VANGELO

Enciclopedia Italiana - III Appendice (1961)

VANGELO (XXXIV, p. 972)

Giuseppe BADINI

Vangeli apocrifi.- La letteratura apocrifa del Nuovo Testamento (III, 662) è ben lungi dall'avere il valore e la ricchezza di quella veterotestamentaria (si tratta infatti di scritti che in gran parte sono il prodotto della curiosità popolare e di quella "funzione fabulatrice" che è comune ad ogni epoca): non si esclude però (pur essendo oggi passato il tempo in cui si pensava di trovare negli apocrifi la fonte degli scritti canonici) che qualche frammento di tradizioni extracanoniche in essi sia possibile cogliere. La loro conoscenza quindi non sarà utile soltanto per l'influsso esercitato nella pietà popolare, nella liturgia, nella storia dell'arte e della letteratura, specialmente nel Medio Evo, ma il loro studio non raramente porta un reale contributo nella critica testuale e nella storia del canone del Nuovo Testamento e può essere utile anche per la storia della teologia (basti consultare gli studî pubblicati in questi ultimi trent'anni da H. Odeberg, E. Siöberg, R. H. Peiffer, E. Schürer, S. Zeitlin, A. Neuman, B. Rehm, M. De Jonge, M. Testuz, G. Streker, W. Michaelis, M. R. James).

L'importanza delle recenti scoperte papirologiche non si limita ad aggiungere alcuni documenti ai testi finora conosciuti, ma ci dà talvolta la possibilità di porre i problemi in modo nuovo e, più spesso, di proporre nuove soluzioni.

Nonostante si usi ancora, dopo A. Hilgenfeld (1866) e E. Hennecke (1904), includere qualche apocrifo del Nuovo Testamento tra i Padri Apostolici, sembra oggi generalmente più esatto riservare il termine di apocrifo per designare quei libri paralleli al Nuovo Testamento (cioè soltanto: Vangeli, Atti degli Apostoli, lettere apostoliche e Apocalissi) che pretendono un'origine apostolica e che la Chiesa ha escluso dal Canone. Altri scritti (come per es. il Pastore di Erma) non si dovrebbero mettere nello stesso piano anche se li ritroviamo talvolta, per la venerazione di cui erano oggetto e per l'uso che se ne faceva nelle prime generazioni cristiane, inclusi in codici biblici.

Poiché dei libri apocrifi a noi sono giunte solo poche notizie, qualche brano (talvolta soltanto il titolo) in citazioni di Padri della Chiesa o in frammenti di papiri, oppure il testo ci è pervenuto in rimaneggiamenti, sviluppi e amplificazioni tardive e in traduzioni più o meno fedeli, l'opera degli studiosi si è soffermata per lo più in indagini di critica letteraria, nello sforzo di identificare il nucleo primitivo e di studiare le diverse fasi e i motivi delle successive rielaborazioni. Non mancano però studî di valore anche sul contenuto dei singoli apocrifi, sia dal punto di vista della critica testuale neotestamentaria, sia dal punto di vista storico religioso.

