contrassegni, infatti, indicavano la qualità della merce, mentre la quantità era espressa dal numero dei segni impressi, le parti coinvolte nella transazione, infine, venivano specificate dai sigilli. Per esempio, una bulla che recava impressi sulla superficie tre segni circolari e tre lunghi cunei, i quali simboleggiavano tre contrassegni lentiformi e tre cilindrici, indicava tre greggi (forse di 30 capi di bestiame) e tre animali.

L'invenzione delle bullae e del sistema delle impronte dei contrassegni svolse un ruolo importante nella nascita della scrittura cuneiforme sumerica, il primo sistema di scrittura documentato. Secondo i dati delle indagini archeologiche, le bullae non rimasero in uso per un lungo periodo. Evidentemente, ci si rese ben presto conto che il complicato sistema d'inserire i contrassegni negli involucri d'argilla, dopo averli impressi sulla loro superficie, poteva essere semplificato sostituendo le bullae riempite di contrassegni con i semplici supporti d'argilla recanti soltanto le impronte dei contrassegni. In altre parole, i contrassegni erano divenuti superflui e i segni che li sostituirono divennero un sistema a sé. Col tempo, il repertorio dei segni si sviluppò fino a includere non solo impronte, ma anche segni incisi con uno stilo appuntito ('pittogrammi'), che descrivevano più efficacemente la forma dei contrassegni mediante incisioni di linee e punti. I contrassegni complessi, come, per esempio, l'ovoide con una linea, erano tradotti su una tavoletta d'argilla come un logogramma inciso. Al millenario sistema tridimensionale dei contrassegni succedeva un sistema bidimensionale basato sui segni: si trattava nientedimeno che dell'invenzione della scrittura.

Il calcolo preistorico e protostorico

Un certo numero di bullae, rinvenute integre nel corso di alcuni scavi, ha consentito di comprendere il modo in cui erano utilizzati i contrassegni. Per tutta la durata della sua esistenza, il sistema dei contrassegni si basò sulla corrispondenza di uno a uno. In altre parole, il computo con i contrassegni consisteva nel registrare con un'appropriata unità di calcolo ogni unità di una determinata merce che doveva essere contata: per esempio, un orcio d'olio era rappresentato da un ovoide, sei orci d'olio da sei ovoidi, e così via. Sembra che soltanto un ristretto numero di contrassegni rappresentasse un gruppo di articoli; tra essi era il disco lentiforme che probabilmente simboleggiava un gregge (forse di 10 animali).

Le molte forme delle unità di calcolo e la molteplicità dei segni incisi sulla loro superficie, sembrano dimostrare che il sistema dei contrassegni rispecchiasse le operazioni del 'calcolo concreto', una fase arcaica del calcolo che precedette lo sviluppo del 'calcolo astratto'. Il calcolo concreto è caratterizzato dall'uso di diverse serie di segni numerali per contare differenti categorie di articoli; in altre parole, nel calcolo concreto ogni serie di segni numerali indica, allo stesso tempo, il tipo di articolo che deve essere contato e il numero delle sue unità senza consentire di separare tipo e numero. Il sistema dei contrassegni, come le speciali forme di numerazione del calcolo concreto, non consentiva di rappresentare i numeri in modo astratto. Non esisteva un contrassegno che indicasse il numero uno, oppure il numero due o il numero tre, indipendentemente dal tipo di prodotto contato: ogni diversa forma del contrassegno rappresentava un'unità di una particolare merce e la quantità di 'uno'. Per esempio, l'ovoide rappresentava un orcio di olio, e la sfera una certa misura grande di cereali, associando indissolubilmente la nozione di qualità a quella di quantità.

L'evoluzione dai contrassegni alla scrittura pittografica dimostra l'acquisizione di nuove capacità cognitive per elaborare quantità sempre maggiori di dati e un graduale sviluppo della capacità di elaborare dati astratti. I contrassegni rappresentano infatti un primo livello dell'astrazione: essi traducevano i prodotti della vita di tutti i giorni in miniature, nella maggior parte dei casi di forma geometrica, separando il dato dal suo contesto e la conoscenza da chi l'acquisiva in modo diretto. Tuttavia, questi piccoli oggetti di argilla rappresentavano la pluralità in modo concreto, basandosi sulla corrispondenza di uno a uno: tre orci di olio erano rappresentati da tre ovoidi, come nella realtà. I segni bidimensionali che simboleggiavano i contrassegni tridimensionali rappresentano, invece, il secondo livello di astrazione. Verso il 3200-3100, con la sostituzione dei veri e propri contrassegni con tavolette di argilla che presentavano solo impronte, si giunse al terzo livello di astrazione, anche se i segni impressi rappresentavano ancora numeri di unità di beni in modo concreto, nel rapporto di uno a uno. Ogni segno impresso seguitò quindi a rappresentare allo stesso tempo il concetto dell'oggetto contato (orcio d'olio) e quello del numero (uno), senza separarli.

Verso il 3100, il ritorno ai contrassegni semplici segna l'ingresso nella quarta fase, che coincide con l'astrazione dei 'numeri' (v. oltre: par. 3), nella quale la qualità è infine separata dalla quantità. I tardi contrassegni semplici non indicano più il tipo di prodotto a cui si riferiscono, ma solo il numero, come le palline del moderno pallottoliere. I pittogrammi ‒ vale a dire segni corrispondenti alla forma dei contrassegni, più frequentemente tracciati con uno stilo che impressi ‒ passarono a indicare esclusivamente il genere di articoli contati; di conseguenza, invece di ripetere i pittogrammi incisi in corrispondenza di uno a uno, il numero delle unità degli oggetti contati iniziò a essere indicato da segni che rappresentavano numeri astratti: 33 orci d'olio, per esempio, erano rappresentati dal segno che indicava l'orcio d'olio preceduto da un numero astratto. I simboli impiegati per rappresentare i numeri non erano nuovi: si trattava degli antichi segni delle unità di cereali. L'impronta di un contrassegno conico, che anticamente rappresentava una misura piccola di cereali, simboleggiava il numero 1 e quella di un contrassegno sferico, che in origine indicava una misura grande di cereali, rappresentava il numero 10. Finalmente, i numeri e la scrittura potevano svilupparsi seguendo percorsi separati.

Il sistema arcaico di calcolo basato sui contrassegni, usato in Mesopotamia tra l'8000 e il 3000, serviva soltanto per contare gli oggetti economicamente utili ed era basato sul calcolo concreto, limitandosi alla rappresentazione di quantità di articoli nel rapporto di uno a uno. Tuttavia, questo sistema si dimostrò decisivo per lo sviluppo della comunicazione e dell'elaborazione dei dati, poiché per comunicare determinati significati impiegava forme scelte arbitrariamente. Il sistema dei contrassegni non solo precedette, ma aprì la strada all'invenzione della scrittura.

L'origine della scrittura cuneiforme

di Jean-Jacques Glassner

L'invenzione della scrittura è un atto culturale che presuppone la partecipazione di tutta la società. In Mesopotamia, dove i Sumeri giunsero a quest'invenzione nel corso del XXXIV sec., essa consentì di realizzare il progetto di annotare tutte le parole della lingua parlata per mezzo di segni visivi.

La scrittura presuppone un'intensa attività concettuale, che è la condizione stessa della sua esistenza: in particolare, essa esprime l'esigenza di riconoscere un segno astratto dissociandolo dal disegno. I Mesopotamici diedero una risposta indiretta a tale questione creando simultaneamente due registri: quello dei segni della scrittura propriamente detta e, parallelamente, un corpus di immagini che ornano i sigilli cilindrici; questi due registri potevano connettersi e integrarsi sugli stessi supporti.

Purtroppo, dobbiamo limitarci a ipotizzare i mutamenti culturali che quest'invenzione comportava. Il mondo mesopotamico era un universo incantato dove, a diversi livelli, ogni cosa era sacra; ora, dal momento che nulla sfuggiva a questa sacralità, bisognava certamente eludere un gran numero di divieti, difficilmente identificabili, per legittimare l'uso di segni potenzialmente pericolosi.

L'identificazione del segno presuppone la fabbricazione o la disponibilità di una serie di oggetti materiali e di strumenti: senza un contesto fisico appositamente preparato ad accoglierlo e in mancanza dello strumento destinato a tracciarlo, il segno non potrebbe esistere. Infine, l'attività semiologica è illustrata dall'esercizio concreto del corpo e della mano, come pure dalla presenza di uno specialista, lo scriba.

Le attuali lingue dispongono necessariamente di un verbo che indica l'azione dello scrivere. In sumerico, questa azione è designata da due termini, sar e ḫur. Il primo significa 'procedere rapidamente e senza deviazioni', il secondo 'tracciare segni', 'disegnare'. Il primo concorre a formare il composto dubsar 'scriba', con l'aggiunta di dub, 'tavoletta d'argilla'; il secondo, oltre a evocare il gesto dello scriba, indica anche, secondo una tradizione più che millenaria, il tracciato delle linee della mano e l'iscrizione d'origine divina di presagi su diversi supporti, per esempio nel fegato di alcuni animali.

