VERONA

Enciclopedia dell' Arte Antica (1997)

Vedi VERONA dell'anno: 1966 - 1997

VERONA (v. vol. VII, p. 1142)

G.Cavalieri Manasse

Recenti indagini (1988-1993) sulla sinistra d'Adige (Via Redentore) hanno portato in luce un settore di cinta muraria in opera quadrata di pietra «tufacea» locale. Si tratta di una muratura in grandi blocchi privi di legante e di grappe, con spessore ricostruibile di almeno m 2,50, di cui i primi 5-6 corsi di altezza e pezzatura irregolare disposti di taglio, i successivi, più regolari, a filari alterni per testa e per taglio. Il materiale rinvenuto nel terrapieno che si addossava alla parte inferiore, sembra collocare la costruzione intorno agli inizî del I sec. a.C. L'andamento della fortificazione non è precisabile, ma è presumibile che essa risalisse il colle di S. Pietro, per certo attestandosi a Ν e a S sulla sponda del fiume. A poca distanza dalla sponda, a entrambe le estremità, erano ubicate due porte in relazione con il transito della Via Postumia e della via per la Val d'Adige. Di quella meridionale, che si trovava appena a E del bastione sopradescritto, restano indizî in alcuni elementi architettonici in pietra tenera, reimpiegati nelle fondazioni di una successiva porta di piena età augustea, che suggeriscono l'esistenza di un edificio con prospetto scandito da architetture applicate.

Un simile sistema - mura in opera quadrata rincalzate da terrapieno, porta monumentale - rivela caratteri di maggior antichità rispetto alle altre cinte veronesi, compresa quella in laterizi che perimetra, per il tratto non protetto dal fiume, la città sorta entro l'ansa, e può ben essere messo in relazione con il centro premunicipale, la V. dell'età di Catullo, dimostrandone l'ormai compiuto processo di strutturazione urbana. Di tale abitato, che doveva svilupparsi sul colle di S. Pietro, per il passato rimaneva esclusiva memoria nel Ponte Pietra, il cui orientamento, estraneo alle direttrici urbanistiche della città sulla destra del fiume, ne presumeva la connessione con una diversa realtà urbana. Esso venne poi cancellato dai radicali lavori di sbancamento e regolarizzazione della collina, per la costruzione del complesso teatro-terrazze-tempio e dell’odèion, e le sue funzioni politico-amministrative furono trasferite al centro che s'andava costruendo e organizzando entro l'ansa. Nello scavo sono venuti in luce resti di una torre in mattoni sesquipedali: si tratta di un basamento poligonale a sedici lati su zoccolo circolare (diametro m 9), progressivamente riducentesi tramite riseghe, cui aderiscono altri resti in muratura laterizia relativi a un piedritto dell'interturrio. Più a E è un basolato stradale. In tali strutture si riconosce una porta con impianto presumibilmente simile a quello della Porta Leoni, realizzata, in base alla datazione dei materiali che costipavano le trincee di fondazione, attorno all'ultimo decennio del I sec. a.C. La sua costruzione, che seguì la distruzione della porta precedente e la demolizione della fortificazione in opera quadrata per il tratto emergente fuori terra, così che non fosse più visibile, rientra nel progetto di ristrutturazione urbanistica del colle di cui si è detto sopra. La nuova porta, che si volle analoga a quelle della cinta municipale (Leoni, Borsari), probabilmente, non dovette essere inserita in un circuito murario, ma rappresentare un episodio monumentale isolato. Un'analoga vicenda edilizîa avrà caratterizzato anche l'altra porta, quella posta più a N, presso il Ponte Pietra.

Per quanto riguarda l'impianto urbano sulla destra del fiume, numerosi interventi di ristrutturazione del centro storico hanno consentito di precisarne le linee generali e di ottenere importanti dati sull'estensione e l'organizzazione dell'area forense e degli edifici a essa contigui.