Circa gli agrapha (frasi isolate attribuite a Gesù dalla tradizione e assenti dai nostri vangeli canonici) si deve constatare come, nonostante i nuovi materiali scoperti nei papiri, la critica oggi tenda a diminuire il numero di quelli che si possono considerare autentici. Mentre infatti A. Resch, nel 1889, di 177 frammenti enumerati ne considerava autentici 74 e I. H. Ropes, nel 1896, ne riduceva il numero a 14, L. Vaganay nel 1928 esitava a riconoscere l'autenticità di quattro o cinque (l'opinione di J. Jeremias che nel 1948 considerava come probabili 21 frammenti non è stata condivisa dalla maggioranza dei critici). È noto come tali detti extracanonici di Gesù siano a noi pervenuti o in varianti di testi canonici (tra le quali l'agraphon più originale sembra essere il cosiddetto loghion di Freer, Mc., 16,14 ss., che B. Botte, in uno studio apparso nel 1938, pensa poter datare dalla prima metà del 2° secolo) o attraverso citazioni dei Padri o in papiri: per ciò che riguarda questi ultimi devono essere ricordati alcuni documenti di particolare valore che in questi ultimi decennî si sono aggiunti ai papiri di Oxirinco (3° secolo) e cioè: il papiro Egerton 2 (140-160) e i manoscritti copti trovati in Alto Egitto presso Naǵ ‛Hammādi. Il primo, pubblicato a Londra nel 1935 con il titolo Frammenti di un vangelo sconosciuto, e che all'inizio sembrò ad alcuni essere un vero e proprio vangelo, più antico di quello di Giovanni, anzi la fonte di esso o almeno dipendente da una fonte comune, appare oggi come una collezione di episodî che avrebbero lo scopo di dimostrare come Gesù vinceva sempre nelle discussioni con i suoi avversarî, collezione risalente agli inizî del 2° secolo e che sembra presupporre l'esistenza sia dei sinottici sia, in modo particolare, di Giovanni (cfr. H. Hidris Bell, Fragments of an unknown Gospel, Londra 1935: M.J. Lagrange, Deux nouveaux textes relatifs à l'Évangile, in Revue Biblique, 1935, pp. 321-343; Goro Mayeda, Das Leben Jesu fragment Papyrus Egerton 2 und seine Stellung in der urchristlichen Literaturgeschichte, Berna 1946; L. Cerfaux, Parallèles canoniques et extracanoniques à l'Évangile inconnu, Recueil L. Cerfaux. I, pp. 279-299) I manoscritti scoperti a Chenoboskion presso Naǵ ‛Hammādi nel 1945 contengono alcune opere gnostiche tra le quali il Vangelo della Verità, il Dialogo del Redentore, il Vangelo di Tommaso, il Libro di Tommaso l'atleta, l'Apocrifo di Giovanni, l'Apocrifo di Giacomo, ecc. Particolare interesse ha suscitato la pubblicazione (Il Cairo, 1956) della traduzione copta del Vangelo di Tommaso che sembra essere non, come troppo in fretta fu definito, un "quinto vangelo", ma un apocrifo redatto su materiale già esistente (anteriore nella sua redazione definitiva all'inizio del 3° secolo), un vangelo non specificatamente gnostico (nonostante certi rimaneggiamenti nella versione copta che lo adattò a credenze gnostiche), uno scritto che si presenta come una collezione di 118 parole attribuite a Gesù, tra le quali non è da escludere che si possa trovare qualche loghion risalente ad una tradizione antica quanto i sinottici (cfr. G. Quispel, The Gospel of Thomas and the N. T., in Vigiliae christianae, 1957, pp. 189-207; L. Cerfaux - G. Garitte, Les paraboles de Royaume dans l'Évangile de Thomas, in Muséon, 1957, pp. 307-328; J. Doresse, Les livres secrets des gnostiques d'Égypte. vol, II. L'Évangile selon Thomas ou les paroles secrètes de Jésus, Parigi 1959; trad. it. Il Vangelo di Tommaso, Milano 1960). Anche se dalla pubblicazione di tali manoscritti possiamo attendere nuova luce per lo studio degli agrapha. l'esame del loro contenuto dal punto di vista storico e teologico sembra confermare sempre più che: 1) i loghia non provengono da tradizione orale, ma sono riportati dai padri e arrivano ai papiri dagli apocrifi; 2) essi ben poco ci rivelano sulla figura e sulla dottrina di Gesù (cfr. J. Jeremias, Unbekannte, Jesusworte, Zurigo 1948). Per ciò che riguarda il primo gruppo di Vangeli apocrifi (cioè quelli di tipo sinottico) la critica più recente conviene nel distinguere il Vangelo secondo gli Ebrei (uno dei più antichi vangeli giudeo-cristiani, che s. Girolamo identificava con il Matteo aramaico e che oggi si pensa invece essere un apocrifo della fine del 1° secolo che non ha nulla a che vedere con l'originale del I vangelo canonico) dal Vangelo dei Nazirei, mentre si discute ancora se si debba o no identificare con l'altro apocrifo giudeo-cristiano detto il Vangelo degli Ebioniti o dei dodici apostoli (cfr. A. Schmidtke, Zum Hebräerevangelium, in zeitschrijt für die neutestamentliche Wissenschaft und die Kunde der älteren Kirche, XXXV, 1936, pp. 24-43).