A giudicare dalle fonti attualmente disponibili, il termine sar è il più antico poiché il suo uso è attestato sin dal XXVI sec., ma il significato di 'scrivere' che esso giunse ad assumere è evidentemente un neologismo. Benché il suo uso sia attestato solo più tardi, ḫur potrebbe essere un termine della lingua orale che avrebbe assunto un valore speciale in riferimento alla scrittura. In questo caso l'invenzione della scrittura non avrebbe determinato innovazioni semantiche.

Lo specialista della scrittura: strumenti e supporti

Com'è stato accennato, in sumerico allo scriba era abitualmente attribuito il nome di dubsar, termine che si scriveva ricorrendo a due segni, dub e sar, che indicavano rispettivamente la tavoletta d'argilla e l'idea di procedere rapidamente e senza deviazioni; lo scriba era quindi colui che 'procedeva rapidamente e senza deviazioni sulla tavoletta'.

Il vocabolo dubsar per indicare lo scriba era sconosciuto prima del XXVI sec., quando esso soppiantò il termine che lo aveva preceduto, umbisag, che era stato formato ricorrendo al verbo šid che significa 'contare' o 'recitare'; questo termine assumerà quindi il significato di 'leggere ad alta voce'. Contare e più ancora recitare sono attività eminentemente orali e il termine umbisag sembra quindi designare il depositario di un sapere specifico all'interno di una società di tradizione orale. Nell'ambito della categoria degli umbisag, le fonti distinguono l'umbisag-dub, vale a dire 'l'umbisag della tavoletta'. In altri termini, l'introduzione della scrittura nella società mesopotamica non è accompagnata dalla designazione di una nuova figura; l'unica novità è rappresentata dal fatto che, un certo numero di umbisag si specializzano nell'uso di questo strumento. In breve, la conquista della scrittura non provocò in sé un immediato cambiamento nella società. È importante sottolineare che il titolo di dubsar fa la sua comparsa nel momento in cui sono messi per iscritto i primi testi letterari e in cui, a quasi un millennio dall'invenzione della scrittura, il rapporto tra quest'ultima e la società inizia a trasformarsi.

La scrittura non potrebbe esistere senza un mezzo fisico attraverso cui diffondersi. Quasi tutti i primi testi furono redatti su tavolette d'argilla, dub in sumerico. Non si ha notizia di supporti antecedenti a queste tavolette e le ricerche archeologiche hanno dimostrato che esse furono inventate contemporaneamente al corpus dei segni della scrittura. Nel corso di tutta la loro storia, i Mesopotamici per scrivere si servirono di un segmento di canna, lo 'stilo', gi-duba in sumerico, vale a dire 'canna della tavoletta'. In un primo momento, lo stilo assunse una forma appuntita ma ben presto, circa alla fine del IV millennio, una delle sue estremità fu tagliata a ugnatura, mentre l'altra restò in forma cilindrica; l'adozione di questa forma costrinse lo scriba a tracciare solo segmenti di linee rette sull'argilla che, del resto, è un supporto poco adatto all'incisione di linee curve. Lo stilo andava necessariamente impugnato in modo da formare un angolo ottuso con il supporto; la sua estremità era impressa obliquamente nell'argilla con una leggera rotazione del pugno e i segni così ottenuti assomigliano a piccoli chiodi dalla testa più o meno triangolare. La definizione di 'cuneiforme', che sin dall'antichità venne impiegata in riferimento a questa scrittura, trae origine da questa somiglianza.

Il sistema dei segni

L'istituzione di un sistema di segni costituisce il primo e irriducibile nucleo del concetto di scrittura. Conosciamo un primo corpus di circa 600 segni, una sessantina dei quali numerali, che appare contemporaneamente alla scrittura. Alla fine del IV millennio, esso fu considerevolmente rimaneggiato e il caso volle che i segni in uso fossero ancora circa 600. Intorno al 2600 il corpus era composto da un numero di segni compreso tra 800 e 900 e si ritiene che probabilmente l'estensione raggiunta in questo periodo non sia mai stata superata.

Tre procedure presiedettero simultaneamente alla formazione di questo sistema.

a) Una nuova semiologia. I Sumeri iniziarono con l'inventare una semiologia, se con questo termine intendiamo uno studio del sistema dei segni. In sé, i segni sono forme puramente materiali e, a rigore, prive di significato. I Sumeri li designavano coi termini mul, gu-sum e santak, gli Accadi con miḫiltu o santakku. Gu-sum/miḫiltu insiste sull'idea dell'incisione (il termine accadico deriva dalla radice maḫāṣu, 'colpire', 'marchiare', 'imprimere') del segno sulla superficie morbida dell'argilla; santak/santakku, il cui principale significato è 'triangolo', pone l'accento sulla forma dei segni, alludendo alla loro testa triangolare, vale a dire 'cuneiforme'.

fig. 8

Sul piano grafico, il sistema è estremamente semplice; i suoi inventori posero alla sua base due segni, una tacca e un cerchio (fig. 8). Iniziamo a prendere in considerazione la notazione dei numeri, che sappiamo essere, in ogni caso, la più antica. A partire da questo nucleo originario di due caratteri semplici, giocando sulle loro dimensioni e sul loro orientamento sulla superficie del supporto, sulle possibilità offerte dalle loro associazioni e connessioni, era possibile creare una pluralità di segni: una grande o una piccola tacca, che può presentarsi più o meno lunga o larga, un grande o un piccolo cerchio, una tacca dotata di un cerchio inscritto, due cerchi concentrici; il lato arrotondato della tacca poteva essere orientato in diversi modi, due tacche potevano essere associate parallelamente e in senso opposto; vi era inoltre la possibilità di sovrapporre ai caratteri altri segni, costituiti da un'unica linea o da due linee parallele; si giocava, infine, sulle posizioni reciproche dei segni nella sequenza sintattica in cui si inserivano. Si moltiplicarono così le possibilità della scrittura fino a giungere alla costituzione di un corpus composto da una sessantina di segni numerali.

Oltre ai caratteri numerali, i Sumeri utilizzavano molti altri segni. Una piccola parte di questi rappresenta oggetti concreti, parti del corpo umano, strumenti e oggetti lavorati, animali e vegetali. Queste raffigurazioni sono di tre diversi generi a seconda che riproducano il referente nella sua interezza, una parte di quest'ultimo o ne offrano un'immagine abbreviata. Allo stesso tempo, i Sumeri incidevano segni che non avevano alcun rapporto con la realtà e che si distinguono per il loro elevato livello di astrazione; questi ultimi erano espressione di convenzioni il cui significato non sempre è ovvio. In totale, nel primo corpus di scrittura, i segni che possono essere definiti primitivi sono circa 300.

I Sumeri non si accontentarono di creare segni primitivi, in quanto essi li manipolarono, associandoli all'interno di molteplici combinazioni per creare altri segni, ottenendo così segni derivati che rappresentano più della metà del corpus finora conosciuto; essi riutilizzarono quindi almeno 120 segni primitivi impiegando diverse procedure di derivazione. Per esempio, era sufficiente modificare la posizione di un segno, inclinandolo o rovesciandolo, per creare un nuovo segno; si poteva, inoltre, invertire un segno riproducendone l'immagine riflessa in uno specchio; infine, si poteva creare un nuovo segno con la semplice aggiunta di un segno supplementare che modificava leggermente il segno primitivo. Altri segni derivati si formavano dalla combinazione di molti segni primitivi; in questo caso, le grafie primitive che concorrono alla composizione di nuovi segni acquisiscono lo status di 'sottografie'. Alcuni segni semplici, come, per esempio, il rettangolo o il cerchio, erano impiegati come matrici all'interno delle quali era possibile inscrivere uno o più segni portatori di significato; quest'ultima procedura ha consentito di creare più di un centinaio di segni.

b) Una nuova ermeneutica. L'aspetto formale del processo di creazione dei segni non può essere dissociato da quello semantico, dal momento che non è la sostanza dei segni che ha importanza, ma il loro valore. I Sumeri inventarono quindi una nuova ermeneutica, vale a dire un insieme di conoscenze e di pratiche che consentivano di rendere significanti i segni. I contenuti e i significati dei segni sono svelati innanzi tutto dai nomi loro attribuiti, che rivelano il loro valore semantico o uno dei loro valori semantici, dal momento che molti segni hanno più significati ('segni polisemici').

Un primo gruppo di caratteri, quelli dei 'segni-pittogrammi', designa direttamente referenti immediatamente identificabili. Un secondo gruppo, quello dei 'deittogrammi' (letteralmente, 'segno che evidenzia'), si distingue dal precedente soltanto perché dà una forma visiva a tutto ciò che non è direttamente figurabile. Si scopre qui una delle principali esigenze che condussero all'invenzione della scrittura, quella di scegliere con estrema regolarità i significati. Inoltre, la struttura compositiva dei disegni, persino di quelli più semplici, risponde già a criteri lontani da quello di una banale ed esatta riproduzione, dal momento che, ben presto, discostandosi dal disegno naïf, di cui, del resto, non è facile riconoscere veri e propri esempi, si entra nella sfera delle rappresentazioni definite 'convenzionali'. Si fa anche ricorso a 'sillogigrammi', aggregati logici il cui significato non è più suggerito da un unico segno, ma si articola in due o tre sottografie.

