Veste

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Nella religione, la v. ecclesiastica, come distintivo permanente e non soltanto liturgico della professione sacerdotale, si trova nelle religioni cosiddette primitive e in quelle misteriche, non in quelle nazionali o civiche dell’antichità. Si trova nelle religioni primitive, perché in queste il sacerdote è individuo dotato in permanenza di poteri magico-sacrali significati da distintivi vari, mentre nelle religioni nazionali o civiche dell’antichità è soltanto l’esperto del rituale che guida il magistrato nella celebrazione dei riti. Nelle religioni misteriche il sacerdote veste sempre in maniera speciale: v. bianca di lino per gli orfici; v. color foglia secca ed encolpi per i sacerdoti di Cibele ecc.

Il cristianesimo non ha avuto da principio una v. civile speciale per i suoi ministri. Fu il monachesimo benedettino che diffuse a poco a poco in tutto l’Occidente la v. lunga e il color nero. Gli ordini mendicanti (domenicani, francescani, agostiniani), salvo il colore e i particolari della forma, adottarono lo stesso tipo di veste lunga. Le congregazioni religiose sorte dall’epoca del Concilio di Trento in poi (gesuiti, barnabiti ecc.) adottarono la v. nera talare, mentre il clero secolare, fuori di chiesa, vestiva un costume che non si allontanava troppo da quello borghese. All’inizio del 19° sec. la Santa Sede impose anche al clero secolare la v. lunga talare, che dal 1964, su permesso dei vescovi, può essere sostituita dal clergyman. La Chiesa Orientale usa da tempo antichissimo la v. talare, cui si sovrappone un ampio mantello a larghe maniche; in testa viene portato un copricapo di fogge diverse a seconda delle tradizioni.

fig.

Sotto il nome di v. liturgiche si comprendono gli indumenti che il clero dei vari riti indossa nelle celebrazioni liturgiche e soprattutto nella messa, e che sono definiti e determinati nei libri rituali (v. fig.). Traggono origine dall’abbigliamento profano del mondo greco-romano dell’età imperiale, con qualche influsso della tradizione ebraica dovuto alla lettura rituale delle sacre scritture. Nella storia della loro evoluzione si possono distinguere quattro periodi. In età precostantiniana si trovano v. simili a quelle della vita usuale; nel secondo periodo (dal 4° al 9° sec.), con la libertà accordata al culto pubblico compaiono a poco a poco le varie parti che vennero a costituire l’abbigliamento attuale, che si può dire già formato, nell’insieme, alla fine del 9° sec.; nel terzo periodo (10°-13° sec.) si accentua la distinzione tra il vestiario liturgico e quello usato dal clero fuori delle celebrazioni. Dopo il 13° sec. non si hanno più cambiamenti notevoli fino alla riforma liturgica stabilita dal Concilio Vaticano II che ha semplificato le v. liturgiche, demandando alle conferenze episcopali nazionali la facoltà di dare norme circa la loro forma e materia. Il vestiario liturgico non è identico per tutti i chierici, spettando a ciascun grado e ufficio propri indumenti. Nel rito latino le sue parti si suddividono in sottovesti liturgiche (amitto, alba o camice, cingolo, rocchetto e cotta) e sopravvesti liturgiche (pianeta o casula, dalmatica, tunicella e piviale). Fanno parte del vestiario liturgico le insegne liturgiche (maggiori: stola, pallio; minori: mitra, pastorale, anello, croce pettorale). Il sacerdote, a qualunque grado appartenga, usa l’amitto, il camice, il cingolo, la stola, la pianeta, il piviale e la cotta; i vescovi hanno in più, come v. proprie, la dalmatica e la mitra; gli arcivescovi e il Sommo Pontefice agli abiti pontificali aggiungono il pallio. I chierici inferiori indossano l’alba e la cotta; i diaconi indossano amitto, camice, cingolo, stola (trasversale) e dalmatica. Nel 12° sec. furono fissati i colori liturgici tuttora usati: bianco, rosso, verde, violaceo; sono colori facoltativi il rosa e il nero.

Presso le Chiese orientali le v. liturgiche si presentano abbastanza somiglianti a quelle della Chiesa latina, e sostanzialmente uniformi presso tutti i cinque riti. Indumenti dei preti sono: la tunica, la stola, la cintura, le soprammaniche e la sopravveste; nel rito armeno hanno inoltre una specie di amitto e la mitra; nel copto, un drappo che copre il capo. L’abbigliamento dei vescovi è completato nel rito greco dal saccos, specie di dalmatica che sostituisce la tunica, dall’epigonation, quadrato rigido di stoffa pendente al fianco destro fino al ginocchio, dallo omophorion, simile al pallio latino, e dalla mitra che ha la forma della tiara con quattro rigonfiamenti in croce. Degli altri riti usano l’epigonation e l’omophorion gli armeni, i siri e i copti uniti. Armeni, copti uniti, siri e caldei hanno una mitra pontificale di forma varia ma vicina alla latina; il copricapo dei vescovi copti non uniti è il turbante, quello dei nestoriani un drappo.

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