SPAZIALI, VETTORI

Enciclopedia Italiana - V Appendice (1995)

SPAZIALI, VETTORI

Antonio Castellani

(v. missile, App. III, II, p. 132; IV, II, p. 484; e in questa Appendice; razzo, App. IV, III, p. 153)

Negli anni Sessanta la configurazione dei vettori di lancio ha avuto un'evoluzione determinante, soprattutto a seguito della realizzazione del programma statunitense Apollo relativo al volo umano sulla Luna (primo sbarco di N.A. Armstrong ed E.E. Aldrin, il 20 luglio 1969). Il vettore impiegato fu il Saturno 5, costituito da tre stadi, propulsi il primo con ossigeno liquido e cherosene RP-1, gli altri due con ossigeno e idrogeno liquidi (cfr. le caratteristiche principali in tab. 1). Nella competizione spaziale fra Stati Uniti e URSS s'inserì successivamente anche l'Europa, che decise di dotarsi di un proprio vettore per lanciare satelliti artificiali di significative dimensioni. Nel 1962 venne avviato il programma ELDO (European Launcher Development Organization) con lo scopo di realizzare un vettore, l'Europa, che, con la costituzione dell'Agenzia Spaziale Europea (ESA, 1973), venne definitivamente ribattezzato Ariane. Il suo primo volo è avvenuto il 24 dicembre 1979 e da allora, anche per effetto di versioni sempre più perfezionate, Ariane è divenuto un lanciatore commerciale richiesto da tutti i paesi interessati a programmi spaziali per la messa in orbita dei satelliti artificiali, assicurando all'Europa l'autonomia nel campo del trasporto spaziale. La crescente domanda di invio nello spazio di satelliti commerciali, in particolare di telecomunicazione, ha indotto diverse nazioni, a fianco delle potenze tradizionali, a produrre vettori di lancio, rendendo il mercato mondiale vivacemente competitivo. In particolare vanno citati Giappone e Cina, quest'ultima con una serie di vettori denominati Lunga Marcia (v. tab. 2).

Evoluzione dei razzi vettori. − I razzi vettori (si impiega qui il termine ''razzo'', secondo l'uso invalso, anziché ''missile vettore'', scientificamente più corretto) hanno subito e subiscono un continuo sviluppo, in particolare per consentire il trasporto di satelliti di massa crescente, tendenza prevalente almeno per quanto riguarda il tipo principale, vale a dire i satelliti di telecomunicazione. Se attualmente la maggior parte dei satelliti da iniettare nell'orbita di trasferimento geostazionaria (GTO, Geostationary Transfer Orbit) ha una massa compresa fra 1500 e 2000 kg, si prevede di arrivare a fine secolo 20° a satelliti di massa superiore a 4000 kg, e pertanto vettori come Ariane 4 o Titan 3 che oggi sono in grado di mettere in orbita più satelliti contemporaneamente, riusciranno agli inizi degli anni 2000 a lanciare un solo satellite. Un'ulteriore novità è rappresentata dai vettori parzialmente riutilizzabili, come lo Space Shuttle o il futuro Ariane 5, dei quali vengono recuperati dopo il lancio i motori ausiliari e, nel caso dello Space Shuttle, l'intero veicolo orbitale. Non siamo ancora al recupero totale dell'intero lanciatore, ma sono già in fase avanzata gli studi per la realizzazione di un veicolo spaziale totalmente autonomo e riutilizzabile.

Il numero degli stadi, tre o quattro nei razzi vettori tradizionali, ha subito una riduzione con il progredire dello sviluppo tecnologico. Con l'attuale grado di tecnologia il numero degli stadi di un v.s. è determinato dall'impulso specifico dei propellenti che possono essere impiegati, cioè dalla spinta generata dal peso unitario di combustibile nell'unità di tempo (v. tab. 3). I razzi tradizionali usano propellenti più facilmente ''immagazzinabili'' nei loro serbatoi, quali cherosene RP-1, dimetilidrazina asimmetrica UDMH, perossido di azoto N2O4, che rimangono liquidi in un ampio intervallo di temperature. Molto più delicato è l'impiego dell'idrogeno liquido LH2 e dell'ossigeno liquido LOX, propellenti cosiddetti criogenici, i quali debbono essere mantenuti a temperature molto basse per restare liquidi in ogni punto del razzo prima della loro iniezione in camera di combustione. La riduzione degli stadi a due (come per Ariane 5) o uno solo (come per lo Space Shuttle) vede l'impiego della propulsione criogenica, resa possibile dallo sviluppo dei nuovi materiali termostrutturali con cui sono costruiti i serbatoi e gli altri componenti dell'impianto e con cui sono realizzate le protezioni termiche. Si ha comunque una certa evaporazione dei propellenti criogenici e pertanto, al fine di assicurare il riempimento completo dei serbatoi, il rifornimento è mantenuto fino a qualche minuto dal lancio.

