VALUTAZIONE

Enciclopedia Italiana (1937)

VALUTAZIONE

Carlo Draghi

. Valutare significa accertare in misura di moneta il valore di un bene economico. La funzione amministrativa della valutazione interessa esclusivamente la ragioneria per quanto ha tratto alle scritture di conto e ai bilanci. (V. bilancio; conto; inventario; partita doppia).

Il fine più comune che la valutazione si propone è quello di accertare, a una data stabilita, il valore monetario di un determinato patrimonio, presa questa voce nel suo significato contabile e cioè come complesso di attività e di passività. Ma altri fini più complessi, che saranno in appresso esposti, ha per scopo questa funzione amministrativa. In ogni caso, essa, per riuscire veramente utile, deve essere quanto più possibile omogenea e cioè riferirsi a unica moneta, che normalmente sarà la moneta di conto, a unica data, e ispirarsi a criterî uniformi.

Lo stabilire i principî che devono stare a base delle valutazioni costituisce compito non facile e di grande importanza per l'amministratore dell'azienda. Le difficoltà risiedono, principalmente, nella assoluta impossibilità di servirsi di norme costanti e applicabili in ogni caso, tanta è la dipendenza delle valutazioni dalle situazioni di mercato e dagli scopi per i quali esse vengono compiute, e tanta la varietà delle condizioni aziendali. Inoltre l'esercizio di tale funzione, anche nella migliore ipotesi di serietà amministrativa, difficilmente può rimanere libero da influenze soggettive, spesso contrastanti con la realtà. Valutazione, infatti, è espressione di giudizio sull'entità economica di un dato bene, e, come tale, non può prescindere dall'apprezzamento personale di chi la emette e dallo scopo a essa attribuito.

La ragioneria nello studio della materia non può quindi dare delle norme tassative; può soltanto indicare quei criterî, che, date certe condizioni, e tenendo conto del maggior numero possibile di elementi, sottraggano l'amministratore all'influenza di giudizî arbitrarî per indirizzarlo verso un apprezzamento obiettivo conforme alla realtà.

Se si lasciano da parte i principî di valutazione che non acquistano particolare rilievo per una sostanziale originalità di concetto, in quanto possono ricondursi ad altri più comunemente ammessi, e tutti gli altri che, per essere difficilmente attuabili, non possono riflettersi in un'espressione monetaria e non interessano quindi la ragioneria, i criterî tradizionali, che sono più frequentemente seguiti nella valutazione dei beni economici, si fondano sui prezzi correnti, sui costi di produzione e di riproduzione e sui valori nominali.

1. Valutazione in base ai prezzi correnti. - Valutazione cioè in base ai prezzi risultanti dai listini di borsa, quando esistano quotazioni corrispondenti al bene da valutare, oppure in base ai prezzi fatti in contrattazioni private all'infuori delle borse.

Tale criterio è largamente usato per le merci, le monete estere, i titoli di stato, azionarî e obbligazionarî, in genere per tutti i beni fungibili che hanno un prezzo di mercato. Il prezzo corrente, generalmente adottato nella valutazione, sta fra i prezzi massimi e minimi fatti nell'epoca più recente alla valutazione, e, per essere accettabile, deve derivare dal maggior numero possibile di contrattazioni, non deve essere influenzato da circostanze passeggere di congiuntura e riferirsi all'identica categoria e qualità dei beni da valutare. Deve quindi corrispondere o avvicinarsi al prezzo effettivamente realizzabile quando si volesse procedere alla vendita dei beni stessi, nel presupposto che la loro offerta non modifichi sensibilmente l'offerta di beni esistente nel mercato.

L'applicazione di tale criterio non presenta difficoltà particolari, specie quando il prezzo può ricavarsi da listini di borsa. Richiede invece maggior tempo e diligenza d'informazioni quando il prezzo deve essere ricavato da contrattazioni svoltesi in privato.

Per molti beni economici il prezzo corrente è in funzione del reddito corrente, che essi sono suscettibili di dare. Tipici fra questi beni i terreni coltivabili e i fabbricati a uso di civile abitazione.

Per procedere alla loro valutazione si suole dapprima stabilire il reddito dei beni stessi, ricavato o presumibilmente ricavabile, al netto di ogni onere, e cioè di imposte e tasse, spese, manutenzioni e riparazioni, rinnovamenti, quote per sfitti probabili, assicurazioni, ecc., e si procede poi alla capitalizzazione dell'importo così determinato, supponendo l'importo stesso proporzionale al saggio percentuale di rimunerazione di capitali dati a prestito.