Circa il Vangelo degli Egiziani nessun elemento nuovo è stato acquisito per risolvere il problema se si tratti di uno scritto encratita o gnostico o di un'opera originata negli ambienti giudeo-cristiani d'Egitto e rimaneggiata poi in senso eterodosso; un notevole lavoro è stato pubblicato invece sul Vangelo di Pietro (L. Vagany, L'Évangile de Pierre, Parigi 1930). É noto come la pubblicazione di questo apocrifo, nel 1892, abbia suscitato grande scalpore e si sia creduto di poter ravvisare in esso uno stadio della tradizione anteriore ai vangeli canonici (la scuola di Tubinga pensò di poterlo identificare con le Memorie di Pietro di cui parla Giustino e lo ritenne come principale documento del giudeo-cristianesimo petriniano). Pur non essendo ancora chiarito ogni problema circa l'origine di questo apocrifo, sembra lecito oggi affermare che il Vangelo di Pietro è stato composto in Siria, verso il 120; che si tratta di uno scritto saturo del linguaggio dei Sinottici, dai quali dipende; nei punti in cui da essi si scosta non rappresenta alcuna particolare tradizione, ma è il riflesso della fantasia popolare; il suo antigiudaismo, docetismo, gnosticismo più che ad una ben definita tendenza ereticale, è dovuto ad una preoccupazione apologetica, ad un linguaggio popolare desideroso di ingrandire e idealizzare la figura di Gesù. Se tale apocrifo appare destituito di ogni valore storico, non bisogna però dimenticare che notevole può essere la luce che il suo esame può portare alla critica testuale neotestamentaria.

Circa i vangeli apocrifi delle sette (una quarantina di scritti per lo più gnostici conosciuti o solo nei titoli o in brevi frammenti), che si sogliono dividere in pseudoepigrafici o in contraffazioni secondo che la dottrina è messa in bocca ad un apostolo (Bartolomeo, Barnaba, Tommaso, ecc.) o direttamente ad un maestro della setta (Basilide, Marcione, ecc.), basti ricordare i manoscritti, a cui abbiamo fatto già cenno, della biblioteca gnostica di Chenoboskion: nella sezione VII della III edizione dello Hennecke (vedi bibliografia) H. G. Puech tratta diffusamente dei vangeli gnostici e scritti assimilati passando in rassegna i testi principali pubblicati fino al 1959.

Circa infine i vangeli-finzione (gli apocrifi cioè in cui la curiosità popolare ha "narrato" ciò che i vangeli canonici tacciono sulla parentela e sull'infanzia di Gesù e sul cosiddetto "ciclo di Pilato") si pensa oggi per lo più che tali scritti nella loro origine siano fondamentalmente ortodossi, anche se la loro "teologia" è ancor vaga ed imprecisa e spesso contiene espressioni (per es. encratite) che successivamente si sono sviluppate in senso chiaramente ereticale. Il loro studio quindi può essere utile per far conoscere le riflessioni religiose delle prime generazioni cristiane.

Per ciò che riguarda in particolare il Protovangelo di Giacomo, del quale finora possedevamo solo manoscritti dei secoli 9°-16° (un unico frammento del 5°-6° secolo), la recente pubblicazione di un manoscritto del secolo 3° (cfr. Papyrus Bodner V, Nativité de Marie, pubblicato da M. Testuz, Cologny-Genève 1958) conferma l'ipotesi che tale apocrifo risulti dalla fusione di tre distinti scritti primitivi, uno che narra l'infanzia e la nascita di Maria, uno le circostanze che hanno accompagnato la nascita di Gesù e uno finale sulla uccisione di Zaccaria. Sembra che non solo per i primi due, ma anche per il terzo la prima composizione si possa far risalire al 2° secolo. Da sottolineare inoltre l'interesse di questo papiro per la critica testuale neotestamentaria. Dal punto di vista della storia del dogma è interessante notare come nel nucleo più antico di questo apocrifo (120-125) siano contenute le affermazioni sulla verginità e la purezza di Maria, mentre i particolari più pittoreschi sulla vita della Madonna e sull'infanzia di Gesù si trovino in gran parte nei rifacimenti posteriori (di cui il più antico sarebbe lo Pseudo-Matteo che si può datare dal secolo 6°). Un altro testo che può interessare il dogma mariano è costituito da un apocrifo del 4° o 5° secolo, il Transitus Mariae, che attesta la fede nell'Assunzione della Madre di Cristo e che inoltre, particolarmente nel testo arabo, testimonia la credenza nell'intercessione della Madonna.