Per aumentare la spinta dei v.s. tradizionali al fine di accrescere il carico utile da trasportare in orbita (come avviene, per es. in Ariane 4) ovvero per contribuire in maniera sostanziale alla creazione della spinta nei razzi vettori monostadio o bistadio (Space Shuttle, Ariane 5), si aggiungono al corpo centrale del razzo due o più motori esterni ausiliari (boosters) a propellenti solidi o liquidi. L'Ariane, nato come v.s. a tre stadi per trasportare 1750 kg nell'orbita GTO, è stato potenziato nella versione Ariane 4 con quattro boosters che forniscono un supplemento di spinta di 270 t per trasportare fino a 4200 kg nell'orbita GTO. Come esempio delle modificazioni subite dalle successive generazioni di un v.s., nella tab. 4 sono messe a confronto le caratteristiche della versione iniziale di Ariane (A1) con quelle dell'attuale configurazione (A4) e della futura generazione (A5) che potrà consentire di sollevare un carico utile di 22 t in orbita bassa, vicino alla Terra (LEO, Low Earth Orbit) e di 10 t nell'orbita GTO. Ariane 5 è un razzo a due stadi, di cui il principale criogenico con un solo motore, più due boosters a propellenti solidi.

Il miglioramento delle prestazioni dei razzi è legato anche alla riduzione del costo del lancio, che rappresenta una quota importante del costo totale di un sistema che utilizza i satelliti. Il lancio simultaneo di diversi satelliti con un lanciatore sufficientemente capace è un fattore di riduzione dei costi, che si accoppia all'introduzione delle ultime tecnologie avanzate in grado di ridurre i costi di produzione e di messa in opera. Un fattore assai importante, di cui si richiede il continuo miglioramento, è l'affidabilità del razzo nei confronti degli utilizzatori commerciali che si avvalgono di esso per trasportare carichi sempre più costosi. Per es., negli ultimi otto anni fino al 1994, i lanci condotti con successo da Ariane sono stati 38 su 41, con un'affidabilità del 92,7%, mentre lo statunitense Delta ha effettuato 32 lanci favorevoli su 33 (97%). Lo stesso Delta in cinque anni ha realizzato 20 lanci consecutivi, tutti con successo (affidabilità 100%).

Costituzione dei razzi di nuova generazione. − Come si è visto, si tende oggi a sostituire lo stadio principale di un razzo tradizionale (o i primi due stadi) a propellenti liquidi immagazzinabili, quali il perossido di azoto N2O4 come ossidante e la dimetilidrazina asimmetrica UDMH come combustibile, con un solo stadio a propellenti criogenici, cioè LOX e LH2. La struttura dello stadio resta quella descritta nella voce razzo (v. App. IV, iii, p. 153), cioè questo è, al solito, costituito essenzialmente dai due serbatoi di propellente, dalle turbopompe che inviano i liquidi in pressione alla camera di combustione, e dal motore a razzo vero e proprio. Tuttavia questa struttura deve ora essere capace di sopportare condizioni assai più severe di funzionamento, che solo l'avvento dei nuovi materiali ha reso attuabile. Per sopportare l'aggressività dell'ambiente è stato necessario ricorrere a materiali appositamente preparati e a specifici procedimenti di produzione (leghe di alluminio-litio, leghe di titanio ottenute con la metallurgia delle polveri, materiali ceramici, cristalli singoli, ecc.). Da un lato, infatti, le parti calde sono soggette a un ambiente di gas ricchi d'idrogeno e di vapore d'acqua, a pressioni che possono arrivare fino a 100 bar e a temperature comprese fra 800 °C (turbina, generatore del gas, tubazioni, ecc.) e 3000 °C in camera di combustione. Dall'altro lato le parti fredde sono sottoposte alla temperatura dell'idrogeno (−250 °C) e dell'ossigeno (−175 °C) liquidi (serbatoi, pompe, iniettori della camera di combustione e del generatore del gas, valvole, ecc.). In particolare sono le basse temperature che si riscontrano a contatto con i propellenti criogenici a rendere critico il comportamento dei materiali, che divengono estremamente fragili e vulnerabili agli shock termici e agli impatti.