Chiamando R la rendita netta ricavabile dal fondo in parola; S il saggio percentuale d'interesse in vigore sul mercato; V il valore capitale del fondo, si avrà:

È consigliabile estendere tale metodo anche ai titoli, quando questi non siano quotati in borsa o non formino oggetto di contrattazioni frequenti, perché il loro possesso è concentrato in un unico proprietario o in poche persone. In tal caso il loro valore capitale, determinato in funzione dell'interesse o del dividendo che essi fruttano, sembra più attendibile dell'altro accertato badando alla consistenza patrimoniale che quei titoli rappresentano.

Ma la valutazione di beni in base al reddito capitalizzabile è consigliabile anche per gl'impianti industriali, specialmente in momenti di equilibrio economico instabile. È infatti da ritenere che un impianto industriale, dovendo essere considerato come lo strumento principale della produzione, possieda quel valore che più corrisponde al suo rendimento economico. La potenzialità di produzione dell'impianto rapportata alla produzione effettivamente collocabile, i riflessi che la sua attrezzatura tecnica può esercitare sui costi unitarî di produzione, confrontati questi ultimi con quelli delle aziende similari, l'attitudine dell'impianto stesso a fabbricare dei prodotti aventi i requisiti maggiormente richiesti dal mercato, sono elementi che, riverberandosi in definitiva sul margine di utile unitario del prodotto e sulla quantità di smercio della fabbricazione, dànno la base per la determinazione di un valore reale più che il criterio del costo del quale si parlerà in appresso.

Tale procedimento è semplice come applicazione, ma presenta incertezze notevoli per la difficoltà di scegliere il saggio d'interesse di capitalizzazione che sia corrispondente alla natura dei beni da valutare. Quanto più tale saggio è alto, tanto minore sarà il valore capitale risultante, e viceversa.

L'adozione di un saggio, piuttosto che di un altro, porta spostamenti considerevoli nella misura del valore stesso. Anche in questo caso non si possono evidentemente dare delle norme tassative. Tuttavia, tenendo presente, come sopra è detto, che la capitalizzazione viene fatta in base al saggio corrente di capitali mutuati con sicurezza d'impiego, le varianti da apportare al saggio di capitalizzazione, rispetto al saggio corrente medesimo, sono in funzione del diverso grado di sicurezza e di stabilità, che presenta il reddito dei beni da valutare, e della situazione del mercato dei capitali nei confronti dei beni stessi. Occorre quindi che il reddito da ridurre a valore capitale, oltre che al netto di tutti gli oneri sopra specificati, sia depurato di tutti gli elementi di natura contingente e straordinaria, in modo che a esso possa attribuirsi carattere di stabilità; occorre accertare se i beni da valutare siano, soprattutto per fattori di carattere generale, esposti a possibilità di dimunuzioni straordinarie di rendimento; occorre esaminare se, nel momento della valutazione, il mercato degl'investimenti presenti tendenze favorevoli oppure no nei confronti dei beni stessi. È evidente che quanto più il reddito presenti carattere aleatorio, quanto meno il mercato prediliga gl'investimenti dei beni compresi nella categoria di quelli da valutare, tanto più alto dovrà essere il saggio di capitalizzazione; e tanto più basso esso sarà, quando il reddito si presenti stabilmente sicuro e quando salga la percentuale della massa dei capitali liquidi disponibili, volta agli investimenti nella categoria dei beni in parola.

Ad es., se da un determinato fabbricato urbano si incassano annualmente L. 52.000 di fitti, se su di esso si pagano annue L. 10.000 per imposte, sovraimposte comunali e provinciali e tasse diverse, L. 1000 di assicurazioni, L. 2500 per manutenzioni ordinarie, se si calcola nella misura di L. 1800 annue l'importo da accantonare a fronte di rinnovamenti straordinarî e in L. 1000 annue la somma per far fronte a sfitti probabili; se si stabilisce nella misura del 5% il saggio di capitalizzazione sulla base del rendimento effettivo dei titoli di stato: di un impiego cioè che, per il grado di sicurezza, può considerarsi affine agl'investimenti immobiliari, il valore capitale dell'immobile può essere così determinato:

Ad esempio, se si voglia valutare un titolo azionario del valore nominale di L. 200, suscettibile di dividendo, sarà necessario anzitutto, per stabilirne il reddito capitalizzabile, fare la media dei dividendi distribuiti sul titolo stesso negli ultimi tre o cinque esercizî. Supponendo che i dividendi medesimi siano ascesi rispettivamente per tre anni al 4,50%, 6%, 5,50% e cioè L. 9, 12, 11 per titolo, il dividendo presumibilmente stabile potrà calcolarsi nella misura di circa il 5,30%, ossia di L. 10,65 per titolo.

