Movimento, verbi di

Enciclopedia dell'Italiano (2011)

movimento, verbi di

Erling Strudsholm

Definizione

I verbi di movimento (o di moto) esprimono in vari modi il cambiamento di posizione di un’entità da un punto a un altro nello spazio o, figuratamente, nel tempo.

Darne una definizione precisa non è facile, così come è difficile delimitare il campo semantico del movimento. Una possibile definizione si basa sull’intuizione di che cosa esprime un movimento. Infatti, anche se le grammatiche trattano spesso i verbi di movimento come una categoria a sé stante, essi sono affrontati non in sé ma in relazione ad altri fattori, come la scelta dell’ausiliare o della preposizione adatta ai diversi complementi di moto. In una grammatica danese della lingua italiana (Bach & Schmitt Jensen 1990: 641), ad es., nel capitolo dedicato agli ausiliari temporali sono riportati in ordine alfabetico i seguenti verbi di movimento:

(1) affondare, andare, approdare, arrivare, ballare, balzare, cadere, camminare, cavalcare, correre, emigrare, entrare, giungere, nuotare, partire, passare, passeggiare, penetrare, pervenire, rincasare, ritornare, riuscire, salire, saltare, sbarcare, scappare, scendere, scivolare, scorrere, sparire, tornare, uscire, venire, viaggiare, volare

Dardano & Trifone (1997: 132, 353 segg.) indicano i seguenti verbi nei loro esempi di complementi di moto a, moto da o moto per luogo:

(2) andare, arrivare, cadere, correre, dirigersi, entrare, fuggire, girare, giungere, partire, passare, rimettere, ritornare, salire, scendere, tornare, trasferirsi, uscire, venire

Siccome a questi verbi se ne possono facilmente aggiungere altri, ad es. sedersi e alzarsi, avvicinarsi e allontanarsi, gli elenchi di verbi di movimento citati non formano un inventario completo, ma compongono una lista aperta.

Fra i verbi finora menzionati ce ne sono diversi che hanno una frequenza d’uso molto alta. A giudicare dalle liste di frequenza estratte da tre differenti corpora (due orali e uno scritto: Cresti & Moneglia 2005: 105; ➔ corpora di italiano), fra i cento verbi più frequenti sono presenti, in tutte e tre le liste, i seguenti, qui elencati in ordine di frequenza:

(3) andare, venire, partire, arrivare, portare, entrare, passare, riuscire, tornare, seguire, uscire

Appaiono invece solo in una o due liste i verbi capitare, mandare, camminare, attraversare, raggiungere, apparire e ritornare.

In quel che segue, tratteremo i verbi di movimento di maggiore frequenza di uso, privilegiando in particolare quelli che formano coppie complementari.

Proprietà dei principali verbi di movimento

2.1 Andare e venire

I verbi andare e venire, che sono fra i nove più frequenti delle tre liste sopra menzionate, descrivono un movimento nello spazio di riferimento. Entrambi sono verbi di movimento deittici (Ricca 1993; Vanelli & Renzi 1995: 278; ➔ deittici), in quanto il primo esprime un movimento verso un luogo lontano dal parlante o dall’interlocutore, il secondo verso un luogo vicino. Sia andare che venire hanno un ruolo nella morfologia verbale, in quanto operano come ausiliari della ➔ diatesi passiva, che in italiano, a differenza della forma sintetica latina, è sempre rappresentata da forme analitiche con ausiliare: oltre a essere, i due verbi menzionati andare e venire + participio passato.

Il significato di base di andare è quello di «muoversi, spostarsi», detto anche di mezzi di trasporto (auto, treno, aereo), da un luogo all’altro; spesso, con «un complemento di moto a luogo, spostarsi verso un luogo» (GRADIT 1999-2007: I, 265-266), quindi con un’esplicitazione della direzione del movimento:

(4) perché non andiamo in città, qualche volta? (Ginzburg 1961: 85)

(5) era stato il medico libanese a chiederle di andare a Beirut (Maggiani 1995: 247)

In molti casi essi occorrono anche con un complemento di modo indicante il mezzo di locomozione (a piedi, in treno, a cavallo, in aereo, ecc.):

(6) vado, di solito, con l’autobus (Ginzburg 1961: 25)

