VETTORI

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 99 (2020)

VETTORI

Claudia Tripodi

– La presenza dei Vettori, famiglia fiorentina di antiche origini, è attestata in città già dagli inizi del XIII secolo: si ricorda infatti un Vittorio, figlio di Alamanno, appartenente al casato e menzionato per la compera di un immobile residenziale in borgo S. Jacopo, a Firenze, nel 1201 (Litta, 1836). Insediati nel quartiere di S. Spirito e presenti nei ruoli delle arti maggiori fin dai primi del Trecento, membri di questa famiglia ebbero anche accesso alle cariche dell’esecutivo dalla prima metà del secolo.

È al mercante Manno di Vittorio che operava in società con i Capponi – famiglia che si ritiene appartenesse alla stessa consorteria – che si fanno risalire le principali linee genealogiche a oggi conosciute di questa casata. Sappiamo infatti che Manno di Vittorio fu padre, nel primo Trecento, di tre figli maschi (Boccaccio, Neri, Torello) e di una femmina, Caterina.

Non abbiamo pressoché notizie su Neri di Manno mentre sappiamo che sua sorella Caterina – secondo le consuete strategie endogamiche delle famiglie cittadine più in vista – venne data in sposa a Neri Frescobaldi. Per quanto attiene a Torello, suo figlio Alamanno di Torello, politicamente attivo nella prima metà del Trecento, è ricordato tra i primi della famiglia come assegnatario di incarichi negli uffici di governo cittadini, i cosiddetti Tre maggiori.

Alamanno, infatti, fu dei Dodici buonuomini nel 1346 e nel 1355, priore nel 1349 e nel 1355 e gonfaloniere di Compagnia nel 1361. Nel 1362, l’ennesima estrazione alla carica dei Dodici buonuomini lo trovò impossibilitato a coprire l’ufficio perché già in possesso di un altro incarico: le successive Tratte dal 1363 in avanti segnalano che a quella data Alamanno era già venuto a mancare.

Alamanno prese in moglie Bartolomea di Binguccio dei Rossi e dalle nozze nacquero quattro maschi, Marco, Matteo, Giovanni e Jacopo. Mentre i primi due fratelli (Marco e Matteo) morirono senza lasciare eredi diretti, Giovanni e Jacopo – rispettivamente sposati con Lucia di Bartolo Cini e con Selvaggia Soldani – diedero origine entrambi a una propria discendenza che tuttavia si estinse nel giro di qualche decennio.

È dunque da Boccaccio di Manno che ebbe origine il ramo della famiglia più duraturo. Boccaccio eletto all’ufficio di Priore nel 1320, fu inoltre il primo della casa a cui si fa risalire l’adozione stabile del cognome Vettori. Fu padre di tre figli maschi: Pietro (al cui riguardo non si hanno notizie), Paolo e Neri.

I registri delle Tratte ricordano due individui con lo stesso nome e pressoché coevi: un Paolo di Boccaccio Vettori che fu priore nel 1345 e risultava assente dalla città nel 1350, e un Paolo Vettori (privo di patronimico) che, sebbene assente dalla città a un’estrazione del 1352, si rivelò politicamente molto attivo nei tre decenni seguenti (fu infatti estratto con successo all’ufficio dei Dodici buonuomini nel 1357, alla carica di priore nel 1359 e nel 1362, ancora ai Dodici buonuomini nel 1364 e come gonfaloniere di Compagnia nel 1367 e nel 1369). Si tratta probabilmente della stessa persona, cioè di Paolo di Boccaccio Vettori a cui le tavole di Pompeo Litta (1836) associano anche incarichi diplomatici di un certo rilievo. In occasione della sua elezione nel 1346 – insieme con Niccolò Ridolfi, Benedetto Gherardi e Giovanni Arnolfi – in un ristretto comitato con compiti di revisione, Gene Brucker (1962) lo definisce insieme ai colleghi un ottimate se pure di parte popolana (pp. 106, 153). A Vettori, sposato con monna Dianora di Jacopo Guazzalotti da Prato, viene anche attribuita la fondazione, nel 1363, dell’ospedale di S. Giuliano. Si ritiene che i suoi resti si conservino in un’arca con lo stemma dei Capponi nella loggia davanti alla chiesa di S. Jacopo sopr’Arno. Il fatto che negli atti pubblici il suo nome ricorresse indifferentemente come dei Capponi o dei Vettori, porta a credere che le due famiglie appartenessero alla stessa consorteria (Litta, 1836, ma anche Kent, 1977, pp. 188-191, 203 s., 256 s.; Klapisch, 2009, pp. 307, 316).