Tale reddito, dedotte le imposte che su di esso gravano, dovrà capitalizzarsi, in ogni caso, a un saggio più alto di quello in vigore per gli investimenti immobiliari, data l'alea maggiore insita in ogni investimento industriale. Potrà essere appena del 6%, se la società ha una salda consistenza patrimoniale, in modo da confermare, anche per gli esercizî futuri, l'uniformità nei dividendi; se svolge un'attività che presumibilmente aumenterà come volume di affari o che rimarrà stabile. Il saggio di capitalizzazione sarà invece del 7 0 dell'8% se si presume che quell'attività debba essere influenzata da fattori di carattere particolare all'industria come la concorrenza, la scadenza prossima di patti consortili vantaggiosi, la scadenza di concessioni, la probabile necessità di trasformare la tecnica nella produzione; o da fattori di carattere generale come la probabile diminuzione dei prezzi delle merci fabbricate, il possibile mutamento nelle preferenze del mercato, che potrebbero avviare il consumatore verso prodotti succedanei di minor costo.

Adottando il saggio del 7%, il valore capitale del titolo in questione sarebbe determinato come segue:

La determinazione del valor capitale di un'impresa industriale, attraverso il reddito di cui essa è suscettibile, si presta meno a esemplificazioni; tuttavia si può affermare che il calcolo si fonda sulla compilazione di un conto economico tipo (di costi e ricavi), che, a giudizio dell'esperto, rispecchi con la maggiore approssimazione il normale andamento della gestione.

È ovvio che le indagini, in tal caso, sono molto complesse ed estese in quanto riflettono tutti gli elementi, nessuno escluso, della vita aziendale (costi, prezzi, spese, situazioni di mercato) e che esse si fondano principalmente sui risultati economici degli esercizî precedenti.

Il detto conto economico tipo potrebbe avere l'impostazione seguente:

L'importo A, quando sia positivo, capitalizzato al saggio percentuale, da scegliersi secondo i criterî suesposti, può rappresentare con discreta approssimazione il valore capitale dell'azienda.

2. Valutazione in base ai costi. - Secondo tale criterio il valore di un bene viene eguagliato alla somma degl'importi erogati per ottenerlo. Sembrerebbe che tale valutazione, basandosi su dati reali, e quindi sicuri, dovesse dar luogo a minori incertezze. Ciò è vero per certe categorie di beni economici, come i titoli, le merci, le monete estere, in genere per le attività costituenti il capitale circolante delle imprese, in quanto la somma erogata per il loro acquisto, aumentata dell'importo delle spese di commissione e di provvigioni, può con certezza considerarsi costo dei beni stessi. Meno facile appare invece la determinazione del prezzo di costo delle immobilizzazioni materiali, quali gl'impianti industriali e gli immobili in genere, e delle immobilizzazioni immateriali, quali le attivita complementari (v. inventario). Quasi sempre, infatti, i costi sostenuti per l'acquisizione d'immobilizzazioni sono ripartiti nel tempo e frazionati in elementi, dei quali non riesce facile lo stabilire il carattere di costo investito a beneficio della produzione futura.

Per gl'immobili ordinarî, adibiti a civile abitazione, è abbastanza facile il distinguere l'erogazione di somme spese per manutenzioni e rinnovamenti, diretti ad accrescere la permanente produttività dell'immobile stesso, dall'erogazione richiesta dalla necessità di semplici riparazioni: ma, per le immobilizzazioni industriali, invece, tale distinzione appare ardua, perché, salvo poche categorie di spese, chiaramente individuabili, come, da un lato, possono considerarsi, ad esempio, l'acquisto di nuovi macchinari e, dall'altro, le ordinarie manutenzioni, vi sono, nell'infinita varietà d'imprese, molte categorie di spese afferenti agl'impianti, le quali possono riferirsi all'immobilizzo o alla gestione a seconda degli apprezzamenti dell'amministratore dell'azienda.

