VICENZA

Federiciana (2005)

VICENZA

Dario Canzian

Nella notte della vigilia di Ognissanti del 1236 Federico II mosse all'attacco di Vicenza, retta in quel momento da un podestà di altissimo rango, il marchese Azzo VII d'Este (v. Este, Marchesi d'). Lo avrebbe fatto, secondo il cronista filoimperiale Gerardo Maurisio, su esortazione di Ezzelino III da Romano (v.) dopo che gli era stato negato dai custodi l'ingresso pacifico in città; l'imperatore, "benignissimus et misericords" (1913-1914, p. 38), sapeva infatti che i vicentini erano stati indotti ad opporglisi contro la loro stessa volontà, ma non gli restava altra scelta. La presunta benevolenza di Federico per Vicenza, tradita dagli stessi vicentini, non valse dunque a salvare la città dalle fiamme e dal saccheggio devastante degli imperiali; tra i molti prigionieri catturati allora dall'esercito federiciano, senza distinzione tra "giusti" ed "empi", venne a trovarsi lo stesso cronista, che pure era un "fidelissimus" dello Svevo.

Al momento della catastrofe Vicenza costituiva con Verona, Padova e Treviso uno dei quattro poli urbani della Marca veronese-trevigiana. Meno favorita di Verona e Padova rispetto alle grandi correnti dei traffici e più lontana di Treviso dall'orbita mercantile e politica veneziana, la città del Bacchiglione aveva comunque percorso le tappe che, sul piano dello sviluppo istituzionale, economico e urbanistico, la allineavano alle medie città dell'Italia comunale. Con una popolazione stimata nel momento del massimo incremento attorno ai diecimila abitanti, o di poco superiore ‒ a fronte dei quarantamila o quarantacinquemila di Verona e di Padova ‒, Vicenza si collocava nel Duecento grosso modo sulla stessa fascia demografica di Treviso e, fuori dalla Marchia, di Modena, Alessandria, Pavia, Parma, Ferrara, Reggio Emilia.

Delle medie città della Pianura Padana Vicenza riproduceva anche la struttura urbanistica. Le mura racchiudevano uno spazio il cui fulcro era rappresentato dai due palazzi comunali, il più vecchio dei quali, attestato a partire dal 1195, venne distrutto nel 1236 e riedificato nel 1260, alla caduta dei da Romano. La cittadella istituzionale era completata dal palazzo del podestà ed era dominata da due torri civiche che segnalavano anche i settori destinati ai mercati, ovvero le piazze adiacenti agli edifici pubblici. Ma le torri che punteggiavano il paesaggio urbano, secondo quanto dichiara di aver letto negli antichi annali della città il cronista quattrocentesco Battista Pagliarini (1990, p. 187), sarebbero state più di cento. E se questo numero è probabilmente iperbolico, è pur vero che il comune era stato costretto nel 1208 a promulgare un praeceptum edilizio allo scopo di regolamentare il caotico lievitare entro il circuito urbano di edifici e paramenti murari e disciplinare i modi di occupazione del suolo pubblico.

Una porzione cospicua dello spazio cittadino era occupata, nel XIII sec., oltre che dalle costruzioni pubbliche e private, dagli edifici sacri. Basti pensare che una stima ha evidenziato che a fine Duecento il quartiere del duomo era impegnato quasi per la metà della sua superficie dal complesso dei palazzi e delle strutture di servizio afferenti all'episcopio o al capitolo. Anche gli Ordini mendicanti poterono godere a Vicenza di grande visibilità. I Francescani, presenti in città fin dal 1222, edificavano nel 1237 la chiesa di S. Francesco, permutata nel 1280 con la chiesa di S. Lorenzo, da loro ampliata o forse addirittura completamente rifatta. Per la chiesa dei Domenicani, S. Corona, occorre attendere invece il 1260, ovvero l'età postezzeliniana. Ma se i Domenicani a Vicenza arrivarono tardi rispetto ai Francescani, va detto che nel 1233 un figlio dell'Ordine di S. Domenico, Giovanni da Schio, aveva addirittura assunto le redini della città, sia pure per una stagione effimera.

