VERGERIO, Pier Paolo, il Vecchio

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 98 (2020)

VERGERIO, Pier Paolo, il Vecchio

Matteo Venier

VERGERIO, Pier Paolo, il Vecchio.Nacque a Capodistria tra il 1368 e il 1370 – secondo una fonte di incerta affidabilità, la biografia di Bartolomeo Petronio, la data precisa sarebbe il 23 luglio 1370 – da Vergerio di Giovanni de’ Vergeri, notaio, e da Ysabeta degli Azoni. I genitori furono capodistriani, non nobili, ma di agiata condizione.

Durante la guerra di Chioggia (1378-81), con l’occupazione genovese di Capodistria, i Vergerio fuggirono ricevendo ospitalità in Cividale del Friuli (di quella città un commosso ricordo è nella missiva a Michele Rabatta: «Forumiulii biennio cum parentibus incolui, ubi, quod semper pre me feram [...] beneficiis plurimis comiter habiti [...] fuimus», Epistolario..., 1934, pp. 100 s.). Al rientro in patria (1382) la famiglia trovò le sue proprietà devastate, la situazione finanziaria compromessa, l’autorità veneziana restaurata, ma divenuta ostile, causa il soggiorno trascorso in territorio patriarcale, antagonista della Repubblica.

Avvertendo l’angustia della situazione, Vergerio intraprese alcuni viaggi: nel 1385 fu probabilmente a Padova, studente di grammatica; quindi, nei due anni successivi, a Firenze, dove conobbe Coluccio Salutati, per il quale nutrì speciale devozione (cfr. la lettera a Coluccio del 31 gennaio 1391, in Epistolario..., 1934, pp. 53-56, al quale si rivolge come «singularissime pater»), e dove anche conobbe Francesco Zabarella, canonista e docente delle Decretali, il quale gli divenne stretto amico e autorevole mentore. In qualità di lettore di logica fu a Bologna durante i primi mesi del 1388. Nell’estate di quell’anno fu a Capodistria, dove il 7 settembre 1388 trascrisse in un foglio cartaceo (oggi accluso nel codice di Venezia, Biblioteca nazionale Marciana, Marc. lat., XIV 54 = 4328) otto escerti dal Timeo nella traduzione di Calcidio (la soscrizione è riprodotta in Epistolario..., 1934, tav. II fuori testo); la grafia (una cancelleresca più rapida nella sezione degli escerti, più posata nella soscrizione) sarebbe influenzata da quella di Salutati (McManamon, 1996, p. 15 e n. 29; sugli escerti v. Grafton - Siraisi, 1999, pp. 101 s.; Hankins, 2004, p. 124, n. 50). Fu a Padova nel novembre del 1388, quando Francesco Novello abbandonò la città incalzato dai Visconti (come ricorda in un’orazione più tardi pronunciata di fronte a Francesco stesso), e quindi dalla fine di quell’anno sino al 1390 a Bologna. L’ipotesi che si fosse qui dedicato allo studio della medicina non è documentata (la traduzione del Giuramento di Ippocrate che alcuni manoscritti attribuiscono a Vergerio è opera di Niccolò Perotti, come ha dimostrato Stok, 1998).

Eccettuato un secondo viaggio a Firenze intorno al 1394, dalla fine del 1390 fino al 1397 risiedette a Padova, dedicandosi agli studi letterari e praticando uno stile di vita ascetico (Epistolario..., 1934, pp. 85, 107); il 30 settembre di ogni anno ricordava la figura di san Girolamo, cui, per tradizione familiare, tributò speciale onore: una raccolta di dieci sermoni celebrativi del santo, composti fra il 1392 e il 1408, fu edita da John M. McManamon (1999).

La commedia di ispirazione terenziana Paulus. Ad iuvenum mores corrigendos, composta nell’ultimo periodo bolognese o in quello seriore padovano, dimostra l’interesse di Vergerio per la pedagogia: il protagonista, un giovane universitario di buona famiglia, ma di fragile volontà, trascorre in Bologna un’esistenza disordinata; lontano dal padre, è traviato dal suo servitore Herotas, il quale impersona ideali antitetici a quelli di Vergerio stesso. Esplicito è il risvolto critico nei confronti dell’istituzione universitaria, la quale non provvedeva all’educazione morale dei giovani.