La configurazione degli attuali vettori di lancio è caratterizzata, come si è visto, dalla presenza dei motori ausiliari (boosters) a propellenti liquidi o solidi, che provvedono a fornire la parte principale della spinta nella fase iniziale di lancio. Nei boosters a propellente solido viene normalmente impiegata una miscela di perclorato di ammonio NH4ClO4 come ossidante (70% in peso), alluminio in polvere come combustibile (16%), ossido di ferro come catalizzatore e un legante polimerico, in genere polibutadiene (12%).

Space Transportation System o ''Space Shuttle''. − Terminato il programma Apollo, gli Stati Uniti hanno privilegiato la scelta d'inviare nello spazio veicoli con uomini a bordo, e per questo scopo agli inizi degli anni Ottanta hanno realizzato un vettore di lancio che consente di mettere in orbita bassa intorno alla Terra (LEO) un veicolo con equipaggio (navetta) che, al termine della missione, rientra nella base e può quindi essere riutilizzato (Shuttle System). La configurazione dello Space Shuttle è diversa da quella dei v.s. tradizionali. Il veicolo si compone infatti di un razzo principale centrale, dotato di tre motori a LH2 e LOX, esternamente al quale sono disposti due boosters a propellente solido e la navetta (Orbiter) in grado di trasportare un equipaggio composto normalmente da tre persone più quattro passeggeri dedicati all'esecuzione della missione. Lo Space Shuttle può portare in orbite basse, distanti dalla Terra da 180 a 1100 km, fino a 30 t di carico utile. Anche l'URSS ha realizzato un sistema di navetta (Buran) simile a quello statunitense, dove per il lancio viene sfruttato il razzo Energia dotato di quattro motori a propellenti criogenici LOX e LH2 e quattro boosters a propellenti liquidi (cherosene e LOX). Nella tab.5 sono riportate a confronto le caratteristiche dello Space Shuttle e del razzo Energia.

Lo Space Shuttle, che è destinato a rimanere operativo per parecchi anni, è in grado, per la sua elevata capacità di carico e per le deboli sollecitazioni indotte durante il lancio, d'immettere in orbita un'ampia varietà di satelliti, inclusi quelli che per dimensioni, peso e sensibilità al lancio non avrebbero potuto altrimenti essere trasportati nello spazio. Inoltre, satelliti in avaria possono essere riparati nello spazio dall'equipaggio dello Shuttle ovvero ricondotti a terra nella stiva del veicolo per le riparazioni. Lo Shuttle può anche servire come piattaforma di lancio per satelliti che debbano essere piazzati in orbite più elevate o come base di partenza per veicoli interplanetari. Infine lo Shuttle potrà trasportare gli elementi per la costruzione nello spazio di grandi strutture, quali le stazioni solari per la generazione di energia e le stazioni spaziali permanenti (v. spaziale, stazione in questa Appendice).

La NASA definì il primo contratto industriale per la realizzazione dell'Orbiter il 26 luglio 1972. Il primo volo della navetta Columbia avvenne il 12 aprile 1981 e da allora i lanci si sono succeduti con un massimo di 9 all'anno (1985), salvo la sosta forzata del 1987 causata dal grave incidente del Challenger (v. oltre). Inizialmente la NASA disponeva di quattro Shuttle, che si alternavano nelle missioni nello spazio, denominati rispettivamente Columbia, Challenger, Discovery, Atlantis, tutti nomi di navi per esplorazioni del passato. Dopo la perdita del Challenger, questo è stato sostituito dall'Endeavour. Alla fine del 1994 erano stati effettuati 66 voli dello Shuttle, suddivisi fra i cinque veicoli secondo lo schema di tab. 6. Il record individuale di voli annuali spetta al Discovery, con 4 voli nel 1985; lo stesso Discovery detiene il record individuale assoluto con 19 voli dalla sua messa in servizio nel 1984. Normalmente lo Space Shuttle è lanciato dalla base di Cape Canaveral o da quella di Vandenberg. Dalla prima partono le missioni destinate alle traiettorie su orbite equatoriali, dalla seconda quelle richiedenti piani orbitali polari.

