verità Conformità o coerenza a principi dati o a una realtà obiettiva.
1. Definizione e criterio di verità
Nella storia della filosofia il concetto di v. è stato concepito in almeno due diverse prospettive, l’una ontologica, l’altra strettamente connessa al discorso umano. Nella prospettiva ontologica la v. è considerata come una proprietà intrinseca dell’essere; da questo punto di vista concezioni ontologiche della v. possono trovarsi tanto nel pensiero greco, da
Nell’altra prospettiva, che è decisamente la più influente, il concetto di v. è stato variamente elaborato e le analisi vertenti su esso devono essere suddivise in due categorie, a seconda che intendano fornire una definizione o un criterio di verità. La ricerca di un criterio di v. è parte integrante del problema gnoseologico, cioè di quale tipo di evidenza (sensibile, intellettiva, induttiva, deduttiva) possa costituire la garanzia di un’autentica conoscenza. Di là dal più generale problema gnoseologico, comunque, la questione della v. riguarda specificamente il chiarimento di che cosa significhi essere vero, indipendentemente dai modi (o criteri) di conseguire la verità. Da questo punto di vista la definizione più antica la si può trovare in Platone, per il quale vero è il discorso «che dice gli enti come sono», falso «quello che dice come non sono» (Cratilo 385 b). Tale concetto di v. sarebbe stato codificato da Aristotele nella celebre definizione della Metafisica (IV, 7, 1011 b) secondo cui «dire di ciò che è che non è, o di ciò che non è che è, è falso; dire di ciò che è che è, o di ciò che non è che non è, è vero». A questa definizione farà riferimento s. Tommaso con la concezione della v. come «adaequatio rei et intellectus».
2. Le teorie filosofiche sul concetto di verità
La concezione aristotelica, ripresa da s. Tommaso, implica una corrispondenza tra il pensiero (o il discorso) e la realtà, e rappresenta il nucleo di quella che è nota come teoria della v. come corrispondenza. Tale teoria attraversa pressoché immutata l’epoca moderna e, in una veste logico-linguistica, sarà riproposta, nella filosofia contemporanea, da B. Russell e L. Wittgenstein. Nel Tractatus logico-philosophicus quest’ultimo elabora addirittura una teoria «raffigurativa» del linguaggio, per cui la v. diventa una relazione di corrispondenza isomorfica tra linguaggio e realtà, enunciati e fatti.
Gran parte delle discussioni contemporanee sul problema della v. è stata comunque volta a precisare, ma anche a problematizzare, la natura del rapporto di corrispondenza tra linguaggio e realtà. Ad
La possibilità di evitare del tutto ogni riferimento a problematiche entità corrispondenti agli enunciati ha indotto W.V.O. Quine a trarre la conclusione abbastanza radicale che, quali che fossero le intenzioni di Tarski, una definizione come quella tarskiana mette in evidenza come nel concetto di v. (e nella corrispondenza) non vi sia alcun mistero da svelare e che esso, a ben vedere, si riduce a ben poco, cioè alla «devirgolettatura» (disquotation), intendendo con ciò che l’attribuzione di v. a un enunciato (per es., «la neve è bianca» è vero) si riduce all’eliminazione delle virgolette di citazione con la conseguente scomparsa del predicato «vero» e all’asserzione dell’enunciato stesso (la neve è bianca). Già nel 1927, del resto, F.P. Ramsey aveva notato come il termine «vero» non aggiunga in realtà nulla di più di quanto non dica l’enunciato stesso al quale viene applicato. A tale concezione della v. è stato dato il nome di teoria ridondantistica (redundancy theory) della v.: l’idea di base di Ramsey, infatti, è che il temine «vero» possa essere eliminato dal linguaggio senza che questo subisca perdite in potenzialità espressive.
Affine alla teoria ridondantistica della v. è la concezione pragmatica sostenuta da F.P. Strawson, nota come teoria performativa della v., secondo la quale premettendo la locuzione «è vero che ...» a un enunciato non si attribuisce una particolare proprietà all’enunciato, ma si esegue l’azione di accettare o sottoscrivere quanto è da questo comunicato.
Esistono altre concezioni della v.: le più importanti sono la teoria coerentistica e la teoria pragmatistica della verità. La prima, che è stata sostenuta essenzialmente nell’ambito del neoidealismo angloamericano (F.H. Bradley,
Macchina della v.Nome dato, nel linguaggio comune, a un particolare tipo di poligrafo che registra simultaneamente diversi fenomeni fisiologici quali l’andamento della respirazione, le variazioni del battito cardiaco, della pressione sanguigna e la conducibilità elettrica della pelle, con l’intenzione di valutare l’intensità dell’emozione suscitata da opportune domande poste al soggetto controllato per stabilire se mente oppure no. L’apparecchiatura è stata utilizzata, in alcuni Paesi, da parte delle autorità inquirenti, per trarre confessioni forzate; ma la sua reale utilità è generalmente contestata.