All’ultimo decennio del XIV secolo risalgono alcuni lavori di carattere filologico: l’edizione dell’Africa petrarchesca, poema incompiuto la cui divulgazione era stata auspicata da Salutati; Vergerio ricevette tale incarico dagli estimatori padovani del poeta, i quali gli trasmisero l’autografo: ne fu tratto un testo corredato di tutte le annotazioni petrarchesche, provvisto di argumenta metrici composti da Vergerio. Il lavoro fu ultimato nel novembre del 1396; il testimone più prossimo all’esemplare di Vergerio (Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, Acquisti e Doni 441) è stato individuato e studiato da Vincenzo Fera (1984).

L’edizione dell’Africa non implicava sentimenti reverenziali nei confronti di Francesco Petrarca: infatti, in una lettera indirizzata idealmente al poeta in data 1° agosto 1394 e scritta a nome di Cicerone (Epistolario..., 1934, pp. 436-445), Vergerio controbatteva alle critiche mosse da Petrarca stesso a Cicerone (Familiares..., XXIV, 3), promuovendo le ragioni dell’impegno politico dell’oratore contro gli ideali di otium decantati da Petrarca; il divario fra i due fu avvertito da Giuseppe Billanovich (1947, p. 383), che stigmatizzò Vergerio come uno dei «clienti più frigidi» di Petrarca.

Poco posteriore alle cure petrarchesche sembra essere il trattato De re metrica (alcuni excerpta furono pubblicati da Remigio Sabbadini, 1904), composto insieme all’amico Zabarella e trasmesso dal codice della Biblioteca nazionale Marciana, Marc. lat., XIII 41 (4729), databile alla fine del XIV secolo (alla c 1r è dichiarata la condivisa paternità dell’opera); il suddetto manoscritto, la cui mano principale è stata erroneamente ritenuta di Vergerio, fu postillato da Pietro da Montagnana (Gamba, 2016, pp. 456 s.). L’Odissea latina tràdita dal codice della Biblioteca Marciana, Marc. lat., XII 23 (3946), come dimostrato da Ezio Franceschini e Agostino Pertusi (1959), è una retractatio della traduzione di Leonzio Pilato; la paternità vergeriana (finora misconosciuta) è avvalorata da più indizi: dagli interventi correttorii autografi di Vergerio; dalla sicura conoscenza da parte di Vergerio della traduzione leontea (come dichiarato in Epistolario..., 1934, pp. 241 s.); dal fatto che il manoscritto fu fatto trascrivere dall’amico Zabarella (così la nota alla c. 108v: «Franciscus de Zabarellis feci scribi 1398»). Poiché la retractatio dimostra incerte cognizioni linguistiche, può essere anch’essa un lavoro riferibile all’ultimo decennio del Trecento, precedente all’incontro con Manuele Crisolora, alla cui scuola Vergerio avrebbe consolidato l’apprendistato del greco (v. Venier, 2020).

Dal 1397 ricominciò a viaggiare: prima si recò a Bologna (da qui indirizzava una lettera a Lodovico Alidosi in difesa degli studi classici); poi nel 1398, al seguito di Zabarella, fu a Roma, dove strinse amicizia con il cardinale Cosma Migliorati, futuro Innocenzo VII; rientrato per breve tempo a Bologna, nell’autunno del 1398 si recò per la terza volta a Firenze, con lo scopo di seguirvi le lezioni di Crisolora, ma quando il maestro bizantino al principio del 1400 lasciò Firenze, Vergerio rientrò a Padova, dove restò, salvo brevi intervalli, sino al 1405. Agli anni 1401-02 risale l’opera sua più fortunata, il De ingenuis moribus et liberalibus studiis adulescentiae, primo trattato di pedagogia umanistica, di cui sono censiti oltre 235 manoscritti e più di 40 edizioni a stampa (McManamon, 2016, pp. 83-90).

Il dedicatario, Ubertino, terzogenito di Francesco Novello da Carrara, è un nobile, promesso a un’alta responsabilità civile, e i cui antenanti sono spesso evocati quali modello di riferimento; fine della pedagogia vergeriana è la virtù identificata nella temperanza; essa ha il suo contrario nella voluptas; alla realizzazione della virtù sono tramite la filosofia morale, la storia e l’eloquenza (discipline la cui centralità, secondo un principio di ascendenza petrarchesca, prevale sulla partizione medievale del trivio e del quadrivio), nonché l’esercizio delle armi, e i passatempi giudicati più convenienti. Se l’ideale del trattato è dunque aristocratico (e ciò in coerenza allo status del destinatario), il De ingenuis moribus non è una institutio principis, poiché spesso vi è richiamata la necessità che tutti i giovani, non solo i più facoltosi e i nobili, abbiano un’educazione che li conduca alla virtù (Favero, 2012, p. 64).