La pratica risolve il problema regolando l'imputazione di tali erogazioni al conto patrimoniale o al conto esercizio in relazione a criterî di ordine prevalentemente tecnico e al margine di utile più o meno abbondante consentito dall'andamento economico dell'esercizio stesso e al giudizio degli amministratori sull'opportunità di limitare o meno la misura degli utili disponibili.

La valutazione in base ai costi porta come necessaria conseguenza, durante il corso della vita aziendale, la determinazione delle diminuzioni di valore, che le immobilizzazioni subiscono per effetto del loro uso o consumo, giacché è ovvio che, se il costo può essere accettato come valore di un bene all'atto della sua acquisizione, non è più possibile ammetterlo, quando, per effetto dello svolgersi dell'attività aziendale, una parte di quel valore si è trasferito nella produzione di beni o di utilità. L'essere l'impianto industriale uno strumento della produzione e la diminuzione del suo valore un elemento di costo della produzione stessa, impongono la necessità di calcolare a carico dell'esercizio stesso le quote di ammortamento o di ricostituzione di quel valore perduto, quote da portarsi in detrazione dei costi sostenuti o direttamente, o indirettamente, mediante la costituzione di speciali fondi di ammortamento. In tal modo il valore netto degl'immobilizzi dovrebbe adeguarsi al presumibile prezzo di ricupero.

Per quanto concerne le modalità e i calcoli relativi all'accertamento di tali quote, v. ammortamento. Qui si ritiene di dover rilevare che, in materia, la realtà economica non consente il computo di quote di ammortamento secondo piani precostituiti, giacché tale metodo presuppone una stabilità di svolgimento nella gestione aziendale che non è conforme alla realtà. Nelle aziende meglio ordinate viene, è vero, generalmente fissato, per ogni specie d'immobilizzazione, un piano di ammortamento, a quote fisse o a quote variabili, in relazione alla presumibile durata dell'immobile industriale, ma è da escludersi che tali quote, per quanto rigorosamente calcolate, rispondano agli effettivi consumi, influenzati, esercizio per esercizio, da circostanze di congiuntura, e che esse possano altresì fronteggiare i deprezzamenti derivanti da sopravvenute innovazioni o perfezionamenti nella tecnica industriale che automaticamente pongono l'industria in condizioni d'inferiorità. D'onde l'eventualità che quelle quote siano in taluni anni eccedenti il reale consumo; la necessità, in tali altri, di procedere ad ammortamenti straordinarî.

In tal modo, manovrando gli ammortamenti in relazione alle mutevoli condizioni di mercato e ai progressi della tecnica industriale, si adegua il valore di costo degl'impianti alla loro capacità di reddito, ciò che, come è stato detto prima, rappresenta norma amministrativa molto raccomandabile.

3. Valutazione in base ai costi di riproduzione. - Valutazione cioè in base ai costi che sarebbero necessarî per ottenere lo stesso bene da valutare o altro di pari utilità. Per i beni che hanno mercato, tali costi coincidono con i prezzi correnti dei beni stessi; per altri, come per le immobilizzazioni adibite a un particolare uso industriale, la determinazione dei costi di riproduzione richiede, come è ovvio, calcoli complessi per accertamento di costi di merce e di lavoro, ai prezzi del giorno. Per gli altri beni, dei quali non fosse possibile la riproduzione, o questa dovesse essere estremamente costosa per le condizioni del mercato, il costo di riproduzione può ragguagliarsi al prezzo di altri beni che potrebbero darsi in cambio di quelli da valutare.

Non è un criterio di valutazione molto seguito nella pratica comune. Esso può ragionevolmente applicarsi tutte le volte che vi siano da accertare delle situazioni al fine di comporre interessi contrarî.

4. Valutazione in base ai valori nominali. - Sono valori che corrispondono alla quantità o misura di certi beni come il danaro espresso in moneta di conto, per il quale il valore di bilancio si fa corrispondere alla somma di monete in cassa o per i crediti, per i quali il valore stesso si ragguaglia alla quantità di moneta erogata a fronte dei crediti stessi. Oppure, si tratta di valori iscritti in bilancio a puro titolo indicativo che non hanno né pretendono avere alcuna conferma in valori realizzabili; sono valori più che altro convenzionali. Oppure, infine, rappresentano, come per le azioni di società, quote parti del capitale sociale, o, per le obbligazioni, quote parti di debito obbligazionario.