Il reticolato stradale devia di 35° rispetto al Ν astronomico per l'evidente necessità di dare sbocco verso la pianura a cardini e decumani, altrimenti con esito sul fiume a entrambi gli estremi. È costituito da una serie di strade larghe m 12 (6 per la carreggiata e 3 per ciascun marciapiede, spazio, questo, spesso ridotto per successivi avanzamenti e occupazioni), non differenziate gerarchicamente, con assi cadenzati trasversalmente ogni 90 m e longitudinalmente ogni 86 m. Esse delimitano isolati non quadrati ma appena rettangolari con lati di c.a 78 e 74 m.

Le mura municipali, già note nel loro percorso, sono interamente realizzate in mattoni sesquipedali con paramento esterno scandito da riseghe. È stato possibile ricostruire sia nella planimetria sia, in parte, nell'elevato, la c.d. Porta Leoni, posta a conclusione del cardine massimo: pianta quadrata con due torri di sedici lati agli angoli della fronte S prospiciente il suburbio, alzato a doppio ordine di gallerie finestrate, il secondo aperto a N, verso la città, in un loggiato dorico. Delle nuove facciate, addossate all'edificio in età Claudia, si conosceva solo il prospetto settentrionale; attualmente è stato parzialmente chiarito anche lo sviluppo, alquanto sobrio dal punto di vista decorativo, di quello meridionale compreso entro l'interturrio. Episodio monumentale inedito della cinta è invece la postierla individuata all'estremità SO del cardine secondo sinistrato ultrato (Via S. Cosimo), costituita da un avancorpo rettangolare assai sporgente dal filo esterno delle mura, in cui si apriva un fornice.

Il foro è ampio poco meno di quattro mezzi isolati (m 56,50 X 168), e perfettamente in asse con il cardine massimo. A NO era lambito dal decumano massimo, dal quale, a causa del dislivello, doveva essere accessibile solo mediante gradinate. È ignota la soluzione di raccordo adottata per le altre strade che vi si affacciavano, quattro decumani minori e il cardine massimo, se cioè queste vi avessero immediato sbocco oppure no. Tuttavia sembra probabile che nella pianificazione urbanistica il foro sia stato previsto come chiuso al traffico veicolare: lo suggerisce la cesura netta lungo il decumano massimo, la principale arteria urbana e l'unica direttamente inserita nella viabilità interregionale.

I lati lunghi della piazza erano limitati da tre gradini da cui si accedeva a portici e, a O, a tabemae, mentre a E, oltre il presumibile porticato, l'organizzazione degli spazi sembra essere molto diversa da quella della zona occidentale.

Il Capitolium è attestato da un'epigrafe nota dal XVI sec. (CIL, ν, 3332), ed era situato su una terrazza, che prospettava la piazza al di là del decumano massimo. L'edifìcio venne realizzato in mattoni sesquipedali. Era di ordine tuscanico con elementi portanti in pietra «tufacea» rivestita di stucco, in calcare e in marmo, con coronamento in lastre di terracotta. Ne restano, a seguito di una radicale spoliazione risalente agli inizî del VI sec. d.C., modeste tracce delle fondazioni a nido d'ape al fondo di trincee di asportazione colme di detriti di materiali pertinenti all'alzato. Qui è stata recuperata una base posta dai decurioni veronesi a Giove Ottimo Massimo.

Una serie di saggi ha permesso di definire la planimetria: il tempio (35 X 42,20 m) era prostilo, esastilo, periptero sine postico con pronao e períbolo assai ampi. Nel pronao, al quale si accedeva tramite una scalinata di cui non è stata trovata traccia, si contavano diciotto colonne disposte su tre ranghi con intercolumnì variabili, quello centrale maggiore di quelli laterali. La parte postica presentava tre celle molto profonde, in larghezza coincidenti con gli intercolumnî antistanti.