Infine, l'ultimo tratto distintivo della prima scrittura sumerica, è il suo carattere fonetico. Tra i segni derivati figurano infatti alcuni 'morfofonogrammi', vale a dire composti di molte sottografie, alcune delle quali svolgono una funzione figurativa, mentre altre hanno un valore fonetico concepito per indicare la pronuncia dell'insieme. Con la perdita dei legami di coerenza logica con i sillogigrammi, le sottografie finirono per essere associate attraverso un segno che non definisce nessun campo lessicale preciso, vale a dire una matrice, e un segno fonetico. Un'altra forma di scrittura fonetica consiste nell'annotare una parola servendosi del segno di un termine omofono; siamo qui in presenza di un procedimento identico a quello del rebus.

c) La nuova scienza dell'analogia. Il principale legame che unisce il segno grafico al suo referente non è rappresentato dall'arbitrarietà e neppure dalla somiglianza; questo legame si basa, infatti, su un rapporto analogico. I Sumeri inventarono, quindi, una scienza dell'analogia che combinava, sovrapponendoli, due registri: quello della sfera formale e quello della sfera dei contenuti. Attraverso la sineddoche e la metonimia, questa scienza lega i segni agli oggetti significati, dal momento che una delle sue funzioni è quella di rendere il significato inerente alle proprie forme; essa lega, d'altra parte, i segni tra loro, approfondendo, anche se ciò può sembrare contraddittorio, la distanza che separa il segno dalla realtà, in modo da allontanarlo dalla sfera della realtà e inserirlo profondamente in quella della scrittura.

fig. 9

A dire il vero, tutto si basa sulle motivazioni che garantiscono la validità delle similitudini osservate. In altri termini, gli inventori di questa scrittura non s'interrogarono sui legami che univano il segno al suo significato, ma sulle ragioni che lo rendevano atto a designare ciò che significava. Nel caso di un segno-pittogramma, la motivazione è ovvia. Più in generale, la ricerca della motivazione appare in modo esplicito solo quando dà origine a un vero e proprio commentario, come dimostra efficacemente l'esempio del segno che designa l'esperto, ABGAL, un segno derivato, formato dall'associazione di due segni primitivi, NUN e ME (fig. 9); il primo di questi termini indica l'idea d'eccellenza, l'altro invece rinvia all'idea di qualità specifica di qualcuno o qualcosa; impiegati insieme, essi commentano la nozione di competenza.

L'elaborazione della scrittura non è stata dunque frutto di un'immaginazione sfrenata e solitaria ma deriva, al contrario, dallo sforzo deliberato di costruire un sistema coerente.

È possibile individuare i motivi che hanno portato i Sumeri a 'inventare' la scrittura. Innanzitutto, la prima finalità era quella di annotare tutte le parole della lingua e non di analizzarle, dal momento che i Sumeri si fermarono al livello dell'approccio lessicale, senza entrare nel campo dell'analisi morfologica. In secondo luogo, la scrittura consentiva di acquisire maggiori conoscenze, dal momento che l'elaborazione dei segni richiedeva un lavoro preliminare destinato a motivarli. Si conseguì così una più profonda conoscenza della realtà, della Natura e della cultura; in breve, la scrittura trasformò il rapporto che legava l'uomo al mondo; allo stesso tempo, essa stessa fu immediatamente oggetto di studio.

Tavola I

Sin dagli inizi della scrittura appaiono, infatti, elenchi tematici, elenchi di titoli e funzioni, di oggetti di metallo e di ceramica, di vasellame, di cereali, di pesci, di nomi di città, ecc., un'attività in cui si espresse la volontà di classificare i segni e, al tempo stesso, di classificare la realtà in tutti i suoi elementi per conoscerli più a fondo. Questa volontà si rileva più in generale nel modo in cui furono organizzate le famiglie dei segni stessi, come dimostra efficacemente l'esempio del segno MAŠ, rappresentato da due segmenti rettilinei incrociati; questo segno indica, in primo luogo, l'idea di metà, maš, poi un termine omofono che indica i caprini in generale e infine il singolo animale; quindi, i nomi degli individui appartenenti a questa specie erano scritti ricorrendo a segni derivati da MAŠ, talvolta associati alla matrice LAGAB, rappresentata da un cerchio; si ottiene così la Tavola I.

Verso la metà del IV millennio l'homo sapiens aveva creato da lungo tempo con il linguaggio orale un sistema di segni organizzati che gli consentiva di dare un nome a ogni cosa, di esprimere il suo pensiero e di comunicare con chiarezza e facilità, ponendo così le basi dell'identità umana. La scrittura non si propone, forse, un progetto identico? Il registro dei segni della prima scrittura sumerica fino a oggi conosciuto consente di annotare molte migliaia di parole. L'idea di tradurle in termini visivi può sembrare secondaria ed è spesso erroneamente percepita come tale. Sarebbe necessario indagare la struttura interna di questo fenomeno.

Teoricamente, tale questione può essere affrontata secondo quattro diverse impostazioni: secondo la prima, la lingua orale s'identificherebbe con la lingua tout court, di cui la lingua scritta non sarebbe che una deformazione; in base alla seconda, la lingua scritta s'identificherebbe con la lingua; secondo la terza, la lingua è fondamentalmente di natura orale, anche se lo scritto dispone di una certa autonomia; in base alla quarta la lingua esisterebbe in due forme, i cui rapporti sarebbero caratterizzati da legami non gerarchici o di dipendenza, ma di coordinazione. Le ultime due tesi sembrano quelle più adeguate all'esame del caso della lingua sumerica, nella quale la scrittura rivendica la sua autonomia, senza tuttavia negare l'esistenza di una rapporto di reciprocità tra le due manifestazioni della lingua.

I primi sistemi di notazione numerica

di Jöran Friberg

Prima dell'invenzione della scrittura, in tutto il Vicino Oriente erano utilizzati piccoli contrassegni di argilla di forme differenti per contare e tenere la contabilità. Nel IV millennio i contrassegni cominciarono a essere racchiusi in bullae d'argilla (v. preced. par. 1). In assenza di una scrittura completamente sviluppata, un contrassegno doveva portare l'informazione sia del numero sia del tipo di prodotto. È probabile che per questo motivo i contrassegni fossero organizzati in diversi sistemi numerici, ciascuno dei quali preposto al conteggio o alla misura di un solo tipo di prodotto e ciascuno con la propria gerarchia di unità espresse in varie forme e grandezze.

fig. 10

Numerose bullae del periodo 3500-3200, prima dell'avvento della scrittura, si sono conservate più o meno intatte, preservando il loro contenuto, che può essere esaminato con l'ausilio tecnico di tomografie computerizzate. Alcuni involucri contengono esclusivamente sfere grandi e piccole e dischi, mentre altri contengono anche tetraedri o coni, barrette e lenti (dischi convessi). Un confronto con i sistemi numerici usati nella successiva scrittura protocuneiforme delle tavolette di argilla provenienti da Uruk sembra indicare che il primo gruppo di contrassegni dovrebbe rappresentare unità crescenti di misura di capacità (usate soprattutto per misurare quantità di orzo o di altri cereali). Infatti, l'interpretazione più semplice di questi particolari simboli numerali presuppone che il loro valore fosse identico a quello dei segni numerici di forma simile impressi nell'argilla nella fase della protoscrittura, così come è indicato nella fig. 10 (l'unità di calcolo più piccola, c, equivale a 25 litri ca.). Nel seguito designeremo convenzionalmente i segni numerici impressi o incisi nell'argilla con lettere (c, C, d, D, e così via). L'uso della forma maiuscola e minuscola sta a indicare due simboli numerici aventi la stessa forma, ma di valore diverso (tipicamente, 'grande' e 'piccolo'). L'uso combinato di due lettere fa riferimento a simboli che risultano dalla combinazione di altri più semplici.