È con Paolo dunque che, alla metà del Trecento, i Vettori si imposero in maniera più significativa sulla scena pubblica fiorentina, ma furono soprattutto i suoi nipoti, cioè i figli di suo fratello Neri di Boccaccio, a proseguire il suo operato nel corso del secolo. Tutti e tre i figli di Neri, Giannozzo, Andrea e Agnolo, parteciparono al governo cittadino e tra essi Giannozzo e Andrea si distinsero in particolare per la loro attività politica e per le loro discendenze.

Infatti, Agnolo di Neri, pure eletto con successo al priorato nel 1374, fu forse successivamente impegnato in attività che lo tennero lontano dall’esecutivo (nel biennio 1376-77, in più estrazioni all’ufficio dei Dodici buonuomini e a quello di gonfaloniere di Compagnia, la cedola con il suo nome venne respinta per un divieto generale, il che di solito avveniva quando la persona era già in carica altrove). Nel 1379, in un periodo che si caratterizzava per una maggiore apertura al governo popolare, a seguito del tumulto dei Ciompi, Agnolo fu eletto gonfaloniere di Compagnia, con la qualifica di lanaiolo. Negli anni seguenti continuò ad agire nell’agone politico e a partecipare al governo ricoprendovi incarichi a vario titolo: fu nel 1383 dei Dodici buonuomini, priore nel 1385 e gonfaloniere di Compagnia nel 1389. Ebbe un incarico per l’ufficio della Mercanzia nel 1398 e rivestì più volte cariche per l’arte della lana negli anni 1393, 1395 e 1403. Fu questo probabilmente l’ultimo suo incarico ufficiale giacché nel 1404, all’ennesima estrazione per l’arte, risultava defunto. La sua linea diretta proseguì con il figlio Neri (maritato a Lorenza Altoviti) e con il figlio di questi, Andrea, ma finì per estinguersi nel giro delle due successive generazioni.

Più duratura e senz’altro più celebre, tra la fine del XIV secolo e l’inizio del seguente, la discendenza che ebbe origine dal fratello di Agnolo, Giannozzo di Neri. Sul piano della partecipazione politica Giannozzo appare come una figura di transizione. La cedola con il suo nome venne estratta solo un paio di volte, entrambe senza successo: la prima volta nel 1386, l’elezione all’ufficio dei Dodici buonuomini, fu respinta per generale divieto, mentre la seconda volta, appena due anni dopo, nel 1388, all’estrazione alla carica di gonfaloniere di Compagnia, risultava già morto. Ben diverso fu il ruolo dei due figli, Giovanni e Pagolo, che Giannozzo ebbe da una Ricasoli.

Il primogenito, Giovanni di Giannozzo nacque nel 1369; sposò Lena di Bartolomeo Brancacci, appartenente a una delle famiglie più in vista del quartiere di Oltrarno, e nel Catasto del 1427 figurava alla testa di un nutrito nucleo familiare di ben otto bocche (Archivio di Stato di Firenze, Catasto, 65, cc. 180r ss.). Inizialmente, fra fine XIV e inizi XV secolo, la sua carriera politica mostra un andamento piuttosto irregolare: fatta eccezione per un incarico per l’arte della lana regolarmente ricoperto nel 1398, il Vettori risultava fuori città nel biennio 1396-97 e ancora nel 1406, e impossibilitato ad adire qualunque pubblico ufficio perché fiscalmente insolvente, nelle estrazioni del 1403 e del 1409. Solo dal decennio seguente la sua presenza nelle arti e nell’esecutivo si fece più stabile e continuativa: priore nel 1412, gonfaloniere di Compagnia nel 1413, di nuovo priore nel 1417 e nel 1420, dei Dodici buonuomini nel 1428 e in carica per l’arte della lana nel 1429. Tra il 1425 e il 1427 Giovanni di Giannozzo Vettori compare anche con la qualifica di operaio in diversi atti dell’Opera di S. Maria del Fiore. L’ultima estrazione all’ambita carica di gonfaloniere di Giustizia datata 1431 ci informa che a quella data Giovanni era già morto.