L'edificio si sviluppava sopra un terrazzamento artificiale, alto c.a 2 m, contenuto sui lati Ο, Ν e E da un criptoportico con murature parzialmente eseguite in opera incerta, cui corrispondeva sul piano della terrazza un triportico. Il tempio mostra singolari caratteristiche arcaicizzanti sia nel sistema di fondazioni, sia nella soluzione planimetrica, sia nella scelta dell'ordine architettonico e nella sua realizzazione polimaterica, ma i caratteri della tecnica edilizia sono identici a quelli della cinta tardo- repubblicana. Ciò ne ricondurrebbe la datazione all'epoca della costruzione delle mura e della strutturazione iniziale dell'impianto urbano, che, sulla base della tabella epigrafica della Porta Leoni, si suole collocare negli anni immediatamente successivi alla costituzione a municipio del centro atesino, ma di cui recentemente è stata ipotizzata una datazione in età cesariana. Un'anticipazione agli anni immediatamente precedenti alla metà del secolo è possibile per la progettazione dell'impianto, non certo per il suo compimento. Relativamente al Capitolium, da ultimo, l'analisi di un'iscrizione, rinvenuta negli scavi e incisa su un elemento strutturale murato forse nel triportico, fornisce un'indicazione, 50-40 a.C., per l'epoca in cui veniva costruito il complesso.

Per quanto riguarda gli altri edifici dell'area forense, sono noti soltanto quelli a occidente del foro, che non prospettavano direttamente la piazza ma ne erano separati dalla zona dei portici e delle tabernae. A Ν e a S del decumano primo si estendevano rispettivamente il complesso della curia-area pubblica recintata e la basilica, che si sviluppavano su due superfici simmetriche e di identiche dimensioni (27,50x78 m).

La curia, identificata nel 1986, occupava la parte meridionale di un'area delimitata da un'alta recinzione lapidea (5,80 m), scandita da lesene, e sopraelevata a Ν mediante un riempimento artificiale e a S mediante una serie di sostruzioni. Proprio questo sistema di concamerazioni con il suo paramento, che nel passato era stato riconosciuto come il basamento del Capitolium veronese, costituiva invece il podio della curia: i vani in esso ricavati dovevano avere una funzione complementare o in qualche modo collegata alla curia.

L'aula soprastante, con accesso da S, aveva pianta quasi quadrata (13 x 12,50 m) ed era preceduta da un portico. La disposizione interna, con doppie banchine lungo le pareti laterali e banco appena più eminente lungo quella di fondo, riconduce a un modello di curia ben noto, ma sino a ora documentato solo a partire dalla seconda metà del II sec. d.C. Poiché la costruzione dell'aula veronese, sulla base dei dati di scavo, sembra doversi collocare nei decenni iniziali del I sec. d.C., ne consegue che essa rappresenti per ora l'esempio più antico di adozione di tale tipologia edilizîa.

A Ν della curia, e compresa nella stessa struttura di recinzione, si stendeva un'ampia area rettangolare (42 X 27,50 m) con pavimentazione marmorea e sorta di orchestra centrale, la cui funzione non è ancora stata precisata.

Nella zona della basilica non sono state condotte ricerche. Tuttavia, sulla base dei pochissimi dati pervenutici degli scavi 1925-1927, si è effettuato un tentativo di ricostruzione della pianta. Ne risulta un edificio di dimensioni marcatamente rettangolari con peristasi colonnata articolata in sei colonne sui lati brevi, mentre è incerto il numero sui lati lunghi. Inoltre la ricognizione dei pezzi di decorazione architettonica, venuti in luce negli scavi, permette di collocare in età severiana un rifacimento o un radicale intervento di restauro del monumento, la cui realizzazione, per altro, dovette essere contemporanea alla curia e rientrare in quel progetto di monumentalizza- zione urbana, compiuto in età giulio-claudia, di cui la città conserva significative testimonianze. Pertinenti alla ristrutturazione severiana sarebbero anche gli elementi del c.d. Arco di S. Tornio, che trovavano presumibile impiego nel lato meridionale della peristasi.

A O del complesso della curia, l'intero isolato compreso tra i cardini primo e secondo sinistrati ultrati sembra essere stato occupato da una piazza delimitata sui quattro lati da un porticato. Di tale porticato, realizzato, pare, contemporaneamente alla curia, si è messo in luce per più di 40 m (1984-1988) il muro di fondo prospiciente il cardine primo. Esso è costituito da uno zoccolo di lastre di calcare, sulla cui cornice si leva un paramento in opera quadrata di pietra «tufacea». La destinazione dell'area e l'organizzazione dello spazio interno alla piazza, in cui è da supporre la presenza di uno o più edifici, è ancora in corso di studio.