Nella pratica degli affari si accenna spesso a valori nominali in contrapposizione ai valori reali. Così si dice, ad esempio, che un credito del valore nominale di L. 10.000 vale L. 5000 perché a tale somma si limita il ricupero probabile; che il tale titolo, del valore nominale di L. 100, vale in borsa L. 85. Nelle scritture dell'azienda è bene indicare sempre i valori nominali anche quando differiscano dai valori di conto, sia perché essi dànno in molti casi (come per i crediti) la misura dei diritti dell'azienda, sia perché è sui valori nominali che vengono commisurati gl'interessi.

La valutazione in base ai valori nominali può, in generale, essere accettabile unicamente per le monete di conto in cassa e per i debiti dell'azienda. Nei casi rimanenti, i valori nominali non possono prendersi a base di stima a meno che non venga accertata la loro corrispondenza con i valori reali.

Essi possono invece applicarsi nelle scritturazioni dei conti di "deposito", destinati a rappresentare la quantità di beni che l'azienda ha in deposito presso terzi o ha ricevuto in deposito da terzi. Com'è noto, i saldi finali di quei conti sono collocati nei bilanci, tanto nella sezione dell'attivo quanto in quella del passivo.

Come è stato detto sopra, nessuno di questi principî può esser considerato come preferibile per la generalità dei casi: anzi, una discussione al riguardo è da considerarsi come oziosa.

L'adozione di un criterio piuttosto che di un altro deve subordinarsi allo scopo che la valutazione si propone. Il dare questo carattere di relatività alla valutazione stessa significa rimanere nell'ambito della realtà e permette di attribuire ai valori parziali un carattere di omogeneità che fa risultare tanto più accettabile la valutazione complessiva.

Così, ad esempio, per un'azienda in condizioni normali di vita e con prospettive abbastanza lontane di attività, le valutazioni, nelle scritture parziali e nei bilanci di fine esercizio, mirano soprattutto ad accertare la misura del risultato economico dell'esercizio stesso in relazione ai valori esistenti al suo inizio, alle operazioni compiute e alle prevedibili prossime contingenze della vita aziendale. Collegate nel tempo, tali valutazioni devono tendere a eliminare il pericolo della determinazione di utili inesistenti, e al rafforzamento della situazione patrimoniale per l'avvenire. Devono quindi essere caratterizzate da criterî di stima prudenziali.

Cosicché nei bilanci di tali aziende le immobilizzazioni, tenuto conto degli ammortamenti già costituiti o da costituire, devono avere un valore adeguato alla loro potenzialità di reddito, i crediti di ogni categoria devono figurare (mediante iscrizione al passivo di adeguati fondi di svalutazione) al netto delle somme che si presume di non potere ricuperare, i titoli e le merci al loro valore di costo, quando questo non superi il prezzo corrente.

Inoltre, in tali aziende, il valore complessivo di tutte le attività dovrebbe altresì essere diminuito delle somme da destinarsi alla costituzione dei necessarî fondi di svalutazione e di riserva a fronte di perdite e oneri futuri non ancora esattamente accertati, ma che si verificheranno, come perdite su crediti, impegni passivi per liquidazione di personale o per effetto di cause passive in corso; dei fondi di ammortamento a fronte di costi sospesi iscritti all'attivo come spese da ammortizzare per prestiti obbligazionarî contratti, per studî e progetti e altro. Le quote imputate a tali fondi, insieme alle stime prudenziali delle partite attive suaccennate, hanno per effetto ultimo di ridurre l'importo dell'utile netto appropriabile o distribuibile a favore del proprietario dell'azienda, e di rafforzare di conseguenza la situazione patrimoniale e finanziaria dell'azienda stessa.

Quando invece si tratti di aziende in stato di liquidazione, di aziende la cui attività è volta al pagamento delle passività e alla trasformazione in danaro di tutte le altre attività, è evidente che le valutazioni devono adeguarsi alle somme che, in rapporto alla situazione di mercato, si potranno presumibilmente incassare dalla vendita delle attività stesse. In tali aziende il concetto di utile non è prevalente nel dare la norma delle valutazioni, e pertanto i prezzi correnti e di presunto realizzo devono ispirare le valutazioni del patrimonio.