(7) da Firenze va in macchina, va in auto (LIP 1993: FC 5)

(8) non sapevo […] che la vita potesse andare di corsa (Ginzburg 1961: 1059)

Andare è anche figuratamente usato per esprimere il trascorrere del tempo e lo svolgersi di un evento:

(9) per molti anni le cose andarono bene (Maraini 2004: 77)

(10) allora dunque sa che lo scritto è andato bene (LIP 1993: RA 9)

Unito con un complemento di fine (a o per + infinito), andare ha anche il significato di «spostarsi con un fine determinato, per fare qualcosa»:

(11) prima o poi sarebbe andata a trovare questo padre sconosciuto (Maraini 2004: 151)

(12) il Purillo andò a chiamare un medico (Ginzburg 1961: 42)

Il significato di venire è «muoversi, recarsi nel luogo in cui si trova o dove va la persona con cui si parla o la persona che parla» (GRADIT 1999-2007: VI, 987):

(13) il Tommasino prese a venire da noi ogni sera (Ginzburg 1961: 109)

(14) alzò gli occhi e lo vide venire verso di sé (Maraini 2004: 149)

Detto di momenti del tempo o di date precise, venire ha il significato di «arrivare, avvicinarsi»:

(15) è venuto il momento di scrivere un nuovo romanzo (Maraini 2004: 10)

(16) venne dunque la primavera (Maggiani 1995: 256)

Anche venire può avere il significato di «muoversi per raggiungere uno scopo», spesso con a o per + infinito:

(17) il Tommasino mi venne ad aprire (Ginzburg 1961: 118)

(18) la Xenia lasciò Villa Rondine, dove venne ad abitare il Purillo (Ginzburg 1961: 65)

Per riassumere, andare si usa quando il soggetto del verbo è diverso dal parlante e dall’ascoltatore e nessuno dei due si trova nel luogo di arrivo del movimento, o quando il soggetto del verbo coincide con il parlante e l’ascoltatore non si trova nel punto di arrivo del movimento e viceversa; si usa venire se il soggetto del verbo coincide con il parlante e l’ascoltatore si trova nel punto d’arrivo del movimento e viceversa.

I due verbi sono quindi semanticamente complementari nella specificazione della direzione. Alcuni esempi in cui occorrono entrambi servono a illustrare la differenza a proposito dell’orientamento della direzione del movimento espresso:

(19) veniamo in città, ma poi andiamo sempre in cerca della campagna (Ginzburg 1961: 85)

(20) lui per esempio l’altra mattina è venuto a prenderla, sono andati al tennis (Ginzburg 1961: 99)

Infine, in alcuni casi i due verbi di movimento sembrano contravvenire alle loro regole d’uso, ad es. quando un dottore dica: venga da me in studio trovandosi da tutt’altra parte rispetto allo studio stesso. Questi casi si spiegano col fatto che di norma il dottore si trova nel suo studio; il parlante, sapendo che alcune sue caratteristiche sono per così dire ‘stabili’, prevedibili, sposta l’origo (➔ deittici) del suo discorso nel punto in cui, in un momento diverso da quello nel quale parla, verosimilmente si troverà o si è trovato.

Come si è detto, in più contesti sia andare che venire hanno funzione di verbo ausiliare (➔ ausiliari, verbi), sia con il participio passato sia con il gerundio e l’infinito:

andare                                                venire

participio        il libro va restituito                     viene rispettato da tutti

passato          al proprietario

gerundio         andava dicendo che                  mi vengo persuadendo che

l’avevano truffato                       è impossibile lavorare con lui

infinito            lo spettacolo va                          mi viene da piangere

a cominciare

In combinazione con il participio passato, sia andare che venire intervengono come ausiliari nelle costruzioni della diatesi passiva (➔ passiva, costruzione). Seguito da un participio passato, venire può infatti sostituire essere come ausiliare della diatesi passiva, ma solo nei ➔ tempi semplici:

(21) il personaggio berrà il caffè che gli viene offerto (Maraini 2004: 9)

(22) ma in quello che le veniva letto mancava la parte più importante (Maggiani 1995: 287)