In relazione con questo complesso monumentale era forse il c.d. Arco di Giove Ammone, un piccolo tetrapilo a pianta rettangolare riferibile ai decenni centrali del I sec. d.c. Nel 1986 la casuale scoperta del pilone NO permetteva di definire planimetria e ubicazione. Disposto in margine al decumano massimo, all'imbocco del cardine secondo sinistrato ultrato, segnalava anche una deviazione di percorso verso una zona di particolare rilievo nel contesto urbano, quella degli edifici pubblici a O del foro.

Oltre che di un teatro e di un anfiteatro, la città era dotata di un odèion. Questa identificazione si può avanzare per i resti di una grande costruzione con fronte verso l'Adige lungo c.a 60 m, allineato con il prospetto della terrazza SE del teatro. In esso si individuano tre settori, ma solo quello centrale è leggibile. Consta di una lunga struttura rettilinea di c.a 50 m, dove si aprivano tre porte (solo una superstite, le altre ricostruibili), inquadrate all'interno da corpi sporgenti colonnati con rivestimenti marmorei ed eleganti zoccolature.

L'edificio, notevole per ricchezza degli ornati e ampiezza delle dimensioni, sembra rientrare nello stesso programma edilizîo del teatro: lo suggeriscono le analogie di scelta topografica, orientamento e impianto (pure esteso sulla pendice collinare), e di tecnica edilizîa (strutture in parte in opera quadrata, rivestimenti murari in parte in opera vittata). Tipologicamente il monumento rientrerebbe nella serie di odèia di grandi dimensioni non perimetrati da muri rettilinei, rappresentandone, per la sua probabile datazione in età giulio-claudia, uno degli esempî più antichi.

Numerosi resti di domus venuti in luce in questi ultimi anni si aggiungono a quelli già noti. Anche se in parte si tratta di testimonianze indirette, ne risulta un quadro abbastanza completo, che accerta un'attività di buon livello che non conosce interruzioni dalla seconda metà del I sec. a.C. all'età severiana. Dopo la stasi dei decenni centrali del III sec. d.C., in evidente concomitanza con gli avvenimenti che portarono al ripristino e al rafforzamento delle mura, si hanno segni di ripresa nel IV. La frammentarietà della documentazione non permette di individuare quartieri programmati a uso esclusivamente privato, residenziale e/o artigianale, né di definire le caratteristiche dimensionali e distributive delle domus nell'ambito delle insulae. Sfugge anche l'eventuale esistenza di un modello edilizio preferenziale: si può solo osservare che il tipo articolato attorno a una corte centrale porticata è accertato o suggerito da alcuni ritrovamenti tra i meno lacunosi.

Nel 1989-1991, gli scavi hanno permesso di individuare sulla direttrice della Via Postumia, a SO della città, presso Porta Palio, a poco meno di 1 miglio dalla cinta urbana, e alla Spianà, due zone di una vasta necropoli. Lo scavo di Porta Palio ha messo in luce ai lati della strada - in questo punto una glareata di consistenza alquanto modesta, larga attorno a 20 m e delimitata da fossati - numerose deposizioni distribuite a S su una lunghezza di 160 m, a Ν di 140 m (ma qui non è stato raggiunto il limite della necropoli). Complessivamente su un'estensione di c.a 3.500 m2 si contavano 554 sepolture, 484 cremazioni e 70 inumazioni, collocabili tra la fine del I sec. a.C. e il III-IV sec. d.C. Alla Spianà, invece, non è stata individuata la Postumia - che d'altra parte si presume corresse più a S della zona esplorata - ma una vasta area funeraria di c.a 8.600 m2 con 807 tombe, 766 cremazioni e 41 inumazioni, orientativamente databili tra gli inizî del I e il III sec. d.C. Il sepolcreto si estende a N, S e O oltre i limiti dello scavo. Solo a E si è trovata traccia del muro perimetrale, oltre il quale si è identificato un impianto produttivo di notevoli dimensioni, destinato, con ogni probabilità, alla fabbricazione di laterizi. Le indagini non hanno offerto testimonianze di edifici sepolcrali ma solo di recinti di media o ridotta estensione e di qualche segnacolo; tali strutture non erano localizzate in fregio alla via, con chiari intenti di monumentalizza- zione del percorso stradale, ma sparse sul terreno, anche a distanza notevole dalla Postumia, della quale, comunque, mantengono l'orientamento. Queste constatazioni, unite a quelle che si ricavano dall'esame dei corredi, in genere assai modesti, suggeriscono che le due aree fossero utilizzate da ceti di non rilevanti disponibilità economiche.

