Vassallaggio

Dizionario di Storia (2011)

vassallaggio


Nel mondo feudale, mutuo rapporto di fedeltà e protezione che si istituiva tra due persone, entrambe libere, l’una delle quali, il vassallo appunto, si sottometteva all’autorità di un’altra, detta senior (fr. suzerain), promettendogli fedeltà e aiuto in campo militare e giudiziario (auxilium et consilium) in cambio di una protezione che aveva anche un preciso contenuto economico. Il v. rappresenta uno degli elementi costitutivi di quel complesso di istituzioni medievali noto abitualmente sotto il nome di : una costruzione però, quest’ultima, della quale gli storici denunciano il carattere in buona parte artificioso e astratto, frutto più della disamina di trattati giuridici che dei concreti rapporti esistenti nella società medievale. Nonostante che il v. sia tipico del Medioevo, le sue radici possono essere individuate già in istituzioni romane (per es., nel rapporto di patronato tra un latifondista e i suoi dipendenti o, meglio, in quello che legava senatori e generali ai membri delle loro milizie private, i buccellarii) e in istituzioni germaniche arcaiche, nel legame che, all’interno del comitatus, univa un capo ai suoi guerrieri. Le origini del v. sono piuttosto umili e vanno cercate nella zona d’ombra tra libertà e servitù; ciò che trasportò definitivamente il v. nel mondo dei liberi, e poi in una sfera sociale elevata, fu la netta caratterizzazione in senso militare che esso assunse con il passare del tempo. In tal modo esso si distinse progressivamente dai numerosi legami di dipendenza fra gli uomini che si moltiplicarono, durante i secoli dell’Alto Medioevo, nei diversi regni romano-germanici, in presenza di uno scarso sviluppo delle istituzioni pubbliche; legami definiti, all’interno del regno franco, con una parola piuttosto generica, accomendationes, e fra i quali vanno compresi inizialmente gli stessi rapporti di vassallaggio. Fu proprio nel regno franco che, nel corso della seconda metà del sec. 7°, il v. assunse una sua precisa fisionomia istituzionale, distinguendosi nettamente dagli altri tipi di rapporto fra gli uomini, che da allora in poi furono confinati nella sfera servile e della subordinazione contadina, queste ultime proprie soprattutto dei rapporti interni alla . La fortuna del v. si lega all’ascesa dei vassalli, nome assunto dalle clientele armate della parte più settentrionale del regno e in particolare dell’Austrasia, la regione che espresse la dinastia dei più forti maestri di palazzo, i Pipinidi-Arnolfingi (poi, da Carlomagno, detti Carolingi). La presa del potere da parte dei maestri di palazzo d’Austrasia portò alla diffusione in tutto il «gran regno» franco delle istituzioni tipiche dell’aristocrazia fondiaria del Nord, e così il v. cominciò a uniformare a sé tutti i legami militari e clientelari tra uomini liberi, soppiantando quelli tipici dell’età merovingia (leudes, antrustiones ecc.) e assumendo progressivamente un connotato aristocratico più spiccato. La fondazione dell’impero carolingio diffuse poi il v. in Italia, Germania, Spagna del Nord; le successive conquiste normanne lo fecero penetrare in Inghilterra e le crociate lo diffusero in Oriente. La prima descrizione di una cerimonia di entrata in v. ci è tramandata dagli Annales regni Francorum in relazione all’anno 757, quando il duca di Baviera, Tassilone, divenne vassallo del re franco Pipino. Già allora il rito doveva comprendere l’immixtio manuum, la «mescolanza delle mani»: il vassallo metteva le sue mani in quelle del signore per indicare la sua completa subordinazione. Il legame di v. aveva inizialmente un codice di valori che è espresso dalle fonti solo in senso negativo (non si doveva fare violenza al vassallo; questi non doveva abbandonare il suo signore; ecc.) finché, nel corso del sec. 9°, esso si caricò di valori morali più alti, ispirati all’etica cristiana. Il legame di v. assunse inoltre ben presto una valenza politica in quanto i vassi dominici, ossia i vassalli del re (o imperatore), ebbero funzioni politiche; ma il v. non fu mai, in sé, una carica politica, né va in alcun modo confuso con quelle di conte, marchese, duca, che potevano essere (e in genere erano) vassalli del re, ma in cui le due funzioni erano distinte pure se coesistenti nella medesima persona. La contropartita economica del rapporto di v., dopo una prima e più antica fase in cui essa consisteva nel puro e semplice mantenimento del vassallo da parte del signore, prese la forma del beneficio o , una rimunerazione che, nei casi più frequenti, assunse la forma di una concessione fondiaria. Tale concessione aveva un carattere secondario se paragonata all’aspetto personale del rapporto vassallatico; ma quando essa superò i limiti della vita del vassallo o del signore e diventò ereditaria (le due date convenzionali di tale processo sono segnate dall’Editto di Quierzy dell’887 e dall’Edictum de beneficiis di Corrado II del 1037), l’elemento reale del feudo finì per diventare più importante del legame stesso, personale, di vassallaggio. Per tutta l’età carolingia e oltre, fino almeno al sec. 12°, il v. non fu così diffuso nell’aristocrazia europea occidentale come comunemente si crede. Il suo massimo sviluppo si ebbe piuttosto all’interno delle nuove monarchie del Basso Medioevo che, sia nel corso del lento processo di ricomposizione dell’autorità pubblica (in Francia; ma in parte ciò avvenne anche, in un contesto assai differente, in Italia) sia in seguito agli sconvolgimenti che furono dovuti alle conquiste militari (in Inghilterra, nel regno di Gerusalemme, nell’impero latino d’Oriente, nell’Europa orientale di penetrazione tedesca), utilizzarono l’istituto del v. come elemento di raccordo dei poteri locali (signorili) dell’aristocrazia con il vertice di una gerarchia di poteri pubblici facente ormai capo saldamente al sovrano, re o imperatore.

Diritto internazionale

Il v. costituisce un’unione di diritto statale o di diritto costituzionale, che presenta, per altro, rilevanza giuridica internazionale. L’unione di v. presenta, di regola, le seguenti caratteristiche: il capo dello Stato vassallo deve essere riconosciuto e investito dal capo dello Stato suzerain. Lo Stato vassallo deve pagare un tributo allo Stato suzerain e deve adeguare la sua politica alle direttive fissategli dal primo. Il suo ordinamento giuridico è bensì autonomo rispetto a quello dello Stato suzerain, ma non è originario, derivando la sua stessa autonomia da una concessione di quest’ultimo. Di solito, lo Stato vassallo non possiede personalità di diritto internazionale. Il v. ha trovato attuazione durante il sec. 19°, nell’ordinamento dell’impero ottomano, in due distinte zone geografiche ed etniche; da un lato, nelle province cristiane della Penisola Balcanica (i principati di Valacchia, Moldavia e Serbia, riconosciuti autonomi sotto la sovranità della Sublime Porta, per effetto del Trattato di Parigi del 30 marzo 1856, e divenuti poi indipendenti come regni di Romania e di Serbia con il Trattato di Berlino del 13 luglio 1878; il principato di Bulgaria, la cui autonomia rispetto alla Sublime Porta fu riconosciuta dal Trattato di Berlino, del 13 luglio 1878, e la cui indipendenza fu proclamata nel 1908); d’altro lato, le province ottomane dell’Africa mediterranea (la reggenza di Tunisi, sino al protettorato francese del 1882; l’Egitto, dalla Convenzione di Londra del 15 luglio 1840 sino al protettorato britannico del 1914).

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