Tav. I

Nel secondo gruppo di contrassegni, i coni, le barrette e le lenti rappresentano presumibilmente le unità di un sistema sessagesimale (cioè con base 60: v. cap. XI, Tav. IV) di numeri per contare: alcune bullae provenienti da Uruko da Susa potrebbero fornire degli esempi, ma le prove documentarie non sono ancora sufficientemente chiare. Infine, i contrassegni modellati a forma di tetraedro possono essere stati utilizzati per il calcolo delle giornate lavorative di lavoratori retribuiti con determinati salari giornalieri o mensili. Questa congettura è sostenuta da una bulla, il cui contenuto suggerisce che nella città di Susa, prima che apparisse la scrittura, le giornate di lavoro salariato fossero calcolate secondo un sistema numerico decimale (cioè con base 10, come si usava già da tempo in Egitto: v. la preced. Sezione dedicata alla Scienza Egizia, cap.VI, Tav. I). Vi è anche un testo della scrittura protoelamica di Susa (Nissen 1993, fig. 64), il quale sembra indicare che ai primordi della scrittura in questa città i giorni-uomo di lavoro prestato fossero calcolati secondo un sistema decimale e remunerati con mezza unità c di orzo per ogni giornata di lavoro.

fig. 12

Nei più antichi documenti scritti conosciuti, le iscrizioni protocuneiformi su tavolette d'argilla, si trovano per la prima volta i segni che rappresentano i numeri astratti (v. preced. par. 1). I testi protocuneiformi trovati nell'area templare dell'Eanna, nella città di Uruk, risalenti al 3200 ca. (livello IV) e al 3100 ca. (livello III) facevano uso di una famiglia accuratamente elaborata di sistemi numerici interrelati: un sistema sessagesimale e uno bisessagesimale (cioè con base 60×60) di numeri per contare (che indicheremo rispettivamente con le lettere S e B), un sistema di numeri per misurare capacità (C), uno per misurare aree (A) e uno per misurare il tempo (T). Vi erano poi numerose varianti di questi sistemi, i cosiddetti 'sistemi derivati', e altri meno comuni, tra i quali il misterioso sistema E (v. oltre). La struttura e altre importanti caratteristiche di ciascun membro di questa 'famiglia di sistemi numerici', oltre ai loro rapporti reciproci possono essere rappresentate mediante diagrammi di fattorizzazione (fig. 12). È probabile che almeno i sistemi protocuneiformi S e B per contare e C per misurare capacità ‒ eccetto i complicati segni per le frazioni, quale m2=(1/2)M, nel sistema C ‒ fossero copie analoghe dei corrispondenti sistemi di contrassegni utilizzati prima della scrittura. Si ritiene che l'uso di questi sistemi fosse condiviso dalla scrittura protoelamica su tavolette d'argilla, non ancora decifrata, adottata per poco tempo a Susa e contemporanea delle tavolette d'argilla di Uruk III; tale scrittura utilizza inoltre un proprio sistema decimale (D) per contare animali e giornate di lavoro. In un sistema decimale 10 unità di un certo ordine formano un'unità di ordine superiore ‒ come nel nostro sistema moderno di numerazione ‒ mentre in un sistema sessagesimale 60 unità di un certo ordine formano un'unità di ordine superiore: per esempio, nel sistema S, C=60c e D=60C.

Poiché i sistemi numerici protocuneiformi S e A sono identici ai corrispondenti sistemi della scrittura sumerica cuneiforme, essi erano ben conosciuti già negli anni Trenta del Novecento, il periodo in cui furono decifrate le prime iscrizioni protocuneiformi. Una buona comprensione del significato dei rimanenti sistemi numerici protocuneiformi si è avuta molto più tardi, nell'ultimo quarto del secolo, attraverso, nella maggior parte dei casi, un'analisi accurata del modo in cui numeri appartenenti a questi sistemi entravano in complicate addizioni o moltiplicazioni, o conversioni da un sistema all'altro. Particolarmente utili risultano i testi nei quali sono utilizzati insieme due o più di questi sistemi. L'analisi è resa difficile dal fatto che uno stesso segno per un numero, sia esso un segno grande o piccolo, rotondo od ovale, o una combinazione di questi (D, d, C, c, Dd, e così via), può avere significati che variano con il contesto, anche all'interno di uno stesso testo protocuneiforme, in quanto corrispondono a sistemi numerici diversi. Questa polivalenza di significati si potrebbe spiegare considerando che i segni impressi sulla tavoletta sono rappresentazioni bidimensionali, e dunque approssimate, di contrassegni tridimensionali, il cui significato non era invece ambiguo.

Nel sistema A per misurare aree si hanno tre piccole unità di misura dell'area di superfici, m, c e cd. Sulla base dei sistemi di unità di misura di lunghezze in uso in periodi successivi,, queste tre unità sembrano corrispondere probabilmente alle aree di tre rettangoli aventi tutti un lato di 1 'corda' (equivalente a circa 59 m a Babilonia) e l'altro, rispettivamente, di 1 pertica (12 cubiti, ca. 5,9 m a Babilonia), di 1 corda e di 1 'lunghezza' (60 pertiche, cioè ca. 356 m a Babilonia: per queste unità v. anche cap. XI, Tav. III). Analogamente erano definite tre grandi unità, d, Dd e D, come le aree di tre rettangoli con un lato uguale a 1 'distanza' (equivalente a 30 lunghezze) e l'altro uguale a 1 pertica, a 1 corda e a 1 lunghezza, rispettivamente. Per motivi che non si conoscono, il sistema C per le misure di capacità fu abbandonato dopo il primo periodo della scrittura, a differenza del sistema A. Fortunatamente, il confronto tra i testi protocuneiformi e i successivi testi sumerici riguardanti le razioni o le quantità d'orzo rende possibile una stima, anche se grossolana, delle unità del sistema C e dei sistemi derivati C*, C′ e C″: l'unità d equivale a 6c, mentre c equivale a 5M. Questo rapporto è confermato da numerosi esempi, tra i quali un testo che tratta della distribuzione di razioni mensili di emmer (un tipo particolare di grano) espresse nel sistema C″. Nel recto della tavoletta è indicato che a un alto funzionario spetta una razione di emmer di 1d 4c e a un caposquadra di d; nella squadra di lavoro vi sono sei operai la cui razione è di c, tranne per un operaio cui spettano 2c; infine alle tre operaie sono assegnate razioni di 3M (per due di loro) o 2M (per l'ultima). Sommando tutte le razioni indicate si ottiene una quantità di 2d 12c 8M di emmer; questo totale deve coincidere con il totale di 4d 1c 3M indicato nel verso della tavoletta. Di conseguenza possiamo stabilire l'equazione 4d 1c 3M=2d 12c 8M, che mette in rapporto fra di loro questi tre diversi segni numerici. In effetti, sottraendo 2d 1c 3M da entrambi i membri dell'equazione si ottiene 2d=11c 5M, e questa uguaglianza conferma i rapporti suindicati.

Esaminiamo di seguito un testo che riguarda invece l'orzo e collega i due sistemi A, per l'area, indicato dal segno per 'campo' (il segno in basso nel verso della tavoletta), e C, per i chicchi d'orzo per la semina. Esso indica che l'orzo ammontava a 2D 5d=25d=150c (recto della tavoletta) su un terreno di area pari a 1Dd=10d=180c (verso della tavoletta), vale a dire che si aveva un tasso di 5/6 c di semente d'orzo per 1c di superficie di terreno. Infine, una tavoletta proveniente da Tell Uqair fornisce un esempio dell'uso del sistema T per misurare il tempo, insieme al sistema C, nei testi sulle razioni. Le razioni d'orzo assegnate a un individuo per 24 mesi (o equivalentemente, 24 razioni per un mese assegnate a un gruppo di 24 uomini) è indicata uguale a 4d=24c; ciò mostra che il tasso usato per l'orzo (razione mese/uomo) corrispondeva proprio all'unità c; ossia, poiché 1c=5M=30m6, un uomo riceveva un quantità di orzo di 1m6 al giorno.

Tavola 2
IIIa
IIIb

La Tav. IIIa e IIIb riporta un quadro piuttosto esteso delle unità di misura introdotte via via nell'uso in Mesopotamia a partire da quelle qui accennate.

Il misterioso sistema E

fig. 16

Mentre l'impiego dei sistemi numerici protocuneiformi S, B, C, A e T è chiaro e ha il conforto dei documenti, la situazione è meno favorevole nel caso del sistema E, usato forse per i metalli preziosi. Fin dai primissimi stadi di scrittura esso è attestato sempre da solo, su un piccolo numero di tavolette del livello Uruk IV che di solito portano il segno di un'unghia di pollice in un angolo. Come si osserva nel diagramma per il sistema E, le due unità c e ce dovevano essere nel rapporto di 1 a 16. La conferma decisiva dei valori indicati si trae dalla seguente osservazione: la somma dei numeri sui due lati della tavoletta è sempre un numero intero, e precisamente 5ce oppure 20ce. Nell'esempio della fig. 16, la somma della quantità indicata nel recto della tavoletta, 1ce 1ms, e di quella indicata nel verso, 1c 2ce 1ms, è uguale a [1+(1/2)]ce+[16+2+(1/2)]ce, vale a dire 20ce. Il confronto con il sistema composto paleosumerico Mr+Ma di pesi per il rame e per l'argento, i cui valori erano nel rapporto di 1 a 180, suggerisce che il sistema E fosse un analogo sistema protocuneiforme di pesi per metalli preziosi, forse argento e oro, i cui valori erano nel rapporto di 1 a 16. Una possibile conclusione sarebbe dunque che le tavolette che riportano numeri del sistema E siano rendiconti di salari di operai stagionali o di alti funzionari pagati nominalmente in oro, con trattenute di varia entità per anticipi o debiti.

Gli esempi esaminati dimostrano con quanta intelligenza siano state costruite le varie famiglie dei sistemi di numeri, partendo da misure naturali e 'rapporti unitari'. Per esempio, c (nel sistema C) era la razione standard di orzo per 1 mese di un operaio maschio, 1c (nel sistema A) l'area di un quadrato di lato 1 corda, e 1c d'argento (nel sistema E) valeva probabilmente quanto 1ce d'oro. Questi testi sono alcune delle prime testimonianze delle attività di calcolo e di agrimensura agli esordi della scrittura.