Il riesame delle cinte urbane ha permesso di proporre un nuovo inquadramento cronologico delle mura tarde, correntemente attribuite all'imperatore Gallieno. Esse corrisponderebbero, invece, ai muros alios novos con cui, secondo l'Anonimo Valesiano (XII, 71), Teodorico circuit civitatem. Per contro, l'intervento di Gallieno nel 265 d.C. si sarebbe limitato al ripristino della cinta municipale, rifatta nei tratti abbattuti nel corso dell'età imperiale e rafforzata con torri, e all'addizione dell'anfiteatro, impresa indispensabile ai fini della sicurezza cittadina. Per tutte queste operazioni fu impiegato materiale di spoglio. L'iscrizione di Porta Borsari (CIL, ν, 3329) che ricorda muri Veronensium fabricati, quindi costruiti ex novo per ordine dell'imperatore, può aver voluto enfatizzare la sua opera a scopo propagandistico e celebrativo. In seguito, nel corso del V sec., forse verso la fine, alle torri gallieni- che vennero addossati avancorpi a sperone, chiuse con analoghe strutture tutte le postierle o parte di esse, costruiti nuovi torrioni di rinforzo a pianta pentagonale. Infine Teoderico avrebbe realizzato, pure con pietre di recupero, la nuova cinta, appena discosta da quella tardo-repubblicana (8-10 m) e quasi un antemurale rispetto a essa. È probabile, inoltre, che al re goto si debba l'addizione del colle di S. Pietro; esso, tuttavia, in punti di particolare valore strategico, come le porte alle testate dei ponti Pietra e Postumio, doveva già essere stato munito in età gallienica.