Il secondogenito, Pagolo di Giannozzo, nacque probabilmente nel 1384, se si dà credito all’età di quarantatré anni che dichiarava nel Catasto del 1427 (Archivio di Stato di Firenze, Catasto, 65, cc. 233r ss.), e figurò tra i membri della casata più attivi nelle arti e nell’esecutivo, nei decenni centrali del secolo. Estratto per l’arte della lana nel 1432 e nel 1439, il suo nome – come pure quello del fratello – ricorre spesso, nei registri dell’Opera di S. Maria del Fiore, con la qualifica di operaio (tra il gennaio 1418 e il maggio 1423, e poi di nuovo nei primi mesi del 1435). Fu dei Dodici buonuomini nel 1437 e, una seconda volta, nel settembre del 1453 (sebbene impossibilitato a ricoprire l’incarico perché non in regola con il pagamento delle tasse). Fu infine priore nel 1457; la successiva estrazione del marzo del 1464 lo dava già morto. Dalla moglie Fiammetta Machiavelli, anch’essa proveniente da una famiglia radicata nel quartiere di S. Spirito, ebbe un solo figlio: Francesco. Francesco di Pagolo di Giannozzo, nato nel 1416, risultò minore a numerose estrazioni per gli uffici negli anni compresi tra il 1434 e il 1442, ma negli anni successivi fu protagonista, nella Firenze cosimiana, di una brillante carriera. Fu priore nel 1445, dei Dodici buonuomini l’anno successivo e gonfaloniere di Compagnia nel 1455. Sopravvisse di poco al padre poiché le elezioni a seguire lo danno già mancato almeno dal 1468. Sposò Elisabetta di Piero Del Benino, dalla quale ebbe il figlio Piero (nato il 20 dicembre 1441), che a sua volta nel 1465 prese in moglie Caterina figlia di Giovanni di Pagolo Rucellai, uno dei cittadini più in vista del tempo; da tale unione nacquero tre figli maschi: Giovanni, Paolo (v. la voce in questo Dizionario) e, di certo il più celebre, Francesco (v. la voce in questo Dizionario; questi avrebbe poi acquisito grande notorietà, presso gli storici, come amico e corrispondente di Niccolò Machiavelli). L’attività politica di Piero Vettori trovò la sua massima espressione negli uffici sul territorio: nel 1478 fu capitano di Volterra e, nel 1479, vicario di San Miniato; ma fu soprattutto l’attività di commissario – un ufficio straordinario con speciali poteri per lo più di tipo militare, che veniva conferito per un periodo di tempo stabilito – a caratterizzare la sua carriera. Fu per la prima volta commissario a Faenza negli anni che seguirono alla congiura dei Pazzi; poi nel 1483 fu commissario in Valdelsa e, nel 1484, in Lunigiana dove, a causa della guerra che la Repubblica aveva ingaggiato con Genova, ebbe a recarsi in più riprese, dal dicembre del 1484 quando fu inviato a Pietrasanta, che le truppe fiorentine avevano appena conquistata, al 1487 quando fu tra i commissari che operarono per la conquista di Sarzana. Alle missioni in Lunigiana se ne affiancarono altre, negli stessi anni, nei territori degli Orsini (nel 1485 fu a Pitigliano e nel 1486 a Bracciano). Al termine di una missione a Piancaldoli nel 1488, Piero Vettori ebbe un incarico diplomatico a Napoli dove rimase come ambasciatore per dodici mesi. Fu poi vicario di San Miniato, commissario a Pistoia nel 1490 e a Castrocaro nel 1493 (Corrispondenza..., a cura di P. Meli, 2011, pp. XII s.). Pur essendo stato tra i fedeli dei Medici pare che Vettori in occasione dei tumulti del novembre del 1494 che condussero alla cacciata di Piero dei Medici, abbia preso le parti della Signoria ormai ostile al Medici, e abbia guidato la folla tumultuante a rifornirsi di armi al Bargello (Najemy, 2014, p. 474). Mantenne poi una posizione filorepubblicana, e in ragione delle sue alte competenze proseguì nei suoi incarichi sul territorio anche dopo la caduta dei Medici: nel 1494 fu a Volterra e a Campiglia, poi commissario presso l’esercito fiorentino diretto contro Pisa, poi a Montepulciano e a Cortona e infine ancora una volta in carica, come commissario, a Pistoia, dove morì il 22 giugno 1495 (Corrispondenza..., cit., pp. XII s.).

Anche il ramo originato, nel tardo Trecento, da Andrea di Neri, fratello di Giannozzo, si distinse per una certa longue durée di rappresentanza della classe dirigente fiorentina. Rispetto a quello di Giannozzo, il ruolo di Andrea fu nell’ultimo scorcio del secolo di gran lunga più incisivo.