Siegfried Morenz in uno studio sulla Storia di Giuseppe il Carpentiere sostiene che tale apocrifo (che noi possediamo in redazione copta e araba) doveva essere nell'originale in lingua greca (redatto forse verso la fine del secolo 4° in Egitto) e che si tratterebbe di uno scritto composito: forse all'origine due apocrifi, uno sull'infanzia di Gesù e uno sulla morte di Giuseppe, a cui furono aggiunte in seguito un'introduzione, una conclusione e numerose chiose di tendenza teologica allo scopo di edificazione e per affermare che non si deve desiderare di "essere assunti al cielo", ma che è cosa buona morire e inoltre per diffondere il culto di s. Giuseppe (cfr. S. Morenz, Die Geschichte von Joseph der Zimmermann, Berlino 1951).

Tra le molte narrazioni dell'infanzia di Gesù, la più antica era considerata finora il Vangelo di Tommaso (più esattamente: "Racconto dell'infanzia del Signore scritta da Tommaso, filosofo israelita"), apocrifo giunto a noi in diverse traduzioni, spesso divergenti tra loro. In realtà si tratta di una compilazione non anteriore al secolo 5°, la quale, combinata con il Protovangelo di Giacomo, avrebbe dato origine a quelle amplificazioni fantastiche (Il Libro arabo dell'injanzia, il Libro armeno dell'infanzia), caratteristiche per la mediocrità e la banalità con cui si narrano episodî che spesso arrivano al limite estremo del ridicolo e del grottesco.

Circa gli apocrifi che riguardano il cosiddetto "Ciclo di Pilato" (di cui il testo più famoso sono gli Atti di Pilato o Vangelo di Nicodemo) da segnalare la pubblicazione di P. Vannutelli in Synoptica del 1938 e 1939 Actorum Pilati textus synoptici. Nello stesso periodo la Rylands Library ha pubblicato a Manchester a cura di C. H. Roberts un frammento del Vangelo secondo Maria Maddalena. A questo stesso ciclo si può collegare un Vangelo di Gamaliele scoperto nel 1957 in traduzione etiopica.

Circa infine gli atti apocrifi (specialmente i più antichi, cioè quelli che si possono datare dal 160 al 230) il problema che ancora maggiormente interessa i critici e gli storici del cristianesimo è di definire se si tratta di opere degli gnostici, come voleva R. A. Lipsius, oppure di una produzione del cristianesimo popolare (C. Schmidt). Non manca chi ancora sostiene che essi rappresentino il punto di passaggio tra il cristianesimo primitivo e la leggenda posteriore, la quale avrebbe svisato il primitivo messaggio evangelico (cfr. M. Blumenthal, Formen und Motiven in den apocryphen Apostelgeschichten, Lipsia 1933); altri (per es. il Lagrange, cfr. Revue Biblique, 1934, pp. 284-290), pur ammettendo che gli Atti apocrifi di Giovanni, di Pietro, di Paolo, di Andrea e di Tommaso formano una vera unità, obbediscono nella loro composizione a particolari leggi (per es. la presentazione in coppie di fatti e di discorsi) e si presentano, verso la fine del sec. 4°, come un "corpus" ben definito che i manichei opponevano agli Atti canonici, sostengono tuttavia che questa letteratura alle origini è fondamentalmente ortodossa.