Alla vigilia della caduta dei Carraresi risale il De principibus Carrariensibus et gestis eorum liber, raccolta di biografie dei rappresentanti della dinastia che governò Padova dal 1318; la paternità vergeriana, contestata da Leonardo Smith (Epistolario..., 1934, p. XXII), è stata invece suffragata da McManamon (1996, p. 109); l’opera s’interrompe alla signoria di Giacomo II, e non contempla né la figura di Francesco il Vecchio né quella di Francesco Novello (il completamento fu impedito dal tracollo della dinastia).

Grazie a Zabarella, che nel 1400 gli aveva dedicato il trattato De felicitate (come è detto nella soscrizione alle pp. 224 s. del manoscritto di Padova, Biblioteca del Seminario Vescovile, 196), Vergerio ottenne nel 1404 il titolo di arcidiacono nel capitolo di Piove di Sacco: ciò prova il suo già acquisito stato di chierico. Nel 1405 a Padova ricevette il dottorato in medicina e in utroque, ma non avendo ancora una posizione economica solida, intorno al 1405 si trasferì a Roma, dove si interessò alle sorti della chiesa, sollecitando una riforma e la fine dello scisma; compose alcuni appassionati discorsi, tra cui il Pro redintegranda uniendaque Ecclesia, del novembre 1406. Visse come familiare di Innocenzo VII (che aveva conosciuto nel 1398 e che gli concedette un canonicato a Ravenna; v. Revest, 2012 p. 292) e poi di Gregorio XII, cui rimase fedele e che seguì fino a Cividale del Friuli, per la celebrazione del concilio, ciò nonostante quello fosse stato condannato dai cardinali secessionisti, e nonostante Vergerio fosse inviso agli stessi gregoriani: il 18 luglio 1409, a Venezia, subì un arresto motivato dalla sospetta intenzione di raggiungere i cardinali riunitisi a Pisa. Fallito il concilio cividalese e svanite le speranze di un incarico fruttuoso, Vergerio si ritirò a Capodistria (1409). Di qui scriveva nel 1411 a Zabarella per la di lui promozione al cardinalato (Epistolario..., 1934, pp. 330-332). Nel 1414 aveva di nuovo lasciato la sua città, ed era a Bologna con Zabarella: entrambi partirono quindi alla volta di Costanza.

Dalla prima sessione del concilio, Vergerio fu eletto tra i quattro votorum scrutatores e si avvicinò presto a Sigismondo di Lussemburgo: nel luglio del 1415 era infatti al suo seguito nella conferenza di Perpignano, per negoziare l’abdicazione di Benedetto XIII, e seguì il re in un viaggio subito successivo nel Nord Europa. Rientrato a Costanza al principio del 1417, il 10 agosto di quell’anno pubblicando le Quaestiones de ecclesiae potestate si schierò a favore della tesi, sostenuta da Sigismondo, di una riforma anteposta all’elezione del pontefice: ciò gli procurò il risentimento del collegio cardinalizio e l’accusa di eresia hussita. Il successivo 2 settembre morì Zabarella, e ciò anche spiega perché Vergerio, concluso il concilio e rimasto senza il suo più autorevole protettore, scegliesse di seguire Sigismondo in Ungheria: lì avrebbe vissuto per ben ventisei anni, fino alla morte.

Questa seconda parte della sua esistenza è pochissimo documentata; alla corte di Sigismondo, dove erano attivi altri italiani, come Brunoro della Scala e Ognibene Scola, svolse mansioni coerenti alla sua laurea in utroque: così il 16 agosto 1420, a Kutna Hora, presso Praga, fu tra i promulgatori della bolla susseguente al decreto con cui Martino V aveva decretato la crociata contro gli hussiti; e nella controversia con gli hussiti fu oratore ufficiale di parte cattolica. Tra il 1424 e il 1425 è testimoniata la sua presenza alle assise di Budapest, Visegrad e Tata convocate da Sigismondo.

Ultimo suo lavoro umanistico fu la traduzione latina di Arriano, commissionatagli da Sigismondo e risalente agli anni 1433-37 (Epistolario..., 1934, pp. 379-384), dal cui autografo, pervenuto al Piccolomini e oggi perduto, furono tratte alcune copie, tra cui il codice di Parigi, Bibliothèque nationale de France Nouv. acqu. lat., 1302 (Tournoy, 2006).

Il 3 maggio 1444 dettò il testamento (pubblicato in Epistolario..., 1934, pp. 463-471); morì a Budapest l’8 luglio 1444.

Alcuni suoi libri, ereditati da Johannes Vitez, sono stati individuati in varie biblioteche europee (Csapodi-Gárdonyi, 1984).