Quanto al rapporto col contado, il comune vicentino estendeva la propria giurisdizione su circa duecentoventi ville, distribuite su un territorio molto mosso che inglobava a nord l'altopiano di Asiago e a sud l''isola' dei Colli Berici, spingendosi fino a lambire i margini occidentali del sistema dei Colli Euganei, di pertinenza padovana. Ad occidente il distretto vicentino era separato da quello veronese dal torrente Alpone, un modesto corso d'acqua parallelo ad altri più significativi assi fluviali che solcavano in senso longitudinale le vallate vicentine: l'Agno, l'Astico, il Chiampo. Ancora più rilevante ai fini della strutturazione del territorio era il fiume che attraversava la parte pianeggiante del distretto vicentino, il Bacchiglione, che metteva in comunicazione diretta Vicenza con Padova e lungo il quale sorgeva l'importante castello di Montegalda, di pertinenza comitale. Ai margini orientali del districtus scorreva il Brenta, ovvero il fiume che, dopo l'Adige, costituiva nell'intera area veneto-friulana la più agevole arteria di comunicazione tra la pianura e i settori transalpini. Nel punto in cui il Brenta si affaccia sulla pianura, all'imbocco della Valsugana, sorgeva il centro di Bassano, ovvero il secondo polo di aggregazione demica del distretto, dopo il capoluogo, con i suoi duemilacinquecento abitanti stimati per il 1175, anno nel quale i bassanesi giurarono la dedizione a Vicenza. A non più di 7 km da Bassano, in direzione di Vicenza, l'armatura territoriale del comune urbano si avvaleva del sito incastellato di Marostica, destinato, come Bassano, a divenire in prospettiva una delle cosiddette 'città murate' del Veneto.

Vicenza rappresentò dunque il fulcro di uno spazio vasto e articolato sotto il profilo ambientale e insediativo. Per quanto infatti, come si è detto, la città sorgesse in posizione eccentrica rispetto alle grandi linee di transito dell'Italia nordorientale, le guerre e le paci della prima metà del XII sec. ci mostrano come Vicenza, insieme a Padova, si collocasse comunque nel cuore di un vitale circuito comunicativo interno della Marca. Il coinvolgimento vicentino nelle dinamiche politiche e militari connesse all'utilizzo delle vie di comunicazione appare in tutta la sua evidenza nel trattato di pace stipulato a Fontaniva (Padova) nel 1147. Il dettato del documento chiarisce come attorno al problema del controllo delle vie d'acqua fossero andati costituendosi due blocchi territoriali. Il primo faceva capo a Padova e vi aderivano "Tarvisiani, Coneclanenses et Cenetenses" (Gloria, 1881, p. 513), ovvero gli esponenti dell'aristocrazia militare radicata nei comitati di Treviso e di Ceneda (oggi Vittorio Veneto), tra Sile e Livenza. Al blocco padovano si contrapponeva proprio Vicenza, con l'aiuto di Verona e l'appoggio 'esterno' di Venezia. La posta in palio nel 1147 era il controllo del Bacchiglione e soprattutto del Brenta, sul cui corso, peraltro, erano già intervenuti i padovani nel 1142 provocando un tale dissesto sul sistema lagunare da suscitare l'immediata ritorsione militare del ducato veneziano.