Quando si tratti di dover compilare un bilancio per attuare la fusione fra due aziende, o per accertare, nelle società, le quote spettanti ai soci recedenti, può essere spesso di guida il criterio di una valutazione dei beni ai costi di riproduzione, quando ciò possa essere facilmente attuabile. In caso diverso, dovendo mirare la valutazione a evitare per le aziende assorbite o per i soci recedenti il danno riveniente da valutazioni arbitrarie, il criterio dei prezzi correnti per le attività suscettibili di averne, o la capitalizzazione dei redditi conseguiti fino al momento della fusione, può utilmente applicarsi.

Quando invece si tratti di compilare un bilancio ai fini della concessione di un finanziamento a lunga scadenza, lo scopo delle valutazioni tende ad accertare la consistenza delle garanzie offerte e la capacità di reddito dell'azienda di far fronte al servizio di ammortamento del prestito. Esse quindi, da un lato, devono tendere a determinare il valore di realizzo delle garanzie reali offerte, per il caso in cui fosse necessario escuterle, e dall'altro, le possibilità di una gestione con effetti economicamente utili. Le valutazioni devono quindi estendersi anche oltre il tempo in cui viene compilato il bilancio a prevedere tali possibilità, per un tempo variabile a seconda della durata del finanziamento.

La semplice elencazione di tali casi, a carattere naturalmente soltanto indicativo, sta a dimostrare l'assoluta necessità di armonizzare le valutazioni con le finalità del bilancio da compilare, ma dimostra anche, implicitamente, la necessità di tenere sempre presente, nelle valutazioni stesse, la situazione generale del mercato. E poiché quest'ultima dipende, oltre che dalle condizioni delle imprese che compongono il mercato stesso, anche dalla politica economica e monetaria seguita dallo stato, appare chiaro che la funzione valutativa per non riuscire astratta deve inquadrarsi nel piano dell'economia generale.

In tempi di stabilità economica e monetaria, di libertà di contrattazioni all'interno, e di facili scambî con l'estero, i valori determinati secondo i suesposti principî rappresentano la risultante di fattori economici e finanziarî esistenti in larghe zone di mercato, e perciò essi possiedono un grado maggiore di trasferibilità e quindi, all'occorrenza, di realizzo più facile. Inoltre, l'elemento che contribuisce ad alterare la base del reddito aziendale, e con questa i valori patrimoniali, è costituito dalla concorrenza degli altri imprenditori, nazionali e esteri.

Ond'è che in tali periodi le indagini dell'amministratore ai fini valutativi si concretano quasi esclusivamente nei confronti delle aziende similari concorrenti, giacché è dall'azione di queste che può derivare la causa di turbamento nelle condizioni di reddito.

Invece in regime di economia controllata da parte dello stato il criterio generale, talvolta decisivo, per la determinazione dei valori deve ispirarsi alla situazione creata dai provvedimenti attuati dallo stato, attraverso i suoi organi corporativi o finanziarî, in materia di circolazione, di prezzi, di tariffe; di salarî, di dogane; in materia di concentramento di aziende, di limitazione della produzione, di contingentamento delle vendite. In tale regime i valori non risultano più attendibili in funzione della loro trasferibilità, necessariamente limitata, o della loro stabilità nei confronti della mutevole concorrenza, che, per essere disciplinata, è anche a priori conosciuta. In tale regime i valori in generale devono essere determinati principalmente in funzione del reddito netto conseguibile dall'azienda nel sistema delle premesse proprie a un'economia corporativa.

Bibl.: M. Pantaleoni, Alcune osservazioni sulle attribuzioni di valori in assenza di formazione di prezzi, in Scritti vari di economia politica (1904-1910), nuova ed., Milano 1934; P. Jannacone, Il costo di produzione, in Bibl. dell'econ., s. 4ª, IV, parte 2ª, Torino 1904; V. Vianello, Istituzioni di ragioneria generale, Napoli 1907; G. Zappa, Le valutazioni di bilancio, Milano 1910; id., La determinazione del reddito, Roma 1920-29; F. Besta, La ragioneria, 1ª ed., Milano 1911, I, pp 274-441; V. Alfieri, Ragioneria generale, Roma 1914, p. 58 segg.; A. Cerruti, Ammortamento e riserve nelle imprese industriali, Milano 1926; F. De Gobbis, Ragioneria generale, Roma 1931, p. 57 segg.; P. Onida, I finanziamenti iniziali di impresa, Milano 1931; T. D'Ippolito, Costi di produzione, ivi 1937.

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