Fonti e Bibl.: P.P. V. Vitae Carrariensium principum. Orationes et Epistolae, in RIS, XVI, Milano 1730, p. 111, col. 242; C.A. Combi, Un discorso inedito di P.P. V. il Seniore di Capodistria, in Archivio storico per Trieste, l’Istria e il Trentino, I (1882), pp. 360-374; R. Sabbadini, La metrica e prosodia latina di Francesco Zabarella, in La biblioteca delle scuole italiane, n.s., IX-X (1904), 2, pp. 3-5, 12, pp. 5-8; Quaestiones de ecclesiae potestate, in Acta Concilii Constanciensis, III, a cura di H. Finke, Münster 1926, pp. 667-669; Epistolario di P.P. V., a cura di L. Smith, Roma 1934; F. Banfi, P.P. V. il vecchio in Ungheria, in Archivio di scienze, lettere ed arti della Società italo-ungherese Mattia Corvino, I (1939), 2, pp. 2-29; C. Marchente, Ricerche intorno al De principibus Carrariensibus et gestis eorum liber attribuito a P.P. V. seniore, Padova 1946; G. Billanovich, Lo scrittoio del Petrarca, Roma 1947, p. 383; E. Franceschini - A. Pertusi, Un’ignota Odissea latina dell’ultimo trecento, in Aevum, XXXIII (1959), 4, pp. 323-355; A. Perosa, Per una nuova edizione del Paulus del V., in L’Umanesimo in Istria, a cura di V. Branca - S. Graciotti, Firenze 1983, pp. 273-356 (sulla tradizione del Paulus); C. Csapodi-Gárdonyi, Die Bibliothek des Johannes Vitez, Budapest 1984, pp. 18-28; V. Fera, Antichi editori e lettori dell’Africa, Messina 1984, pp. 83-104; J.M. McManamon, P. V. the Elder. The humanist as orator, Tempe 1996; M. Katchmer, P.P. V. and the Paulus, a Latin Comedy, New York 1998; F. Stok, P.P. V., Niccolò Perotti e la traduzione del Giuramento di Ippocrate, in Studi umanistici piceni, XVIII (1998), pp. 167-175; A. Grafton - N.G. Siraisi, Natural particulars: nature and the disciplines in Renaissance Europe, Cambridge (Mass.) 1999, pp. 101 s.; J.M. McManamon, P. V. the Elder and Saint Jerome: an edition and translation of Sermones pro sancto Hieronymo, Tempe 1999; J. Hankins, The study of the Timaeus in early Renaissance Italy, in Id., Humanism and Platonism in the Italian Renaissance, II, Roma 2004, p. 124, n. 50; J. Tournoy, La storiografia greca nell’umanesimo: Arriano, P.P. V. e Enea Silvio Piccolomini, in Humanistica Lovaniensia, LV (2006), pp. 1-8; A. Favero, Sul “De ingenuis moribus et liberalibus studiis adulescentiae” di P.P. V. il Vecchio, tesi di dottorato, Università di Trieste 2012; C. Revest, P.P. V. l’ancien face à la crise de l’église: de la mêlée à l’exil (c. 1398-1417), in Humanistes, clercs et laïcs dans l’Italie du XIIIe au début du XVIe siècle, études réunies par C. Caby - R.M. Dessì, Turnhout 2012, pp. 271-296; Ρ. Δημοπουλου, P.P. V.: Paulus, in Rideamus igitur: το χιούμορ στη λατινική γραμματεία. Atti del Convegno... 2011, Αtene 2014, pp. 325-332; G. Nemeth - A. Papo, P.P. V. il vecchio, ‘referendario’ dell’imperatore Sigismondo di Lussemburgo, in Crisia, XLV (2015), pp. 67-75; E. Gamba, Pietro da Montagnana: la vita, gli studi, la biblioteca di un homo trilinguis, tesi di dottorato, Università di Padova, 2016, pp. 456 ss.; J.M. McManamon, Research Aids: P. V. the Elder, 2016, https://www. luc.edu/media/lucedu/history/pdfs/Vergerio%20Research%20Aids%20Database.pdf (7 aprile 2020); C.S. Díaz, El ideal de joven humanista en el Paulus de P.P. V., in Cuadernos de Investigación en Juventud, VI (2019), http://investigacionenjuventud.org/?cat =13121 (7 aprile 2020); M. Venier, V. e Zabarella: fra autentici e presunti autografi, in Diritto, Chiesa e cultura nell’opera di Francesco Zabarella. 1360-1417, a cura di C.M. Valsecchi - F. Piovan, Milano 2020, pp. 336-349.

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