Tavola 4

Diffusione ed evoluzione della scrittura

di Robert Englund

Nel periodo iniziale della diffusione della scrittura in Mesopotamia (fine del IV millennio), è probabile che, nella regione influenzata dalla cultura di Uruk, coesistessero numerosi gruppi linguistici in competizione tra loro. Nella zona nordoccidentale erano quasi sicuramente presenti nuclei di popolazione di lingua semitica, in particolare in quelle aree della Siria e dell'Iraq nordoccidentale che saranno dominate, a partire dalla metà del III millennio, da popolazioni urbane semitiche occidentali e orientali, circondate da tribù nomadi linguisticamente affini. Nello stesso periodo le regioni a nord e a oriente della Siria erano probabilmente abitate da popolazioni indigene, che parlavano lingue imparentate, rispettivamente, con il posteriore hurrita e con la lingua hattica, e che erano in contatto (se non fortemente influenzate) con la cultura di Uruk, attraverso l'importazione di prodotti come contrassegni, bullae e tavolette numeriche. A giudicare dal materiale epigrafico e archeologico pervenutoci, nelle regioni a est della Mesopotamia si erano insediate delle popolazioni appartenenti a un altro ceppo linguistico, riconducibili a quei gruppi genericamente noti come Elamiti. Anche se non siamo ancora in grado di decifrare il linguaggio dei cosiddetti testi protoelamici, prodotti a partire dal 3000 ca., l'esistenza di un autonomo repertorio di segni, di una progredita organizzazione grafica del testo e di un distinto sistema decimale di segni numerici, costituiscono indubbiamente un indizio della presenza di un ulteriore gruppo linguistico. La tradizione storica, inoltre, dimostra ampiamente come la Mesopotamia fosse circondata da una miriade di linguaggi, tra cui quelli dei Cassiti, dei Lullubiti e altri, di cui è difficile a volte, data la scarsità dei reperti epigrafici, individuare con esattezza la famiglia linguistica di appartenenza. Infine, rimangono molti dubbi sulla reale situazione linguistica nel cuore stesso della Mesopotamia del periodo tardo-Uruk, dato che, malgrado gli sforzi compiuti dai sumerologi, non è affatto certo che la lingua utilizzata dai primi scribi mesopotamici fosse effettivamente il sumerico. Basandosi sull'analisi del lessico straniero presente nel sumerico, molti studiosi hanno ipotizzato l'esistenza di un sostrato linguistico appartenente a una lingua 'prototigrina' (così chiamata dal fiume Tigri), che avrebbe fortemente influenzato il successivo sumerico.

Di centrale importanza è dunque la questione dell'originale appartenenza linguistica dei primi testi cuneiformi, e quindi della lingua del sillabario di segni che nel corso del III millennio si trasformò con relativa rapidità in uno strumento che poteva essere impiegato per rappresentare il sumerico, l'accadico (un dialetto semitico orientale), l'elamico, l'hurrita e l'eblaita (siriano). Durante questo processo era inevitabile che i segni del sistema di scrittura venissero ad assumere delle funzioni fonetiche, e il fatto che tale sistema di scrittura fosse preso in prestito da una lingua appartenente a un diverso ceppo linguistico, e riflettesse quindi un diverso repertorio fonologico, poneva ai suoi utilizzatori specifici problemi e difficoltà, nello sforzo di adeguarlo alla rappresentazione delle proprie tradizioni fonetiche. Il bisogno più urgente era quello di rappresentare, nei testi di carattere amministrativo e, più tardi, letterario, quegli elementi del linguaggio che non potevano essere espressi attraverso semplici pittogrammi (un'immagine che rappresenta sé stessa) o ideogrammi (un'immagine che rappresenta sé stessa e i campi semantici collegati, come, per es., il segno DU, che significa e raffigura principalmente 'piede', ma anche 'camminare', 'portare', ecc.). La rappresentazione di elementi stranieri contenuti nei nomi di persona o di luogo obbligava gli scribi a utilizzare alcuni segni in senso esclusivamente fonetico; in modo ancor più significativo, la rappresentazione di elementi grammaticali nel linguaggio scritto, incluse le forme verbali flesse, condusse a un uso sempre più sillabico di un sistema di scrittura che era nato come strumento amministrativo per registrare numericamente i capi di bestiame o le misure di grano.

Un'analisi formale dello sviluppo della scrittura cuneiforme successivo al periodo tardo-Uruk può aiutarci a ricostruire questa evoluzione. Alla fine del periodo di Jemdet Nasr/Uruk III (intorno al 3000), il numero dei segni cuneiformi contenuti nel repertorio usato dagli antichi scribi si era stabilizzato intorno a 1000, che si riducono circa alla metà se si scompongono i segni complessi nei loro singoli componenti; un numero così grande induce a ritenere che a quell'epoca, come per il resto del III millennio, il sistema di scrittura comprendesse una miscela di logogrammi, ideogrammi e presumibilmente sillabogrammi (v. sopra: par. 1). In questo sistema, chiamato generalmente 'sistema logo-sillabico' (Gelb 1963), i logogrammi rappresentano i morfemi liberi, mentre i sillabogrammi rappresentano i morfemi non liberi (ricorrendo alla polivalenza; per es., il segno SU rappresentava al tempo stesso l'oggetto /su/, 'corpo' e l'omofono /su/, 'essere distante', o anche soltanto la sillaba /su/). Il sistema di scrittura misto è caratterizzato inoltre dall'uso di classificatori muti, semantici e fonetici (i cosiddetti 'determinativi'), collocati all'inizio o alla fine dei segni potenzialmente ambigui. Per tutto il periodo paleobabilonese e probabilmente fino al periodo cassita (intorno alla metà del II millennio), la scrittura mantenne un orientamento verticale; le linee di testo erano scritte dall'alto verso il basso, cominciando dall'angolo in alto a destra e proseguendo da destra a sinistra. Alla fine di questo periodo avvenne un importante cambiamento: gli scribi cassiti e quelli di altre lingue, in particolare hurriti e hittiti, ruotarono di 90° in senso antiorario le tavolette, stabilendo l'orientamento seguito in tutte le fasi successive della scrittura cuneiforme, e adottato convenzionalmente nelle pubblicazioni assiriologiche delle tavolette di qualsiasi periodo.

Lo sviluppo e la diffusione della scrittura cuneiforme successivi al periodo tardo-Uruk sono convenzionalmente distinti in fasi, che riflettono in parte gli sviluppi paleografici del sistema di scrittura e in parte le divisioni stratigrafiche stabilite dall'archeologia del Vicino Oriente. Il giudizio sull'affidabilità di questa suddivisione cronologica dipende dal modo in cui vengono valutate le numerose lacune spaziali e diacroniche esistenti tra gli archivi di tavolette finora portati alla luce e studiati.

Nel seguito sarà tracciato un profilo dello stato attuale della ricerca nel campo della storia della scrittura cuneiforme. A causa della stretta relazione formale e funzionale esistente tra le cosiddette tavolette protoelamiche (3000 ca.) e la seconda fase del cuneiforme arcaico, quella del periodo Uruk III, cominceremo con il prendere in considerazione i documenti provenienti dalla Persia, a cui seguirà una discussione, condotta secondo criteri cronologici, della scrittura cuneiforme postarcaica, prodotta o rinvenuta nelle regioni limitrofe alla Mesopotamia nel corso del III millennio e oltre. A partire dai testi protodinastici di Ur (2800 ca.), la scrittura cuneiforme si sviluppò e si diffuse risalendo il corso dei due grandi fiumi della regione, il Tigri e l'Eufrate, fino all'attuale Iraq settentrionale, verso ovest fino alla Siria e verso est fino all'Iran; nel corso di questo sviluppo il sistema di scrittura attraversò distinte fasi paleografiche, che sono utilizzate per stabilire la collocazione cronologica dei reperti, quando la stratigrafia e gli altri mezzi utilizzati a questo scopo non riescono a fornirci la sequenza relativa degli archivi di tavolette.

Il dibattito concernente i mezzi di diffusione di un particolare 'prodotto' culturale quale è la scrittura ha dato luogo a numerose speculazioni riguardanti la capacità dei sistemi di scrittura di trasmettersi a lunga distanza. In altri termini, gli specialisti del sistema cuneiforme si trovano spesso a dover affrontare la questione se sia più giusto parlare di uno sviluppo monogenetico della scrittura nel Vicino Oriente, seguito dalla sua diffusione a opera del commercio o di altri movimenti di popolazione, oppure di una creazione poligenetica dei diversi sistemi di scrittura, che includono, per quanto riguarda il mondo antico, i principali sistemi cuneiformi, i geroglifici egiziani, il protoelamico, la scrittura indiana e quella cinese. Mentre il protoelamico sembra essere chiaramente una derivazione ideativa della scrittura cuneiforme arcaica e il sistema cinese si è sviluppato molto più tardi, possiamo notare en passant che gli esempi di scrittura rinvenuti ad Harappa, in India, e databili alla seconda metà del III millennio, non contengono alcun elemento che permetta di ricondurli chiaramente all'antica Mesopotamia. La loro minore antichità e l'esistenza di contatti commerciali con la Mesopotamia, tuttavia, consentono di ipotizzare una derivazione secondaria dal sistema cuneiforme dei testi della civiltà dell'Indo, ossia la trasmissione dell'idea di scrittura attraverso gli scambi commerciali con i paesi del Vicino Oriente.

