VESTA

Enciclopedia Italiana (1937)

VESTA

Giulio Giannelli

. Divinità degli antichi Romani, e dei Latini in genere, alla quale era strettamente associato il culto, privato e pubblico, del focolare domestico e del focolare dello stato. Mentre però le forme del culto del focolare si rivelano di origine remotissima, relativamente recente è da ritenersi l'assunzione, da parte dei Latini, di Vesta come dea protettrice del focolare.

Il nome di Vesta non si può evidentemente disgiungere da quello della greca Estia, nonostante il parere contrario di qualche moderno (F. Solmsen, H. Ehrlich); e tale associazione di nomi non si può altrimenti spiegare che ammettendo la derivazione del nome della dea romano-latina dal nome della dea greca. La formazione indipendente del nome proprio Vesta su. etimo latino comune a quello greco di ‛Εστία (probabilmente dalla radice u̯es "bruciare, risplendere") difficilmente potrebbe essere sostenuta, mancando nel latino un nome comune formato su tale etimo e significante il focolare o altro concetto affine. ha avuto fortuna l'ipotesi, da qualcuno avanzata (P. Kretschmer), che si possa riconoscere in Vesta una divinità originaria della stirpe italica, quale finora si è potuto riconoscere soltanto Giove.

Se dunque la Vesta latina è divinità di provenienza greca, la sua introduzione nel Lazio va assegnata, come si diceva, a età relativamente recente: sia perché anche la dea greca Estia non è molto antica (ignota ancora ai poemi omerici), sia perché la forma del suo nome latino rivela la sua introduzione diretta (come del resto sembra ovvio) dalle colonie calcidesi della Campania.

L'origine greca di Vesta è per altro rifiutata da non pochi studiosi moderni, i quali cercano di spiegare altrimenti - o rinunziano a spiegare - la forma comune dei due nomi. Vale però la pena di ricordare che già nell'antichità, Cicerone aveva riconosciuto la derivazione greca del nome di Vesta (De nat. deorum, XXVII, 67; De legibus, II, 19, 29). È possibile indicare, con una certa approssimazione, il tempo dell'introduzione in Roma di questa divinità greca. Roma antichissima dovette possedere, come ogni altro oppido latino, un culto del focolare e un focolare pubblico. Sappiamo infatti che nella primitiva città del Palatino ardeva perennemente il fuoco sacro in un sacello dedicato alla dea Caca (Serv. Ad Aeneid., VIII, 190), fatta dai mitografi sorella del gigante Caco. Come Caca rimase, nella tradizione, legata esclusivamente al focolare pubblico del Palatino, così Vesta non è ricordata altrimenti che associata al focolare pubblico del Foro, all'aedes Vestae, sorto evidentemente non prima che la valletta del Foro venisse prosciugata e sistemata a centro pubblico e religioso dell'ingrandita città. A tale ammissione - che Vesta sia penetrata in Roma quando il focolare pubblico trovò posto nell'aedes rotonda del Foro - si obietta da alcuni il fatto che questa divinità comparisce già nel più antico calendario sacro romano, in quello cioè che ci conserva lo specchio dello stadio più remoto della religione di Roma, della cosiddetta "religione di Numa"; tale obiezione perde però il più del suo peso quando si voglia riconoscere - come già fu dimostrato e come sempre nuovi indizî archeologici vengono a confermare - che il Foro e il Campidoglio rappresentano la prima zona di ampliamento della città del Palatino.

Vesta dovrà pertanto riguardarsi come il più antico degli dei novensides, venuti ad aggiungersi alla vetusta serie degli dei indigetes. Altrettanto antica si deve ritenere naturalmente la diffusione di Vesta (cioè della greca Estia) alle altre città latine. Quando Estia fu conosciuta nel Lazio, essa aveva già raggiunto il suo completo sviluppo di divinità del focolare domestico; è naturalmente impossibile determinare se essa vi fu accolta prima nel culto privato delle singole famiglie e passò poi da questo nella religione ufficiale dello stato, oppure se il suo culto pubblico precedette quello privato, nel quale V. prese posto, presso il focolare domestico, allato degli antichissimi e veneratissimi Penati. È certo in ogni modo che il culto privato di V. non ebbe mai grande importanza e presto passò del tutto in seconda linea di fronte a quello dei Penati, dei Lari e del Genio; grande sviluppo ed altissimo significato assunse e mantenne invece, a Roma, il suo culto pubblico. Introdotta nella religione ufficiale romana, V. conservò tuttavia alcuni dei caratteri peculiari della greca Estia; e principalmente quello di divinità vergine e casta, e l'altro di un posto segnalato nel rango di tutti gli dei. È noto che, secondo il mito greco, Zeus aveva concesso a Estia, in compenso del suo voto di verginità, il diritto di precedenza in tutti gli onori che dagli uomini vengono resi agli dei: di qui il posto d'onore dato sempre a Estia nel rituale greco, che prescriveva di cominciare sempre da Estia (ἀψ' ‛Εστίας ἄρχεσϑαι) qualunque sacrificio e qualunque preghiera. A Roma però, quando si conobbe Estia, il primo posto era già stato assegnato a Giano, il dio della porta e del principio; onde non rimase che assegnare a V. il posto più segnalato dopo il primo, cioè l'ultimo, e nel nome di lei chiudere tutte le invocazioni e i sacrifici che si aprivano col nome di Giano. Venuta così, per ragioni rituali, in stretto rapporto con Giano, essa venne considerata come la divinità femminile ad esso corrispondente; e obbedendo a un concetto fondamentale della religione latina, Ianus pater e Vesta mater costituirono una "coppia divina". Nel culto di V., e cioè nel culto del focolare, rimasero invece quasi invariati gli elementi vetustissimi che ne costituivano il carattere sostanziale. Al culto del focolare domestico soprintendeva la mater familias: nella casa, non soltanto il focolare propriamente detto era sacro a V. ma alla sua protezione si commettevano anche quei cibi che sul focolare si preparavano; le era perciò sacra la farina, e la mola con cui si macinava il grano, e perfino l'asino che la tirava. Ecco perché il giorno culminante delle sue feste (Vestalia), il 9 giugno, era giorno festivo per quanti attendevano a macinare la farina e a cuocere il pane (per i mugnai e per i fornai, quando tale occupazione uscì dall'ambito della famiglia per essere assunta da artigiani del mestiere) e nella festa avevano parte gli asini, che venivano inghirlandati con corone di fiori e di pagnotte.