Una missione particolarmente importante dello Shuttle, che vide congiunti gli sforzi della scienza spaziale europea e americana, fu lo Spacelab, laboratorio spaziale europeo, portato in orbita dalla navetta Columbia il 28 novembre 1983. Lo Spacelab, costruito dall'ESA, con la partecipazione italiana del 15,57%, è costituito da due elementi principali: un laboratorio pressurizzato interno per lo svolgimento di esperimenti in condizioni di microgravità anche su componenti dell'equipaggio e una piattaforma esposta all'ambiente spaziale esterno per esperienze nel vuoto. L'Italia ha partecipato con esperienze di scienza dei materiali e di fisiologia umana e ha inoltre costruito la struttura del modulo pressurizzato, delle piattaforme esterne portastrumenti e del controllo termico attivo e passivo. Alla missione partecipò, per la prima volta in una missione spaziale statunitense, un astronauta europeo (il tedesco U. Merbold). Un'efficace dimostrazione dell'impiego dello Shuttle per la riparazione di satelliti in avaria è stata data dalla missione dell'Endeavour, inviato nello spazio il 2 dicembre 1993 per la revisione del telescopio spaziale Hubble, la cui ottica presentò difetti soltanto al momento dell'invio delle immagini a terra. Gli astronauti, lavorando nello spazio libero, poterono installare l'ottica correttiva migliorando sensibilmente le prestazioni del telescopio spaziale.

Il programma dello Shuttle è stato segnato al suo venticinquesimo volo da un tragico avvenimento, l'esplosione del Challenger, avvenuta il 28 gennaio 1986; in essa perì tutto l'equipaggio, composto da sette astronauti. La distruzione del Challenger avvenne 72 s dopo il lancio dal Kennedy Space Center e fu dovuta a una successione di eventi che condussero all'esplosione finale, che si verificò quando il vettore aveva raggiunto 14 km di altezza, a circa 8 miglia dalla zona di lancio sull'Oceano. L'indagine sull'incidente fu facilitata dall'analisi dei dati trasmessi dallo Shuttle fino all'istante dello scoppio e dalle dettagliate immagini fotografiche riprese durante l'esplosione del veicolo. L'incidente venne innescato dalla rottura del giunto (O-ring) di collegamento fra il corpo centrale del booster di destra e il suo segmento di poppa, ambedue contenenti il propellente solido: infatti un pennacchio di fumo nero fu visto sprigionarsi da questa zona proprio nel momento (0,6 s dall'accensione dei motori) in cui le sollecitazioni sulle giunzioni raggiungono condizioni critiche, come era già stato rilevato nei lanci precedenti. L'indebolimento della struttura del giunto fu addebitato a un anormale raffreddamento, provocato da una perdita di idrogeno o di ossigeno liquidi, i propellenti del motore centrale dello Shuttle, durante il cosiddetto conto alla rovescia (l'anello di gomma costituente la giunzione perde la sua resilienza alle temperature criogeniche). A questo si aggiunse inoltre l'azione di raffiche di vento improvvise. La larga frattura provocata dal cedimento della giunzione fra le due parti del booster produsse una fuoriuscita di gas caldi in corrispondenza del punto di attacco del booster destro con il corpo centrale dello Shuttle, che, dopo circa 40 s, per effetto del calore e della sollecitazione si ruppe, lasciando libero inferiormente il booster, che restò collegato al serbatoio centrale solo nel punto di attacco superiore. Di conseguenza, mentre il fondo del booster, rimasto libero, oscillava verso l'esterno, la sua estremità superiore andava a forzare, rompendolo, il rivestimento superiore del serbatoio centrale, facendo subito fuoriuscire l'ossigeno liquido che produsse una fiammata iniziale. Fuoriuscita di gas si notò anche nella zona inferiore del serbatoio centrale, probabilmente per la formazione di linee di rottura anche in questa parte e ben presto l'intero veicolo fu avvolto da una nube di idrogeno e ossigeno liquidi che produssero una violenta esplosione che distrusse il Challenger. I due motori a propellente solido vennero separati dall'esplosione e si allontanarono dallo Shuttle secondo una traiettoria a Y. L'incidente del Challenger causò critiche soprattutto alle procedure di sicurezza e di controllo di qualità. I voli dello Shuttle furono poi sospesi per 32 mesi e ripresero solo alla fine del settembre 1988.

Per il futuro uno degli impegni prioritari dello Shuttle è il programma congiunto Shuttle-Mir, che prevede una serie di ammarraggi della navetta sulla stazione orbitale russa Mir. Nel primo volo di rendez-vous fra Discovery e Mir (febbraio 1995) la navetta si è portata a 12 m dalla stazione. Nel giugno 1995 la navetta Atlantis è ammarrata sulla Mir.