Bibl.: F. Sartori, Colonia Augusta Verona Nova Gallieniana, in Athenaeum Pavia, XLII, 1964, pp. 361-372; L. Franzoni, Verona. Testimonianze archeologiche, Verona 1965; G. Fogolari, Verona. Ritrovamenti archeologici nell'ultimo decennio, in NSc, 1965, Suppl., pp. 35-53; Β. Forlati Tamaro, Verona. Il restauro della Porta detta dei Leoni, ibid., pp. 12-34; F. Coarelli, L. Franzoni, Arena di Verona. Venti secoli di storia, Verona 1972; AA.VV., Il territorio veronese in età romana. Atti del Convegno, Verona 1971, Verona 1973; L. Franzoni, Edizione archeologica della Carta d'Italia al 100.000. Foglio 49. Verona, Firenze 1975; G. Tosi, La casa romana di Valdonega e il problema degli oeci colonnati, in Venetia III. Studi miscellanei di archeologia delle Venezie, Padova 1975, pp. 11-71; G. P. Marchini, Verona romana e paleocristiana, in Ritratto di Verona. Lineamenti di una storia urbanistica, Verona 1978, pp. 25-134; AA.VV., Palladio e Verona, Verona 1980; G. Tosi, Un problema di interpretazione della documentazione grafica rinascimentale: l'arco romano detto di Giove Ammone a Verona. ( I), in Archeologia Veneta, IV, 1981, pp. 73-98; ead., Un problema di interpretazione della documentazione grafica rinascimentale: l'arco romano detto di Giove Ammone a Verona. ( II), ibid., V, 1982, pp. 35-62; AA.VV., Verona in età gotica e longobarda. Atti del Convegno, Verona 1980, Verona 1982; P. Hudson, C. La Rocca Hudson, Verona: Cortile del Tribunale e via Dante, in Lancaster in Italy: Ricerche archeologiche intraprese in Italia dal Dipartimento di Studi Classici e Archeologia nel 1982, Lancaster 1983, pp. 10-23; L. Sperti, I capitelli romani del Museo Archeologico di Verona, Roma 1983; G. Tosi, L'arco dei Gavi, Roma 1983; G. Cavalieri Manasse, La casa romana di piazza Nogara a Verona, in Archeologia Veneta, VIII, 1985, pp. 209-250; P. Hudson, C. La Rocca Hudson, La dinamica dell'insediamento urbano nell'area del Cortile del Tribunale di Verona. L'età medievale, in QuadA Ven, 1,1985, pp. 50-65; AA. VV., Nuovi studi Maffeiani. Atti del Convegno Scipione Maffei e il Museo Maffeiano, Verona 1983, Verona 1985; L. Franzoni, Riflessioni sul significato storico del colle di S. Pietro, in Atti e Memorie dell'Accademia di Agricoltura, Scienze e Lettere di Verona, s. VI, XXXV, pp. 415-450; G. Cavalieri Manasse, Porta Leoni: appunti, per la ricostruzione di un monumento, in Scritti in ricordo di Graziella Massari Gaballo e di Umberto Tocchetti Pollini, Milano 1986, pp. 159-172; ead., Nota sull'arco veronese detto di Giove Ammone, in AquilNost, LVII, 1986, cc. 521-564; L. Franzoni, «Collegium iumentariorum portae Ioviae» in una nuova iscrizione veronese, ibid., cc. 617-632; id., Immagine di Verona romana, in AA.VV., Aquileia nella «Venetia et Histria» (Antichità Altoadriatiche, XXVIII), Udine 1986, pp. 345-373; C. La Rocca Hudson, «Dark Age» a Verona. edilizîa privata, aree aperte e strutture pubbliche in una città dell'Italia settentrionale, in AMe- diev, XIII, 1986, pp. 31-78; E. Buchi, Porta Leoni e la fondazione di Verona romana, in Museum Patavinum, V, i, 1987, pp. 13-45; G. Cavalieri Manasse, Verona, in II Veneto nell'età romana. II. Note di urbanistica e di archeologia del territorio, Verona 1987, pp. 3-57; L. Franzoni, Il monumento e la sua storia, in II Teatro romano. La storia e gli spettacoli, Verona 1988, pp. 13-76; E. Buchi, I Romani nella Venetia. La memoria dell'antico nel paesaggio veronese, in Atti e Memorie dell'Accademia di Agricoltura, Scienze e Lettere di Verona, s. VI, XL, 1988-89, pp. 437-504; AA.VV., Il Veneto nel Medioevo. Dalla «Venetia» alla Marca Veronese, Verona 1989; G. Cavalieri Manasse, Il Foro di Verona: recenti indagini, in La città nell'Italia settentrionale in età romana. Morfologie, strutture e funzionamento dei centri urbani delle Regiones X e XI. Atti del convegno, Trieste 198·/, Trieste-Roma 1990, pp. 569-616; A. Buonopane, Nuove iscrizioni di Verona, in Epigraphica, LII, 1990, pp. 159-177; G. Cavalieri Manasse, L'imperatore Claudio e Verona, ibid., LIV, 1992, pp. 9-41; ead., Le mura di Verona, in Mura delle città romane in Lombardia. Atti del Convegno, Como 1990, Como 1993, pp. 179-215; ead., Le mura teodoriciane di Verona, in Teodorico il Grande e i Goti d'Italia. Atti del XIII Congresso internazionale di studi sull'Alto Medioevo, Milano 1992, Spoleto 1993, pp. 633- 644; ead., L'odeon di Verona, in Spettacoli in Aquileia e nella Cisalpina Romana (Antichità Altoadriatiche, XLI), Udine 1994, pp. 259-270; G. Tosi, Gli edifici per spettacolo di Verona, ibid., pp. 241-257; G. Cavalieri Manasse, Il monumento funerarî o nell'area di S. Fermo Maggiore a Verona, in Studi di Archeologia della X Regio in ricordo di Michele Tombolani, Roma 1994, pp. 321-337; D. Modonesi, Museo Maffeiano. Iscrizioni e rilievi sacri latini, Roma 1995; M. P. Lavizzari Pedrazzini, I vasi «tipo Aco» provenienti dagli scavi di via Redentore a Verona, in Splendida Civitas Nostra. Studi Archeologici in onore di Antonio Frova, Roma 1995, pp. 401-408.

(G. Cavalieri Manasse)