La pace di Fontaniva è anche l'occasione nella quale compaiono per la prima volta dei consoli vicentini e dunque si suole assumere il 1147 come prima attestazione dell'esistenza del comune urbano a Vicenza. Quanto alle forze che costituivano questa istituzione, non tutto è ancora chiarito. Pare assodato che nel tessuto sociale cittadino i negociatores fossero una componente molto ridotta (ad eccezione di quella particolare categoria di 'mercanti del denaro' che erano gli usurai). Non sembra alludere a questo gruppo sociale, infatti, l'espressione populares con la quale Maurisio indica coloro che nel 1206 imposero il podestà milanese Guglielmo Pusterla. I 'popolari' sarebbero stati in quella circostanza i milites del territorio e della città, i membri cioè di una vassallità intermedia che avrebbe cercato nel comune l'emancipazione dalla tutela della grande feudalità. Il comune vicentino, dunque, sembra aver avuto un'impronta nettamente aristocratica. Un "comune di famiglie", come è stato definito (Cracco, Da comune, 1988), con riferimento soprattutto a quel ventaglio di casati illustri ‒ titolari di signorie rurali per lo più esercitate nelle vallate, nella pedemontana e lungo gli assi fluviali di pianura ‒ entro il quale spiccavano, accanto ai Maltraversi (i conti cittadini), i da Trissino, i da Sossano, i da Sarego, i da Breganze, i da Vivaro e soprattutto i da Romano, titolari di una egemonia di fatto su Bassano almeno fin dagli anni Ottanta del XII secolo.

Questi lignaggi, in competizione per il potere sulla città (ma ben saldi nel mantenimento delle loro signorie rurali) nella seconda metà del XII sec., polarizzarono la lotta politica entro le due fazioni della pars comitis e della pars episcopi, chiaramente visibili a partire dal 1194. Il confronto tra le parti andò inoltre complicandosi per gli interventi nel contesto vicentino dei comuni di Padova e Verona e per l'emergere sempre più marcato delle aspirazioni regionali dei da Romano. Ne conseguirono l'emarginazione dalla vita politica cittadina dell'episcopato e parallelamente il depauperamento del suo patrimonio principalmente a opera degli usurai, un fenomeno questo di proporzioni tali da indurre nel 1212 la destituzione del vescovo Uberto e la nomina di un amministratore apostolico.

Prima di passare a una sintetica rievocazione delle vicende politiche vicentine nei decenni a cavallo tra i secc. XII e XIII, non sarà irrilevante notare, per inciso, che il carattere 'conservativo' della società comunale vicentina non impedì che proprio in questa città si avviasse il primo esperimento in area veneta di uno Studio universitario: Vicenza, infatti, nel 1204 fu la destinazione di una migrazione studentesca proveniente dallo Studio di Bologna. Proprio l'instabilità politica cittadina, tuttavia, fu probabilmente la ragione dell'esaurirsi nel giro di pochi anni (1204-1209) di questo esperimento, ripreso e sviluppato con ben altri esiti a Padova a partire dal 1222.

Ripercorrendo, dunque, in sintesi le tappe della convulsa vita politica cittadina nei decenni a cavallo del Duecento, va segnalato che fino agli anni Ottanta del XII sec. sembra che il comune fosse sottoposto alla tutela dei rappresentanti del potere istituzionale: i conti (il conte Ugezzone fu podestà nel 1181) e il vescovo (nel 1189 il consiglio era ospitato nella cattedrale, alla presenza del presule). Le fortune dell'episcopio, però, paiono meno stabili; addirittura nel 1184 il vescovo Cacciafronte veniva assassinato, così come il suo successore, Pistore, nel 1200. Nonostante le difficoltà, ad ogni modo, attorno all'episcopato vicentino si aggregò una pars che poteva contare, tra gli altri, sul sostegno dei da Vivaro, avvocati vescovili, e dei da Romano, questi ultimi ostili alle pretese di egemonia del comune vicentino su Bassano, al cui controllo, peraltro, aspirava anche il comune di Padova. Al partito vescovile ‒ o dei da Vivaro ‒ si contrapponeva, come si è detto, quello dei conti, al quale aderiva anche la potente famiglia di giudici cittadini dei Pileo. A partire dal 1194 la lotta s'inasprì: nel 1195 la parte del vescovo venne emarginata dalla vita politica e il vescovo stesso fu costretto ad abbandonare la città. Un intervento veronese, poi, indusse un'effimera pacificazione, cui fece seguito un'ulteriore fase di scontro, protrattasi almeno fino alla podesteria del milanese Guglielmo Pusterla (1207-1208), nel corso della quale Ezzelino da Romano passò al partito del conte. Nel 1209, dopo aver sperimentato dapprima il governo in contemporanea del conte e di Corrado da Vivaro, e quindi del conte veronese Bonifacio di San Bonifacio, fedele alleato del marchese Azzo VI d'Este, Vicenza si trovò a dover accettare il legato imperiale Guglielmo di Andito, inviato da Ottone IV. Ma poco dopo, nel 1210, fu Ezzelino II a ottenere dal re il governo della città, governo che il da Romano mantenne fino al 1213, anno in cui fu stipulata una pacificazione generale della Marchia. Gli anni successivi, dopo la breve parentesi della podesteria di conciliazione del veneziano Marino Zeno (1214), videro una ripresa delle lotte di parte, rinfocolate dal protagonismo del casato dei da Romano impegnato in una competizione sul piano regionale con gli Estensi, ai quali peraltro andava il favore regio. In quanto rappresentante dell'imperatore per tutta la Marca, nel 1222 Azzo VII d'Este nominò a Vicenza un delegato dotato della pienezza dei poteri giudiziari. Nel contempo, l'uscita di scena di Ezzelino II, ritiratosi a vita religiosa nel 1223, lasciava mano libera all'azione dei figli, Ezzelino III e Alberico. A quest'ultimo, nella divisione del patrimonio famigliare, toccò l'amministrazione della porzione vicentina. Di qui l'impegno di Alberico sul proscenio politico di Vicenza, culminato nell'acquisizione della podesteria cittadina dal 1227 al 1229, dopo una fase di scontri che avevano visto pesanti intromissioni veronesi e padovane nella scelta e nell'operato dei podestà.