Le cose stanno diversamente nel caso degli esempi più antichi di geroglifici egiziani. Recenti ritrovamenti epigrafici ad Abido, datati al 3300, hanno fatto avanzare l'ipotesi che in realtà la scrittura si sia sviluppata originariamente in Egitto, per diffondersi poi verso Oriente (Dreyer 1998), capovolgendo così l'idea tradizionale secondo cui i primi esempi di scrittura sarebbero apparsi in Mesopotamia in un periodo anteriore alla comparsa dei primi testi egiziani (il periodo tardo-Uruk coincide, infatti, all'incirca con il periodo di Naqada II, cioè con un'epoca in cui gli abitanti della valle del Nilo non disponevano ancora di un sistema di scrittura vero e proprio). In effetti, mentre esistono numerosi esempi di trasmissione di prodotti culturali dalla Mesopotamia all'Egitto nell'età egizia predinastica (3300-3050), non è stata trovata nessuna prova di un analogo movimento in senso contrario, che potrebbe aver trasmesso l'idea di scrittura. Quindi, nonostante la datazione al 3300 dei reperti di Abido, è praticamente certo che essi non abbiano avuto alcuna conseguenza sullo sviluppo della scrittura in Mesopotamia che, come si è detto, fu il risultato di un lunghissimo processo semiotico, realizzatosi solo lì e in nessun altro luogo del mondo antico.

III millennio

a) Il sistema di scrittura protoelamico. Il sistema di scrittura ideografico convenzionalmente denominato protoelamico fu sviluppato e usato nelle regioni occidentali e meridionali della Persia tra la fine del IV e l'inizio del III millennio, un arco di tempo che si ritiene corrisponda in Mesopotamia al periodo di Jemdet Nasr e a quello protodinastico I (3100-2900 ca.). Il termine protoelamico si riferisce ai primi documenti scritti rinvenuti in questa regione. Benché non sia stato ancora decifrato, le analisi contestuali e la somiglianza formale dei documenti protoelamici con le meglio note tavolette mesopotamiche in caratteri protocuneiformi, ci consente di affermare con una certa sicurezza la natura ideografica e i campi di applicazione di questo sistema di scrittura originario della Persia.

Sono state pubblicate finora circa 1500 tavolette protoelamiche, provenienti per la maggior parte dagli scavi di Susa, sul fiume Kerkha, a est di Babilonia, ma comprendenti anche alcuni esemplari rinvenuti in siti posti molto più a sud-est, fino a Shar-i Sokhta, sul confine afgano. Le tavolette contengono quasi esclusivamente documenti di carattere amministrativo, mentre i testi letterari o lessicali sono praticamente assenti.

I tentativi di lettura sillabica dei segni basati sull'ipotesi di un legame tra il protoelamico e il lineare elamico, chiaramente imparentato con il primo (v. oltre), non hanno finora permesso di decifrare il sistema di scrittura arcaico. Anche un'analisi grafotattica preliminare dei testi protoelamici ha prodotto risultati di modesto rilievo. Si è tentato inoltre, con alterna fortuna, di stabilire qualche collegamento tra il protoelamico e il protocuneiforme, la prima fase del sistema di scrittura mesopotamico, che precede di circa un secolo i primi esempi di protoelamico. La mancanza di alcuni indispensabili strumenti filologici, e soprattutto di un elenco dei segni affidabile e depurato delle varianti superflue, continua a rappresentare un serio ostacolo al lavoro di decifrazione.

I primi seri tentativi di fornire una descrizione formale dei testi protoelamici sono stati effettuati nel corso degli anni Sessanta e dei primi anni Settanta del Novecento; i documenti protoelamici sono redatti con un sistema di scrittura lineare, orientato dall'alto verso il basso e da destra a sinistra. Il fatto che tutte le voci contenute in questi documenti siano apparentemente accompagnate da una notazione numerica, lascia supporre che ci troviamo di fronte a un sistema di registrazione, più che a una suddivisione della lingua parlata in frasi distinte o in analoghe unità semantiche. I progressi dell'analisi dei sistemi numerici protoelamici, derivati da quelli precedentemente sviluppati in Mesopotamia, hanno permesso recentemente l'identificazione semantica di un certo numero di segni e di combinazioni di segni, tra cui quelli indicanti alcune specie animali, i cereali e gli esseri umani.

b) Il cuneiforme protodinastico. Nei periodi storici noti convenzionalmente come periodi protodinastici I-III (2900-2350 ca.) si riscontra per la prima volta un chiaro uso polivalente della scrittura cuneiforme, vale a dire che si può dimostrare, nei documenti appartenenti a quest'epoca, che i segni erano utilizzati non solo per rappresentare oggetti o unità di misura, ma anche i diversi suoni della lingua parlata. Quest'uso fonetico dei segni ha consentito agli studiosi d'identificare i linguaggi utilizzati dagli scribi babilonesi e stabilire l'affiliazione linguistica di quelle che erano state fino ad allora semplici prove archeologiche dell'esistenza di diverse culture. Inoltre, dopo il collasso sociale e culturale verificatosi alla fine del periodo di Jemdet Nasr, verso il 3000, la scrittura cuneiforme iniziò a diffondersi rapidamente, accompagnando l'espansione dell'influenza culturale dei Babilonesi, fino a comprendere non soltanto la regione agricola della Mesopotamia meridionale (Sumer), dominata da un sistema di città-stato sorte intorno ai santuari, ma anche la larga fascia di territorio estesa dalla Siria fino alla regione della Diyala, a est del Tigri.

Nel materiale epigrafico del periodo protodinastico I (2900-2750 ca.) prevalgono ancora i documenti di carattere amministrativo, rinvenuti in maggiore quantità nella città meridionale di Ur (ca. 350 tavolette e frammenti) e, in quantità molto minori, in quella di Uruk (20 esemplari ca., la maggior parte dei quali non pubblicati). Alle tavolette di argilla bisogna aggiungere una dozzina di iscrizioni su pietra, probabilmente relative al passaggio di proprietà dei terreni, che dimostrano lo stadio sociale relativamente avanzato raggiunto nell'antico paese di Sumer.

Benché i formati delle tavolette e la forma dei segni indichino il verificarsi di un serio declino della cultura scritta in questo periodo ‒ in effetti, il volume delle transazioni, calcolato sulla base della quantità di beni rappresentati nelle notazioni numeriche, è molto inferiore a quello registrato oltre due secoli prima, nel periodo di Jemdet Nasr ‒ tuttavia le iscrizioni contengono una notevole quantità di combinazioni di segni che è possibile interpretare come un riflesso dell'uso della lingua sumerica da parte degli antichi scribi della Mesopotamia meridionale (per es., i nomi di persona sumerici MES.PÀ.DA, 'l'uomo prescelto', MES.KUR.RA, 'uomo della montagna').

Gli scavi hanno portato finora alla luce oltre 1100 documenti cuneiformi appartenenti al periodo protodinastico IIIa (2600-2450), che includono circa 600 tavolette rinvenute nell'insediamento meridionale di Shuruppak (la moderna Fara, da cui il periodo ha preso il suo nome più comunemente utilizzato), 400 nell'insediamento babilonese settentrionale di Abu Salabikh (il nome antico è poco chiaro) e le rimanenti 100 ca. in altre città babilonesi (Adab, Girsu, Kish, Nippur, Uruk). Benché si rilevi ancora una prevalenza di documenti di carattere amministrativo, i testi cuneiformi di questo periodo mostrano per la prima volta segni inequivocabili di un uso della scrittura finalizzato alla rappresentazione della lingua parlata, nella forma di testi letterari anche molto estesi, comprendenti miti, leggende, dialoghi, e di testi di carattere magico, tra cui molti incantesimi, tutti scritti in lingua sumerica (Manfred Krebernik, in Bauer 1998, pp. 260-298 e 313-325). Lo studio dei nomi di persona ha dimostrato che la scrittura cuneiforme era utilizzata per rappresentare termini dell'accadico semitico, oltre a quelli sumerici. In effetti, il numero delle persone designate con un nome accadico è molto significativo, dato che esse rappresentano soltanto il 2-3% dei nomi registrati negli archivi dell'insediamento meridionale di Fara ma almeno il 40% di quelli registrati negli archivi di Abu Salabikh. Inoltre, la mescolanza tra i due gruppi linguistici produsse inevitabilmente la trasmissione di un certo numero di termini da una lingua all'altra, come per esempio l'introduzione delle parole semitiche damgar ('mercante') e mana ('libbra') nel sumerico, che riflette il crescente impatto delle popolazioni accadiche sull'economia della Mesopotamia meridionale.