Profilo delle missioni. − Per descrivere le fasi di lancio di un moderno v.s. prendiamo per es. un v.s. della famiglia di Ariane 4 a tre stadi potenziato con due boosters a propellente solido e due a propellenti liquidi: i primi esauriscono la carica in 42 s e si separano a una altitudine di 7500 m, i secondi in 135 s e si distaccano a una quota di 37 km. Dopo 204 s avviene la separazione del 1° stadio a 75 km di quota, dove il razzo ha raggiunto la velocità di 2780 m/s. Il 2° stadio, dotato di un solo motore, si esaurisce in 124 s, separandosi a circa 150 km dove può raggiungere la velocità di 5400 m/s. Infine il 3° stadio, che può raggiungere la velocità di 9750 m/s per la messa in orbita di trasferimento geostazionaria del carico utile, ha una durata di funzionamento di 720 s. Più in generale, quando l'ultimo stadio del razzo ha raggiunto la velocità necessaria per la satellizzazione, dipendente dalla quota, il suo sistema di controllo lo orienta secondo l'assetto voluto e gli imprime una rotazione di stabilizzazione (spin-up). Quindi un sistema pirotecnico separa lo stadio finale del razzo dal satellite in orbita.

Più dell'80% delle richieste commerciali è relativo all'immissione di satelliti nell'orbita di trasferimento geostazionaria GTO, a partire dalla quale il satellite, con l'ausilio del proprio sistema di propulsione, raggiunge l'orbita circolare geostazionaria a 36.000 km di altitudine. Il satellite viene prima iniettato in un'orbita di trasferimento ellittica nel piano equatoriale, con perigeo intorno a 200 km di altitudine e apogeo a 36.000 km, e percorre una o più rivoluzioni attorno alla Terra in questa orbita. Quando il satellite raggiunge l'apogeo, il suo motore di apogeo gli impartisce la spinta necessaria a iniziare una nuova orbita circolare a 36.000 km (v. satelliti artificiali, in questa Appendice). Altre due categorie di orbite sono richieste. La prima è l'orbita bassa vicino alla Terra (LEO), ad altitudini di 200-500 km, usata per missioni scientifiche e per satelliti di osservazione, ovvero per l'orbita dello Space Shuttle. La seconda è l'orbita eliosincrona, ad altitudini di 600-800 km, in un piano quasi-polare, dove il satellite è permanentemente visibile dalla parte della superficie terrestre illuminata dal Sole. Questo tipo di orbita è usato per satelliti di osservazione della Terra e per ricerche solari.

Differente è il profilo di missione dello Space Shuttle. Approssimativamente due minuti dopo il lancio, a una quota di 45 km e velocità di 1383 m/s, i due boosters hanno consumato il loro propellente solido e vengono separati dal corpo principale. Con l'ausilio di paracadute essi rallentano la loro discesa e la caduta nell'Oceano, dove vengono recuperati da un apposito naviglio. Il corpo centrale e l'Orbiter, propulsi dai tre motori principali, continuano la salita fino a una quota di circa 106 km e una velocità di 7800 m/s (praticamente la velocità orbitale), raggiunte dopo circa 8 min dal lancio: qui il serbatoio principale viene sganciato e si disintegra nel rientro nell'atmosfera. In questa fase i due motori dell'Orbiter vengono impiegati per completare l'inserzione nell'orbita, alla quota dipendente dal tipo di missione, e la sua circolarizzazione. Una missione dell'Orbiter può andare da 1 a 30 giorni, al termine dei quali i suoi motori vengono nuovamente utilizzati per rallentare il veicolo in modo da consentirne il rientro nell'atmosfera. Piccoli motori a getto di gas, dislocati sul muso e sulla coda dell'Orbiter, contribuiscono con le loro spinte a mantenere l'assetto lungo l'orbita e a disporre il muso del veicolo nella direzione voluta per il rientro. Nella figura (pagina precedente) sono rappresentate le sagome dei principali v.s., mentre nella tab. 7 sono indicate le relative caratteristiche.

Bibl.: Launch vehicle catalogue, 2 voll., Parigi 1994; M.V. Cook, M.J. Rycroft, Aerospace vehicle dynamics and control, Oxford 1994; V.L. Pisacane, R.C. Moore, Space system, ivi 1994; Journal of spacecraft and rockets, Washington.

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