Andrea Vettori fu tra gli ufficiali chiamati a ristabilire l’ordine in città dopo i tumulti che culminarono con l’esecuzione di Giorgio Scali (1382). Già dei Dodici buonuomini nel 1388, fu protagonista degli eventi che seguirono il fallimento della congiura promossa dagli Alberti, nel 1393, al tempo del gonfalonierato di Giustizia di Maso degli Albizzi. Nel clima di emergenza che si venne a creare, il governo ormai filoalbizzesco, chiese l’istituzione di una Balìa con poteri straordinari in materia di revisione elettorale. La Balìa era composta dai priori, dai membri dei collegi al tempo in carica, e da un centinaio di cittadini da questi cooptati. Tra essi, per il quartiere di S. Spirito, vi furono anche membri della famiglia Vettori, che, insieme alle altre casate chiamate a comporre la balìa, rappresentavano «un autentico repertorio delle famiglie del gruppo dirigente dei secoli successivi» (Najemy, 2014, p. 232). La Balìa, incaricata di decisive riforme elettorali, nominò a sua volta una commissione di nove ‘accoppiatori’ il cui compito era quello di rivedere a propria discrezione i nominativi degli eleggibili al governo. Tra i nove, insieme a Maso degli Albizzi, Giovanni Bucelli, Davanzato Davanzati, Bartolomeo Valori, Andrea Minerbetti e tre rappresentanti delle arti minori, vi fu anche Andrea di Neri Vettori, al tempo qualificato come mercante di Calimala, che ricoprì lo stesso incarico nel 1395.

Vettori fu inoltre gonfaloniere di Compagnia nel 1391 e priore nel 1395; ricoprì più volte uffici per l’arte di Calimala nel 1393, 1395, 1397, 1400, 1402 e 1406 e per i Sei della Mercanzia nel 1395 e nel 1406. Ebbe incarichi di vario tipo sul territorio; morì a Piombino nel 1408 dove si trovava come tutore di Jacopo d’Appiano in rappresentanza di Firenze.

Suo figlio Neri di Andrea nel 1402 prese in moglie Maria di Luigi Guicciardini; politicamente attivo nei primi anni del Quattrocento, fu più volte chiamato a ricoprire incarichi per le arti della lana (1402, 1403, 1404) e di Calimala (1404, 1409, 1415, 1417) e alla Mercanzia (1418); fu inoltre priore nel 1411 e dei Dodici buonuomini nel 1414. Morì entro il settembre del 1420, come certificato dalle estrazioni agli uffici dei Tre maggiori.

Dei nove nuclei Vettori presenti sul territorio cittadino nel 1427 alla data del Catasto – tutti accatastati nel quartiere di S. Spirito, gonfalone del Nicchio (uno soltanto nel gonfalone del Drago) –, il solo riconducibile a questo ramo è quello di Agnolo di Neri che dichiarava, con un certo margine di approssimazione, di avere ventisette anni (mentre, secondo la più attendibile fonte delle Tratte doveva essere nato nel 1405) e sosteneva di avere a carico sei bocche (Archivio di Stato di Firenze, Catasto, 65, cc. 20r ss.). Agnolo non era peraltro il solo maschio nato dalle nozze tra Neri Vettori e Maria Guicciardini; c’erano altri quattro figli maschi (Francesco, Antonio, Jacopo, Luigi) e una femmina, Ghita, poi sposa di Agnolo Busini. Di questa ampia discendenza tuttavia solo Agnolo e Antonio proseguirono a un buon livello nell’attività politica già avviata dal padre.

Agnolo di Neri di Andrea, minore dell’età richiesta a numerose estrazioni avvenute nei primi decenni del XV secolo, poi fiscalmente insolvente nel 1433, poté ottenere il suo primo incarico all’arte di Calimala nel 1435 che replicò nel 1441. Fu poi dei Sei di Mercanzia nel 1439, priore nel 1449, gonfaloniere di Compagnia nel 1457 e gonfaloniere di Giustizia due anni dopo nel 1459. I successivi uffici alla Mercanzia e a Calimala sul finire del 1473 furono probabilmente gli ultimi incarichi che ricoprì. Morì nel decennio successivo poiché all’estrazione per l’arte di Calimala del 1483 era già scomparso. Come e più di lui anche il fratello Antonio di Neri di Andrea, nato nel 1419 si distinse per la sua attività politica nel pieno del secolo: fu gonfaloniere di Compagnia nel 1454, priore nel 1467, dei Dodici nel 1481 e nel 1491, eletto all’arte di Calimala nel 1482.