Come ausiliare del passivo andare ha due accezioni, una modale (➔ modalità) e una aspettuale (➔ aspetto). Nell’uso modale (23) esprime una necessità, un obbligo, un dover essere; in quello aspettuale (24) esprime un aspetto risultativo. Quest’ultimo uso è possibile solo con un numero limitato di verbi appartenenti tutti alla sfera della perdita e della distruzione. Stilisticamente l’uso aspettuale appartiene a un livello abbastanza elevato della lingua, mentre l’uso modale appare anche nel parlato:

(23) poi ho fatto quello che andava fatto (Maggiani 1995: 258)

(24) sono andati persi, li ho bruciati, sono marciti (Maggiani 1995: 283)

Sia andare sia venire + gerundio formano perifrasi verbali (➔ perifrastiche, strutture), indicando azioni ripetute o continuative (➔ iterazione, espressione della): è la cosiddetta perifrasi continua (Bertinetto 1991: 138 segg.):

(25) i libri che andavo consultando ai tempi delle mie ricerche su Pascal (Maggiani 1995: 246)

(26) il gallo, a sentirlo, si veniva persuadendo di ciò che gli stava dicendo la perfida volpe (www.pugliainfavola.it)

Inoltre andare e venire formano costrutti perifrastici con a + infinito: andare a + infinito significa «stare per, essere sul punto di»:

(27) proprio su quest’ultima area si concentra il commento di Elia, nostro collaboratore che ora andiamo a sentire (www.ecn.org)

(28) e tu lo sai come va a finire, vero? (Maggiani 1995: 276)

Va notato che la formula andare a finire è una frase fatta; mentre andare a sentire nel senso di futuro immediato è sentito come piuttosto burocratico e retorico.

Venire da + infinito (a qualcuno) in forma impersonale ha il significato di «sentire l’impulso di qualcosa» e appare in una varietà di costruzioni (venire da piangere, venire da vomitare, ecc.):

(29) Zaira alla fine si era sentita così leggera che le veniva da piangere (Maraini 2004: 150)

Venire a + infinito esprime il raggiungimento di un risultato, e ha quindi aspetto risultativo. Il costrutto sembra limitato a pochi verbi: venire a costare, venire a sapere, venire a mancare, sicché è forse il caso di parlare non di un uso perifrastico, ma di espressioni fisse:

(30) Pascal venne a sapere che possedere e recingere pascoli e campi di orzo e di frumenti era grave peccato verso il signor Iddio (Maggiani 1995: 209)

(31) spesso non tornavano affatto e dopo anni si veniva a sapere che avevano preso un’altra moglie e messo al mondo altri figli (Maraini 2004: 156)

Comunque il seguente esempio mostra anche l’uso di un altro verbo:

(32) come si può dire vengono ad arricchirsi a formarsi appunto questa questa questa nuova classe (LIP 1993: RC9)

Sia andare che venire rientrano in numerose espressioni idiomatiche (➔ modi di dire) e polirematiche (➔ polirematiche, parole), come ad es. andare via, andare a finire male, andare avanti, venire in mente, ecc.:

(33) il personaggio di solito saluta e se ne va (Maraini 2004: 9)

(34) non intende andare via (Maraini 2004: 10)

(35) non sono mai andato più avanti di un paio di capitoli (Maggiani 1995: 136)

(36) le è venuto in mente di chiedere aiuto (Maraini 2004: 11).

Partire e arrivare

Un’altra coppia di verbi complementari è costituita da partire e arrivare: partire ha il significato di «allontanarsi da un luogo o da una persona, specialmente per un certo periodo di tempo e percorrendo una considerevole distanza» (GRADIT 1999-2007: IV, 846-847); arrivare significa «giungere in un luogo, alla fine di un itinerario, di un percorso, di un viaggio» (GRADIT 1999-2007: I, 421). Spesso i due verbi sono usati con indicazione del mezzo: partire / arrivare a piedi / in treno:

(37) e tra le tante cose era successo che ero partito per andare a vedere il paese di mio padre (Maggiani 1995: 36)

(38) i fratelli Battistini erano arrivati ad Alessandria dal paese di mio padre (Maggiani 1995: 37)

(39) dieci minuti dopo è arrivata con un vassoio in mano, la stessa faccia stramba e il dottor Modrian alla calcagna.

