VANGELO

Enciclopedia Italiana (1937)

VANGELO

Giuseppe Ricciotti

. E il nome comune ai quattro primi libri del Nuovo Testamento (v. Bibbia); secondariamente è anche il nome dato ad altre composizioni antiche che hanno qualche analogia con quei quattro libri (narrando egualmente fatti della vita di Gesù Cristo, ecc.), ma che non fanno parte del Nuovo Testamento e sono perciò chiamati (Vangeli) apocrifi.

Il nome viene dal gr. εὐαγγέλιον, che è formato dalle due parti εὖ, "bene", e ἀγγέλλω "annunzio", e ha quindi il senso etimologico di "buon annunzio", "buona novella". Il termine si ritrova già in Odissea XIV, 152, 166; Senofonte, Ellen., I, 6, 37, ecc., ma ha il significato (per lo più al plurale) di ricompensa o mancia data a chi ha recato una buona novella, o di sacrificio offerto agli Dei per lo stesso motivo; in seguito appare anche nell'accezione della stessa buona novella (frequente nelle iscrizioni per la salita al trono d'un sovrano; cfr. Cicerone, Ad Attic., II, 12). In ebraico vi corrisponde il termine besorāh, che ha sia il significato di "buona novella" (II Samuele, XVIII, 20 segg.), sia quello di "ricompensa per una buona novella" (II Sam., IV, 10: ove i Settanta traducono appunto con εὐαγγέλια, e la Volgata con mercedem pro nuntio). Nel Nuovo Testamento il termine designa la "buona novella" per eccellenza, cioè l'annunzio della redenzione umana per mezzo di Gesù Cristo, nonché la sua dottrina. Ancora più tardi, nella terminologia ecclesiastica, il nome designò i principali e più fondamentali scritti che contengono la "buona novella" cristiana, cioè quelli che in parte narrano la vita e in parte espongono la dottrina di Gesù Cristo: quest'uso, al plurale, è testimoniato già nel sec. II (Giustino, Apol., I, 66; Epist. ad Diogn., 11), ma appare anche l'uso al singolare per indicare la dottrina di quei libri (Didaché, XV, 3, ecc.). Assai raro, invece, è trovare il termine di , "vangelo" applicato nell'antichità ad altri libri del Nuovo Testamento oltre ai primi quattro; oggi, solo per uso familiare e non scientifico, si usa talvolta "vangelo" come sinonimo di Nuovo Testamento.

I suddetti quattro primi libri del Nuovo Testamento sono, secondo l'ordine con cui vi stanno disposti, il Vangelo di Matteo, quello di Marco, quello di Luca e quello di Giovanni (v. le trattazioni a queste singole voci). Questi scritti, che sono in parte biografie di Gesù Cristo e in parte esposizioni succinte della sua dottrina, sono i soli del loro genere accettati dalla Chiesa e da essa inclusi nel canone dei libri ispirati; tuttavia, oltre a questi quattro, l'antica letteratura cristiana produsse anche altri "vangeli" attribuiti senza fondamento a personaggi autorevoli (Pietro, Giacojno, ecc.), che tuttavia non furono accettati dalla Chiesa né inclusi nel canone del Nuovo Testamento - epperciò sono chiamati apocrifi - e che inoltre, anche sotto il solo aspetto dell'autorità storica e dell'antichità di composizione, sono enormemente al disotto dei quattro Vangeli canonici. Alcuni di questi vangeli apocrifi sono opere di sette cristiane e tendenziosi nelle loro dottrine; altri, benché usciti da ambienti cattolici e di antica data (ad es., il Protovangelo di Giacomo), sono in gran parte leggendarî.

Il principio che i Vangeli canonici siano quattro, con esclusione dei molti apocrifi, è uno dei punti più chiaramente dimostrati dalla più antica letteratura cristiana (Frammento Muratoriano, in parte; Ireneo, Adv. haer., III, 11, 3; Clemente Aless., Stromata, III, 13, 93; ecc.). È parimente costante la loro attribuzione ai quattro autori nominati; tuttavia i titoli con cui appaiono nella tradizione manoscritta e nelle citazioni (Εὐαγγέλιον χατὰ Ματϑαῖον, ecc.; in latino secundum Matthaeum, e talvolta cata Matthaeum [Cipriano, Testimon., I, 18]) non provengono certamente dagli stessi autori, pur essendo antichissimi e certamente anteriori alla metà del secolo II (cfr. A. Harnack, Die Chronologie der altchnstl. Litter., I, Lipsia 1897, p. 682). È probabile che tali titoli siano stati apposti dai vescovi, in ragione del loro ufficio di fissare quali libri si dovessero leggere pubblicamente nelle adunanze liturgiche. Inoltre l'espressione stessa, χατά... secundum, è vero che per sé stessa potrebbe anche significare conforme a [la tradizione di] ecc., tuttavia di fatto fu adoperata nell'altro abituale senso d'indicare la pertinenza ossia l'autore; giustamente S. Agostino (C. Faustum, XXXII, 2) difende quest'ultimo senso a preferenza dell'altro difeso dal manicheo Fausto, ma già nel sec. II il Frammento Muratoriano mette fuor di dubbio la questione nominando prima il tertio (tertium) Evangelii librum secundo (secundum) Lucam, e poi aggiungendo Lucas iste medicus... conscripsit.