A partire dal 1220 abbiamo le prime testimonianze delle relazioni instauratesi tra Federico II e la città berica. Risale a quell'anno un diploma di conferma dei diritti dell'episcopato, dal quale peraltro, attraverso il confronto con l'analogo riconoscimento attribuito alla Chiesa vicentina da Ottone IV nel 1210, si deduce (stando alla lettera dei documenti) che nel giro di dieci anni le ville e i castelli del vescovo si erano ridotti da ventiquattro a nove (tra questi figura la località di Barbarano, della quale il vescovo, secondo una manifestatio iurisdictionum del 1268, era "re"). Non abbiamo tracce di altri interventi diretti dell'imperatore in città, ma appare chiaro che l'avvio di una politica imperiale volta al recupero delle prerogative regie nell'Italia centrosettentrionale produceva dei contraccolpi immediati in ogni singolo comune, e quindi anche a Vicenza. La mobilitazione della Lega lombarda, in seguito alla convocazione della dieta imperiale a Cremona nel 1226, infatti, coinvolse da subito anche il comune berico.

In seguito la collocazione politica del comune appare complicata dall'ostilità della Lega nei confronti dei da Romano, che pure non erano ancora allineati sulle posizioni filoimperiali che li contraddistingueranno in seguito e che godevano di una posizione di primo piano tanto a Verona quanto a Vicenza. In entrambe le città, infatti, si assiste a un'azione di ridimensionamento delle prerogative dei signori di Bassano riconducibile a iniziative della Lega. A Vicenza tra la fine degli anni Venti del Duecento e i primissimi anni Trenta ciò si tradusse nel traghettamento della città entro la sfera di egemonia padovana: il podestà degli anni 1229-1230, il veneziano Filippo Zulian, si fece promotore di un'alleanza con il comune patavino, il quale a sua volta giunse a occupare provvisoriamente Vicenza nel 1231 con il pretesto di fornire aiuto al nuovo podestà, Guido da Rho, contro gli indocili 'magnati' (ovvero il fior fiore dell'aristocrazia vicentina dell'una e dell'altra parte: i Conti, i da Vivaro, i da Trissino, i Pileo, i da Arzignano). La crisi vissuta da Vicenza in quel tornante della sua storia si tradusse nella depressione delle attività produttive e nell'enfatizzazione del ruolo dei prestatori, una presenza talmente rilevante nel tessuto sociale urbano da far dire a Maurisio che nel 1234 la città era retta "consilio usurariorum" (1913-1914, p. 134).