È probabile che il sumerico fosse almeno uno dei molti linguaggi rappresentati nei testi arcaici del periodo tardo-Uruk; certamente fu una delle due, o forse più, lingue rappresentate dal sistema di scrittura nel periodo di Fara. È impossibile valutare l'importanza di questa innovazione, poiché la rappresentazione di una lingua flessiva, come l'accadico, richiese la totale sillabificazione di quello che rimaneva sostanzialmente un sistema ideo-logografico, nato per rappresentare una lingua agglutinante come il sumerico. Inoltre, se l'idioma semitico degli Accadi non avesse fatto parte della babele linguistica venutasi a creare nella Mesopotamia meridionale alla fine del IV millennio, dovremmo ritenere che nel periodo di Fara una serie di nuovi fonemi semitici sia stata registrata mediante un sistema di scrittura concepito per rappresentare una fonologia profondamente differente. Molti esperti ritengono che l'evoluzione della scrittura cuneiforme in direzione di un sistema sillabico, e in quanto tale meno vincolato a una lingua particolare, sia stata proprio una conseguenza del confronto tra questi elementi stranieri e un sistema di scrittura statico. Il sistema logosillabico risultante si sarebbe mostrato nelle epoche successive molto più facilmente adattabile a una pletora di altre lingue, in Mesopotamia e nelle regioni circostanti.

Questo risulta chiaramente nel successivo periodo protodinastico IIIb (noto anche come paleosumerico, o di Lagash presargonica, 2450-2350). Le ca. 2000 tavolette cuneiformi databili a questo periodo e rinvenute prevalentemente nel corso degli scavi effettuati nella città meridionale di Girsu (la moderna Tello), rispecchiano una netta prevalenza del sumerico nelle transazioni economiche e nei documenti della gerarchia politica della Mesopotamia meridionale. La nascita in questo stesso periodo della tradizione babilonese delle iscrizioni reali, destinata a durare molto a lungo, consente inoltre di effettuare per la prima volta una traduzione più o meno completa ed esauriente dei testi. Anche in questo periodo i nomi di persona rivelano l'esistenza di estesi contatti con gruppi di lingua semitica e forse anche con gruppi di Elamiti a est e di Hurriti a nord. Sono stati però soprattutto gli scavi condotti da archeologi italiani nella città siriana di Ebla che hanno dimostrato come il sistema cuneiforme ‒ recentemente documentato per lo stesso periodo anche in un'altra città siriana, Tell Beydar ‒ potesse essere adattato alle esigenze amministrative e linguistiche di una società differente e distante centinaia di chilometri dal luogo in cui questo sistema aveva avuto origine, la Mesopotamia meridionale. Questa trasmissione, come altri prestiti culturali più tardi, poté realizzarsi grazie alla funzione di filtro svolta da una regione intermedia, in questo caso la città babilonese settentrionale di Kish, centro della cosiddetta 'civiltà di Kish'.

c) Il cuneiforme paleoaccadico e neosumerico. Negli ultimi secoli del III millennio si verificò un'espansione di entrambe le lingue, l'accadico e il sumerico, la prima durante l'impero accadico (2350-2150 ca.) e la seconda durante quello della III dinastia di Ur (2100-2000 ca.). Questi periodi furono caratterizzati dall'espansione politica di alcune potenze interregionali, che provocò la parallela imposizione di un sistema amministrativo e, conseguentemente, di una lingua centralizzati. Il sillabario paleoaccadico (Gelb 1961) aggiunse nuove possibilità di lettura al repertorio di segni già esistente, basate principalmente sulle parole accadiche corrispondenti al significato dei logogrammi sumerici (per es., il segno KAL, in sumerico 'potente', poteva essere letto anche /dan/, dalla parola accadica dannum, che aveva lo stesso significato); furono inoltre introdotti nuovi segni per ovviare alla palese inadeguatezza del sillabario sumerico a rappresentare i fonemi semitici. Le tensioni e gli scontri tra l'impero accadico e le popolazioni circostanti furono all'origine, sempre in questo periodo, delle prime attestazioni della lingua elamica, ancora soltanto parzialmente decifrata. I documenti bilingui accadico-elamici rinvenuti in Persia sembrano indicare una rifioritura, apparentemente spontanea, della cultura scritta nella capitale Susa, testimoniata dalle iscrizioni nel cosiddetto 'lineare elamico' (va sottolineato, tuttavia, che non è stata finora prodotta nessuna prova certa dell'esistenza di un legame tra il lineare elamico e la scrittura protoelamica). Di poco successiva è la prima attestazione della lingua paleoelamica in caratteri cuneiformi accadici, nel cosiddetto 'trattato di Naram-Sin'. Si tratta del primo esempio di adattamento del cuneiforme alla scrittura di testi in una lingua non semitica (una singolare iscrizione in lullubita è infatti, anche se di poco, più tarda; cfr. Wilhelm 1986, p. 95), in cui è già presente una caratteristica che verrà sviluppata negli analoghi adattamenti successivi, vale a dire una notevole semplificazione dell'inventario di segni, per facilitare il compito degli scribi stranieri. In tutta la storia della trasmissione della lingua elamica con il sistema cuneiforme, proseguita dal II millennio fino al IV sec., in epoca achemenide, ricorrono in totale poco più di 200 segni, con una media di non più di 130 alla volta.

Il mutamento delle fortune politiche portò alla sostituzione dell'impero accadico con quello della III dinastia sumerica di Ur. Gli scavi degli archivi risalenti alla seconda metà di questo periodo hanno portato alla luce non meno di 100.000 tavolette, di cui circa 45.000 già pubblicate. Anche se la grande maggioranza di questi testi rispecchia la rigida organizzazione amministrativa imposta al paese dal secondo re della dinastia, Shulgi, rimane comunque un numero impressionante di iscrizioni reali e monumentali, di testi letterari, religiosi e lessicali, che dimostrano come il sistema di scrittura cuneiforme rappresentasse ancora un valido strumento per esprimere gli elementi più complessi del linguaggio.

Un secondo adattamento del cuneiforme accadico alla rappresentazione di una lingua straniera si verificò verso la fine del III millennio. Alcune recenti ricerche fanno infatti ritenere che la celebre iscrizione monumentale hurrita di Tish-atal, ritenuta un tempo appartenente al periodo paleoaccadico, debba essere attribuita al periodo di Ur III. L'hurrita è una delle lingue isolate del Vicino Oriente, priva di legami sia con il semitico sia con il sumerico, pur avendo in comune con quest'ultimo, e con il più tardo urarteo, una struttura relazionale ergativa. La sua area di diffusione geografica si estendeva dalla regione della Diyala, verso ovest, lungo le pendici del Tauro, fino a Ugarit, sulla costa siriana, e alla Cilicia, venendo a costituire una sorta di zona cuscinetto che separava la Mesopotamia dalla catena dei monti Zagros settentrionali, dall'Anatolia e dall'Occidente. Benché gli archeologi non siano ancora riusciti a localizzare l'antica capitale degli Hurriti, Washukkanni, situata presumibilmente lungo l'alto corso del Khabur, una massa imponente di testimonianze dimostrano il ruolo fondamentale svolto dagli scribi hurriti nel processo di trasmissione del sistema cuneiforme alle popolazioni residenti nelle regioni più esterne.

II millennio

Il processo di sillabificazione del cuneiforme avviato nel III millennio procedette rapidamente anche nel II millennio. In effetti, tale processo può essere considerato come una progressiva democratizzazione della scrittura, nel senso che un sistema sillabico composto da un numero di segni drasticamente ridotto rispetto a quello precedente ‒ contenente un gran numero di logogrammi e ideogrammi ‒ è più facilmente accessibile ai membri della società. Da questo punto di vista, il periodo paleoassiro (1950-1900 ca.) costituisce indubbiamente il momento di maggiore democraticità raggiunto dalla scrittura prima dell'invenzione dell'alfabeto, avvenuta nel millennio successivo. Un repertorio di circa 80 segni (relativi soprattutto alle forme fonetiche semplici V, CV e VC) e un numero relativamente ridotto di logogrammi erano infatti sufficienti a soddisfare le necessità di documentazione e comunicazione legate agli scambi economici tra la regione settentrionale di Assur e le sue colonie commerciali in Anatolia. Per la prima volta nella storia, fu sviluppato e divulgato un sistema di scrittura sillabico abbastanza semplice da essere utilizzato anche dai mercanti che operavano su mercati molto distanti dalla madrepatria. Un'analoga riduzione dei sillabari degli scribi babilonesi caratterizza anche le iscrizioni accadiche del periodo paleobabilonese, in particolare a Mari, dove si verificò anche un'intensa diffusione del cuneiforme nell'ambito più mondano della corrispondenza privata tra parenti e amici.