Le molteplici analogie di forma e di sostanza fra i quattro Vangeli canonici sono state rilevate già dagli antichi scrittori cristiani; ad es., Ireneo parla di τετράμορϕον τὸ εὐαγγέλιον (Adv. haer., III, I 1,3), come di un unico Vangelo "quadriforme", e l'idea è stata Sempre più investigata in seguito. In tempi moderni, con l'applicazione del metodo storico-critico, si sono messe anche più in rilievo le affinità tutte speciali che collegano fra loro i tre primi Vangeli, Matteo, Marco e Luca, e che non si estendono al quarto, Giovanni: queste affinità, che spessissimo raggiungono l'uguaglianza verbale, hanno fatto dare ai tre primi Vangeli il nome di "sinottici" e hanno creato riguardo all'origine di quella particolare parentela fra essi la cosiddetta questione sinottica (v. sinottici, vangeli).

I quattro Vangeli canonici sono un prodotto dei primissimi tempi cristiani: ad ogni modo essi, come li abbiamo oggi, sono stati scritti a una certa distanza dopo la morte di Gesù Cristo e anche a una certa distanza fra loro. Prima di essi, l'insegnamento circa la vita e la dottrina di Gesù era trasmesso principalmente a viva voce, mediante la predicazione degli Apostoli: tuttavia abbiamo anche notizia di altri scritti che precedettero sullo stesso argomento i Vangeli canonici (cfr. Luca, I, 1 segg.) e che poi cedettero totalmente il campo a questi (v. anche logia; matteo).

Precisare questo tempo che intercorse fra la morte di Gesù e la comparsa dei quattro Vangeli nella forma odierna, è stato oggetto d'innumerevoli tentativi dai principi del sec. XIX fino ad oggi. La corrente della scuola di Tubinga, e specialmente le recise affermazioni di F. C. Baur e di D. F. Strauss, assegnavano la data di composizione dei Vangeli a epoche assai tardive e molto posteriori all'età apostolica, essendo stato del tutto abbandonato quanto la più antica tradizione cristiana aveva trasmesso circa gli autori dei singoli Vangeli e l'epoca della loro pubblicazione: in genere si stabilì che essi erano sorti nel sec. II, e più esattamente il Baur assegnava a Matteo la data di circa il 130 e a Giovanni quella di circa il 160. Avvenne naturalmente una reazione contro tali affermazioni, che si basavano più su postulati ideologici astratti che su dati di fatto storici: e la reazione, da parte stessa dei critici indipendenti, fu un progressivo riavvicinamento ai dati della tradizione; ad esempio il Harnack assegnò a Marco la data del 65-70, a Matteo il 70-75, a Luca il 78-93 e a Giovanni l'80-110. Gli studiosi cattolici fanno risalire anche più in su queste date.

Oggi, anche più sentita della questione cronologica, è quella critico-letteraria, che mira cioè a stabilire quali fonti (orali o scritte) siano state utilizzate dai Vangeli canonici e attraverso quale processo si siano essi formati. A tal proposito, in questi ultimi anni ha incontrato un certo favore, fra i menzionati critici indipendenti, il metodo storico delle forme" (formgeschichtliche Methode), che si propone di ripartire il materiale confluito nei Vangeli secondo i generi, ossia le "forme" letterarie di popolarità religiosa, a cui i varî tratti già appartenevano e da cui li desunse l'autore di ciascun Vangelo. Queste "forme" corrispondono a particolarì funzioni della vita religiosa collettiva, e specialmente al culto associato; esse si ripartiscono, a seconda dei varî sistemi, in apoftegmi (logia), sentenze profetiche o apocalittiche, norme di vita comune, tratti parenetici, racconti biografici (specialmente taumaturgici), e anche leggende e miti (fra queste ultime sono elencati da molti i racconti del battesimo di Gesù, delle sue tentazioni, della trasfigurazione, dell'ultima cena, ecc.). Queste varie "forme" circolavano prima oralmente, in lingua aramaica; se ne fecero poi minuscole raccolte scritte a seconda dei varî generi, mentre la tradizione orale seguitava a evolversi per conto proprio. Non si trattò quindi di una letteratura elaborata, bensì popolare; non di un genere puramente biografico, bensì insieme dottrinale e parenetico; non di scritti con proponimenti storici, bensì con mire edificative e cultuali, e formatisi attorno al tema centrale del "figlio di Dio". Taluni studiosi hanno riavvicinato queste "forme" a quelle da cui sorsero gli scritti relativi ad Aḥīqār o a Esopo o ad Apollonio di Tiana o a S. Francesco d'Assisi (Fioretti), cioè al tipo della letteratura minore (Kleinlitteratur). Da questa, e nello stesso tempo dall'ulteriore tradizione orale, avrebbero attinto gli evangelisti, inquadrando e armonizzando il tutto col loro lavoro redazionale. Tali principi solo in minima parte sono stati accettati da studiosi cattolici.

Bibl.: Oltre alle opere citate e a bibbia; giovanni; luca; marco; matteo; sinottici, vangeli, v. anche: J. Schniewind, Evangelion. Ursprung und erste Gestalt des Begriffs Evangelium, Gütersloh 1927; per il metodo delle "forme", K. L. Schmidt, Die Rahmen der geschichte Jesu, Berlino 1919; M. Dibelius, Die Formgeschichte des Evangeliums, Tubinga 1919; E. Fascher, Die formgeschichtliche Methode, Giessen 1924; E. Bultmann, Die Geschichte der synoptischen Tradition, 2ª ed., Gottinga 1931; F. Braun, Où en est le problème de Jésus, Bruxelles 1932; C. Guignebert, Jésus, Parigi 1933; E. Florit, Il metodo della storia delle forme, Roma 1935.