Nel frattempo, nel trascorrere di quei dieci minuti, ero arrivato alla conclusione che qualunque accidenti di malattia mi avesse tenuto chiuso a fantasticare in quel posto, era arrivato il momento di decidere che io non stavo male (Maggiani 1995: 259)

D’altro canto arrivare ha funzione di verbo fraseologico (➔ fraseologici, verbi), e nella costruzione arrivare a + infinito significa «riuscire, spingersi oltre» un limite accettato:

(40) è tragico io arrivo a fa’ nu film e tre ore io io so stato tradito (LIP 1993: NE13).

Salire e scendere

Mentre salire ha il significato di «andare su, spostarsi verso l’alto, specialmente con movimento graduale» (GRADIT 1999-2007: V, 825), scendere ha il significato opposto di «muoversi, procedere dall’alto verso il basso con movimento graduale» (GRADIT 1999-2007: V, 955). Entrambi i verbi alludono al movimento compiuto «a piedi o con un mezzo di locomozione» o, in senso figurato (relativo cioè a numeri, valori, prezzi, temperature), significano «aumentare» o, all’inverso, «diminuire, perdere valore»:

(41) c’è più fresco soprattutto se si sale in alto (LIP 1993)

(42) scendeva al mercato per comprare le arance (Maraini FC5 2004: 157)

Tutti e due hanno anche un uso transitivo: «percorrere in salita» e «percorrere verso il basso»:

(43) così tanto che ho salito la vecchia scala di legno quasi di corsa (Maggiani 1995: 264)

(44) sembrano zombi che salgono le scale (LIP 1993: RA3).

Entrare e uscire

Verbi complementari con significati opposti sono anche entrare («passare dall’esterno all’interno, andare dentro»: GRADIT 1999-2007: II, 870) e uscire («andare, venire fuori da un ambiente chiuso o comunque da un’area circoscritta, specialmente con l’indicazione del luogo dal quale si esce o in cui si va»: GRADIT 1999-2007: VI, 923):

(45) io cercavo il modo di uscire da un luogo in cui ero entrato incosciente (Maggiani 1995: 264)

In diverse forme di ➔ italiano regionale meridionale (Campania, Sicilia, Puglia) entrare e uscire si presentano anche con un uso transitivo, rispettivamente nel senso di «fare entrare, portare dentro» (entrare il cane: GRADIT 1999-2007: II, 870) e di «fare uscire, portare fuori» (uscire il bambino: GRADIT 1999-2007: VI, 923).

Passare, tornare

Altri verbi di movimento di alta frequenza sono passare, che ha il significato di «transitare per un luogo o uno spazio, attraversando senza fermarsi» (GRADIT 1999-2007: IV, 856) e tornare, con il significato di «riportarsi nel luogo da cui si è partiti o ci si è allontanati» (GRADIT 1999-2007: VI, 724):

(46) il generale Sartorio era passato accanto a noi (Ginzburg 1961: 9)

(47) passammo a prendere caffè in salotto (Ginzburg 1961: 101)

(48) non so come ho fatto ogni volta a tornare indietro (Maggiani 1995: 167)

(49) quando tornò dall’America, il Vincenzino era molto cambiato (Ginzburg 1961: 43).

Camminare, correre

Mentre camminare ha il significato di base di «spostarsi muovendo passi, procedere andando a piedi», detto anche «di veicoli, imbarcazioni e simili, muoversi, andare avanti» (GRADIT 1999-2007: I, 869), il significato di correre è «di persona o animale: andare, muoversi velocemente, specialmente con un passo tale per cui per un istante nessuno dei piedi o delle zampe tocca terra», o anche, «di veicolo, procedere a forte velocità» (GRADIT 1999-2007: II, 350):

(50) camminavamo sul viale del nostro giardino (Ginzburg 1961: 11)

(51) camminò a lungo nel buio guidato dalle voci che udiva intorno a sé (Maggiani 1995: 205)

(52) tornata a casa, corse a raccontarlo alla zia Ottavia (Ginzburg 1961: 109).