L'intervento diretto di Federico II sui comuni italici indusse drastiche scelte di campo. Com'è noto, nel maggio del 1232 l'imperatore fu raggiunto a Pordenone da Alberico da Romano; qui si strinse il patto tra il casato bassanese e Federico, un sodalizio sul momento non determinante per le sorti delle città della Marca, ma destinato a produrre clamorosi effetti circa quattro anni più tardi. Vicenza, intanto, divenne il teatro principale dell'effimera parabola politica del domenicano Giovanni da Schio. Sull'onda emotiva creata dalla sua predicazione pacificatrice e dal movimento penitenziale dell'Alleluia, di cui egli era un promotore, il frate ottenne nel 1233 il titolo di dux et comes della città. Ma il tentativo di coinvolgere tutte le città e i domini della Marca in un progetto di pacificazione generale attraverso la sua mediazione si rivelò fallimentare. I patti stabiliti sotto il suo patrocinio nel grande convegno di Paquara (Verona), nell'agosto del 1233, si rivelarono una scorciatoia diplomatica non praticabile e vennero ben presto disattesi da quasi tutti. Giovanni vide repentinamente tramontare anche la propria stella vicentina; la città tornava quindi di fatto sotto l'influenza di Padova, tanto che nel 1235 un unico podestà, il milanese Ottone di Mandello, probabilmente, reggeva le due città (Cracco, Da comune, 1988, p. 99 n. 170).

Che questo automaticamente comportasse l'inserimento di Vicenza entro uno schieramento antimperiale non è affatto assodato. Nel biennio che precedette la conquista federiciana, la città fu infatti sottoposta al controllo del marchese Azzo VII d'Este ‒ il competitore di Ezzelino per il predominio nella Marca ‒ che rivestì due podesterie consecutive tra il 1235 e il 1236 (con l'intermezzo di Ottone di Mandello) anche grazie al favore del priore del monastero di S. Benedetto di Padova, Giordano Forzatè, al cui arbitrio, secondo Rolandino da Padova, "Padua et Vicencia voluntarie subiacebant" (1905, p. 48). Quando Federico attaccò Vicenza il marchese però non era presente. Arrivò tardi, secondo Maurisio, ma è probabile che l'Estense, appartenente a una stirpe di ufficiali regi fino a quel momento di fedeltà indiscussa, non desiderasse affatto schierarsi apertamente contro il sovrano. Si sa infatti che nel 1237 Azzo partecipò alla battaglia di Cortenuova dalla parte dell'imperatore e solo nel 1239 egli venne ufficialmente annoverato tra i nemici dell'Impero nel bando proclamato a Verona, davanti a S. Zeno.

'Perdonata' la città per la resistenza oppostagli (un crimine di lesa maestà, secondo le parole del cronista vicentino), Federico l'affidò all'amministrazione straordinaria di Guglielmo Visdomino, "capitano di Vicenza in nome dell'imperatore" (Gerardo Maurisio, 1913-1914, p. 40 n. 1). Di fatto, l'egemonia cittadina era esercitata da Ezzelino da Romano.

Nel 1238 si volle ripristinare l'ordinaria amministrazione e si tornò al regime podestarile. L'ufficio fu ricoperto dal podestà imperiale Enrico da Eboli. L'anno dopo Federico creò un vicario per la Marca trevigiana nella figura di Tebaldo Francesco (v. Francesco, famiglia), che aveva anche il ruolo di podestà di Padova. A Vicenza giunse Rizzardo Fibaldini "de Apulia", nunzio e vicario del Francesco. Reggerà la città fino al 1242, dapprima, appunto come vicario e con l'affiancamento ancora una volta del capitano Guglielmo Visdomino; solo dal luglio del 1241 Fibaldini fu podestà imperiale a pieno titolo. Nel 1242 Rizzardo venne richiamato a corte e sostituito a Vicenza dal trevigiano Manfredo Ricco, questa volta nominato da Ezzelino. Ma già nel dicembre dello stesso anno Ezzelino elevò alla carica podestarile il miles padovano Tommaso da S. Lucia, il quale mantenne poi la carica per dodici anni. Nel 1254 gli fece seguito Antonio degli Ardenghi da Padova, detto 'Brosema', che morì nel luglio del 1256 per difendere la rosta che Ezzelino aveva fatto costruire sul Bacchiglione a Longare per impedire il deflusso delle acque verso Padova. Poco dopo questa città veniva sottratta dai 'crociati' al dominio ezzeliniano; lo stesso signore, infine, nel 1259 veniva a morte. Gli esuli vicentini chiedevano quindi a Padova, dove si era costituito il comune estrinseco, l'invio di un podestà, che fu Aicardino di Litolfo.