Ma ben più importante era il culto di V. che si svolgeva presso il focolare dello stato, nella rotonda aedes Vestae del Foro, dove la dea era venerata come Vesta publica populi Romani Quiritium. Qui al culto della dea e alla custodia del fuoco sacro attendevano le sue sacerdotesse, le vergini vestali, la cui antichità è attestata dalle relazioni in cui esse erano col re dei sacrifici, come successore degli antichi re di Roma, e testimonia a sua volta l'antichità dell'introduzione di Estia nel culto ufficiale romano.

Sono ben noti gli elementi arcaici del culto dell'aedes Vestae: ivi il fuoco non poteva essere alimentato che col legno di alberi determinati e, se si spegneva, doveva essere riacceso mediante lo sfregamento dei rami di un'arbor felix; ogni anno, il primo di marzo, si spegneva il fuoco che veniva riacceso subito dopo: nel tempio non esisteva alcuna immagine della dea, e vi si custodiva invece il cosiddetto penus Vestae, cioè un ripostiglio nel quale erano conservati così gl'ingredienti e gli oggetti necessarî ai riti sacrificali delle vestali come - nella parte più interna - alcuni oggetti tanto preziosi quanto misteriosi, principalmente il supposto palladio troiano; era infine proibito per i riti del tempio l'uso di acqua artificialmente condotta e permesso invece soltanto quello dell'acqua attinta dalla fonte Egeria nel bosco delle Camene, o dalla vicina fonte di Giuturna; l'acqua doveva essere portata dalla fonte al tempio in vasi d'argilla sferici al disotto, sì che non potessero mai venire deposti in terra da chi li portava. Si ricorderà anche che nel penus Vestae potevano entrare soltanto le vestali; nel tempio, all'infuori di esse, soltanto il pontefice massimo: nei giorni delle Vestalia era permesso l'ingresso nel tempio alle donne. Le vestalia duravano dal 7 al 15 giugno, culminando però, come si è detto, il giorno 9: nell'ultimo giorno si spazzava e si purificava il tempio, e la spazzatura veniva poi gettata nel Tevere.

Come patrona del focolare dello stato, Vesta veniva invocata in tutti i casi di pubbliche calamità, e straordinaria efficacia si attribuiva alle preghiere che le vergini vestali rivolgevano alla loro dea per l'interesse comune. Gli stretti rapporti rituali che legavano il pontefice massimo alle vestali, hanno fatto designare talora questo ultimo come sacerdos Vestae (Ovidio, Fasti, III, 669; V, 573); e quando Augusto fu insignito della dignità di pontefice massimo (6 marzo del 12 a. C.), volle fondato sul Palatino un nuovo santuario di V., contiguo alla sua abitazione, il cui anniversario della fondazione ricorreva il 28 aprile.

Il culto pubblico di V. rimase inalterato fino al tramonto del paganesimo; quando, sotto Aureliano, fu creato il nuovo sacerdozio dei Pontifices Solis, gli antichi pontefici, per distinguersi da questi, assunsero la denominazione di Pontifices Vestae.

Manca un tipo antico di Vesta nell'arte romana, non essendo esistita, come s'è detto, alcuna rappresentazione della dea nel suo tempio del Foro; onde non si potrebbero citare figurazioni di V., dell'età repubblicana, all'infuori della testa velata della dea incisa su una moneta di Q. Cassio Longino, del 60 a. C. circa. Più frequente ricorre la figura della dea, rappresentata seduta in trono, su monete e su rilievi dell'età imperiale: il confronto, anzi, di un rilievo di Sorrento e di altri due rilievi (di Palermo e di Villa Albani) non lascia dubbio che il tipo di Vesta, ivi riprodotto, discenda da una rappresentazione statuaria della dea e, con tutta verosimiglianza, dalla statua di culto che essa dovette avere nel nuovo sacrario fatto erigere da Augusto sul Palatino.

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