Tratti comuni di alcuni verbi di movimento

Un tratto comune di più verbi di movimento è il fatto di appartenere al gruppo di verbi cosiddetti a ristrutturazione, che cioè permettono lo spostamento a sinistra del clitico (➔ clitici) rispetto all’infinito del verbo (vado a prenderlo, ma anche lo vado a prendere). Ciò vale per andare e venire, ma anche per correre e tornare:

(53) non se ne separava mai, tranne che per la scuola, ma subito lo correva a prendere, una volta finite le lezioni! (www.efpfanfic.net)

(54) lo torniamo a ripetere, questa operazione annulla la garanzia della stampante (www.lamiastampante.it)

Altro tratto comune di molti verbi di movimento è il fatto che formano verbo sintagmatico con un avverbio di direzione (Simone 1996: 53; Simone 2009; ➔ sintagmatici, verbi): andare via, correre via, scappare via, ecc.:

(55) il gatto lo prese e scappò via di corsa (Malerba 1980: 62).

Verbi di movimento nelle lingue romanze e germaniche

Secondo la classica tipologia dei verbi di movimento elaborata da Talmy (1975), le espressioni di movimento sono strutturate in due modi diversi nelle lingue romanze e in quelle germaniche. Mentre le lingue romanze focalizzano generalmente la direzione (come succede, ad es., nei verbi italiani), le lingue germaniche (come succede nei verbi inglesi) focalizzano il modo in cui il movimento si svolge:

direzione                                                     modo

italiano          inglese                                           italiano                     inglese

entrare         to go in                                        andare a piedi             to walk

uscire          to go out                                       andare a cavallo         to ride

salire          to go up                                         andare in macchina    to drive

scendere    to go down                                    andare in aereo           to fly

Per una trattazione generale di natura tipologica, vedi Ricca (1993).

Fonti

Ginzburg, Natalia (1961), Le voci della sera, Torino, Einaudi.

GRADIT (1999-2007) = De Mauro, Tullio (dir.), Grande dizionario italiano dell’uso, Torino, UTET, 8 voll.

LIP (1993) = De Mauro, Tullio et al., Lessico di frequenza dell’italiano parlato, Milano, ETAS libri (http://badip.uni-graz.at/).

Maggiani, Maurizio (1995), Il coraggio del pettirosso, Milano, Feltrinelli.

Malerba, Luigi (1980), Le galline pensierose, Torino, Einaudi.

Maraini, Dacia (2004), Colomba, Milano, Rizzoli.

Studi

Bach, Svend & Schmitt Jensen, Jørgen (1990), Større italiensk grammatik, København, Munksgaard.

Bertinetto, Pier Marco (1991), Il verbo, in Renzi, Salvi & Cardinaletti 1988-1995, vol. 2º, pp. 13-161.

Cresti, Emanuela & Moneglia, Massimo (edited by) (2005), C-Oral-Rom. Integrated reference corpora for spoken Romance languages, Amsterdam - Philadelphia, John Benjamins.

Dardano, Maurizio & Trifone, Pietro (1997), La nuova grammatica della lingua italiana, Bologna, Zanichelli.

Renzi, Lorenzo, Salvi, Giampaolo & Cardinaletti, Anna (a cura di) (1988-1995), Grande grammatica italiana di consultazione, Bologna, il Mulino, 3 voll., vol. 2° (I sintagmi verbale, aggettivale, avverbiale. La subordinazione), vol. 3° (Tipi di frasi, deissi, formazione delle parole).

Ricca, Davide (1993), I verbi deittici di movimento in Europa: una ricerca interlinguistica, Firenze, La Nuova Italia.

Simone, Raffaele (1996), Esistono verbi sintagmatici in italiano?, «Cuadernos de filología italiana» 3, pp. 47-61.

Simone, Raffaele (2009), Verbi sintagmatici come costruzione e come categoria, in I verbi sintagmatici in italiano e nelle varietà dialettali. Stato dell’arte e prospettive di ricerca. Atti delle giornate di studio (Torino, 19-20 febbraio 2007), a cura di M. Cini, Frankfurt am Main, Lang, pp. 13-30.

Talmy, Leonard (1975), Semantics and syntax of motion, New York - San Francisco - London, Academic Press, 1972-2008, 36 voll., vol. 4º, edited by J.P. Kimball, pp. 181-238.

Vanelli, Laura & Renzi, Lorenzo (1995), La deissi, in Renzi, Salvi & Cardinaletti 1988-1995, vol. 3°, pp. 261-375.

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