Per ciò che riguarda in particolare gli Atti di Paolo, la pubblicazione nel 1936 di un frammento di papiro del 4° secolo (cfr. C. Schmidt, (Πράξεις Παύλου, Acta Pauli nach dem Papyrus der Kamburger Staats- und Universitäts-bibliothek, 1936) conferma l'ipotesi formulata dopo la scoperta della versione copta nel 1897, che questo apocrifo risulti dagli Atti di Tecla, dalla Lettera apocrifa ai Corinti e da Il martirio di Paolo. La data di composizione sembra si debba spostare verso il 180, o fino al 200 se si ammette una dipendenza dagli Atti di Pietro. Per l'uso fatto dai manichei e priscillianisti si esagerò nel parlare della sua origine ereticale. Non si esclude poi che nel suo nucleo primitivo questo apocrifo possa essere testimonio di una tradizione antichissima.

Circa gli Atti di Tommaso, l'affermazione del suo carattere gnostico e manicheo (cfr. G. Bornkamm, Mythos und Legende in den Apokryphen Thomas-Acten, Gottinga 1933; A. Adam, Die Psalmen des Thomas und das Perlenlied als Zeugnisse vorchristlicher Gnosis, Berlino 1959) non è da tutti condivisa; più che di un sistema determinato, sembra sia giusto parlare di un clima gnostico dell'ambiente in cui l'apocrifo fu composto.

Per ciò che riguarda le epistole apocrife, da segnalare la pubblicazione della Corrispondenza dei Corinti e dell'apostolo Paolo (opera antignostica della seconda metà del 2° secolo; cfr. M. Testuz, Papyrus Bodmer X, Cology-Genève 1959) e una edizione della Corrispondenza tra Paolo r Seneca (Cl. W. Barlov, Epistulae Senecae ad Paulum et P. ad S. [quae vocantur], Roma 1938).

Da segnalare infine alcuni studî sulla Apocalisse di Paolo (apocrifo assai noto per l'influsso esercitato nel Medioevo e in particolare sulla cosmogonia dantesca): lo scritto sarebbe molto anteriore al 388, data a cui pensava C. Tischendorf e anche, più recentemente, G. Ricciotti (cfr. L'Apocalisse di Paolo siriaca, Brescia 1932); l'opera sarebbe stata composta verso il 240-250, forse per opera di un egiziano, in lingua greca; le sue fonti sarebbero l'Apocalisse di Pietro, di Elia, di Sofonia (cfr. R. P. Casey in Journal of Theological Studies, 1933, e T. Silverstein, in Studies and Documents, vol. IV, Londra 1935).

Sembra giusto segnalare infine, accanto ai lavori più impegnativi di ricerca scientifica, una discreta letteratura di carattere divulgativo che, rivolgendosi a un pubblico reso più attento in questi ultimi anni da una più diffusa sensibilità ai problemi storico-religiosi e dalle continue scoperte di nuovi papiri, si propone di introdurre, sulla base di una erudizione sicura, ad una visione serena ed obiettiva della storia del cristianesimo primitivo. Facendo conoscere, accanto alle pagine più belle ed edificanti della letteratura apocrifa, entrate spesso nel patrimonio della pietà cristiana, quelle più stravaganti e grottesche e le prime deformazioni del messaggio evangelico. si propone di educare ad un senso critico, che, senza accettare né condannare indiscriminatamente, sappia valutare la differenza fra libri apocrifi e libri canonici del Nuovo Testamento.

Bibl.: G. Bonaccorsi, Vangeli apocrifi, Firenze 1948; M.R. James, The apochryphal New Testament, Oxford 1950; Aurelio de Santos Otero, Los evangelios apocrifos, Madrid 1956; W. Michaelis, Die Apokryphen Schriften zum N. T., Brema 1956; E. Hennecke, Neutestamentliche Apokryphen in deutscher Uebersetzung (terza edizione completamente rifatta da W. Schneemelcher) I, Evangelien, Tubinga 1959.

Antologie: H. Daniel-Rops, Les Évangiles de la Vierge, Parigi 1948; M. F. Amiot e Daniel-Rops, Évangiles apocryphes, Parigi 1952; J. Hervieux, Ce que l'Évangile ne dit pas, Parigi 1958 (trad. ital. "Ciò che il Vangelo non dice", Catania 1960).

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