L'autorità ezzeliniano-federiciana in città conobbe fasi alterne. Nel 1238 i principali signori rurali (Alberico da Romano, Uguccione di Pileo e i da Vivaro) dimostrarono insofferenza verso il podestà imperiale. Federico II in una sua lettera allo stesso podestà suggerì al riguardo un atteggiamento di cautela. Ma un anno dopo Alberico da Romano, divenuto signore di Treviso, si confermava apertamente nemico dell'imperatore, e si estraniava quindi dalla realtà vicentina, che invece rimaneva saldamente controllata da Ezzelino e dallo Svevo. Nel 1239, infatti, Federico confinò proprio a Vicenza alcuni sostenitori estensi appartenenti all'élite cittadina padovana (Rolandino da Padova, 1905, p. 65). Nella città berica, inoltre, nell'aprile dello stesso anno egli convocò a colloquio tutti i magnates della Marca trevigiana, e nell'occasione 'liberò' Giordano Forzatè, il monaco padovano suo avversario che da due anni era recluso nel carcere ezzeliniano di Asolo, affidandolo quindi alla tutela del patriarca di Aquileia.

Sembra insomma che Federico in questa fase ritenesse Vicenza particolarmente adatta a fungere da perno della dominazione imperiale nella Marca e ne promuovesse l'evoluzione in tale direzione un po' con la forza e un po' con le lusinghe. In questo senso può essere letto l'episodio del suo ingresso da scomunicato in cattedrale nel 1239 senza che il vescovo interrompesse la funzione, come avrebbe dovuto (e per questo il presule subì una sospensione dall'incarico). Focolai di resistenza, però, si registrarono ancora nel 1240, come testimoniano le condanne a morte comminate in quell'anno a notabili cittadini con l'accusa di aver voluto consegnare la città ad Alberico da Romano.

Le insofferenze e i disordini andarono estinguendosi man mano che la direzione della vita politica locale veniva assunta, seppure informalmente, da Ezzelino, forse per la contiguità ambientale che legava le grandi famiglie vicentine al casato dei da Romano. Sta di fatto che, almeno fino al 1250, la città visse una fase di prosperità ‒ di cui possono rendere ragione i centotrenta notai attivi ‒ e di incremento demografico (vennero costituiti tre nuovi burgi). La pace sociale coinvolse anche i tradizionali nemici di Ezzelino, come i Pileo, presenti tranquillamente nel consiglio cittadino e per nulla limitati nell'esercizio dei diritti signorili nelle ville. Anche i rapporti con le istituzioni ecclesiastiche mantennero un buon tenore, tanto che si collocano proprio in questo periodo la ristrutturazione della cattedrale (1247) e l'edificazione di un nuovo palazzo vescovile; sappiamo inoltre che nel 1245 i registri comunali erano affidati ai canonici regolari di S. Bartolomeo, mentre nel 1247 il comune prendeva sotto la sua protezione anche i beni dei canonici di S. Tommaso. Infine, il riscontro di diversi vicentini impegnati nell'ufficio podestarile a Verona negli anni Quaranta è prova di quanto il da Romano considerasse affidabile l'élite della 'sua' città.

Con la morte dell'imperatore, a Vicenza la situazione mostrò segni di progressivo ma non drammatico deterioramento. La frattura più grave sembra essere stata quella con il vescovo Manfredo, che nel 1250 dovette abbandonare la propria sede. Ezzelino, comunque, complessivamente mantenne la città col consenso sia della collettività urbana sia dei signori del territorio, almeno fino alla caduta di Padova (1256), quando l'emergenza militare in cui il da Romano venne a trovarsi lo costrinse a provvedimenti straordinari di ordine pubblico e militare.