Molto modesta invece la presenza pubblica degli altri tre fratelli: Francesco di Neri di Andrea (nato nel 1406) si caratterizzò per una assenza continuativa negli uffici pubblici: costantemente fuori città alle numerose estrazioni per l’arte di Calimala tra il 1435 e il 1440, impossibilitato ad accedere alle cariche perché insolvente con il fisco nel 1442, nel 1448 e nel 1480 (solo l’estrazione per l’arte del 1469 andò a buon fine), era ormai morto quando, nel 1482, la cedola con il suo nome venne estratta per l’ufficio dei Dodici buonuomini; Jacopo di Neri di Andrea (nato nel 1413) risultò sempre minore alle sole due estrazioni del suo nome avvenute nel 1434 e nel 1435 rispettivamente per i Dodici buonuomini e per il gonfalonierato di compagnia e anche Luigi di Neri di Andrea (nato nel 1417), minore nel 1436, fiscalmente insolvente nel 1440, era già morto alla successiva estrazione nel 1467.

È proprio a quest’ultimo. però che toccò in sorte di assicurare la continuità di questa linea della casa. Se infatti tutti i suoi fratelli morirono privi di discendenza, Luigi di Neri di Andrea Vettori, sposato ad Alessandra di Domenico Lamberteschi, ebbe dalla moglie ben sei figli maschi grazie a cui la casata poté scongiurare l’estinzione del ramo.

Tra i figli di Luigi si ricordano dunque Neri di Luigi Vettori (nato nel 1448, priore nel 1485, commissario a Borgo San Sepolcro nel 1501 e sposato a Oretta di Bartolo Tedaldi dalla quale ebbe, nel 1492, un unico maschio, Vincenzo); Giovanni di Luigi Vettori (nato nel 1451, priore nel 1486, sposato in età matura con Maria di Antonio Adimari e padre di tre maschi, Agnolo, Jacopo e Luigi, e una femmina, Alessandra); Jacopo di Luigi Vettori (nato nel 1456, eletto all’arte della lana nel 1491, dei Dodici nel 1498 e ineleggibile agli uffici in quanto membro del Consiglio Maggiore negli anni 1495 e 1496); Domenico di Luigi Vettori (nato nel 1455 e morto prima di compiere trent’anni) e, infine, Mariotto di Luigi Vettori nato nel 1464 pochi anni prima che il padre morisse.

Spesso selezionati per gli uffici di governo e per incarichi di rappresentanza nel XV secolo, anche al principio di quello successivo, negli anni di transizione tra repubblica e ducato, la gran parte dei membri della famiglia Vettori seppe mantenersi in primo piano nelle vicende politiche che legavano le sorti di Firenze a quelle della casa Medici, di Roma e del papato.

In generale, fatte salve le oscillazioni tra l’amore per la repubblica, l’afflato oligarchico e la dedizione ai Medici che caratterizzarono il più noto Vettori di quegli anni, Francesco, i principali esponenti della famiglia mantennero, anche nel XVI secolo, un allineamento al regime e, soprattutto, una continuità di affiliazione ai Medici che assicurò loro un ruolo di prim’ordine nell’età moderna e perfino, per un erede del ramo di Neri di Luigi, l’ottenimento del titolo di marchese in pieno Seicento.

Fonti e Bibl.: Archivio di Stato Firenze, Catasto, 65, http://cds.library.brown.edu/projects/catasto/overview.html (8 aprile 2020); Tratte, Tre maggiori, http://cds.library.brown.edu/projects/ tratte/ (8 aprile 2020); Opera di S. Maria del Fiore, http://archivio.operaduomo.fi.it/cupola/ENG/IN/INlist16068S0.HTM (8 aprile 2020); Corrispondenza degli Ambasciatori Fiorentini a Napoli, IV, Francesco Valori e Piero Vettori (agosto 1487-Giugno 1489), a cura di P. Meli, Battipaglia 2011.

P. Litta, Vettori di Firenze, in Famiglie celebri italiane, XXXVI, 2, Milano 1836; G. Brucker, Florentine politics and society 1343-1378, Princeton 1962, ad ind.; F.W. Kent, Household and lineage in Renaissance Florence. The family life of the Capponi, Ginori and Rucellai, Princeton 1977, ad ind.; Ch. Klapisch, Ritorno alla politica. I magnati fiorentini, 1340-1440, Roma 2009, ad ind.; J. Najemy, Storia di Firenze 1200-1575, Torino 2014, ad indicem.

TAG

Congiura dei pazzi

Tumulto dei ciompi

Luigi guicciardini

Arte di calimala

Matteo, giovanni