Sempre a Mari sono stati rinvenuti una mezza dozzina di testi religiosi in lingua hurrita, della quale si è detto brevemente poco sopra. Non essendo ancora stati ritrovati gli archivi delle città appartenenti alla confederazione hurrita, questi testi, che dimostrano la continuità dell'uso del cuneiforme da parte degli scribi hurriti, sono l'unico documento che ci consente di valutare l'importanza del ruolo svolto da questi scribi nella trasmissione del cuneiforme oltre i confini della Mesopotamia. In effetti, la presenza di numerosi nomi e termini hurriti nelle iscrizioni in accadico, hittita e ugaritico, dimostra la presenza di gruppi appartenenti a questo ceppo linguistico in una fascia che si estendeva orizzontalmente lungo le pianure e le colline poste alle pendici del Tauro, nel periodo compreso tra la fine del III e la fine del II millennio.

Il momento di maggiore influenza della cultura hurrita coincide con i secoli XV e XIV ed è conosciuto col nome di Mitanni. Una lunga lettera reale in hurrita rinvenuta nel sito egiziano di el-Amarna ‒ si tratta del testo più esteso contenuto in una singola tavoletta cuneiforme tra quelli finora ritrovati, quasi 500 righe ‒ costituisce la testimonianza più completa del sillabario cuneiforme utilizzato all'epoca nella capitale hurrita. Nonostante l'improvvisa scomparsa degli Hurriti dal Vicino Oriente verso la fine del II millennio, il loro sillabario fortemente semplificato fu alla base della trasmissione del sistema cuneiforme alle scuole scribali hittite in Anatolia e influenzò lo sviluppo dell'alfabeto ugaritico di Ras Shamra.

Gli Hittiti furono il primo popolo indoeuropeo a utilizzare questo sillabario cuneiforme semplificato per redigere non solo documenti di carattere amministrativo, ma anche testi di natura più formale, come iscrizioni reali, trattati o altri testi legali e perfino opere mitologiche e letterarie. Sia i numerosi documenti bilingui in hittita e in hurrita, sia il ductus e l'ortografia dei testi trovati a Boğazköy (antica Khattusha) dimostrano chiaramente l'importanza del ruolo svolto dagli Hurriti nella trasmissione del cuneiforme accadico a questa lingua. Gli archivi hittiti ci hanno restituito molte migliaia di tavolette, che testimoniano l'uso di 375 segni cuneiformi (tra cui ca. 100 sillabogrammi, che ricorrono con maggiore frequenza), fornendoci una base sufficiente per valutare sia il relativo successo della trasmissione, sia le difficoltà inerenti all'adattamento di un sistema fonologico straniero (quello della lingua da cui si era preso a prestito il sistema di scrittura) a uno indigeno (quello hittita). Per esempio, nelle iscrizioni hittite si rileva un'evidente difficoltà a rendere adeguatamente i gruppi consonantici posti all'inizio e alla fine delle parole, che non era possibile rappresentare nel cuneiforme accadico. Quasi certamente tali difficoltà portarono gli scribi ad assegnare valori 'quasi alfabetici' a una serie di segni che nel sillabario accadico erano riferiti a forme CV/VC.

Le maggiori informazioni sul periodo corrispondente all'egemonia del regno di Mitanni e degli Hittiti nelle regioni occidentali e settentrionali, alla dinastia cassita nel sud e all'affermazione della potenza egiziana, ci vengono fornite dalla corrispondenza diplomatica venuta alla luce a el-Amarna. Le 380 lettere scoperte da un contadino sul finire dell'Ottocento e datate dal 1470 ca. al 1340, dimostrano come nella seconda metà del II millennio l'accadico fosse largamente usato come lingua franca e il complesso sistema di scrittura cuneiforme fosse divenuto lo strumento di comunicazione privilegiato dalle élites politiche. Il cuneiforme accadico si trasformò così, in questo periodo, senza alcuna imposizione imperialistica, nel principale strumento di rappresentazione del linguaggio, continuando a esercitare questo ruolo per quasi un millennio.

La lingua semitico-occidentale di Ugarit (moderna Ras Shamra) è attestata da un gran numero di documenti databili al XIV e al XIII secolo. I testi appartenenti a questo corpus, e in particolare la corrispondenza diplomatica e i testi letterari e lessicali, scritti per la maggior parte in accadico e in ugaritico cuneiforme alfabetico (anche cap. VIII, par. 3), o meglio consonantico, testimoniano l'alto grado di sviluppo culturale raggiunto da questa comunità. La fonte originale del cuneiforme ugaritico è ancora oggetto di discussione; i 30 segni che compongono questo sistema di scrittura sembrerebbero in alcuni casi delle semplici astrazioni dal più complesso sistema di valori dei segni dell'accadico, noto agli abitanti di Ugarit attraverso la mediazione hurrita, e in altri casi creazioni apparentemente autonome degli inventori di questo sistema di scrittura. Non esiste alcuna prova certa di un'influenza egizia o sinaitica.

Durante il XIII e il XII sec. si registra anche un ritorno degli Elamiti al cuneiforme accadico. Il periodo medioelamico è documentato soprattutto da centinaia di iscrizioni sui mattoni impiegati dalla casa reale nella sua intensa attività edilizia. Oltre ad alcuni archivi amministrativi redatti in accadico, i resoconti che sono stati rinvenuti a Tepe Malyan (l'antica Anshan) dimostrano l'impiego del cuneiforme da parte della burocrazia elamica.

I millennio

a) Il cuneiforme assiro-babilonese. Non si rilevano sostanziali differenze tra il cuneiforme accadico utilizzato ancora nella Mesopotamia settentrionale e meridionale durante tutto il I millennio e quello del millennio precedente; la migrazione di popolazioni di lingua aramaica in Mesopotamia produsse un uso altamente ambiguo delle vocali finali ed ebbe qualche influenza sulla scelta dei segni utilizzati, ma non impedì il processo di fossilizzazione dell'accadico e la sua trasformazione in tutta la regione in lingua letteraria, spesso dominata dall'influenza letteraria di un particolare dialetto noto come 'babilonese standard'. La predilezione per l'uso di un complicato sillabario contenente numerosi segni CVC, e la produzione di composizioni letterarie di tipo eclettico, è forse indice di una certa pedanteria invalsa negli scribi tardobabilonesi.

b) L'urarteo e il persiano antico. Gli Urartei, una popolazione linguisticamente affine agli Hurriti, stanziata negli altopiani dell'Armenia, nella regione compresa tra i laghi Van e Urmia e l'alto corso dell'Eufrate, si servirono della scrittura cuneiforme dal IX al VII secolo. I documenti scritti pervenutici consistono per la maggior parte in testi reali e comprendono iscrizioni monumentali su pietra e iscrizioni votive su oggetti di culto; sono stati rinvenuti anche pochi esempi di corrispondenza e di contabilità. A eccezione delle iscrizioni più antiche, in accadico, tutti i testi sono scritti in lingua urartea. Come negli altri casi di trasmissione dalla Mesopotamia, il cuneiforme urarteo comprendeva un repertorio molto ridotto di segni, con una netta prevalenza dei segni semplici CV e VC.

Per concludere, dobbiamo accennare alla continuità dell'uso di questo sistema di scrittura da parte delle popolazioni confinanti a est con i Babilonesi. Sono state ritrovate, infatti, iscrizioni tardoelamiche e achemenidi, databili a partire dal VII sec., che includono non soltanto gli usuali testi di carattere votivo, ma anche iscrizioni monumentali sulle pareti rocciose, testi di natura economica (tra gli archivi minori le molte migliaia di tavolette contabili rinvenute nella Persepoli achemenide), oltre ad alcuni esempi di corrispondenza e di testi legali.

Il moltiplicarsi delle iscrizioni reali bilingui e trilingui durante il periodo achemenide, nelle quali l'antico persiano o l'accadico, o spesso entrambi, erano affiancati all'elamico, dimostra chiaramente come nella satrapia elamica il linguaggio indigeno fosse stato gradualmente sostituito dalla lingua indoeuropea dei dominatori persiani. Il cuneiforme antico persiano, utilizzato in alcuni testi del periodo achemenide, appare molto più legato al cuneiforme accadico rispetto al sistema alfabetico ugaritico. Anche per questo, il cuneiforme antico persiano, costituito da 36 caratteri alfabetici, da numerosi ideogrammi e da un segno divisorio delle parole, costituì la chiave che, attraverso lo studio di Georg Grotefend delle iscrizioni trilingui di Persepoli, copiate negli anni Settanta del Settecento da Carsten Niebuhr, e i successivi lavori sulle lunghe iscrizioni del monumento di Dario I a Behistun, copiate dall'ostinato Henry Rawlinson, permise infine la decifrazione del cuneiforme mesopotamico, negli anni Quaranta-Cinquanta dell'Ottocento.

Anche se la scrittura cuneiforme sopravvisse ai grandi imperi assiri e babilonesi, la fine dell'autonomia politica dei popoli di lingua accadica nel Vicino Oriente segnò l'inizio del suo inarrestabile declino. Nel periodo tardobabilonese, i dialetti aramaici erano divenuti la lingua parlata più diffusa in Mesopotamia, sostituendo l'accadico e, con l'adozione dell'alfabeto aramaico, costituito da sole 22 lettere, l'uso del sistema cuneiforme rimase progressivamente confinato nei templi. L'ultimo testo scritto in caratteri cuneiformi risale al 74-75 d.C.

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