La fine dei da Romano e la liberazione di Vicenza (1259-1260) posero la città, che pure andava riorganizzandosi sotto la guida del vescovo Bartolomeo da Breganze, sotto l'egida padovana; la subordinazione fu sancita formalmente da una dedizione del 1266. Si manifestava così appieno la non autosufficienza del comune vicentino rispetto al quadro dei poteri regionali, debolezza di cui significative spie si erano potute cogliere anche negli anni precedenti il periodo federiciano. Alla luce di questi sviluppi pare quindi di poter dire in sede di bilancio che la stagione ezzeliniana di Vicenza fu una sorta di parentesi nel corso della quale la città mantenne sì una identità politica autonoma nella Marca, ma solo grazie al fatto che le istituzioni erano puntellate dalla forza di una signoria pluricittadina che aveva nella città berica e nel suo territorio il proprio asse patrimoniale e il bacino di arruolamento delle proprie clientele più affidabili.

Fonti e Bibliografia

Per quanto riguarda il corpus cronachistico vicentino, v. Cronaca di Antonio Godi vicentino dall'anno MCXCIV all'anno MCCLX, in R.I.S.2, VIII, 2, a cura di G. Soranzo, 1909; Gerardo Maurisio, Cronica Dominorum Ecelini et Alberici fratrum de Romano (aa. 1183-1237), ibid., 4, a cura di G. Soranzo, 1913-1914; Nicola Smereglo, Annales civitatis Vicentiae (aa. 1200-1312), ibid., 5, a cura di G. Soranzo, 1921; Battista Pagliarini, Cronicae, a cura di J. Grubb, Padova 1990 (sull'argomento v. G. Arnaldi, Realtà e coscienza cittadine nella testimonianza degli storici e cronisti vicentini dei secoli XIII e XIV, in Storia di Vicenza, II, L'età medievale, a cura di G. Cracco, Vicenza 1988, pp. 295-358).

Sempre per l'ambito cronachistico v. Rolandino da Padova, Cronica in factis et circa facta Marchie Trivixane, in R.I.S.2, VIII, 1, a cura di A. Bonardi, 1905.

Tra le fonti edite si segnalano ancora le raccolte dell'erudito bassanese G.B. Verci: Storia degli Ecelini, III, Codice diplomatico eceliniano, Bassano 1776, e Storia della Marca Trivigiana e Veronese, I-XX, Venezia 1786-1791; ancora, v. gli Statuti del Comune di Vicenza del 1264, a cura di F. Lampertico, ivi 1886; I documenti dell'Archivio Capitolare di Vicenza (1083-1259), a cura di F. Scarmoncin, Roma 1999; la pace di Fontaniva è edita in A. Gloria, Codice dipolomatico padovano dall'anno 1101 alla pace di Costanza (25 giugno 1183), II, 2, Venezia 1881, nr. 1541, p. 513.

Per i documenti federiciani riguardanti Vicenza v. Acta Imperii inedita.

Una fonte specificamente bassanese è costituita da I documenti del comune di Bassano dal 1259 al 1295, a cura di F. Scarmoncin, presentazione di G. Fasoli, Padova 1989 (con riferimenti all'età ezzeliniana).

Per un inquadramento complessivo della storia politico-istituzionale del comune vicentino in età federiciana e prefedericiana va segnalato in primo luogo Storia di Vicenza, II, L'età medievale, a cura di G. Cracco, Vicenza 1988; in partic. v. i contributi di G. Castagnetti, Vicenza nell'età del particolarismo: da comitato a comune (888-1183), pp. 25-58, e G. Cracco, Da comune di famiglie a città satellite (1183-1311), pp. 73-138. V. anche F. Lomastro, Spazio urbano e potere politico a Vicenza nel XIII secolo. Dal "Regestum possessionum" del 1262, ivi 1981 (da integrare per i dati demografici con G.M. Varanini, La popolazione di Verona, Vicenza e Padova nel Duecento e Trecento: fonti e problemi, in Demografia e società nell'Italia medievale [secoli IX-XIV], a cura di R. Comba-I. Naso, Cuneo 1994, pp. 165-202).

Per la storia della Chiesa vicentina v. G. Mantese, Memorie storiche della chiesa vicentina, I-II, Vicenza 1952-1954, e G. Cracco, Religione, chiesa, pietà, in Storia di Vicenza, II, L'età medievale, a cura di Id., ivi 1988, pp. 329-455; v. inoltre A. Rigon, Ordini mendicanti e politica territoriale urbana dei comuni nell'Italia centro-settentrionale, in Gli ordini mendicanti in Val d'Elsa, Castel Fiorentino 1999, pp. 215-231.

Sulla migrazione studentesca del 1204 a Vicenza v. G. Arnaldi, Scuole nella Marca Trevigiana e a Venezia nel secolo XIII, in Storia della cultura veneta. Dalle origini al Trecento, Vicenza 1976, pp. 350-386.

Le sintesi di storia veneta naturalmente dedicano ampio spazio al caso vicentino: A. Castagnetti, La Marca Veronese-Trevigiana (secoli XI-XIV), in Id.-G. Gracco-A. Vasina-M. Luzzati, Comuni e signorie nell'Italia nordorientale e centrale: Veneto, Emilia-Romagna, Toscana, Torino 1987 (Storia d'Italia, diretta da G. Galasso, VII, 1), pp. 159-357; Id., L'età precomunale e la prima età comunale (1024-1213), in Il Veneto nel medioevo. Dai comuni cittadini al predominio scaligero nella Marca, Verona 1991, pp. 1-162; G.M. Varanini, Istituzioni, società e politica nel Veneto dal comune alla signoria (secolo XIII-1329), ibid., pp. 263-422.

Per il rapporto tra Vicenza e Federico si segnala Id., La Marca trevigiana, in Federico II e le città italiane, a cura di P. Toubert-A. Paravicini Bagliani, Palermo 1994, pp. 48-64.

Su alcune specifiche questioni di storia vicentina v. A. Vauchez, Une campagne de pacification en Lombardie autour de 1233. L'action politique des ordres mendiants d'après la réforme des statuts communaux et les accords de paix, "Mélanges de l'École Française de Rome. Moyen Âge", 78, 1966, pp. 503-549; D. Bortolan, Il vescovo di Vicenza re di Barbarano, Vicenza 18932.

Utili raffronti tra l'evoluzione sociale, politica, istituzionale ed economica di Vicenza rispetto alle altre città dell'area veneta si trovano nella raccolta di saggi di S. Collodo, Società e istituzioni in area veneta, Fiesole 1999.

A specifici ambiti territoriali di storia vicentina sono dedicati i saggi di S. Bortolami: L'Altipiano nei secoli XI-XIII: ambiente, popolazione, poteri, in Storia dell'Altipiano dei sette comuni, I, Territorio e istituzioni, Vicenza 1994, pp. 259-311, e La difficile "libertà di decidere" di una città mancata: Bassano nei secoli XII-XIII, in Giornata di studi di storia bassanese in memoria di Gina Fasoli, a cura di R. Del Sal, Bassano 1995, pp. 31-62.

Della copiosissima bibliografia ezzeliniana segnaliamo innanzitutto Nuovi studi ezzeliniani, a cura di G. Cracco, Roma 1992 (e in partic. A. Morsoletto, Aspetti e momenti del regime ezzeliniano a Vicenza, pp. 267-322); quindi, i primi Studi ezzeliniani, a cura di G. Fasoli, ivi 1963.

Sulla figura di Ezzelino III v. R. Manselli, Ezzelino da Romano nella politica italiana del secolo XIII, ibid., pp. 35-79; M. Rapisarda, La signoria di Ezzelino da Romano, Udine 1965. V. inoltre il catologo della mostra Ezzelini: signori della Marca nel cuore dell'impero di Federico II, a cura di C. Bertelli-G. Marcadella, Milano 2001.

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